E'
la via che conduce al ponte del fiume Lambro, iniziando dalla chiesa di
San Giovanni a sinistra, e dall'osteria pure di San Giovanni dalla parte
destra. Essa è lunga 80m e larga in media 14,50m. Termina contro
i parapetti del ponte. Sulla parte sinistra vi è la via Stefano
Bersani, e più avanti verso la fine dirama una piccola discesa della
lunghezza di metri 17 e larga metri 4,50, con una piccola scalinata per
i pedoni. E' la zona più vecchia di Melegnano, forse il primo nucleo
di case romane e preromane, quando Melegnano era semplicemente un vicus,
una via di passaggio. Comunque la via Frisi è il segmento portante,
il cuore stradale melegnanese : sono lì i primi tronchi originari
del nostro paese. La via ebbe, nei secoli, parecchie denominazioni: Via
Romea, Contrada del Ponte, ed anche Contrada del basso, via Provinciale
per Lodi, Via del Ponte, Via Umberto I° ed infine Via Paolo Frisi.
Era una via di espressione cittadina: qui vi era la sede dei dazieri già
al tempo dei Visconti e degli Sforza. Qui iniziava Melegnano propriamente
detta. Qui era il confine con il borgo periferico chiudendo il tradizionale
centro storico. Il livello stradale, prima dei tempi di Maria Teresa d'Austria
(1717-1780),
era irregolare e dalla parte delle botteghe odierne scendeva in basso:
dove si trovano le cantine vi era il piano stradale, come è ancora
in parte la via Dezza. Poi la contrada fu tirata a livello del ponte e
le botteghe presero il posto dove prima erano le stanze da letto. Difatti
in alcune cantine ancora oggi si vedono chiaramente i segni della cucina
e della vita domestica. La caratteristica originale sta nel rapporto tra
l'antichità e la modernità. Qui potrebbe essere stata la
primitiva stazione del cambio dei cavalli del periodo romano; qui si affollano
oggi sempre meno gli agricoltori per le contrattazioni al mercato del giovedì
e della domenica. Due "segni" attirano la curiosità avendo il fascino
del mistero storico non ancora risolto: i cavallini di metallo che sporgono
dalle grondaie della Casa Bigioggero che sta sulla destra a pochi metri
del ponte, e la Madonna Assunta di pregevole stile barocco. E due famiglie,
tra le altre residenti, ricordano e sono il simbolo della vecchia tradizionale
Melegnano: i
Menicatti, una famiglia che ha dato uomini per le cariche pubbliche melegnanesi;
ed i Bigioggero, una famiglia di artisti e studiosi impegnati all'università,
al magistero ed alla vice direzione generale dell'Ospedale Maggiore di
Milano. Questa famiglia ha una sua particolare storia scritta ed
ancora inedita, per opera del dott. Luigi Bigioggero. Per secoli, accanto
alla chiesa di San Giovanni,vi era il cimitero parrocchiale e comunale,
dove ora sorge il quieto giardinetto delle rose e dei tulipani, e dove
si trovano statue marmoree e lapidi riguardanti la vita spirituale della
chiesa stessa. Paolo Frisi nacque a Melegnano il 13 aprile 1728 da Giovanni
e da Francesca Magnetti. Fu battezzato con i, nomi di Giuseppe Maria. La
sua famiglia, numerosa, non era ricca, ed era originaria dalla Francia,
precisamente di Strasburgo. Entrò a quindici anni come studente
nel collegio della Congregazione dei Chierici di San Paolo detti Barnabiti
in Milano presso Sant'Alessandro. Durante i primi anni di studi avverti
l'arretratezza della didattica e la chiusura pregiudiziale degli indirizzi
culturali nei riguardi delle nuove esigenze e dei nuovi fermenti: avanzava
la forza della ragione ed era messo in crisi il principio di autorità,
ma gli studi che doveva assorbire non tenevano conto di queste realtà
umane, prima che scolastiche. A Milano seguì tutti i corsi di filosofia,
mentre a Pavia studiò teologia. L'l1 luglio 1743 a Monza prese l'abito
ecclesiastico dei Barnabiti e divenne membro della Congregazione. Mentre
era ancora studente coltivava con crescente interesse gli studi di matematica
e di geometria e si apriva alla conoscenza dell'astronomia e dei fenomeni
naturali: era il primo germe fecondo della sua vocazione che lo accompagnerà
per tutta la vita. A 22 anni venne nominato insegnante nei collegi dei
suoi Barnabiti. Fu a Lodi come professore di filosofia, poi a Casale Monferrato
ancora per filosofia, dove prese il posto di Giacinto Sigismondo Gerdil
un famoso filosofo pedagogista e teologo. Qui, a Casale, si comportò
secondo la sua indole naturale: si mostrava franco, sincero,
razionale, ed amante della società e della conversazione, religioso
nelle pratiche essenziali. La sua insofferenza ad ogni legame ed alle richieste
dei superiori gli crearono non pochi fastidi. A questo si aggiungeva l’ambiente
culturale piemontese piuttosto chiuso e statico, talvolta addirittura retrogrado.
