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Ubertino capitaneo di Melegnano
Capitaneo o capitano, deriva dal latino caput = testa, cioè chi è alla testa di qualcosa e qualcuno, era un titolo che identificava soprattutto nel MilaneseVassalli valvassori a capo di importanti comunità, soprattutto rurali, era un capo militare, politico e a volte anche di giustizia. Nel complicato e dinamico processo feudale di legami tra imperatore ed alti ecclesiastici furono interessate Milano e, come vedremo, anche Melegnano. L'imperatore Ottone I e poi Ottone Il si preoccupavano continuamente di mantenere l'autorità nominando nell'Italia settentrionale vescovi favorevoli e amici dell'impero. Alla morte dell'arcivescovo ambrosiano Arnolfo, il successore Goffredo non era accolto dal clero e non era gradito al popolo: tuttavia fu forzatamente accolto perché si mostrava fedele all'imperatore e ai suoi interessi politici. Nello stesso tempo in Milano l'autorità imperiale era rappresentata da Bonizo, che esercitava il potere con durezza e con insolenza. Per prepararsi alla conquista del potere anche in campagna e per rendere effettiva e legale la sua autorità in Milano, Bonizo riesce a far eleggere arcivescovo di Milano il suo figlio Landolfo, quando morì il precedente. E pare che tale elezione sia stata ottenuta mediante versamento di tesori: tale elezione si chiama, perciò, simoniaca, che è il peccato di chi opera il traffico dei beni spirituali e delle cariche ecclesiastiche, da Simone Mago che chiese a San Pietro, in cambio di danaro, le funzioni miracolose. L'arcivescovo, considerando che non poteva rimanere in città, ne uscì con i fratelli, mentre il padre ammalato fece ricorso all'imperatore Ottone. Alla fine Landolfo potè rientrare in città; per avere maggior forza politica ed aiuto concesse le circoscrizioni territoriali minori rurali, o pievi, a tutti coloro che lo avevano aiutato a mantenersi in sede arcivescovile. Tolse le pievi a quegli ecclesiastici che prima erano i titolari ed i beneficiari. I nuovi capi di pievi erano laici e si chiamarono capitanei: essi ottennero, quindi, in beneficio le terre ed i diritti di riscuotere i tributi nelle loro pievi. In queste assegnazioni fu incluso anche il territorio di Melegnano che da secoli era un sottofeudo di Milano assegnato ad ecclesiastici e che era diviso dal Lambro dal territorio lodigiano; la pieve di Melegnano fu concessa ad uno dei fratelli dell'arcivescovo, Ubertino, che fu il nostro capitaneus l'anno 983. I capitanei, o i capi di pieve, divennero così, attraverso la mediazione della Chiesa, i padroni dell'amministrazione dei territori e vassalli dell'arcivescovo: fu un assalto di gente nuova alla cattedra ed ai beni arcivescovili. Andava in frantumi non soltanto il patrimonio terriero della Chiesa, ma anche la dignità religiosa delle sue gerarchie. Erano uomini in capite, alla testa, e quindi capitanei. E dal secolo X furono appellati capitanei coloro che dal re, da un ufficiale, da un marchese, da un conte, ricevevano una pieve o una parte della pieve. E, in pratica, con il nome pieve si intendeva una qualche parte di regione o di territorio che era formata da più villaggi o paesetti o borgate; e tale appellazione e tale realtà si mantennero per parecchi secoli. Madelberto e Hungeer Mentre si svolgono i grandi avvenimenti storici interessanti la zona milanese per il periodo dell'Alto Medioevo, emergono due fatti di cronaca locale melegnanese che hanno come protagonisti Madelberto e Hungeer. Madelberto, l'anno 830, è presente in qualità di teste per il contratto di vendita di terreni in Cologno Monzese. La vendita è fatta all'Abbazia di sant'Ambrogio. La fonte storica dice: Madelbertus clericus de Meloniano (Madelberto chierico da Melegnano), il che significa che il nostro personaggio era nella classe sociale degli intellettuali: sapeva scrivere, leggere bene, e capire il valore di un contratto. Madelberto era una persona consacrata al sacro ministero, perchè soltanto negli ultimi secoli del Medioevo erano detti clerici anche le persone dotte, senza essere nel rango ecclesiastico. Tuttavia non sappiamo la posizione nella gerarchia. Neppure dal fatto che sia stato scelto come teste, è possibile trarre qualche indizio, perché vi sono parecchi casi di testimoni nei contratti presi da ogni ceto sociale. Hungeer invece è un abitante di Milano (avitator civitatis Mediolani così dice la fonte storica) che l'anno 836, nel mese di febbraio, stabilisce che i suoi beni immobili nella Bassa Milanese siano, dopo la sua morte, lasciati al senodochio (luogo pio dove sono accolti i pellegrini) situato nel vico di Meloniano; il senodochio era dedicato a Santa Maria Genitrice di Dio. Questa notizia, apparentemente scarna, apre invece diverse prospettive storiche; e vediamo perchè. Nell'ultimo periodo