Verso
le sette e mezzo di sera, Ernesto Guevara entrò per la seconda volta in vita sua, questa
volta sconfitto, nel villaggio di La Higuera, un misero agglomerato di non più di trenta
case di mattoni e cinquecento abitanti, che doveva il proprio nome al fatto che un tempo
vi abbondavano i fichi, ormai scomparsi; un villaggio isolato, a cui si accede soltanto
per una mulattiera non carreggiabile.
La Higuera, un luogo in cui, secondo la credenza contadina, solo le pietre sono
eterne.
Fuori dal paese si sono raggruppati alcuni abitanti intimoriti. Una donna anziana,
vent'anni dopo, racconterà che vide passare il Che al centro di una processione davanti a
casa sua a La Híguera, e che poi se lo portarono via in cielo... con un elicottero, dirà
alla fine, quasi accettando la spiegazione che le hanno dato tante volte e che le sembra
inconciliabile col fatto che se ne andò via in cielo.
Lo stanno aspettando il maggiore dei ranger Ayoroa e il colonnello Selich, arrivato
in elicottero.
I prigionieri e i morti della guerriglia sono condotti alla scuola, un edificio di
mattoni crudi e tegole di altezza irregolare, con soli due locali separati da un tramezzo
a cui si accede direttamente dall'esterno, pareti scrostate e porte di legno fuori squadra
abbondano nella costruzione di mattoni e calce.
In uno dei locali rinchiudono Simón con i cadaveri di Olo e René, nell'altro il
Che, a cui danno un'aspirina per alleviare il dolore della ferita.
Il Cinese, Juan Pablo Chang, ferito al volto, raggiungerà i detenuti.
E' stato arrestato nello stesso momento o in un secondo tempo? Le versioni sono
contraddittorie.
Il capitano Gary Prado invia lo stesso messaggio che ha ripetuto per tutto il
pomeriggio, questa volta al telegrafo.
Sono le otto e trenta di sera: "Papà ferito". Poi, insieme al maggiore
Ayoroa e al colonnello Selích, esamina il misero contenuto dello zaino del Che: dodici
rullini fotografici, due dozzine di carte geografiche corrette dal Che con matite
colorate, una radio portatile, due libretti di codici, due taccuini con copie dei messaggi
ricevuti e inviati, un quaderno verde di poesie e un paio di quaderni (diari?) zeppi di
appunti scritti con la fitta e frettolosa calligrafia del Che.
Alle nove Selich chiede telefonicamente istruzioni al comando dell'VIII divisione.
Dieci minuti dopo gli rispondono: "Prigionieri di guerra devono restare vivi
fino a nuovi ordini comando superiore".
Un'ora più tardi arriva un nuovo messaggio da Vallegrande: "Tenga vivo
Fernando fino a mio arrivo domattina presto in elicottero. Colonnello Zenteno".
Intanto, a La Higuera, i tre ufficiali superiori cercano di interrogare il Che.
Non ottengono nulla, rifiuta di parlare con loro.
Prado racconta che Selich gli disse, "Che ne direbbe di raderlo, prima?",
mentre tentava di strappargli la barba, e che il Che lo colpisce con una manata.
Secondo il telegrafista di La Higuera, Selich va anche oltre; di fronte al rifiuto
del Che di fornirgli qualsiasi informazione, lo minaccia di morte e gli toglie due pipe e
l'orologio.
Il villaggio è in stato d'allerta, ci si aspetta da un momento all'altro l'attacco
dei guerriglieri superstiti.
Intorno alla scuola, sono state disposte una serie di sentinelle in due cerchi
concentrici e una vedetta.
Alle ventidue e dieci "Saturno" (Zenteno), dall'VIII divisione a
Vallegrande, telegrafava al comandante in capo dell'esercito a La Paz (generale Lafuente)
una proposta di chiave per trattare lo spinoso argomento della cattura del Che: "Fernando
(il Che) 500. Vivo: 600, per telegrafo solo questo per il momento, il resto per radio,
morto: 700. Buonasera. Ultima comunicazione conferma trovarsi nostro potere 500, pregasi
dare istruzioni concrete se 600 o 700".
