FERRUCCIO BRUGNARO
IL TEMPO, L'AMORE
RUBATI COSI' FEROCEMENTE...
Ferruccio Brugnaro, operaio poeta, nasce a Mestre il 18 agosto 1936; lavora nella fabbrica di Montefibre di Porto Marghera.
E da anni attivamente impegnato nellorganizzazione sindacale e nelle azioni di lotta per una effettiva liberazione del lavoro dalla degradazione, dallindifferenza e dallo sfruttamento disumanizzante.
E membro del consiglio di fabbrica; profonde grandi energie e passioni in scritti, dibattiti e manifestazioni.
Nella sua opera di stimolo e di riflessione ricorre sovente a brevi composizioni poetiche ciclostilate, lette e discusse allinterno delle assemblee operaie.
I suoi ciclostilati, raccolti in alcuni volumi, hanno ormai acquisito, in questi anni ottanta, una rinomanza e una valenza di indubbio spessore per chi si occupa di letteratura, come dice Zanzotto nella sua nota critica di recensione di alcune poesie di Brugnaro.
Siamo, probabilmente, di fronte ad un vero poeta, ad un sincero e dolente cantore della realtà contemporanea.
Brugnaro è un puro autodidatta, si forma umanamente e culturalmente nel clima rovente, livido e disgregante della fabbrica. Non si riconosce poeta; anzi, come tale si nega.
Vede nella sua opera di scrittore, sia pure sporadica e discontinua, uno strumento di intervento reale.
Certo, il suo intento dichiarato è extrapoetico.
Non sa calarsi nellidea tradizionale del poeta vate.
Non si pensa e non si individua nei toni dimessi e nevrotici del poeta decadente di questo secolo, che interiorizza tutto ciò che è mondo, contraddizioni, rifiuto, liberazione; che ricerca nello spazio chiuso, delimitato del proprio io la verità delle cose.
Per Brugnaro la poesia è essenzialmente un darsi agli altri, un atto di amore, di incontro con gli altri, unoccasione per comunicare più intensamente con i compagni di lavoro, un momento di arresto (come lui dice) per ripartire subito con più chiarezza, con più forza.
Per noi la sua poesia racchiude un messaggio di speranza, enuclea emozioni, sentimenti, vibrazioni sensoriali, che ci danno limmagine viva e presente di una realtà disconosciuta.
Il verso poetico ora si piega alla realtà per strapparne brandelli di vita disperata, per urlarla, per denunciarla; ora, con tono mesto ed elegiaco, indugia sulle voci interiori, sui corpi lacerati e vilipesi, sui silenzi fatti di dolore, sulle stanchezze senza fine di esistenze prive di nome, dimenticate, gettate in un angolo come cose senza valore.
Si alternano squarci improvvisi di pura liricità ("Dai vetri, stasera si scorge un azzurro grandioso"), trasfigurazioni di sogno ("il sole che alitava teneri gabbiani sul mare"), e presenze fredde, inanimate di acciaio, di cemento, ombre umane segnate per sempre dallammoniaca, dai fumi velenosi, dai venti di morte; si alternano voci sommesse, sottese di amarezza e suoni disperati e straziati, che si perdono nel vuoto desolato dellindifferenza.
La cadenza del verso si stempera nei toni poetici di Ungaretti e Quasimodo.
La modulazione ungarettiana è presente là dove prevale la voce colloquiante, intima, impregnata di struggente malinconia.
Quella di Quasimodo ritma i momenti poetici in cui maggiormente si evidenzia il disfacimento di esseri umani, la necessità di non rassegnarsi, limpegno politico e civile.
Alla base della poesia di Brugnaro è possibile cogliere, come filo conduttore, la filosofia esistenziale della fabbrica.
La fabbrica di Brugnaro, dice Zanzotto, ha raccapriccianti affinità con la guerra.
E come la trincea di Ungaretti: un luogo disumano, di negazione totale delluomo, permeato di nulla, di un nulla che è assenza di amore.
E un inferno terreno, in cui non cè spazio per i sentimenti, per i valori umani.
Nessun pianto, nessuna commozione, nessuna pietas accompagna la tragedia quotidiana delluomo operaio, condannato a consumare il proprio destino esistenziale nella più assoluta e desolata solitudine.
Tubazioni di acciaio, martelli pneumatici, sostanze cancerogene formano una cappa, citando Baudelaire, che "pesa grave e basso sullanima gemente, in preda a lunghi affanni"; sono le sbarre metaforiche di una livida prigione della coscienza umana, senza vie duscita, senza speranza.
Questa angosciosa simbologia la ritroviamo tra le linee inquiete della poesia del decadentismo ed ermetica del 900, ma non ha di questa il senso ossessivo della vita come nullità, vuotezza, inconsistenza.
Non traduce la nevrosi quotidiana, lalienazione totale, lo straniamento dal mondo.
Si avvicina alla negazione senza mai raggiungerla.
Un sottile spazio resta ancora aperto, uno spazio angusto di speranza e di fiducia nelluomo, nella solidarietà, nella possibilità di pervenire, non solo con i sogni, ad una condizione umana diversa, ad una realtà non più sottomessa ai meccanismi sterili e freddi della logica capitalistica del profitto.
La fabbrica di Brugnaro non è, in sostanza, tutta la fabbrica possibile. Possono esistere altri mondi non degradati, autenticamente vivi e umani, che solo limpegno collettivo di lotta riesce ad intravedere e a porre in essere.
I suoi versi, le sue parole tutto questo ci dicono, tutto questo ci comunicano.
ROMANO QUARETTI
IL CLORURO DI VINILE
Nel nostro reparto si lavora
il cloruro.
Abbiamo saputo di recente
che è una sostanza
cancerogena.
Abbiamo parlato a lungo oggi
di questo
abbiamo discusso, dibattuto.
Siamo stravolti.
Duri brividi corrono ora
sui finestroni
del reparto.
Il cloruro di vinile
non risparmia nessuno.
La morte non è
mai stata
così presente.
Non si sente oggi che la morte.
NON SAPPIAMO COME
Non sappiamo come. E entrata
in reparto
una rondine.
E da più di unora
che sta girando schivando fili
tubazioni
angolature taglienti.
Non è più capace di uscire
da questa latrina fumante.
Lalcool, il cicloesanone
la stanno soffocando.
E ormai uno di noi.
Come uno di noi sanguinante
silenziosa
vuole a ogni costo
riprendersi
il cielo, laria, il tepore
della terra.
Come ognuno di noi, proprio come
ognuno di noi
ora cerca
di riprendersi
i giorni
lamore
rubati crudemente.