del loro dominio, i Longobardi incominciarono ad ammettere nei loro stati alcuni forestieri, ed a permettere loro di seguire le patrie leggi nel tribunale dei contratti ed in altri atti legali. Ancora prima dell'arrivo massiccio, armato, militare dei Franchi conquistatori (l'anno 744) già si trovano alcuni di loro, che possiedono terreni e che trasmettono ai figli i loro beni. E' vero che il nostro Hungeer stende l'atto notarile l'anno 836; ma tutto lascia a credere che da tempo la sua famiglia fosse in Italia, ancora prima dell'arrivo dei Franchi. Nell'intento di scrivere il testamento chiamò alcune persone che fossero poi gli esecutori testamentari. I terreni di sua proprietà si trovavano a Gnignano, Zeloforomagno, alla cascina delle Sette Vie, a Carpiano, a Maiano. Alcuni terreni erano lasciati in eredità ai suoi parenti e ai suoi fedeli servitori. Il fondo rustico di Maiano, tra Lodi e Sant'Angelo, era dato al senodochio di Melegnano, vico Meloniano: esecutore era Guazone diacono milanese. Se la parola vico è da prendersi in senso stretto, significa che il nostro paese era soltanto un gruppo di case senza nessuna importanza. La rovina delle cavallette Un altro fatto di cronaca. L'anno 871 il cronista Andrea Presbiter, scrittore bizantino di cui si ignora il luogo di nascita, vissuto verso il secolo IX-X, ci ricorda che nella zona tra il Lodigiano ed il Milanese, quindi nei territori melegnanesi, si lanciarono nubi di cavallette sui campi. Per diversi giorni, a torme, a densi sciami, consumarono i grani, ogni forma vegetale, ogni erba, sotto gli occhi impauriti dei contadini. Le invasioni ungare La storia degli Ungheresi è contrassegnata dalle molteplici serie delle loro rovinose devastazioni. Dall'estate dell'anno 899 a quello del 900 essi scorazzano per la pianura del Po, da Milano a Piacenza, devastando, incendiando, rapinando, per poi tornare al loro paese stracarichi di bottino. Ritornano negli anni 921-922. Eccoli nella pianura padana; e la vicina Pavia, l'anno 924, è rasa al suolo e incendiata. Che cosa facessero questi barbari lo sappiamo da un cronista di nome Regino che dice: questi barbari violano e saccheggiano le chiese, profanano empiamente le sacre reliquie, bruciano le messi e le foreste, massacrano i maschi, mutilano i fanciulli o, come paurosamente si sussurra, ne bevono il sangue e ne divorano le carni; questi Magiari, gente ferocissima e più crudele delle belve, desiderano solo rapinare, fare bottino, uccidere. L'anno 924 è l'anno del flagello ungherese: la Sassonia, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, la Provenza, la Borgognona, la Linguadoca sperimentano la ferocia di quei barbari. L'accampamento di Corrado il Salico Si creò ancora un motivo di preoccupazione per i Melegnanesi dopo le invasioni ungare: l'arrivo dell'imperatore di Germania e d'Italia, Corrado Il, detto il Salico, un uomo duro e tenace, realistico e deciso. Egli rivolse le sue mira politiche a consolidare il suo prestigio e la sua autorità imperiale in Germania ed in Italia. A Milano l'arcivescovo Ariberto d'Intimiano (+ 1045) era in lotta aperta contro i suoi vassalli su parecchie questioni amministrative ed economiche. E tutte e due le parti continuavano a ricorrere all'imperatore. Corrado fu in Italia. Diede ragione ai valvassori. Accusò l'arcivescovo e lo chiamò a scusarsi; ma, al rifiuto sdegnoso arcivescovile, Corrado tentò di farlo arrestare, senza riuscirvi perchè Ariberto potè fuggire. Allora Corrado, partendo da Piacenza, venne verso Milano. Divise l'esercito in piccoli gruppi ed in ordine sparso, e giunse sotto le mura di Milano, costeggiando la Vettabia. In questa zona, ormai stanco, si fermò, pose il suo accampamento e le sue tende. I castelli - Il castelvecchio di Melegnano Contemporaneamente le campagne si erano andate coprendo di castelli: castelli costruiti da vescovi, abati, signori feudali, ricchi proprietari terrieri, che si giovavano della collaborazione volontaria o forzata delle popolazioni locali, a cui il castello avrebbe poi dato rifugio; gruppi più o meno numerosi di vicini compiono il lavoro di costruzione, di propria iniziativa ed a proprie spese. Il castello diventa un elemento di organizzazione territoriale, così che le nuove costruzioni non cessano con il cessare delle incursioni, ma accompagnano e sostengono quasi lo sciamare delle popolazioni che lasciano i centri in cui si erano rifugiate e vanno a popolare la campagna di nuovi villaggi, mentre fuori delle città sorgono nuove chiese, nuovi conventi. E' in questo contesto storico che si dovrebbe inserire anche la costruzione di un castello a Melegnano, dove ora sorge il cimitero comunale, al di là della Via Emilia, sulla Strada Vecchia Cerca; lì sorgeva una costruzione che già nel 1400 era chiamata il Castelvecchio, o Castrovegio, poi gradatamente