IL SALICE DEL MIO GIARDINO
Forse è stato tutto un abbaglio. O forse, non lho mai incontrata. Lei, che leggiadra saliva lampia scalinata marmorea, vestita di una luce serica, e ostentava un delicato senso di commozione mentre si affannava nella ripida ascesa verso il portale dorato; lei, che nelle afose notti destate cercava di dar vita a una qualche lontana figura, disegnata tra i mari placidi della brillante luna; lei, che recitava banali poesie, allombra dellimponente salice del mio giardino; ma era così dolce nelle parole sussurrate appena, in una profonda voce lineare, così dolce...
Eppure conservo netti e vividi ricordi, che oscurano le mie azioni e le rendono insignificanti nella memoria, al cospetto di tali sensazioni. Un odore fresco e avvolgente rivelava la sua presenza in ogni angolo della mia fortunata casa. Al mattino, appena alzato, la trovava seminuda davanti alla toilette, impegnata leziosamente nel vano intento di rendere divino un volto già perfetto agli occhi umani. Indossava spesso una vestaglia di seta cinese, rossa come il sangue che ribolliva nelle mie vene quando la contemplavo in silenzio, seduto sul letto, e quasi impalpabile al tatto. Inarcava le sopracciglia davanti allo specchio, nelle cui profondità credeva di scrutare chissà quale ruga, e tendeva la morbida pelle bianca sopra gli zigomi iridescenti. Poi, respirando lentamente, si passava il nero rimmel sulle lunghe ciglia appuntite, e sbatteva rapidamente le palpebre quando le capitava di irritarsi gli occhi, quasi dovesse piangere. Appoggiava infine il tenero rossetto sulle labbra ampie e lineari, atteggiando a volte il proprio viso a smorfie candidamente ebeti, con la rubiconda bocca spalancata, e mostrava allo specchio solidi denti regolari, che risaltavano luminosi dentro quel volto contornato da fini capelli corvini, si voltava verso di me, immobile nellestasi dellillusione, e sorrideva.
La sera, quando uscivamo spensierati, e felici di poterci regalare ore di giocoso intrattenimento nei locali più frequentati, si preparava minuziosamente, e indossava un vellutato abito scuro, con unampia scollatura, che la copriva fino alle sottili caviglie davorio. Un trasparente top in tulle ricamato a mano adornava la sua figura, impreziosita da un opaco collier di brillanti naturali e due piccoli orecchini di perle a cascata. Portava i capelli raccolti dietro la nuca, avviluppati in un aggraziato chignon, da cui dipartivano ribelli ciocche ondulate. Il viso, adombrato da un leggero velo di fondotinta color beige chiaro rosato, emanava una morbida e luminosa aura di freschezza, mettendo in risalto gli occhi dipinti di un vert deau enigmatico.
Ricordo come se non fosse trascorso che un unico giorno radioso e trepidante il modo in cui usava rivolgersi alle persone che io le presentavo: colleghi di lavoro o vecchi amici dinfanzia, lei riusciva sempre a sorprendermi per la spontanea naturalezza delle sue ingenue maniere. Aveva innata la capacità di risultare imprevedibile e adorabile, per la gaia ospitalità che sapeva regalare al mondo intero.
Io mi ricordo, eppure non sono sazio della sua lontana immagine, delle sue inobliate parole, del suo sorriso cristallino.
La sala dell"Apò Koinoû" era gremita di gente annoiata. La ballerina si spogliava voluttuosa, quasi patetica, davanti agli sguardi accesi degli uomini e accigliati delle poche donne. La musica intonava soffici melodie afrodisiache, al consueto ritmo dei fiati svogliati, e le luci soffuse scagliavano lampi indiscreti di un rosso vermiglio o di un blu oceano. Decine di tizzoni appesi alle labbra dei clienti ardevano nella semioscurità, e rilasciavano impietosi colonne agitate di fumo che, salendo, atrraverso laria umida e riscaldata, si adagiavano, in una nube opaca, al di sotto del soffitto trapuntato di immaginarie stelle di carta.
Io me ne sto seduto pensieroso ad un tavolino defilato, in un angolo della sala lontano dal palco. Ho davanti un tozzo bicchiere, che poco fa era stato colmo fino allorlo di un dolce liquido ambrato. Lo afferro grottescamente con la mano chiusa, e automaticamente lo porto alla bocca. Invano, poiché mi accorgo che è vuoto. Non ricordo di aver bevuto il mio Brandy. A dir il vero, non so dire con precisione se si trattasse poi di brandy, o di qualche altro subdolo veleno. In questo momento le mie naricisono sorde ad ogni sensazione aliena dal suo profuno inebriante; il mio gusto è devastato dalle sue tiepide labbra, e il suo corpo esile e sottile penetra, attraversa gli occhi vuoti, in tutto il mio essere.
