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La
mano napoleonica su Melegnano
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Napoleone
in Italia
La rivoluzione francese doveva difendersi dalle coalizioni straniere organizzando eserciti. Per combattere contro l’Austria e il suo alleato Piemonte, il Direttorio francese invio in Italia un ulteriore esercito guidato da Napoleone Bonaparte. L’11 aprile 1796 Bonaparte penetrava in Piemonte dal colle di Cadibona, ed iniziò immediatamente le operazioni militari vittoriose. Da Cherasco, in provincia di Cuneo, il 26 aprile aveva proclamato agli Italiani che l’esercito francese veniva a rompere le catene, e che la religione ed i beni sarebbero stati rispettati perché la guerra sarebbe stata soltanto contro i tiranni. Comunque il 29 aprile Napoleone scriveva al Direttorio che aveva stabilito di entrare in Milano, di passare il Po, chiedere soldi al duca di Parma, e di minacciare gli Austriaci camminando verso Napoli e verso il Tirolo. Melegnano si trovava così ancora in mezzo ai movimenti delle forze armate, perché l’Austria si era impiantata in Lombardia in modo stabile. Difatti il giorno 11 maggio 1796 giunsero a Melegnano ottocento dragoni, che era il corpo di cavalleria scelto derivato dagli antichi archibugieri italiani a cavallo; ed erano al comando del generale Kilmaine, francese. Le truppe di Kilmaine si accamparono nei dintorni della Cascina Pallavicina e chiesero subito rifornimenti. Alcuni amministratori melegnanesi vennero incontro ai loro ufficiali ed ebbero l’assicurazione che non sarebbe stato fatto nessun saccheggio in cambio di abbondante vitto. Kilmaine mantenne la parola: Melegnano non subì alcun danno se non un pò di paura. Intanto da Milano, dove era arrivata la notizia della battaglia al ponte di Lodi e della vittoria di Napoleone, erano partiti per Lodi, passando da Melegnano, i conti Francesco Melzi d’Eril e Giuseppe Resta, per fare omaggi a Bonaparte vincitore sugli austriaci. Il giorno 15 maggio fu un continuo passare da Melegnano dei francesi che venivano da Lodi, truppe di fanteria e di cavalleria. Parecchi si sbandavano per le case e chiedevano cibi e bevande, rapivano i polli e spesso anche i cavalli; le loro prime necessità erano pane, vino, carne e fieno. Alcuni volevano camicie e calzoni, altri prendevano scarpe e cappelli. Il 15 maggio Napoleone giunse a Milano e fu incoronato dalle autorità a Porta Romana, compreso l’arcivescovo. Alla sera vi fu una recita straordinaria alla Scala e l’illuminazione tricolore per le vie e per le piazze con candele e lumini. Tutta Milano fu imbandierata ed i milanesi nella totalità portarono i colori bianco-rosso-bleu della bandiera francese, mentre 3000 austriaci restavano chiusi assediati in castello. I contributi militari I tripudi e le giornate di gaudio durarono poco. Il 18 maggio Napoleone impose una prima contribuzione di 20 milioni da ripartirsi fra le province lombarde, da esigersi principalmente dai ricchi e dagli istituti ecclesiastici. Furono presi argenterie, campane delle chiese, pietre preziose dei vasi sacri, ferro dei balconi, rame dalle coperture delle cupole, arazzi, stoffe antiche, biancheria. Nei conventi furono requisiti perfino le posate ed i servizi da tavola, materassi, pagliericci, coperte per allestire ospedali militari. Anche a Melegnano arrivò l’ordine di consegnare soldi e argenti, con una lettera recapitata al prevosto Giovanni Candia in S. Giovanni, la sera dell’8 luglio 1796: i canonicati e i benefici parrocchiali ne erano colpiti. La somma che si dovette pagare, a titolo di contribuzione militare, fu di lire 11.400, più oltre 20 chili di argento della chiesa, in candelieri, brocche e vasi sacri, che furono consegnati per diretta mano del prevosto agli ufficiali incaricati il 15 dicembre 1796: fu restituita la lampada d’argento artistica, perché richiesta come decoro dei riti sacri. Comunque le richieste di soldi non si arrestarono, perché il 6 maggio 1778 si impose un prestito sui canonici del capitolo di S. Giovanni di lire 200 da dividersi secondo i loro redditi. E sulla fine del 1798 il capitolo dei canonici fu soppresso ed i beni incamerati. La chiesa di S. Giacomo usata come caserma. Non mancavano al Bonaparte adulatori e cortigiani venali. I cittadini protestatari soppressi con le armi rimanevano invendicati, e paesi rumoreggianti