Il comandante in capo rispondeva: "Deve restare 600. Massima riservatezza, ci
sono infiltrazioni".
I vertici dell'esercito boliviano si erano riuniti a La Paz per decidere il da
farsi.
Il messaggio iniziale era stato ricevuto dai generali Lafuente Soto (comandante
dell'esercito) e Vázquez Sempertegui (capo di stato maggiore dell'esercito) e dal tenente
colonnello Arana Serrudo (dei servizi segreti militari). Jorge Gaflardo ha lasciato una
descrizione poco simpatica dei tre: Lafuente, tracagnotto, con una faccia da orangutan,
barba folta, lo chiamano Chkampu (faccia pelosa in quechua); Vázquez, tarchiato, sorriso
cinico, responsabile dei massacri dei minatori; Arana deforme, con un collo taurino che
contrasta con il corpo molto scuro.
Si recano dal generale Alfredo Ovando, Ministro della guerra, nel piccolo ufficio
della cittadella militare di Miraflores; questi, quando riceve i tre ufficiali, fa
chiamare il generale Juan José Torres, capo di stato maggiore delle Forze Armate, che
occupa l'ufficio di fronte alla sala riunioni adiacente all'ufficio di Ovando.
E' in questa sala che i cinque militari si riuniscono. Non è escluso che siano
stati consultati altri pezzi grossi delle Forze Armate, come il comandante della Forza
aerea León Kolle Cueto, che per un caso curioso è il fratello del dirigente del Partito
Comunista, Jorge Kolle.
Non ci è giunta alcuna testimonianza di ciò che si disse in quella sala, soltanto
della decisione finale.
Una volta raggiunto un accordo, i generali lo comunicano al presidente René
Barrientos, che dà il suo benestare.
Alle ventitré e trenta, il Comando delle forze armate invia al colonnello Zenteno
a Vallegrande questo messaggio telegrafico: "Ordine presidente Fernando 700".
E Che Guevara è stato condannato a morte.
Tanto per il biografo più distaccato, quanto per quello più partecipe, quelle
diciotto ore a La Higuera sono disperanti.
Ernesto Guevara è vissuto lasciandosi dietro una scia di carte che registrano le
sue impressioni, le sue versioni, a volte anche le sue emozioni più intime; diari,
lettere, articoli, interviste, discorsi, atti.
E vissuto circondato di narratori, testimoni, voci amiche che raccontano e lo
raccontano. Per la prima volta, lo storico può ricorrere solo a testimoni ostili, molto
spesso interessati a distorcere i fatti, a creare una versione fraudolenta.
Quello che oggi sappiamo è emerso con il contagocce nel corso di ventotto anni,
frutto della caparbietà dei giornalisti, di ricordi tardivi al fine di costruirsi alibi.
La Higuera è una
terra di parole in cui c'è posto solo per gli interrogativi.
Sa che lo uccideranno? Cosa pensa adesso di Simón Cuba, che tante volte ha
rinnegato nel suo diario? Fa un bilancio dei compagni vivi, dei prigionieri e dei
morti? Rimangono Pacho e Pombo con Inti, Dariel, Dario, il Nato e Tamayo; Huanca e il
medico De la Pedraja sono fuggiti con i feriti.
Lo avranno visto cadere nelle mani dei soldati? Tenteranno qualcosa? Trascorre
quelle ore pensando ad Aleida e ai bambini, al piccolo Ernesto che praticamente non ha mai
visto? Ai morti?
Gli altri morti che hanno costellato la sua strada, Pamos Latour e Geonel, il
Patojo, Camdo e Masetti; San Luis, Manuel, Valdo e Tania... e la lista è interminabile.
Sono i suoi morti, sono morti perché credevano in lui.
Soffre per la ferita? Lui non ha mai abbandonato un prigioniero privo di cure, gli
hanno dato un'aspirina per curare una ferita d'arma da fuoco.