Tuttavia per il suo carattere seppe farsi anche molti amici tra le persone
di chiara apertura mentale: tra queste vi fu Alberto Radicati, consigliere
del re Vittorio Amedeo II°: con lui discorreva volentieri sui rapporti
tra Chiesa e Stato dimostrando favore per una separazione d1 compiti e
di giurisdizioni, con appoggio alla teoria della sovranità dello
stato. Era logico che non potesse durare a lungo in quella città;
difatti venne trasferito a Novara, privato dall'insegnamento e incaricato
della predicazione. Ma tra i suoi superiori c'era chi conosceva il carattere
ed il valore di Frisi, e fu riabilitato all'insegnamento con l'incarico
della filosofia al collegio di Milano, presso Sant'Alessandro. Così
ritornava come professore là dove era stato alunno. Vi rimase dal
1753 al 1756, mentre si teneva in contatto epistolare con gli amici del
Piemonte, conosciuti attraverso il Radicati. L'ultima sua lezione ebbe
come argomento una questione molto scottante e che aveva formato due fronti,
con una zona pericolosa perché coinvolgeva anche la Sacra Scrittura:
l'esistenza e l'azione delle streghe e dei maghi con poteri sovrannaturali;
Frisi negò decisamente tutto. Fu questo il periodo della sua maturazione
e della sua adesione cordiale al razionalismo ed all'illuminismo contro
ogni forma di intolleranza ed ogni aspetto della superstizione. La sua
dimestichezza con studiosi liberi pensatori, le sue idee da lui sostenute
con calore, i suoi primi scritti minori, gli attirarono non pochi nemici,
non pochi censori, non poche riprovazioni pubbliche. La sua fama aumentava
di pari passo con 1a gelosia e con le avversioni, soprattutto dei Gesuiti.
Intanto incominciano le fasi maggiori della sua vita. Nel 1753 l'Accademia
delle Scienze di Parigi lo elesse come socio corrispondente. L'anno dopo,
1754, gli venne offerta la cattedra di metafisica ed etica all'università
di Pisa, che Frisi accettò con tanto entusiasmo per diversi motivi,
non ultimo quello di continuare in un ambiente più respirabile i
suoi studi; fu lo stesso granduca Leopoldo che si interessò per
averlo a Pisa. La città toscana godeva di una robusta tradizione
scientifica e letteraria; qui meglio si definirono e si concretarono gli
atteggiamenti culturali decisivi di Frisi: scriveva ed insegnava. Rimase
a Pisa dieci anni, che furono fecondi non solo per l'accumulo di esperienze
culturali scientifiche, ma soprattutto perché da Pisa poteva, senza
persecuzioni morali, tenersi in contatto con il pensiero vivo e brillante
degli illuministi francesi, promotori di un nuovo ordine sociale e politico,
con basi criticamente storiche. Anzi, divenne in certo modo il mediatore
ed il diffusore della cultura filosofica francese in Italia, specialmente
tra i pubblicisti ed i poligrafi, tra cui il famoso Francesco Algarotti
noto per un'opera di larga divulgazione "Newtonianesimo per le dame". Il
gruppo degli illuministi lombardi divenne sempre più a lui familiare
con stretto legame a Pietro Verri. In questo periodo si collegano i contatti
con l'estero ed i riconoscimenti da ogni parte, specialmente dalle varie
Accademie: Berlino, Pietroburgo, Società Reale di Londra, Stoccolma,
Copenaghen, Berna. L'arciduca Giuseppe d'Austria gli mandò una collana
con medaglia d'oro. Lo stesso fece il re di Prussia e quello di Danimarca.
Il papa Clemente XIII° lo nominò consigliere nella Commissione
sui lavori dei fiumi e dei torrenti per una questione che faceva litigare
ferraresi e bolognesi. Il Senato di Venezia lo unì ai commissari
fluviali per la sistemazione del fiume Brenta che creava sempre disastri
o gravi danni. L'imperatrice Maria Teresa gli favorì un assegno
di 100 zecchini. La sua fama era dovuta alle ricerche sui corpi celesti,
sui fenomeni astronomici, sulle maree, sul moto della Terra, sui fenomeni
elettrici dell'atmosfera - Frisi fu colui che introdusse il parafulmine
in Italia -, tracciò regole sulle figure piane aventi lo stesso
perimetro e dei solidi aventi la stessa area di superficie. Per la Lombardia
elaborò un progetto di regolare canalizzazione delle acque. La sua
rinomanza era, quindi, nel settore dell'astronomia, della matematica, dell'idraulica,
cui aggiungeva una vasta cultura sull'ottica. Per il mondo culturale era
"matematico, fisico, astronomo". Ma il suo intimo desiderio era quello
di ritornare in patria, a Milano. Ed ottenne la cattedra di matematica
nelle Scuole Palatine. Anno 1764. La metropoli milanese, ora, lo vedeva
con un altro modo: diventò la persona che si doveva stimare, ascoltare,
accettare come un privilegio. Proprio nell'anno del suo arrivo in Milano,
venne fondato e pubblicato il periodico
"Il Caffè", che aveva come redattori grossi nomi: Pietro ed Alessandro
Verri, Cesare Beccaria, Gianrinaldo Carli, Giuseppe Colpani, Carlo Sebastiano
Franci, Gigi Stefano Lambertenghi. Tra costoro, a pieno titolo di collaboratore,
vi fu Paolo Frisi. Erano tutti soci dell'Accademia dei Pugni fondata nel
1761, e molti di loro avrebbero partecipato, nei decenni successivi, al
fattivo governo della Lombardia. "Il Caffè" trattò vari argomenti
di fresca attualità, nella letteratura, nell'economia, nella legislazione,
nella linguistica, nella politica, nell'industria mercantile, con lo sguardo
anche a quello che avveniva all'estero. Frisi teneva corrispondenza epistolare
con una 1arga cerchia di studiosi. Particolarmente efficace fu quella con
due parmensi: Augusto Keralio, scienziato, le cui lettere risultano di
estremo interesse per conoscere le tappe del processo dello sviluppo illuministico
nella Lombardia e ci indicano le attenzioni culturali e scientifiche di
Frisi, i suoi atteggiamenti e le sue conoscenze specifiche nei vari campi
dello scibile, Paolo Maria Paciaudi, rinomato bibliotecario di vasta cultura.
