RENÉE VIVIEN

 

BRIVIDI ARDENTI

QUEI BACI

AMARI

COME IL PIANTO

 

Notturna, solitaria, tormentata dal desiderio della passione, invaghita dell’amore per l’amore, perdutamente alla ricerca nell’altra di un sè e di una femminilità identificatrice che non troverà mai, Pauline Mary Tarn, in arte Renée Vivien, canta l’amore saffico con una intensità, con una autenticità d’accento e con una suggestività di immagini come mai si era verificato dopo la grande poetessa di Lesbo.

Nata a Londra nel 1877, si trasferisce giovanissima a Parigi, dove vive libera e indipendente grazie alla ricca eredità paterna, e adotta il francese come lingua che meglio di ogni altra può esprimere liricamente sensazioni, pensieri, rêveries e trasalimenti; lingua che studierà a fondo e di cui s’impadronirà per utilizzarne tutte le sfumature e tutte le possibilità sonore. Per cogliere la musicalità raffinata, originale e languidamente armoniosa, o altrettanto languidamente angosciante, dei versi di Renée Vivien, occorre dunque leggerli in francese. Del resto l’esplosiva sonorità di ogni singola parola si accompagna perfettamente alla sollecitazione quasi ossessiva e perversa di tutti i sensi: dall’olfatto alla vista, dal tatto al gusto e all’udito, sino ad una comunione panica con l’altra che passa attraverso un annullamento da vertigine.

Si pensi a quel: "Divengo lentamente il profilo dei tuoi fianchi", nella poesia Il Tatto, che può essere considerata il manifesto della poetica di Renée Vivien. Prima aveva affermato che "L’arte del toccare, complessa e strana, è simile/Al sogno dei profumi, al miracolo dei suoni" e successivamente dirà: "Annuso, fremendo, il tepore animale/D’una pelliccia argentata, azzurro opalina;/Ne gusto il profumo più intenso d’un sapore,/E d’una voce in amore che, blasfema, si lagna,/E adoro, con uguale fervore,/La donna che temo, le Bionde che adoro."

Le affinità con Baudelaire e Verlaine sono a questo punto veramente speculari: ci troviamo in pieno Decadentismo, ma con una specificità: Decadentismo al femminile. E la figura femminile non è più lo stereotipo di una Salomé alla Oscar Wilde o di una Elena dannunziana, ma una Donna Ideale su cui proiettare le più profonde aspirazioni e in cui immergersi per scoprire la propria identità.

Tutta femminile dunque la tematica dominante; tutta femminile la modalità di scrittura.

Certamente per Renée la ricerca la porterà al raggiungimento di un successo esclusivamente formale: le sarà impossibile infatti arrivare alla DONNA, all’assunzione di quella parte del SE’, che rimarrà per sempre scissa, posta su un piedistallo da cui non potrà che dominare con un angosciante potere sadico.

Ed ecco allora l’erotismo estenuato e funereo giocato nell’atmosfera velata dell’indefinito, dell’indicibile, dell’irraggiungibile, che evoca comunque l’altrove e in cui il desiderio inappagato genera l’estasi voluttuosa della morte. Talvolta sfiora la necrofilia, come nei versi scritti per la morte dell’amica Violette: "O mia Signora, morta, con i tuoi occhi turchini,/Ti vedo nel letto che lava la rugiada,/Nella tua bara fetida dove scorre un’onda impura,/E t’adoro senza fine, o carne decomposta./...Aspiro il tuo odore d’ombra e di muffa./Ti desidero con grida sommesse e lamentose/Io che torno a cogliere sulle livide labbra/Appestati e putridi, i baci d’una volta"; altre volte ancora, invece, il desiderio rifiorisce malinconicamente nella sera e nel ricordo, e acuto si fa il dolore per la donna amata che non ha "mai provato lo stupore dell’amore,/L’orgoglio dell’odio e il panico del bacio."