demolito ed infine del tutto atterrato nella metà del 1500. Lo stesso nome castelvecchio potrebbe riportare indietro di tre o quattro secoli la costruzione sua, precisamente all'epoca degli invasori ungari. Le curtis Noi, purtroppo, ci troviamo nella impossibilità di chiarire la situazione socioeconomica di questi tempi nel territorio interno alle mura di Melegnano. A parte il centro storico, enucleato accanto alla chiesa di San Giovanni, potremmo ritenere che la presenza delle cascine agricole stabiliva e delineava la vita stessa degli abitanti: fino a qualche decennio fa, entro il territorio del Comune di Melegnano, operavano ben quindici cascine, la cui primaria funzione era quella della coltivazione-sfruttamento dei campi. Ma quello che vogliamo evidenziare è questo: la forma delle nostre cascine ha la forma della curtis padronale; era un centro amministrativo del terreno agricolo ed era materialmente formato da una serie di edifici che comprendevano l'abitazione del padrone o del suo amministratore, i magazzini, i depositi di carri e di attrezzi agricoli, le stalle, le officine, le abitazioni dei contadini. I più anziani tra noi ricorderanno la forma di queste cascine a corte: la Pallavicina, la cascina Montorfano, la Palazia, la cascina Carmine, la Maiocchetta. Qui la produzione agricola non era a regime chiuso, ma era convogliata in gran parte al mercato. Nella maggior parte dei casi il residente responsabile della cascina dipendeva da un proprietario più ricco, conte, alto funzionario, vescovo, abate, signore laico, e questi poteva liberamente, a suo capriccio, trasferire il beneficio terriero ad altri. E così troviamo che grandi signori laici, chiese episcopali, capitoli canonicali, abbazie, si circondano di dipendenti vassalli, moltiplicando le relazioni personali. Seniores e capitanei Questo tipo di relazione economica sociale ha dato sviluppo alla formazione di famiglie, di casate, con i quali nomi si volevano indicare non le singole persone, ma la collettività dei vassalli di un signore. Anche la parola senior, che vuol dire il più vecchio, esprime la presenza di un capofamiglia necessariamente il più anziano e che era la massima autorità su tutto il gruppo. Nell'Italia centro-settentrionale, a partire dalla seconda metà del secolo X, il senior riceve il giuramento da parte del vassallo subalterno che promette di difenderlo. In questo periodo il vassallo incomincia a chiamarsi miles, che è la parola indicata per qualificare il subalterno con funzioni di difesa come i soldati nell'esercito. Tra questi milites, vi erano quelli di importanza primaria e capitale, chiamati con il nome di capitanei, che dipendevano da ricchi conti o vescovi e che concedevano, ad altri più piccoli, terre e benefici, italianizzati con il nome di capitani, o cattani. Melegnano nel periodo barbarico Quale fosse l'esatto profilo del nostro paese nel periodo barbarico, o meglio: quale fosse la situazione melegnanese nel suo territorio centrale e circostante, rimane ancora oggi problematico. I resti, se così possiamo dire, sono diversi e quasi tutti del periodo longobardo o poco dopo; cioè essi proverebbero un innesto profondo della cultura longobarda e postlongobarda tra noi. I segni evidenti sarebbero questi: un frammento di scultura, che era murato in una parete della chiesa di Calvenzano, rappresentante un cavaliere a caccia con un cane; le pietre che stanno a fondamento della chiesa di Calvenzano, e che erano tombe o sarcofaghi, di epoca certamente anteriore al 1000; parecchi nomi di persona di origine longobarda che appaiono negli atti giuridici ed amministrativi (Arialdo, Teufredo, ecc.); la navigazione del Lambro e della Vettabia, nelle legislazione del re longobardo Liutprando che regnò dal 712 al 744; la viabilità attiva attraverso la strada romana (oggi Via Emilia) che da Milano portava all'antica Lodi (Laus Pompeia) e che passava per Melegnano; i terreni che un nobile di Milano, Ungeer, aveva a Melegnano, a Gnignano, a Carpiano nell' 836; il frammento di una Crocifissione, graffita su pietra, esistente ora presso il parroco di Vizzolo Predabissi, e che manifesta una fattura del periodo barbarico; forse (ma con scarse probabilità) anche la chiesa di San Giovanni Battista in Melegnano, il cui santo patrono, appunto San Giovanni Battista, era una figura notevole e ben accetta dai convertiti longobardi. Ma tutte queste emergenze storiche o probabilmente storiche non riescono a dare un esatto e ricco profilo della vita melegnanese nel periodo barbarico; ed ogni ipotesi è azzardata. Bisogna arrivare agli anni dopo il 1000 per assistere ad una Melegnano maggiormente presente nel tessuto sociale, o per assistere alle istituzioni sociali italiane, regionali o milanesi nel tessuto melegnanese. |
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