Dunque ella fu mia!
Lo ricordo con estrema precisione. Fu in una calda serata di agosto: eravamo soli, distesi sullerba rasa del mio giardino, tra i rovi curati delle piccole rose color mattone che feci impiantare quando tornai da Ceylon, e i glicini iridescenti che si inerpicavano fieri sui lussureggianti tronchi dei pini selvatici. Il cielo punteggiato di fiochi grappoli ospitava una luna immensa in tutto il suo tenero splendore, e i grilli nascosti nellombra stridevano ritmiche sinfonia di domestica quiete.
Il suo amorevole profilo occidentale sfumava nella notte, con un indistinto tremolìo; sprazzi di luce sospinti dalla tiepida brezza della piena stagione baluginavano, sereni, tra le pieghe del suo corto vestito celeste. Tessuto di lino grezzo, ruvido al tatto, nascondeva le forme più morbide e solari che lalma natura potesse mai donare agli uomini. Passammo ore senza tempo a cercare invano di contare le stelle, e intanto le nostre pudiche mani si intrecciavano nervosamente, mentre i silenzi delle parole inebriavano i nostri cuori agitati.
Ora mi trovo solo in questo locale semivuoto, seduto ad un tavolo spoglio, con un bicchiere asciugato tra le mani umide. Non so da quanto tempo la mia coscienza vacilla, tra le fantasie del passato e la fredda sensazione della realtà che mi opprime. Eppure il ricordo è così vivo, gli occhi lacrimanti.
Allimprovviso vedo di fronte a me, in piedi accanto al triste rifugio che mi sono costruito, un uomo secco e ben vestito, di statura media, che mi osserva pazientemente attraverso i suoi piccoli occhi neri, forse da parecchi minuti. Sembra studiarmi con interesse: i nostri sguardi si incrociano ripetutamente, ed io non ho la forza di chiedere cosa voglia. Alla fine quella giacca scura, abbottonata con pedantesca precisione, prende liniziativa.
Sei Mario P., non è vero? sussurra ad un tratto, mentre lorchestra ha appena terminato di eseguire un caldo Jazz doltreoceano.
Io annuisco lentamente, ma la mia mente è assai lontana. Il mio nome, pronunciato da quella voce ignota, acuta, dirompente nella scossa immaginazione che mi ha trascinato via, mi procura uno strano effetto. Non sembra riferirsi a me, al mio universo di pensieri, a ciò che sono e che faccio; né sembra che possa, nella limitata espressività semantica dei simboli comunemente accettati dal resto del mondo, render esatto conto di un individuo così diverso ed unico, come io in effetti sono. La parola stessa che mi identifica agli occhi degli altri, si spoglia di significato, e vaga senza meta nelloceano della mia mente annebbiata, priva di una luce pronta a guidarla.
Ti stavo cercando. Posso accomodarmi? continua cinico il vampiro. Perché costui sta perseguitando proprio me?, penso io. Non ho mai commesso siffatta atrocità, non sono colpevole! I fatti mi sono del tutto estranei, e li odo per la prima volta davanti a questa corte. Si tratta ovviamente di un palese caso di omonimia o di inganno, pur ben congegnato, giacché non conosco il teste, che falsamente sostiene il contrario; ma egli, pare, non ha dubbi circa il timbro della mia voce: e io non ho ancora proferito alcunché! Quelluomo mente, dunque, oppure è un mentecatto!
Notando il mio persistente silenzio, avendo io abbassato lo sguardo verso il tavolo, attorno al quale cè soltanto una sedia, la mia, egli crede opportuno rassicurarmi sul fatto che non occorre che mi alzi, poiché lui stesso avrebbe pensato dove accomodarsi. Così, mentre si allontana un istante per cercare una poltroncina libera, da aggiungere al mio posto esclusivo, io rimango confuso e immobile, con i gomiti appoggiati sulla gelida superficie color ebano del mio tavolo. Il sax ha ricominciato a inondare la sala di flebili e tremolanti melodie, e una giovane cantante sta per salire sul palco, visibilmente emozionata, e abbozza un sorriso melanconico e speranzoso alla platea distratta.
Mi chiedo se lo sconosciuto potrà aiutarmi a ritrovarla; immagino che mi dirà di essere un suo buon amico, no!, un cugino, non troppo lontano, da lei incaricato di combinare un nuovo incontro, atteso con spasmodica euforia. Una possibilità mi spetta ancora! E forse sarò ancora in tempo per ricostruire il nitido passato, che serbo indelebile nel cuore, pur nella tragica lontananza che il destino ci ha imposto.