Ripensa alla sconfitta? Ultimo anello di una catena che si aggiunge, il gruppo di
Puerto Mìldonado, di Salta, adesso la sua, la guerriglia del Che.
Cosa lo aspetta?
Cinquant'anni di carcere? Una pallottola nella nuca? Non è questa la prima sconfitta,
chissà se sarà l'ultima. Il suo diario si trova nella casa del telegrafista, a pochi
metri da dove lo tengono prigioniero.
Ci sono state altre sconfitte, ma per la prima volta in vita sua Ernesto Guevara è
un uomo senza carta né penna.
Un uomo disarmato, perché non può raccontare quello che sta vivendo.
A La Higuera c'è
stato il cambio della guardia. Il Che è sdraiato per terra, la ferita ha smesso di
sanguinare.
Uno dei soldati di sentinella nella stanza racconterà anni dopo: "Una delle
cose che vidi, e che mi sembrò un oltraggio per il guerrigliero, fu che Carlos Pérez
Gutiérrez entra, lo afferra per i capelli e gli sputa in faccia, e il Che non si
trattiene e gli sputa a sua volta, inoltre gli dà un calcio che gli fa fare un ruzzolone,
non so dove l'abbia preso il calcio, ma vidi Carlos Pérez Gutiérrez a terra e Eduardo
Huerta con un altro ufficiale che lo immobilizzano".
Poco dopo un infermiere dell'esercito gli lava la gamba con del disinfettante; le
cure non si spingono oltre.
Ninfa Arteaga, la
moglie del telegrafista, si offre di portare da mangiare ai prigionieri; il sottufficiale
di guardia rifiuta.
Lei risponde: "Se non mi lasciate dare da mangiare a lui, non lo do a
nessuno".
Sua figlia Elida porta un piatto al guerrigliero cieco (il Cinese Chang?) in
un'altra stanza. Ultimo pasto del Che sarà un piatto di minestra di arachidi.
Il sottotenente Toti Aguilera entra nella stanza. "Signor Guevara, è sotto la
mia custodia."
E il Che gli chiede una sigaretta.
Aguilera gli domanda se è medico, il Che conferma e aggiunge che è anche
dentista, che ha cavato dei denti.
Il tenente si aggira per la stanza cercando di trovare uno spunto di conversazione.
Alla fine fugge, non c'è possibilità di comunicazione con quel personaggio chiuso
che esce dal mito, ferito; non riesce ad annullare quella distanza che il Che ha sempre
imposto anche ai suoi, per non parlare degli estranei e, a maggior ragione, dei nemici.
Diversi soldati
entrano in seguito nella stanza.
Parlano di tutto, a frammenti, controvoglia.
C'è religione a Cuba? E' vero che lo vogliono scambiare con dei trattori? Lei ha
ammazzato il mio amico? Lo insultano.
Dicono che un sottufficiale, vedendolo rannicchiato in un angolo della stanza, gli
abbia chiesto: "Sta pensando all'immortalità dell'asino?".
Guevara, al quale gli asini sono sempre stati molto cari, sorride e risponde:
"No, tenente, sto pensando
all'immortalità della rivoluzione che tanto temono coloro che voi servite".
Verso le undici e
mezzo un paio di soldati rimangono soli con il Che, senza sottufficiali né ufficiali.
Il Che parla con loro, chiede di dove sono.
Sono entrambi originari dei distretti minerari, uno è figlio di un minatore.
Parlano.
I due soldati pensano che magari possono fuggire con lui.
Uno di essi esce dalla scuola per vedere com'è la situazione fuori.
Il villaggio è sempre in stato d'allerta. Ci sono tre anelli di guardie, il terzo
è formato da uomini di un altro reggimento.
Lo comunicano al Che.
Raccontano che disse:
Non vi preoccupate, sono sicuro che non
rimarrò prigioniero per molto tempo, perché molti paesi protesteranno per me, quindi non
c'è bisogno, non vi preoccupate tanto, non credo che mi succeda nient'altro.