La nostalgia dei "languori d’amante" è in ogni caso sempre legata a un’immagine di donna inafferrabile che seduce ma non si concede, anzi "Abbraccia, stringe e saggiamente soffoca", una donna da adorare, distaccata e crudele: "Dammi le tue labbra con rabbia:/Ne berrò lentamente il fiele ed il veleno."

Poco conosciuta in Italia, la Vivien è l’emblema di tutto un mondo femminile che nella Parigi tra i due secoli impone ufficialmente, potremmo dire, la propria trasgressività: i ritrovi per lesbiche fioriscono nella capitale della Belle Epoque e in qualche caso costituiscono un’alternativa o addirittura una sfida a quell’Académie Française che rifiutava allora le donne, e ce ne dà un ritratto interessante Colette, nella sua opera Il puro e l’impuro, dove tra l’altro scrive: "In quest’ultimo gruppo strepitoso, colto, pieno di risorse, che rivestiva d’insolenza la sua leggiadra debolezza di consorteria, splendeva già lei, la straniera della quale si dimentica il nome vero, ma che ci ha lasciato i suoi versi e il ricordo del suo pseudonimo francesissimo: Renée Vivien." (1)

Queste donne libere che amano "le notti in bianco, la penombra, l’ozio, il gioco," e la poesia sono spesso più motivate da aspetti egocentrici che da obiettivi femministi, ma ciò non toglie che muovano precise accuse alle violenze e agli schemi conformistici della società del tempo.

Nell’interessante poesia Donna m’apparve, Renée ci presenta una Beatrice che è spinta a guardare il mondo con ben altri occhi da quelli danteschi e la condanna dell’ottusità collettiva, dell’appiattimento e della devastazione prodotti dall’uniformità dei principi sociali e religiosi, è netta, decisa, sferzante.

E’ il ribaltamento della morale piccolo-borghese, un guardare crudamente realistico e demistificante che culmina in immagini dissacranti: seni deformati come otri, facce e occhi scimmieschi di bambini, la famiglia: una stupida truppa...

Ed è proprio quella la morale "impura", la "vile legge" che orgogliosamente la Vivien trasgredisce e sulla quale anzi si erge con fierezza lasciandone agli altri la "pena" e la pesantezza; lei ha abbracciato un altro metro, altri valori, altri comportamenti: "Ebbi l’imperdonabile audacia di volere/L’amore sororale dalle bianchezze leggere"; ne assume, felice, tutte le conseguenze: "Mi hanno segnata a dito con un gesto stizzito/Perchè il mio sguardo ti cercava, teneramente..." e disvela l’ignoranza profonda comunemente dominante: "E vedendoci passare, nessuno ha capito/Che io t’avevo scelto molto semplicemente".

Sottolineare il carattere di scelta dell’amore lesbico è operazione rivoluzionaria rispetto a stereotipati canoni sociali e dichiarare che "Le nostre amanti non sapranno deludere/Poichè è l’infinito che amiamo in loro" e che "Non temiamo l’oblio della nera Ade,/Perchè i loro baci ci renderanno eterne" significa tuffarsi coraggiosamente nell’altrove.

Renée non sarà però in grado di sostenere a lungo il coraggio necessario per incontrare concretamente l’oggetto della sua ricerca e l’Epitaffio da lei stessa preparato è drammatico: "Ecco, in estasi è l’anima mia/Poi ch’ella quieta s’addormenta/Avendo, per amore della Morte/Perdonato questo crimine: la Vita."

Si lascerà così morire non assumendo più cibi, a soli 32 anni, in solitudine e dopo essersi convertita al cattolicesimo.

Aveva viaggiato moltissimo ed amato intensamente; insieme alla bellissima Natalie Clifford Barney, che si può considerare il suo legame più significativo, era stata a Mitilene e lì aveva preso la decisione di studiare il greco e di tradurre i versi di Saffo da donare appunto all’amata, con la quale non potè comunque vivere a lungo per la sua sensibilità possessiva e totalizzante non condivisa dall’amica americana che desiderava invece un rapporto più libero.