Al Paciaudi il Frisi procurò una raccolta di Regolamenti delle varie
università europee, perchè‚ il dotto parmense era stato incaricato
di rivedere la struttura finalistica e didattica dell'università
di Parma. Il tempo dedicato all'insegnamento era intercalato anche da viaggi
all'estero. Fu a Parigi, accolto da circoli scientifici e letterari con
calorose manifestazioni di affetto. Nella capitale francese Paolo Frisi
insistette perchè‚ la cultura italiana e gli scrittori contemporanei
milanesi fossero conosciuti, studiati e divulgati. In Inghilterra visitò
con devozione la tomba di Isacco Newton nell'abbazia di Westminster. Si
fermò in Olanda per visitare le opere di difesa dal mare, e ritornò
a Parigi dove si incontrò con altri italiani, tra cui Cesare Beccaria
e Pietro Verri, due personalità che erano in aspra polemica cui
Frisi fu testimone al di sopra delle due parti. Parigi fu la sua città
estera prediletta. Qui consolidò le amicizie di alto valore culturale:
d'Holbach, Diderot, Helvetius, Morellet, D'Alembert, Bailly, Condorcet.
A Vienna fece sapere un suo manoscritto di filosofia politica: “Ragionamento
sopra la podestà temporale dei principi e l'autorità spirituale
della Chiesa". E' un trattatello molto importante, perchè‚ il Frisi
sviluppava con energia le ragioni per la necessità dell'abolizione
dei concordati, dell'inquisizione, delle censure ecclesiastiche, degli
asili politici. A Vienna Frisi era già conosciuto per fama, perchè
nella Lombardia austriaca egli era membro di commissioni per lo studio
dei fiumi, dei progetti di canali, per le bonifiche, per i programmi scolastici
delle scuole tecniche; Frisi fu il fondatore a Milano della Scuola per
ingegneri. Infine fu anche creato censore governativo, mentre in altre
parti d'Italia (Toscana, Stato Veneto, Tirolo) lo si richiedeva per la
consu1enza tecnica dei regimi fluviali. E' ovvio che una simile attività
era in contrasto con lo spirito delle Regole della sua Congregazione barnabitica,
che non concedeva spazio per le libertà indiscriminate di orario,
di viaggio, di amicizie, di atteggiamenti culturali sospetti alla tradizione
immobilista. Per questo nel 1768 il papa Pio VI° gli permise di vestire
l'abito del semplice prete secolare e di staccarsi dalla Congregazione
dei Barnabiti, in modo tale che il suo studio ed il suo impegno di insegnante
fossero meglio assicurati ed in una dimensione di più larga possibilità
di azione personale. Nell'ultimo periodo della Bua vita si dedicò
intensamente a ricerche ed a studi di carattere letterario e storico. Analizzò
le opere e le figure di Galileo Galilei, di Isacco Newton, di Bonaventura
Cavalieri, di Pomponio Attico. Soprattutto studiò più da
vicino quello che era stato il suo modello ed il suo ispiratore: Giovanni
Battista Le Ronde detto d'Alembert (1717-1783), fisico, matematico e filosofo
francese, uno dei fondatori e collaboratore dell'Enciclopedia, di cui scrisse
il Discorso preliminare (1751), sintesi delle dottrine dell'Illuminismo.
Attese pure alla stesura del dialogo avuto in Milano con il re di Svezia,
Gustavo III°, il 22 maggio 1784, che aveva dato una Costituzione ispirata
ai principi del dispotismo illuminato. Il 22 settembre l784, dopo un periodo
di malattia, Frisi morì; è sepolto e ricordato da una lapide
nella chiesa di Sant’A1essandro in Milano. |