Uno dei due gruppi di guerrigliero superstiti è riuscito a sfuggire
all'accerchiamento dell'esercito.
Inti Peredo racconta: "In quella notte di tensione e d'angoscia ignoravamo
completamente cosa era successo e ci chiedevamo a voce bassa se non fosse morto un altro
compagno oltre ad Aniceto".
All'alba scendono di nuovo nella gola e dopo una breve attesa si spostano verso il
secondo punto d'incontro, a qualche chilometro da La Higuera.
Alarcón aggiunge: "Ci dirigemmo verso il secondo punto d'incontro, vicino al
Río el Naranjal. Dovevamo tornare unaltra volta in direzione di La Higuera e l'alba
ci sorprese vicino al villaggio".
E l'alba del 9
ottobre.
Dall'ambasciata degli Stati Uniti a La Paz partono cablogrammi diretti a
Washington.
Lambasciatore Henderson comunica al Dipartimento di stato che il Che si trova
"tra gli uomini catturati, malato gravemente o ferito"; i consiglieri di Lyndon
Johnson esperti di questioni latino-americane, basandosi su fonti della CIA,
riferiscono che Barrientos afferma di avere il Che e di voler verificare l'identità
dell'uomo che è stato catturato mediante le impronte digitali.
A La Higuera sta sorgendo il giorno, i prigionieri sentono il rumore di un
elicottero, le sentinelle sono allertate.
Un apparecchio trasporta il colonnello Zenteno, venuto da Vallegrande accompagnato
dall'agente della CIA Félix Rodríguez.
I due si dirigono verso la casa del telegrafista, in cui si trovano i documenti
rinvenuti nello zaino del Che.
Agli ordini del
maggiore Ayoroa, i ranger rastrellano i canaloni alla ricerca dei superstiti.
Il capitano Gary Prado fornisce la versione ufficiale: "Unoperazione ha
inizio la mattina del 9 ottobre, perlustrando palmo a palmo i canaloni. La compagnia A
trova le grotte in cui si erano rifugiati il Cinese e Pacho che mentre gli intimavano di
arrendersi sparano e uccidono un soldato, provocando la rapida reazione dei ranger, che
con mitragliatrici e bombe a mano li riducono al silenzio".
E curioso che in un altro punto della sua versione dica che i soldati gli
riferirono della "presenza di un guerrigliero", non di due.
Perché se c'erano due uomini nella gola i superstiti non li videro la notte prima?
Perché non c'è nessuna annotazione sul diario di Pacho in data 8 ottobre?
A La Higuera, il colonnello e l'agente della CIA entrano dove è rinchiuso il Che.
Anni dopo, un soldato racconterà: "Uno dei comandanti ebbe una discussione
piuttosto violenta con il Che e aveva accanto una persona, sarà stato un giornalista, che
registrava con una specie di registratore molto grande appeso sul petto".
Nella versione di
Rodríguez, le cose si svolgono in modo più civile.
Fanno uscire il Che dalla scuola e gli chiedono il permesso di fargli una foto.
Félix si mette accanto al guerrigliero.
Verso le dieci del mattino il maggiore Nino de Guzmán, pilota dell'elicottero, fa
scattare la Pentax dell'agente della CIA.
La foto è giunta fino a noi: il Che è un
arruffio di capelli, sul volto una certa amara desolazione, la barba sporca, gli occhi
semichiusi per la stanchezza e il sonno, le mani unite come se fossero legate.
Ci saranno un altro paio di fotografie quella mattina, scattate da soldati, molto
simili alla prima: in entrambe, il comandante Guevara, sconfitto, rifiuta di guardare
l'obiettivo,
Zenteno si dirige verso il Churo per supervisionare il rastrellamento in corso.
Intanto Rodríguez, con la sua Rs48 portatile, invia un messaggio cifrato. Selich,
che lo osserva, è molto preciso: "Aveva un potente radiotrasmettitore che installò
immediatamente e con cui trasmise un messaggio cifrato in chiave di sessantacinque gruppi
circa. Subito dopo installò su un tavolo al sole una macchina fotografica montata su un
dispositivo con quattro gambe telescopiche e cominciò a scattare fotografìe".