L’atmosfera di Lesbo si respira in tutte le sue poesie, ma soprattutto in quelle che muovono dai versi della poetessagreca e talvolta è così intensa da essere quasi dolente: "Alta era la luna un tempo a Lesbo/Sul frutteto notturno dove vegliavano le amanti./Sazio l’amore saliva da acque sonnolenti.../Le vergini insegnavano alle belle straniere/Quanto l’ombra sia propizia alle soffici carezze."

Accanto alla dolcezza e al nostalgico richiamo dei versi saffici, la Vivien nella sua opera, varie raccolte di poesie e prose, presenta elementi e temi del tutto originali che si inseriscono con una loro specifica autonomia, come abbiamo affermato più sopra, nel clima letterario dell’epoca.

E’ stata definita "una dei pochi virtuosi dell’endecasillabo" (2) e oltre alle infinite sinestesie che ci conducono quasi ad una sonora e cosmologica rêverie, sono da annotare i numerosi ossimori che possono, da soli, offrirci un quadro della complessità, dei tormenti e delle passioni che hanno travagliato l’animo della poetessa inglese, da "i baci meravigliosamente avvelenati" all’ "odio delicato", ai "brividi ardenti", alla "carezza spietata" sino a quello contenuto in Saffo rivive: "E con furie lente sappiamo abbracciare". In quest’ultimo verso è sintetizzato il conflitto interiore che ha accompagnato per tutta la vita Renèe Vivien, lei che non ha mai voluto arrendersi all’assenza della bellezza, "Sono donna, non ho diritto alla bellezza./Alle bruttezze maschili, venivo condannata/.../Mi avevano vietato le tue pupille, i capelli/Perchè sono lunghi e pregni d’odori/E perchè gli occhi hanno vaghi ardori,/E si turbano come onde ribelli./.../Lasciamoli alla pena della morale impura,/E pensiamo all’aurora dai toni biondo miele", pure è costretta a riconoscere questa assenza annientatrice nella irraggiungibilità del suo oggetto del desiderio: "Amo solo ciò che mi uccide e mi schernisce,/Ed ecco quindi la mia pena immensa:/

In ogni dove ripeterò: io sono l’assenza."

FRANCA PINNIZZOTTO

 

 

NOTE

Le poesie sono tradotte da MARIA FRANCA MARTINO.

1) COLETTE, Il puro e l’impuro,

Adelphi, 1980, pag.64.

2) T.CAMPI, Introduzione a Renée Vivien,

Cenere e Polvere,

Savelli Ed., 1981, pag.24.


 

SONNET

L’orgueil des lourds anneaux, la pompes des parures,

Mêlent l’éclat de l’art à ton charme pervers,

Et les gardénias qui parent les hivers

Se meurent dans tes mains aux caresses impures

Ta bouche délicate aux fines ciselures

Excelle à moduler l’artifice des vers:

Sous les flots de satin savamment entr’ouverts,

Ton sein s’épanouit en de pales luxures.

Le reflet des saphirs assombrit tes yeux bleus,

Et l’incertain remous de ton corps onduleux

Fait un sillage d’or au milieu des lumières.

Quand tu passes, gardant un sourire ténu,

Blond pastel surchargé de parfum et de pierres,

Je songe à la splendeur de ton corps libre et nu.

LE TOUCHER

Les arbres ont gardé du soleil dans leurs branches.

Voilé comme une femme, évoquant l’autrefois,

Le crépuscule passe en pleurant... Et mes doigts

Suivent en frémissant la ligne de tes hanches.

Mes doigts ingénieux s’attardent aux frissons

De ta chair sous la robe aux douceurs de pétale...

L’art du toucher, complexe et curieux, égale

Le rêve des parfums, le miracle des sons.

Je suis avec lenteur le contour de tes hanches,

Tes épaules, ton col, tes seins inapaisés.

Mon désir délicat se refuse aux baisers:

Il effleure et se pâme en des voluptés blanches.

