CARLO GRASSI

IL SORRISO E LA MALINCONIA

 

Carlo Grassi, musicista, violoncellista di professione, nacque a Reggio E. nel 1892. Tra il 1945 e il 1965, anno della sua morte, sviluppò una produzione poetica in dialetto, quantitativamente e qualitativamente molto importante, tanto che può essere considerato il più grande poeta dialettale reggiano, per la modernità di temi e di stile e lo stretto legame con il suo tempo.

Uomo di fermi ideali socialisti, rappresentante la cultura popolare della sinistra, scrisse su tutti i giornali reggiani,

in particolare quelli della Resistenza e della sinistra socialista e comunista: sul Volontario della Libertà, giornale dell’ANPI, sulla Verità organo del Partito Comunista di Reggio Emilia, su Il Socialista e tanti altri.

La sua poesia commenta i fatti del giorno.

E’ ironica, briosa, vivace, icastica. La satira e l’ironia sono la sua arma fondamentale; non si lascia sfuggire un fatto, un avvenimento locale,nazionale o internazionale che sia. Con la sua satira può ridere di Chang Kai-Scek schierandosi con Mao, negli anni ’45-’50, oppure parlare di scomuniche al popolo di papi legati al potere capitalista e reazionario, ridere dei ricchi e sorridere dei poveri nella loro storica contrapposizione e, nello stesso tempo, stendere un inno folle e rubicondo al Vino, in un pezzo di grande poesia giocosa, tradizionale delle osterie.

Si schiera con i partiti popolari e attacca e smaschera, sempre sorridendo, i partiti reazionari, la DC, i fascisti, il Vaticano, i papi, i potenti.

E’ uomo di parte, come non poteva non esserlo una persona di sensibilità e dolcezza estreme, ma nelle sue poesie, anche dure nella loro amara ironia, nella loro satira pungente, esce tutta la sua alta spiritualità ideale e socialista, sottolineando

gli elementi che unificano il popolo, l’ottimismo, la nobiltà dell’animo, dei sentimenti e delle cose.

Strettamente legato alla sua Reggio, Grassi si esprime con la lingua del suo popolo, un dialetto padano, cittadino anche, ma popolare, e con questo esprime in tutto e per tutto la sua anima, il suo sentire, il suo essere parte del popolo reggiano e delle sue grandi lotte per la pace, per la libertà, per la democrazia, per il socialismo.

La sua viva, stringente, aspra vena satirica si spegne a volte, si assopisce per un momento, ed esce allo scoperto tutta la sua anima, la sua umanità, la sua struggente malinconia, i suoi sentimenti più personali e più intimi,la sua sensibilità profonda, il suo piangere le disgrazie della guerra, il suo dolore per i partigiani morti e torturati, il suo amore accarezzato da un alito di dolore, ma pieno di dolcezza, di struggente solitudine e speranza, come nella sua più bella poesia "Sogett Partigian", dedicata alla Resistenza, ai suoi uomini, alle sue donne, che nella loro fiera semplicità hanno sofferto, lottato, dato tutto, contro il fascismo, contro il nazismo, per una società più giusta, per il socialismo, per il comunismo.

Una poesia dolcissima.

Una poesia bellissima...

RAMON DELMONTE


Scomonica a la povertèe

L’etra mateina

Di milioun d’òm,

Ch’es reputeven

Di galantòm,

Cun gran sorpreisa

E s’iin sdesdèe

Dal Sant’Ufezzi

Scomunichèe.

(Na cosa seria,

Na cosa dura,

Da mettr’i brevid

Ed la paura,

Ander per seimper

Là zò a l’inferen

Ind la turtura

Dal fogh eteren!)

Però guardomes

A mot in ghegna,

(L’à dett al popol)

G’omia la tegna?

Somia di leder?

Di criminel,

Che n’san distenguer

Al bein dal mel?

No, se na coulpa

E g’òm daboun,

L’è colla d’esser

Onest e boun;

Colla ed vistires

Con di brott pagn,

E der a chi eter

Tott al guadagn!

Cost l’é tant veira

Che s’egh guardóm,

Quìi dla scomunica

Iin tott povr’òm,

E da la nota,

Salvo ecezioun,

A gh’è ’rmes fora

Chi g’à i milioun!

Dounch sl’é na coulpa

La povertèe,

Lassom che s’abien

Scomunichèe;

Come nueter

L’era anch Gesó;

E cun nueter

Al g’srà anca Ló!

1949

INNO DI IMBERIAGOZ

S’a fossa vein sincer l’aqua dal mer

Nuetr’e faren tott i mariner,

Pregand in znoc al ciel ogni mumeint,

C’al fess ander a fond al bastimeint,

Perché la mort cl’é d’piò sodisfazioun

L’é colla d’afughers in dal vein boun.

Viva al Chianti, al lambrosch,

E l’vein d’ogni zittée;

Viva al vein doulz e l’brosch,

E anch al vein... turciée!

 

E disen che i bevdour iin umaraz

Che pecien la moiera e i so’ ragaz,

Mo’ costa l’é na bella falsitée;

As dveinta, cost l’é veira, di desprèe,

Mo’ quand as bevv, per tott as g’à afezioun,

Tant c’as daré di bes anch ai lampioun!

Viva al Chianti, al lambrosch,

E l’vein d’ogni zittée;

Viva al vein doulz e brosch,

E anch al vein... turcée!

