MAO TSE TUNG
LA GIUSTA VIA
E' MUTARE IL MARE
IN DISTESA DI GELSI
Ma
"IL POTERE POLITICO
NASCE
DALLA CANNA DEL FUCILE"
"Il compagno Mao Tse-Tung ci ha insegnato che il comunismo è il radicale rovesciamento della storia fondata sullegoismo e sullo sfruttamento. Per questo dalla Cina 'arretrata' è partito il solo suggerimento adeguato per affrontare la crisi di civiltà dell'avanzato'Occidente".
Così titolava "Il Manifesto" venerdì 10 Settembre 1976, il giorno successivo alla morte del grande Mao.
Non è questa certo la sede per richiamare in dettaglio il pensiero politico e la grande opera rivoluzionaria di Mao Tse-Tung, anche se un ritorno allo studio e allanalisi del pensiero del Grande Timoniere dovrebbe imporsi più che mai oggi, quando limbarbarimento della prassi politica e la debolezza del pensiero e dellideologia dominanti, sempre più docili servi del potere capitalista, sembrano allontanare indefinitivamente il momento del riscatto delle classi e dei popoli oppressi; oggi, dopo che i degeneri eredi della Rivoluzione cinese hanno aperto il fuoco dei carri armati contro gli studenti in piazza Tien An Men.
Non è nemmeno il caso di esporre una dettagliata e accurata biografia di Mao: le fonti sono ancora disponibili, a partire da quella entusiasmante cronaca della vita di un grande rivoluzionario che è STELLA ROSSA SULLA CINA di Edgar Snow.
E sullopera poetica di Mao che qui, come si conviene ad una rivista di poesia e arte, vogliamo porre laccento.
Opera poetica che già a prima vista si presenta di difficile interpretazione e capace di suscitare domande e problemi che investono la definizione stessa di arte e i suoi rapporti con la politica e con lazione.
Il primo aspetto sconcertante della poesia di Mao Tse-Tung è il suo inserirsi ben addentro una tradizione letteraria che rimonta a mille anni fa e che per mille anni ha pervaso e informato le creazioni artistiche del popolo cinese.
Tradizione che, come tutte le tradizioni artistiche e letterarie, al di là dei facili demagogismi sullarte o sulla poesia "spontanea" o "popolare", sorge e si snoda allinterno di unélite di letterati di professione e nei confronti di un pubblico selezionato e, potremmo dire, aristocratico.
La lingua stessa usata nelle composizioni (il wenyan, la lingua classica della letteratura, inintelleggibile dal popolo) indica che questo radicamento profondo nella tradizione culturale della Cina è frutto duna scelta precisa, voluta dallautore.
Occorre chiedersi perchè un rivoluzionario radicale come Mao Tse-Tung, che non esitò a lanciare e appoggiare la Rivoluzione Culturale, utilizzi la lingua, il metro, le immagini dellImpero del X secolo.
La questione non è di poco conto, e non è certo pensabile darne qui, in breve, la soluzione.
Forse però Mao aveva compreso a fondo l "essenza dellarte", se mi è permesso di usare unespressione tanto vaga quanto, spesso, fuorviante.
Una tradizione culturale idealista ha abituato noi occidentali a considerare, più o meno consciamente, larte come alto e puro prodotto dello "Spirito", come qualcosa di astorico e atemporale, miracolo incausato che sgorga dallanimo umano.
Dimentichiamo così quanto di tecnica artigianale e di tradizione culturale è contenuto in ogni opera poetica.
Il poeta lavora su un materiale preesistente, sulla lingua innanzitutto, così come si è formata ed evoluta nei secoli; sulla letteratura precedente, poi, con tutto il suo portato di immagini, di tópoi, di figure retoriche. E un "fabbro del parlare", più vicino allartigiano che modella per un ben preciso e definito committente il ferro o il marmo che a un dio creatore.
Scegliendo di scrivere poesie, Mao scelse di inserirsi in questa tradizione letteraria; diversamente si fa propaganda politica: ciò che non è affatto di poco conto, ma è altro.
Ma, come Alceo, p.es., utilizzò e rimodellò il patrimonio di lingua, di tecniche, di formule che la società gentilizia del medio evo greco aveva elaborato per celebrare se stessa nei poemi omerici, piegandolo ai fini del proprio partito aristocratico; o come Pindaro lo stesso materiale utilizzò per esaltare la gloria dei tiranni; così sulle millenarie immagini della tradizione poetica cinese, sugli ideogrammi preziosi cristalizzati nei secoli, Mao srotola le bandiere rosse della Rivoluzione.
E questa unimmagine che spesso appare nelle sue poesie, non tanto in contrasto, ma a compimento dei paesaggi classicamente evocati con grande maestria tecnica e profonda sensibilità naturalistica.
E qui tocchiamo un secondo punto essenziale, un secondo nodo di difficile interpretazione e comprensione.