Gli interessano in
particolare i diari del Che, il libro con le chiavi e l'agenda con indirizzi di tutto il
mondo.
I militari e l'agente della CIA si trovano nel patio davanti alla casa del
telegrafista.
Fotografando il libro di chiavi, Rodríguez commenta: "Ne esistono solo due
esemplari al mondo, uno ce l'ha Fidel Castro e l'altro è qui".
Selich ritorna a Vallegrande in elicottero con i due soldati feriti.
Alle undici e trenta Zenteno ritorna a La Higuera accompagnato da una scorta e dal
maggiore Ayoroa e trova l'agente della CIA impegnato nell'operazione di fotografia.
I militari lo guardano fare. Zenteno si limita a un breve commento e Rodríguez gli
assicura che copie delle foto gli saranno consegnate a La Paz. "Nessuno obiettò alle
fotografie, nessuno si oppose" dirà più tardi il maggiore Ayoroa.
Nella solitudine
della stanza in cui è rinchiuso, il Che chiede ai suoi guardiani di lasciarlo parlare con
la maestra della scuola, Julía Cortez; secondo la sua testimonianza, il Che le disse:
"Ah, lei è la maestra. Lo sa che
sulla o di "so" non ci vuole l'accento nella frase "Adesso so
leggere"? Indica la lavagna. "Certo, a Cuba non ci sono scuole come questa.
Per noi questa sarebbe una prigione. Come fanno a studiare qui i figli dei contadini?
E antipedagogico".
"Il nostro è un paese povero."
"I funzionari del governo e i
generali, però, girano in Mercedes e hanno un mucchio di altre cose... vero? E
questo quello che noi combattiamo."
"Lei è venuto da molto lontano a
combattere in Bolivia."
"Sono un rivoluzionario e sono
stato in molti posti."
"Lei è venuto a uccidere i nostri soldati."
"Guardi, in guerra o si vince o si
perde."
In quale momento il
colonnello Zenteno trasmise ad Ayoroa l'ordine presidenziale di assassinare il Che?
Félìx Rodríguez cercò forse di convincerlo a non ucciderlo, visto che il Che in quel
momento poteva essere più utile vivo e sconfitto che morto? Almeno così afferma l'agente
della CIA nelle sue memorie; Zenteno, nelle successive dichiarazioni, non ne fa menzione.
Rodríguez racconta che parlò con il Che per un'ora e mezza, e che il comandante
gli chiese anche di trasmettere a Fidel il messaggio che la rivoluzione latino-americana
avrebbe trionfato e di dire a sua moglie di risposarsi ed essere felice.
Ma quell'ora e mezza non fu in realtà che un quarto d'ora, e altre fonti militari
sono concordi nell'affermare che il Che disse a Rodríguez che era un "verme" al servizio della CIA, che lo chiamò mercenario e che si limitarono a
scambiarsi insulti.
Alle undici e quarantacinque, Zenteno prende il diario e la carabina del Che e
insieme a Rodríguez parte con l'elicottero appena ritornato.
A mezzogiorno il Che
chiede di poter parlare di nuovo con la maestra.
Lei non vuole, ha paura.
Intanto, a cinque-seicento metri dal villaggio, i guerriglieri sopravvissuti stanno
aspettando che faccia notte per muoversi. Alarcón racconta: "Lì venimmo a sapere
che il Che era prigioniero (......) Sentivamo le notizie da una radiolina che avevamo e
che disponeva di un auricolare (.......) Credevamo che si trattasse di una falsa
informazione messa in giro dall'esercito. Però verso le dieci del mattino dicevano già
che il Che era morto e (.......) parlavano di una foto che lui portava in tasca, con sua
moglie e i suoi figli. Quando noi cubani sentimmo questo, ci guardammo fissi mentre le
lacrime cominciavano a scenderci in silenzio (........) Quel particolare ci dimostrava che
il Che era morto in combattimento, senza che ci passasse per la mente che era ancora vivo
e a poco più di cinquecento metri da noi".