 

1951

SOGETT PARTIGIAN

Al teimp l’era brott,

La not l’era scura,

La feva paura,

La feva impressioun.

Un romb d’aparecc

L’andeva e s’al gniva;

Luntan as sintiva

I scopi dal troun.

In mezz al ruvini

D’na cà fata in bris,

A tach a Bais,

A gh’era du spous;

La spousa stafetta,

Al spous partigian.

Es tgniven per man

Cun gest afetuous.

- Chè csè, dman da sira, -

Lò l’dziva - es vedrom;

Agli ondes, (s’eg srom!)

Mo’ stam a sinteir,

S’et dan ed i impegn

En gnir miga chè,

Trascurm’anca mé,

Fa prema al duveir.

S’et vè da la nona

A vedr’i puttein,

Degh tott al me bein,

Discoregh ed me...

Arvedres, Armida,

Pr’en vedr’ed persoun

Va zò pr’i scurtoun,

Me vagh per ded chè.

In mezz al ruvini,

Lughedi in dal scur,

Dou broti figur

Aviven sintì.

- Che bella sorpreisa

Ch’ev vrom preparer, -

I-àn dett ind l’ander; -

Dman d’sira e vedrì!

Com i-eren d’acordi,

A l’oura fisseda,

La spousa l’é n’deda

Per vedr’al marì,

E quand l’è gnu lò,

Un poc in riterd,

Ormai l’era terd,

Tott l’era finì.

La spousa la gh’era,

A gh’era l’Armida,

Mo’ l’era durmida

D’un sonn piò che fort;

O boun Partigian,

L’è inotil ciamerla,

L’è inotil sdesderla,

L’è l’sonn ed la mort!

1945

SCOMUNICA ALLA POVERTA'

L’altra mattina

Milioni di uomini,

Che si reputavano

Dei galantuomini,

Con grande sorpresa

Si sono svegliati

Dal Sant’Uffizio

Scomunicati.

(Una cosa seria,

Una cosa dura

Da mettere i brividi

Per la paura,

Andare per sempre

Là in fondo all’inferno

Nella tortura

Del fuoco eterno!)

Per bene in faccia

Però ci guardiamo

(Ha detto il popolo)

La tigna abbiamo?

Siamo dei ladri?

Un criminale,

Che non sa distinguere

Il bene dal male?

No, se una colpa

Davvero abbiamo

E’ quella che

Onesti siamo;

Quella di vestirci

Con un vecchio fustagno

E dare agli altri

Tutto il guadagno!

E se ci guardiamo

E’ tanto più vero

Quelli della scomunica

Son miseri davvero,

E dalla nota,

Salvo eccezioni,

E’ rimasto fuori

Chi ha i milioni!

Dunque se è una colpa

Esser sfruttati,

Lasciamo che ci abbiano

Scomunicati;

Come noi

Era anche Gesù;

E con noi

Sarà anche lui!

INNO DEGLI UBRIACONI

Se fosse vino sincero l’acqua dei mari

Noi faremmo tutti i marinari

Pregando in ginocchio il cielo ogni momento,

Che facesse andare a fondo il bastimento,

Perchè la morte che ci piace un casino

E’ quella di affogare nel buon vino.

Viva il Chianti, il lambrusco,

Il vino d’ogni stato;

Viva il vino dolce e brusco,

E anche il vin... torchiato!

Dicono che i bevitori sono omacci

Che picchiano la moglie e i ragazzi,

E con questo siamo belle e falsificati

Si diventa, questo è vero, disperati,

Ma quando si beve, per tutti si ha affezione,

Tanto che si darebbero baci anche a un lampione!

Viva il Chianti, il lambrusco,

Il vino d’ogni stato;

Viva il vino dolce e brusco

E anche il vin... torchiato!

IMMAGINE PARTIGIANA

Il tempo era brutto,

La notte era scura,

Faceva paura,

Faceva impressione.

Un rombo d’aereo

Andava e veniva;

Lontano si sentivano

Gli scoppi del tuono.

In mezzo alle rovine

Di una casa distrutta

Vicino a Baiso,

C’erano due sposi;

La sposa, staffetta,

Lo sposo partigiano.

Si tenevano per mano

Con gesto affettuoso:

-Qui, domani sera.-

Lui diceva -ci vedremo;

Alle undici, (se ci saremo!)

Ma stammi a sentire,

Se ti danno un impegno

Non venire,

Lascia perdere anche me,

Fa prima il dovere.

Se vai dalla nonna

A vedere i bambini,

Dì loro quanto li amo

Parla di me...

Arrivederci, Armida,

Perchè non ti vedano

Segui i sentieri

Io vado di qua.

In mezzo alle rovine,

Nascosti nel buio

Due loschi figuri

Avevano sentito.

-Vi prepareremo

Una bella sorpresa.-

Dicevano:

Domani sera vedrete!

Come erano d’accordo,

All’ora fissata,

La sposa è andata

Per vedere il marito,

E quando è arrivato

Un po’ in ritardo,

Ormai era tardi,

Era tutto finito.

La sposa c’era,

L’Armida era là,

Ma era assopita

Il sonno più che forte;

Oh buon partigiano,

E’ inutile chiamarla,

E’ inutile svegliarla,

E’ il sonno della morte!

 

 

Indice

Internet Copyright
Ivano Miselli
Engineering by
IVM
Ultima modifica 02/08/97