La nostra mentalità occidentale, come le nostre lingue che ne sono ad un tempo specchi e artefici, procede per separazione, per analisi, lungo una progressiva "suddivisione-specializzazione-obiettivazione del molteplice".
La sintassi indoeuropea, quale si è andata strutturando nelle varie lingue nel corso di trenta secoli, assegna ruoli generalmente ben definiti nella frase, nel periodo alle varie parole, limitandone la funzione e il significato. Questa frammentazione del discorso, che dà unillusione di chiarezza inequivocabile, si traduce in realtà spesso in una drastica semplificazione della complessità del reale.
Ciò che sul versante delle scienze è colto come un limite inaccettabile dalle nuove correnti epistemologiche, sul piano linguistico appare evidente nel confronto tra la relativa schematicità e rigidezza delle nostre lingue e la maggior "comprensività" di significati che la struttura stessa della lingua e della scrittura cinesi possono esprimere.
Non sto qui a dilungarmi sullargomento, rimandando allintroduzione di Renata Pisu alle poesie di Mao pubblicate da Sansoni nel 1971.
Ciò che mette conto rimarcare è principalmente la violenza che la traduzione opera sulle poesie di Mao, violenza molto maggiore di quella che comunque viene compiuta in una traduzione da unaltra lingua occidentale.
Ma ciò è nelle cose, è inevitabile: la poesia, come ogni esperienza umana, è "storicamente determinata", per usare una desueta terminologia marxista, e lesperienza storica che sta dietro le nostre spalle e che ha condizionato e condiziona i nostri modi di esprimerci e di confrontarci, è lontana migliaia di "li" da quella di Mao e del popolo cinese.
Ma, forse, il segreto dellarte è il saper parlare a distanza di secoli e di migliaia di chilometri, è il lasciarsi reinterpretare in condizioni storiche diverse e mutate e nel mutare di queste permanere.
Come nel suo pensiero e nella sua azione Mao dalla Cina "arretrata" ha saputo cogliere e interpretare i bisogni di tutti i popoli della terra; così, attraverso la sua poesia, ha inviato un messaggio che, pur nelle deformazioni e negli adattamenti che subisce calandosi in realtà diverse, mantiene inalterate la sua forza e la sua bellezza, capace di indicare anche all "avanzato" Occidente la strada del vero progresso.
PAOLO PAGANI
NOTA BIBLIOGRAFICA
Traduzioni in italiano delle poesie di Mao Tse Tung:
delle prime 18 poesie pubblicate nel 1957:
DIECIMILA FIUMI E MILLE MONTAGNE
traduzione di F.Coccia, E.Masi, R.Pisu
Editori Riuniti, Roma, 1958.
POESIE Trad. di F.De Poli
Edizioni Avanti!, 1959, ristampa Samonà e Savelli, Roma, 1969.
POESIE E CANTI DI PACE DELLA CINA
a cura di Franco Cannarozzo (questa versione è ricavata da una traduzione russa), Guanda, Bologna, 1960.
Sei poesie edite nel 1962 dalla rivista Renmin Wenxue sono state pubblicate in LA CINA DOGGI, VII, n.1, tradotte da Renata Pisu.
delle 37 poesie di Mao edite in Cina:
TRENTASETTE POESIE DI MAO TSE-TUNG trad. di R.Corsini Pisu,
in Jerome Chên, MAO TSE-TUNG E LA RIVOLUZIONE CINESE
Sansoni, Firenze, 1966.
POESIE trad. di Laura Priotto Coen
Allemano Editore, Torino.
TUTTE LE POESIE trad. di Renata Corsini Pisu
in UNO STUDIO AULLEDUCAZIONE FISICA. TUTTE LE POESIE
Sansoni, Firenze, 1971.
TUTTE LE POESIE trad. di G.Mancuso, testo cinese a fronte
Introduzione di Alberto Moravia,
Newton Compton Editori, Roma, 1974.
Rivista REALISMO N°12, agosto-settembre 1976
due poesie inedite.
NEVE
(Sulla melodia di Shen Yüan Chun) febbraio 1936
Paesaggio del nord
mille li in una morsa di ghiaccio
diecimila li sotto un turbine di neve.
Al di qua e al di là della Grande Muraglia
vedi soltanto spazi sconfinati;
a monte e a valle del grande fiume
le acque sono rapprese.
Le montagne, danzanti serpenti dargento
gli altopiani, galoppanti elefanti di cera
sembrano gareggiare in altezza col cielo.
Ma in un limpido giorno
con il rosso mantello di sole gettato sul bianco
ti appariranno incantevoli e seducenti.
Fiumi e montagne tanto belli
a voi sinchinarono innumerevoli eroi.
Purtroppo Chin Huang e Han Wu
mancavano di talento letterario;
Tìang Tsung e Sung Tsu, di raffinatezza danimo.
Gengis Khan
leffimero figlio del cielo
sapeva soltanto tendere larco contro le aquile.
Tutti sono scomparsi!
Per trovare uomini di libero ingegno
meglio guardare al nostro tempo.