SUR LE RITHME SAPHIQUE

Pour mai ce qu’on désire

je l’ai méprisé.

Sapho

 

Pour moi, ni l’amour trionphant, ni la gloire,

Ni le souffle vain d’hommages superflus.

Mais la paix d’un coin dans une maison noire

Où l’on n’aime plus.

 

Je sais qu’ici-bas jamais rien ne fut juste,

Je fus patiente en attendant la mort.

J’ai tu ma douleur, et quoiqu’il fût injuste

J’ai subi mon sort.

 

Pour moi, ni l’accueil bienveillant ni les fêtes,

Mais l’apaisement d’un très profond soupir,

Le silence noir qui succède aux défaites

Et le souvenir.

 

 

FLAMBEAUX ÉTEINTS

L’aurore a traversé la salle du festin

Traînant ses voiles gris parmi les roses mortes.

Elle s’avance, elle entre, elle franchit les portes

A pas lourds, à pas lents, tel un spectre hautain.

Un rayon est tombé sur les torches éteintes.

On voit enfin ces lys qui parurent si beaux

A la lueur fugace et fausse des flambeaux,

Et ces roses, et ces très tristes hyacinthes.

Voici la place où ton corps chaud s’est détendu,

Le coussin frais où s’est roulé ta chaude tête,

Le luth, qui souligna l’éloquente requête,

Le ciel peint, reflété dans ton regard perdu.

Tes ongles ont meurtri ma chair, parmi les soies,

Et j’en porte la trace orgueilleuse... Tes fards

S’envolent en poussière, et sur les lits épars

Tes voiles oubliés nous évoquent les joies.

Implacables, ainsi que l’ingénus témoins,

Les choses sont, dans leur netteté qui m’accuse,

Le rappel froid et clair de cette nuit confuse.

Des parfums oubliés persistent dans les coins.

Je m’éveille, au milieu d’une forêt de torches

Eteintes froidement dans la froideur du jour,

Songeant à ma jeunesse, à son tremblant amour,

Aux jasmins qui faisaient plus radieux les porches.

Tel un supplice antique et savant, inventé

Par un despote aux yeux creusés par le délire,

L’horreur de n’être plus ce qu’on fut me déchire,

Et le soir envahit mon palais enchanté.

Je sens mourir l’odeur des jeunes hyacinthes.

La fièvre me secoue en des frissons ardents,

Tout s’éteint et tout meurt... Et je claque des dents

Parmi les lys fanés et les torches éteintes.

VIVRE

Puisqu’il est, semble-t-il, nécessaire de vivre

En portant le poids lourd des anciens désespoirs,

Tous les matins, et tous les jours, et tous les soirs,

Interrogeons nos coeurs et sachons l’art de vivre!

Sachons enfin chanter les roses du matin,

O nous que replions les ailes de notre âme!

Sachons nous réjouir en paix du mets infâme

Et nous accommoder des chants et du festin!

Puisqu’il est paraît-il, urgent et nécessaire

De revoir le mauvais rayon d’un mauvais jour

Et de voir s’échapper l’espoir d’un bel amour,

Que bientôt nos draps blancs se changent en suaire!...

SONETTO

L'orgoglio dei pesanti anelli, il fasto delle vesti

Fondono il lusso dell’arte alla tua seduzione perversa,

E le gardenie che adornano gli inverni

Muoiono nelle tue mani dalle carezze impure.

La tua bocca delicata finemente cesellata

Modula eccelsa l’artificio dei versi:

Sotto le pieghe di raso saggiamente dischiuse,

Sbocciano i tuoi seni in pallide lussurie.

Il riflesso degli zaffiri offusca gli occhi azzurri,

E il vago muoversi del tuo corpo flessuoso

Lascia una scia d’oro al centro delle luci.

Quando passi, mantenendo un sorriso sostenuto

Biondo pastello traboccante di pietre e profumo

Penso allo splendore del tuo corpo, libero e nudo.