Nel frattempo mi accorgo che il mio ospite si è seduto al mio fianco, e tace irrequieto. E finalmente riesco a scrollarmi di dosso quella lieta inebetitudine che accompagna spesso la condizione degli ebbri, e mi rivolgo a lui con un tono così severo, che mi pare di avergli reso a dovere la pariglia, e mi soddisfa il suo apparente disagio.
Ha detto che mi stava cercando...
Sento con apprensione che la voce mi esce debole e rauca, forse per colpa dellalcol e del fumo. Ho limpressione che sia altri a parlare, e che sia altri a poter vantare il merito della mia audace affermazione.
Sì, è così. Ti ho osservato da quando sei entrato in questo scadente ritrovo. Non biasimarmi, ma ho atteso prima di disturbarti, poiché ho preferito permetterti di restare un po solo, prima.
Il tono suadente di quel timbro mi infastidisce. Ciononostante lo lascio continuare, senza interromperlo, anche se provo un forte desiderio di allontanarlo con decisione. Difatti mi guarda, aspettando una reazione, ma poi, giacché sono ora molto debole e inerme, e lui lo capisce, continua impietoso.
Noto con disappunto che non ti ricordi più di me...
Non riesco a comprendere il senso di quelle parole. Ma in questo momento non sono in grado di opporre resistenza alla personalità travolgente dei suoi occhi penetranti, asciutti, dignitosi. Mi sta torturando, me ne rendo conto, ma cosa vuole realmente da me? La testa mi duole parecchio: mi passo il dorso di una mano sopra la fronte madida e corrugata, e sento che è fredda, quasi di ghiaccio.
Io ti conosco da una vita intera...
Egli non intende desistere, e le sue parole vagano libere, fendono senza precisa meta laria pesante che mi preme attorno al capo, si perdono nel vuoto.
Sento già il bisogno di un altro bicchiere, ma non appena mi vedo a richiamare lattenzione di un impettito cameriere che mi passa provvidenzialmente accanto, e accenno ad alzare un dito, luomo mi ferma con un gesto deciso. Forse non era necessario il suo intervento per frenare la velleità che mi è balenata improvvisa: la mia attuale indolenza, lincapacità di compiere un qualsiasi atto che potesse pormi in relazione ad altri esseri raziocinanti, sarebbero stati sufficiente motivo dinerzia...
È preferibile che non ti lasci ulteriormente trascinare nellagonia dellincoscienza, amico mio. Ti sarebbe esclusivamente di danno.
Ma io esisto!
Per Dio, che cosa vuole da me? Io non mi ricordo di lei, non ho la più pallida idea di chi sia o cosa voglia, mi lasci in pace... esplode quindi la mia sofferta e schiva voce.
Lui mi fissa indispettito, o forse no, è semplicemente incuriosito dalla mia reazione inattesa. Abbozza un lieve sorriso di cortesia, poi inarca la sua secca figura verso di me, e bisbiglia qualche cosa che non intendo. Morto? Chi è morto? Ma la musica è ricominciata, forte, e copre tutte le parole, che faticano ad arrivare al mio orecchio assopito. Io scrollo il capo per fargli intendere che non riesco a sentirlo, se parla così piano.
Quello persevera, nella sua improbabile imitazione di un pazzo ostinato che vuole convincere un sordo a sentire, e continua a muovere le labbra sottili, le contrae, le spalanca, forma cerchi e fessure irregolari; nessun suono, pur flebile, raggiunge però i miei occhi irrequieti e sconcertati.
Ad un tratto sento che un timido applauso echeggia muto dentro la mia mente. Percepisco i lontani movimenti di tre giovanotti seduti tristemente a pochi passi dal mio tavolo: cercano di afferrare e comprimere laria offuscata dentro i palmi umidi delle loro opulente mani, impigrite dalla noia. Mi volto verso lo squallido palco, e vedo una vaga figura di donna poco vestita che si dimena, intrecciando convulsamente le membra allo spento ritmo della piccola orchestra. Il mio indesiderato ospite invece mantiene lo sguardo fisso avanti a sé: forse io sono ancora là, di fronte a lui, ma non ci faccio più caso.