come Binasco furono puniti; lo stesso arcivescovo di Milano costretto a far da paciere e a rendere operanti le leggi napoleoniche, anche dopo furiosi saccheggi come avvenne a Pavia. Napoleone inaugurò solennemente il 9 luglio 1797 la Repubblica Cisalpina, con una indipendenza più apparente che reale, ma anche con la Cisalpina continuò la sarabanda delle tasse e degli interventi pesanti su ogni pulito dell’amministrazione. E mentre Napoleone si trovava in Egitto, gli Alleati si erano organizzati ed avevano preso risolutamente l’iniziativa contro la Francia. Le vicende belliche si svolsero precipitosamente e con la battaglia di Cassano d’Adda del 27/28 aprile 1799 il generale barone de Melas entrava in Milano, accettato come liberatore. E come prima conseguenza religiosa furono ricostituiti i capitoli soppressi. Per ringraziamento i melegnanesi innalzarono al centro della piazza una statua di S. Giovanni, poi, nel 1806, riportata al fianco della chiesa perché ingombrava il mercato, e le fu affiancata una statua di S. Maurizio. In seguito le due statue furono portate nell’interno del giardinetto della chiesa quasi nascoste, dove si trovano attualmente. E anche la chiesa di S. Giacomo fu ribenedetta e riaperta al culto. La mano napoleonica su Melegnano Ma Napoleone tornò in Europa, e dopo 13 mesi di occupazione degli austro-russi, Milano ritornò sotto i Francesi il 2 giugno 1800 e pochi giorni dopo nominava la nuova municipalità escludendo i repubblicani più spinti; e fu ricostituita la Seconda Repubblica Cisalpina, e furono gli anni più dolorosi anche per Melegnano. Nel 1810 si ordinò la soppressione di tutti gli Ordini religiosi, con un editto firmato da Napoleone a Compiègne il 25 aprile: il decreto sopprimeva tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose eccetto gli ospitalieri e le suore di carità. Subito i delegati statali apposero i sigilli e i sequestri sugli archivi, le librerie, le casse e gli appartamenti religiosi. A Melegnano operavano quattro conventi: i frati Francescani Minori, che avevano la residenza dove funzionava la ditta Monti e Martini; i frati Cappuccini, che stavano dove ora vi è il cimitero al di là della via Emilia; le suore Orsoline, che si trovavano dove ora è la fine di via Cavour con la via Trento e Trieste, in zona S. Pietro; i Servi di Maria, che svolgevano l’impegno culturale, facendo scuola gratuita di italiano, geografia, calligrafia, storia, filosofia e scienze. Tutti e quattro i conventi furono chiusi e rimasero vuoti, spogliati dai mobili e da ogni suppellettile; disabitati, in solitario silenzio dopo secoli di vita e di opere; rimasero le mura, gli archi, i cortili e l’abbandono. Tutto passò al demanio, cioè nel complesso dei beni di proprietà dello stato napoleonico. Migliore fortuna ebbero le campane di S. Giovanni, che erano quattro: tre di esse dovevano scendere ed essere sacrificate per le requisizioni del bronzo per fare cannoni. Il prevosto Candia, da un suo fratello che era capitano dell’esercito napoleonico, aveva saputo che nella notte del 16 maggio 1811 Napoleone sarebbe passato da Melegnano proveniente da Lodi per recarsi a Milano, in forma privatissima. Il Candia fece preparare la chiesa tutta illuminata nell’interno, indossò con tutto il clero i paramenti più solenni, chiamò tutta la cittadinanza in chiesa a porte chiuse ed attese. Appena arrivò dal ponte del Lambro sulla piazza il cocchio imperiale, si spalancarono le porte della chiesa, uscì la solenne processione del clero melegnanese e di tutto il popolo con stendardi e con candelieri, e si diresse verso il cocchio di Napoleone: una scelta inusitata nella storia dei paesi. Il cocchio imperiale si fermò ed il Candia, solo, si avvicinò a Napoleone che lo accolse bene aprendo lo sportello. Si guardarono in faccia due uomini, Napoleone e Candia. Nessuno ha riportato le parole del loro breve colloquio; ma partendo Napoleone salutò più volte; le campane rimasero al loro posto per sempre; Melegnano non fu funestata. Il cocchio riprese a camminare sul selciato della strada principale; il popolo melegnanese che per alcuni istanti rimase muto mentre i due uomini si parlavano, si riversò in chiesa, cantando con esaltazione il Te Deum. Chissà se nella lontana isola di Sant’Elena, ricordando le sue memorie, Napoleone non abbia rivisto il volto dei melegnanesi al chiarore delle fiaccole