A metà mattina Ayoroa chiese un volontario tra i ranger per fare il boia.
Il sottufficiale Mario Terán chiese che gli lasciassero ammazzare il Che.
Un soldato ricorda: "Sosteneva che nella compagnia B erano morti tre Mario e
in loro onore dovevano dargli il diritto di ammazzare il Che".
Era mezzo ubriaco.
Il sergente Bernardino Huanca si offri di assassinare i compagni del Che.
Passata l'una,
Terán, basso, tracagnotto - non sarà stato alto più di 1,60 per sessantacinque chili di
peso - entrò nella stanzetta della scuola in cui si trovava il Che con un M-2 in mano che
gli aveva prestato il sottufficiale Pérez.
Nella stanza accanto, Huanca crivellava di pallottole il Cinese e Simón.
Il Che era seduto su una panca, con i polsi legati, le spalle al muro.
Terán esita, dice qualcosa.
Il Che risponde:"Perché
disturbarsi? Sei venuto a uccidermi".
Terán fa un
movimento come per andarsene e spara la prima raffica rispondendo alla frase che quasi
trent'anni dopo dicono abbia pronunciato il Che: Spara, vigliacco, che stai per uccidere un uomo.
"Quando arrivai
il Che era seduto sulla panca. Quando mi vide disse: Lei è venuto a uccidermi. Io non osavo sparare, e allora lui mi disse: Stia tranquillo, lei sta per uccidere un uomo. Allora feci un passo indietro, verso
la porta, chiusi gli occhi e sparai la prima raffica. Il Che cadde a terra con le gambe
maciullate, contorcendosi e perdendo moltissimo sangue. lo ripresi coraggio e sparai la
seconda raffica, che lo colpì a un braccio, a una spalla e al cuore".
Poco dopo il
sottufficiale Carlos Pérez entra nella stanza e spara un colpo sul cadavere.
Non sarà l'unico: anche il soldato Cabrero, per vendicare la morte del suo amico
Manuel Morales, spara contro il Che.
I diversi testimoni sembrano concordare sull'ora della morte di Ernesto Che
Guevara: verso la una e dieci del pomeriggio di domenica 9 ottobre 1967.
La maestra grida contro gli assassini.
Un sacerdote domenicano di una vicina parrocchia ha cercato di arrivare in tempo
per parlare con Ernesto Guevara.
Padre Roger Schiller racconta: "Quando seppi che il Che era prigioniero a La
Higuera trovai un cavallo e mi diressi laggiù. Volevo confessarlo. Sapevo che aveva
detto sono fritto. lo volevo dirgli: "Lei non è fritto. Dio continua a credere in
lei". Per strada incontrai un contadino: "Non si affretti,
padre" mi disse. "Lhanno già liquidato"".
Verso le quattro del pomeriggio il capitano Gary Prado ritorna al villaggio dopo
l'ultima incursione dei ranger nelle gole vicine. All'ingresso del paese il maggiore
Ayoroa lo informa che hanno giustiziato il Che; Prado ha un moto di sdegno.
Lui l'ha catturato vivo.
Si preparano a portare via il corpo in elicottero.
Prado gli lega la mandibola con un fazzoletto perché il volto non si scomponga.
Un fotografo
ambulante ritrae i soldati che circondano il
cadavere adagiato su una barella.
Sono foto domenicali, di paese, mancano solo i sorrisi.
Una foto immortala Prado, padre Schiller e donna Ninfa accanto al corpo.
Il sacerdote entra nella scuola, non sa cosa fare, raccoglie i bossoli e li mette
via, poi si mette a lavare le macchie di sangue. Vuole cancellare parte del terribile
peccato: aver ucciso un uomo in una scuola.
A Mario Terán hanno promesso un orologio e un viaggio a West Point per frequentare
un corso per sottufficiali. La promessa non sarà mantenuta.
Lelicottero si alza in volo, con il cadavere del Che Guevara legato ai
pattini. |