Cerco, non so per quale oscura ragione, di prendermi gioco di lui, e lo invito a raccontarmi di quel giorno, in cui ci saremmo a suo dire incontrati. A ben guardare, questo tale mi ricorda qualcuno che ho già visto, forse ad un matrimonio... no, era più probabilmente al funerale di G. Ecco, ho deciso che era lì che ci siamo incontrati. Oso quindi domandargli di G. Mi dice che lui è morto. Ma questo non lo sapevo già? Non capisco. Né mi interessa. Invento date e nomi immaginari, e le parole mi escono spontanee. Riesco poi a tessere non so quale intricata e fittizia vicenda, densa di eventi e persone che affermo appartenenti al mio passato. Mi incuriosisce il fatto che il mio interlocutore aveva detto di chiamarsi come? mi stia ad ascoltare, con vivo interesse, interrompendomi spesso per aggiungere commenti e informazioni, come se egli stesso conoscesse il frutto del mio sadico pensiero.
Ma non insisto più di tanto. Il gioco ad un certo punto si fa monotono, e mi intristisco. Quale gioia potrei difatti provare nel farmi beffe di uno sconosciuto?
Sai, Mario, non sono poi sorpreso più di tanto nel vederti qui, allApò. Mi pare che tu ci venissi spesso, quando eri ragazzo. O almeno, questo è quanto mi ha raccontato una volta Margena...
A quel nome sussulto.
Come fa a saperlo? Che costui mi conosca veramente?
Dovè finita la mia vita?
Lui nota il mio terrore, e con un certo senso di soddisfazione per avermi punto nellorgoglio, rigira il coltello nella piaga sepolta dagli anni.
Ma sì, Margena, quella mora, con gli occhi verdi, non ti ricordi? Eppure eravate molto amici, un tempo...
Un tempo...forse lo eravamo, forse...
Il suo odore fresco e avvolgente...
Sai, noi ci vediamo spesso, in questo periodo... voglio dire, ci frequentiamo.
...una vestaglia di seta cinese, rossa come il sangue...
Te lo dico con franchezza, anche perché tutto il tuo tempo è trascorso, e nulla è stato fatto...
Il nostro salice! esclamo allimprovviso.
Lui interrompe di colpo il suo logorroico monologo, stanco e affaticato da non so quale peso interiore. Poi sembra interrogarsi rapidamente sulla mia insana reazione, e forse crede che io sia ubriaco, o pazzo.
Ma io non sono un folle. Io, ora, ricordo, e so che un tempo avevo scelto di dimenticare: per me sarebbe rimasto solo un sogno, un placido e dolce sogno.
Perché questuomo sia venuto da me, io non me lo spiego. Egli è crudele, e dietro quel suo affabile sorriso da mediocre imbonitore nasconde lame affilate con cui tormentarmi. Il mio volto lascia trasparire per un istante il rimpianto e la pena che giurai di allontanare per sempre dalla mia sterile esistenza: ma è questione di un attimo, la gioia mi pervade, e non riesco più a dissimulare il divertito compiacimento con cui avevo acconsentito a partecipare a questa povera conversazione.
Così mentre lui mi osserva impietrito, e mi vede ridere, cercando di farsene una ragione, io allontano la mente, e indirizzo lo sguardo illuminato verso il malinconico palco. La donna, appagata, scivola silenziosa dietro le quinte, ricevendo fischi di approvazione dalla gente nascosta nella penombra della sala.
Mi accorgo appena che il mio ospite si alza e si allontana, finalmente sconfitto, e trovo il coraggio di ripetere con rinnovato vigore, ad alta voce, perché tutti possano udire, il mio saluto al nuovo mondo.
Il nostro salice è ancora in piedi! urlo dietro a quelluomo, ormai sulla soglia Ed è un albero imponente, ed è immortale! aggiungo, noncurante degli sguardi sdegnati dei clienti.
Ho dimostrato di essere il più forte, e lui lo ha capito.
Lui si volta verso di me, ma non mi vede più. E non può vedermi, perché non sa più cosa cercare. I suoi occhi saettano bagliori di fuoco, e per un attimo mi pare di ardere nelle fiamme dell'inferno, tale è il calore che sento dentro di me.
Ma alla fine il fantasma se ne esce con le spalle incurvate, e scrolla la testa. Ed io lo ringrazio, perché ora sono sicuro di me, consapevole del mio passato, e ansioso di ricominciare.
Decido, non mi par vero, di abbandonare questo bieco ritrovo di anime disperse nella tormenta della vita, e mi abbandono alla realtà di una notte serena, ed unica nel suo fresco splendore.
Sento da lontano il picchettìo delle mazze, e le voci degli operai che si sollevano, a sprazzi, nel silenzio odoroso dellestate: capisco che il circo sta per levare le tende, e mi sembra di vederlo con chiarezza, il pagliaccio, mentre davanti allo specchio incrostato dal tempo si strucca con pigra indolenza, lasciando cadere unaltra maschera nel nulla.