in una notte del mese di maggio. Società - demografia - economia La rivoluzione francese e le direttive napoleoniche non lasciarono segni profondi nell’animo del popolo, cioè non lo cambiarono dalle sue impostazioni e dalla sua norma tradizionale, anche se in questi anni accaddero fatti clamorosi in Melegnano. I concetti di libertà, di fraternità e di uguaglianza, ed i principi rivoluzionari misti a violenze, le riforme della Cisalpina e di Napoleone non trovarono entusiasmo né facile accoglienza tra il popolo melegnanese. Alla fine del 1700 i melegnanesi, ancora più della metà, erano analfabeti, parecchi sapevano a malapena leggere, pochi avevano una discreta cultura e non era il caso di parlare di scuole medie. L’economia agricola influenzava la mente dei melegnanesi, un’economia tradizionale e quindi una accettazione delle idee tradizionali, sospettando di ogni novità. Inoltre era molto influente tra i melegnanesi della fine del 1700 la personalità del Candia, nativo di Melegnano, venuto alla luce il 3 maggio 1728, avendo come madre una donna di vecchia famiglia melegnanese, Giacinta Gallina, ordinato prete a Melegnano e parroco di Melegnano in giovane età, a 38 anni. Ed il Candia rappresentava la Chiesa Cattolica, rappresentava il cristianesimo umiliato, ed era il portavoce ed il seguace di quei papi che subivano persecuzioni dalla Rivoluzione, dalla Cisalpina e da Napoleone. Questi due grossi motivi, di economia tradizionalistica e di ammirazione per il Candia conservarono refrattari i melegnanesi alle novità rivoluzionarie della fine del 1700 e dell’inizio del 1800. Si aggiungano inoltre le ripercussioni delle tasse e dei tributi che erano continuamente nell’aria e che erano un argomento sempre antipatico per tutti, perché in ultima analisi il peso fiscale ricadeva sempre sul popolo: in un elenco dello stato finanziario melegnanese appariva che su ogni entrata di affitto vi era l’imposta per la Legione Lombarda, e già abbiamo detto del prestito forzato del 6 maggio del 1798 e della requisizione degli argenti della Chiesa, che nell’inventario risultavano composti da una lampada, tre bacili con una brocca, una croce con piedistallo, quattro busti dei papi, un ostensorio; e il popolo sapeva che questi argenti erano stati comperati oppure offerti da melegnanesi. Il 1700 si conclude con la situazione demografica seguente. Nel triennio 1797-98-99 vi sono 591 nascite, di cui 274 in Melegnano e 317 nelle cascine: Colturano (50), Gamborello (7), Pallavicina (4), Mezzano (17), Pedriano (15), Vecchiabbiolo (1), Maiocca (15), Riozzo (48), Fornaci (17), Giardino (9), Silva (1), Medica (4), Martina (3), Bertarella (4), Cattagna (Cattanea) (4), Brasca (2), Vizzolo (32), Calvenzano (12), Legorina (7), Montebuono (1), Griona (10), Sarmazzano (19), Bernarda (2), Molino di Sarmazzano (1), Santa Brera (10), Rocca (8), Crema (1), Rampina (1), Valle (3), Costigè (2), Cassinetta (1), Colombera (5), Maragna (1), con una percentuale del 46,3% dei nati in Melegnano e del 53,6% dei nati nelle cascine. E tra i nati si verifica il fenomeno di bambini non riconosciuti dai genitori o dalla madre. Difatti nel triennio citato noi troviamo 11 bambini, ognuno dei quali è cos’ registrato: « figlio di padre incerto esposto alla porta dei Padri di San Francesco...», oppure « figlio di padre incerto e di madre incerta esposto alla porta dei reverendi Padri Cappuccini... », oppure « figlio di padre incerto e di madre pure incerta esposto alla casa parrocchiale immediatamente vicina alla chiesa parrocchiale... », oppure « figlio di padre e madre non conosciuti esposto questa notte alla porta del convento de’ padri cappuccini subito fuori di questo borgo...», oppure « figlio esposto alla porta di questa chiesa...», «figlio di padre incerto esposto questa mattina avanti questa chiesa... » (si tratta della chiesa di San Giovanni Battista), oppure «figlia esposta questa mattina alla porta del convento di San Francesco... ». A provare la mobilità delle persone, dovuta, secondo noi, allo spostamento continuo dei contadini in cerca di posti migliori o mandati via dall’agricoltore, stanno le statistiche ricavate dal registro dei matrimoni della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista. Abbiamo scelto il triennio 1797-98-99 cioè gli anni che chiudono tutto il 1700, e si nota che avvennero 106 matrimoni di cui 