IL TATTO

Nei rami gli alberi han conservato il sole.

Velato come una donna che evoca l’altrove,

Il crepuscolo evapora piangendo... E le mie dita

Seguono frementi la linea dei tuoi fianchi.

Le dita ingegnose s’attardano ai brividi

Della tua pelle sotto la veste di petalo dolce...

L’arte del toccare, complessa e strana, è simile

Al sogno dei profumi, al miracolo dei suoni.

Divengo lentamente il profilo dei tuoi fianchi,

Delle spalle, del collo, dei seni inappagati,

Il mio desiderio delicato si rifiuta ai baci:

Affiora e d’estasi muore nelle voluttà bianche.

SUL RITMO SAFFICO

Ciò che per me è desiderabile

Io l’ho disprezzato.

Saffo

Per me, nè l’amore che trionfa, nè la gloria

Nè la vanità degli omaggi superflui

Ma la pace d’un angolo in una casa buia

Dove più non s’ama.

 

Qui sulla terra nulla mai fu giusto,

Così fui paziente aspettando la morte.

Il mio dolore ho taciuto, e benchè ingiusto

Ho subito la mia sorte.

 

Per me, nè il benvenuto, nè la festa,

Ma il placare d’un sospiro profondissimo,

Il silenzio nero che segue la sconfitta

Ed il ricordo.

 

 

FIACCOLE SPENTE

L’aurora ha traversato la stanza della festa

Trascinando i suoi veli grigi fra le rose morte.

Avanza, s’infiltra, abbatte le porte

A passi lenti, gravi, come uno spettro altero.

Un raggio è caduto sulle torce spente.

Si scorgono i gigli che apparivano sì belli

Alla luce falsa e fugace delle fiaccole,

Le rose, e questi tristissimi giacinti.

Ecco il posto dove il tuo corpo caldo s’è disteso.

Il fresco guanciale dove s’è posata la fronte,

Il liuto, che sottolineò la richiesta eloquente,

Il cielo dipinto, riflesso del tuo sguardo perso.

Le tue unghie m’hanno ferito, fra le sete,

Ne porto la traccia orgogliosa... Le tue ciprie

Se ne vanno in polvere, e sparsi sui tuoi letti,

I tuoi veli dimenticati ci rievocano le gioie.

Le cose sono, tali a testimoni ingenui,

Implacabili, nel loro nitore che m’accusa,

Il chiaro e gelido richiamo di questa notte confusa.

Profumi dimenticati persistono negli angoli.

Mi risveglio, nel mezzo di una foresta di torce

Freddamente spente dalla freddezza del giorno,

Pensando alla mia giovinezza, al suo timido amore

Ai gelsomini che rendevano i portici più radiosi.

Tale ad un saggio e antico supplizio,

Di un despota dagli occhi cerchiati dal delirio,

L’orrore di non essere più ciò che fui mi devasta,

E la sera invade la mia dimora incantata.

Sento sfumare il profumo dei giovani giacinti

La febbre mi scuote con i suoi brividi ardenti,

Tutto si spegne e tutto smuore... Batto i denti

Fra i gigli appassiti e le torce spente.

VIVERE

Poichè, sembra, sia necessario vivere

Con il fardello delle antiche disgrazie,

Tutte le mattine, e i giorni, tutte le sere,

Interroghiamo i cuori sull’arte del vivere!

Cantiamo finalmente le rose del mattino,

Noi che piegammo le ali della nostra anima!

Sappiamo soddisfarci della pietanza infame

E adattiamoci ai canti e al festino!

Poichè, sembra, urgente e necessario

Rivedere l’orrendo raggio d’un altro orrendo giorno

E vedere naufragare la speranza d’un grande amore,

Presto! Che le bianche lenzuola si tramutino in sudario!...

 

Renée Vivien

CENERE E POLVERE

Poesie, a cura di Teresa Campi

Savelli editori, Milano, 1981.

 

 

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Ultima modifica 03/08/97