Neve, la poesia di Mao più nota in Occidente (si ricordi la traduzione-interpretazione che ne ha fatta Bertolt Brecht), composta sulla melodia Primavera nel giardino di Shen, secondo alcuni risalirebbe allinverno 1944-1945, ma nelledizione di Pechino è datata febbraio 1936. Il paesaggio descritto sarebbe quindi quello che lautore osservava dalle alture vicino a Yenan, la nuova capitale rivoluzionaria (una nota di Mao dice: "gli altopiani descritti sono quelli dello Shensi e dello Shansi"). Per Robert Payne (Mao Tse-tung, Portrait of a Revolutionary, op.cit.), si tratta di una poesia di amore alla terra di Cina "...ricca di allusioni sessuali...".
Lespressione "Le montagne, danzanti serpenti dargento" è allusione diretta alla sessualità perchè limmagine del serpente ha sempre avuto per i cinesi un evidente rapporto con la sfera del sesso: Il fatto è che una traduzione troppo tesa a restituirne il "senso", nel caso di Neve è quanto mai fuorviante in quanto, come riconosce lo stesso Payne, "ogni tratto della descrizione è ambiguo e ogni verso può essere interpretato in maniera differente". Resta a ogni modo ferma lintenzione poetica di attribuire alla Cina caratteristiche femminili.
Dubbia e controversa è la traduzione di due caratteri che costituiscono la chiave del penultimo verso e di tutta la poesia, e cioè feng-liu (feng=vento, liu=scorrere come di acqua). Alcuni interpretano lespressione feng-liu jen-wu (jen-wu significa personaggi, personalità) come "personaggi capaci di sedurre (la Cina)". In questo senso lespressione sarebbe stata usata dal poeta Su Tung-po nel XII secolo. Altri invece interpretano la stessa frase nel senso di "uomini di libero ingegno", riferendosi a una concezione della filosofia taoista secondo la quale luomo spiritualmente libero è come lacqua che scorre e vento. Ad ogni modo, "di libero ingegno" o "capaci di sedurre la Cina" (se si preferisce laltra versione), non furono per Mao i grandi fondatori di dinastie, e cioè Chin Shih Huang Ti (221-210 a.C.), Han Wu Ti (140-87 a.C.), Tìang Tsung (618-907), Sung Tsu (906-1126) e Gengis Khan.
RITORNO SUI MONTI CHINGKANG
(Sulla melodia Shui Tiao Ko Tou) 1965
Da tempo desideravo raggiungere le nubi
salendo di nuovo sui Monti Chingkang.
Un viaggio di mille li alla ricerca dei luoghi di un tempo
lantico scenario è mutato in nuovi colori.
Ovunque canti di usignoli sfrecciare di rondini
e ancora il sussultare dellacqua che scorre.
La via sinerpica in alto fino ai grandi alberi che trafiggono
le nuvole
superato il valico Huangyang
diventa pericoloso sporgersi e guardare il precipizio.
Urlano scatenati il vento e il tuono
fremono vessilli e bandiere
questo è il mondo degli uomini
si costruisce il paese.
Trentotto anni sono passati
come uno schioccare di dita.
Si può salire al nono cielo per abbracciare la luna
si può scendere ai cinque mari a pescare tartarughe
si può tornare tra allegri sorrisi e canti trionfali.
Al mondo niente è difficile
se si è decisi a scalare la cima.
DIALOGO DI UCCELLI
1965
Il "peng" dispiega le sue ali
e sinnalza a novantamila li
scatenando un ciclone vorticoso.
Con la volta celeste alle spalle guarda in basso
ovunque mura di cinta innalzate dagli uomini.
Cannonate trafiggono il cielo
la terra è seminata di buche di proiettili
nel suo cespuglio il passero è atterrito.
E la fine del mondo
ahimè, voglio valarmene via!"
"Posso chiederti dove?"
E il passero risponde:
"Al palazzo di giada, sui monti delle fate.
Non sai? Due anni fa, al chiaro di luna dautunno,
hanno concluso un patto tripartito.
E cè di che mangiare
patate ben cotte
con carne di vitello".
"Ma basta con queste idiozie
guarda la terra e il cielo sconvolti da cima a fondo!"
Queste ultime due poesie di Mao sono state composte nel 1965, e cioè nel momento in cui la rivoluzione cinese si trovava ad una svolta estremamente importante e decisiva. Ci si poteva spingere sullorlo e "guardare il precipizio" e battere in ritirata fuggendo terrorizzati, oppure "salire al nono cielo" e con decisione scalare la cima.
Sui Monti Chingkang, luogo sacro della rivoluzione cinese, Mao scioglie tutti i dubbi in favore della Rivoluzione Culturale e della continuazione della Rivoluzione, ridicolizzando "i passeri atterriti", gli opportunisti, i traditori.
Rivista REALISMO
N° 12 agosto-settembre 1976
SANSONI
EDITORI RIUNITI