41 con il marito di altri paesi (San Zenone, Milano, Vizzolo, Civesio, Molino di Mulazzano, Pedriano, Abbiategrasso, Chiari di Brescia, Mezzate, San Martino in Strada, San Martino Olearo, Pairana, San Giuliano, San Barbaziano, Cerro, Cervignano, Zeloforomagno, Bustighera, Mairago, Zorlesco, Landriano, Torrevecchia, Ozzeno, Casolate, Bollate, Pieve di Locate, Balbiano, San Donato, da alcuni di questi luoghi vennero più di un marito), per una percentuale del 38,6% venuti da fuori. Dai registri dei morti della parrocchia di San Giovanni ci vengono anche le indicazioni dei confronti relativi all’età di morte, dove si può notare che la situazione non è sostanzialmente cambiata dal 1600. Eccole: nati 638 morti:
Melegnano 598 famiglie con 1755 abitanti; Vizzolo e cascine fam. 93 con ab. 607; Pedriano fam. 51 con ab. 238; Mezzano fam. 34 con ab. 185; Santa Brera-Rocca-Rampina fam. 31 con ab. 185; Colturano fam. 70 con ab. 413; Riozzo fam. 89 con ab. 475. Accanto all’agricoltura vi erano piccole industrie di fabbricazione delle pelli e delle loro lavorazioni con sali ed acidi, in concorrenza con quelle di Pavia, Sant’Angelo, Monza, Gallarate, Saronno, e che tutte dovevano difendersi dalle importazioni dell’Irlanda. Funzionavano alcune filande per la lavorazione del cotone e del lino, che stavano vivendo tempi difficili ed in parte facili perché le filande in Milano introducevano nuove macchine per la lavorazione più celere, ma la manodopera costava di più per cui a Melegnano, a Belgioloso, Seregno e Sesto Calende si produceva con meno celerità. Ma il prodotto costava di meno perché gli operai e le operaie erano pagati con un salario più ridotto. Il mercato del giovedì commerciava ogni sorta di grani, i legumi e la linosa, lino in gran quantità, tele, refe e filo, panni ed altre merci; polli, burro, formaggio, maiali e cavalli. Nel 1791 fu progettato dalla corte di Vienna di estrarre dal Lambro una quantità d’acqua da unirsi ai Silleri lodigiani per irrigare più di 40.000 pertiche di terra, cominciando da Villanterio e Santa Cristina fino alle porte di Pavia. La spesa del cavo e degli edifici fu dai periti calcolata a meno di un milione di allora. Il prodotto del canone delle acque da concedersi con contratto ai possessori dei fondi era di lire 120. Il progetto fu ritenuto utile da tutti e fu anche applaudito, ma fu poi trascurato e dimenticato. Anche il sistema dei trasporti e delle comunicazioni era discusso relativamente alla nostra zona. Molti ponevano sul tappeto la discussione di un vecchio progetto di unire Milano e Pavia con un naviglio, come ne fu ideato uno tra Milano e Melegnano in cui il Lambro fu trovato suscettibile di navigazione fino al Po. Arte melegnanese del 1700 Nell architettura si impongono due edifici: la chiesa dei Servi e il Palazzo Brusati di Via Mazzini (attualmente ex palazzo Saronio). La chiesa dei Servi è stata costruita nel 1768, sull’area di una chiesa più antica. L’esterno si presenta con una facciata monocuspidata, a due ordini con struttura muraria in cotto e in parte intonacata. Sale con quattro lesene assai sporgenti, e le lesene superiori hanno la funzione di pilastri per sostenere un arco a tutto sesto. Al centro si apre un finestrone. L’edificio Brusati (da non confondere con quello più antico)si pone maestoso per il suo colonnato interno. Esso fu. costruito nel 1724 dirimpetto al convento delle Suore che da tempo avevano nei pressi il loro convento. Nella scultura si presenta la Madonna del Rosario, una statua lignea dorata e, policroma ,che si trova entro la nicchia nella cappella del Rosario in San Giovanni e che misura, metri 1,90; essa fu restaurata nel 1904 ed in tale occasione fu ,aggiunto il Bambino. E’ una notevole opera d’ignoto scultore locale del 1700, probabilmente della stessa scuola della statua di San Giuseppe che si trova nella chiesa del Carmine. La statua spicca per il suo manto dorato con stelle a rilievo, mentre la veste è scolpita a motivi floreali. Negli angoli della cappella del Sacro Cuore stanno le statue lignee dorate rappresentanti la Preghiera, la Fede, la Liberalità, la Pietà. Esse hanno mosse enfatiche con ampi e gonfi panneggiamenti. Opere, comunque, di scarso interesse artistico. Una notevole opera di oreficeria lombarda già con qualche elemento di gusto neoclassico è la Lampada in lamina d’argento sbalzata e cesellata. Ha forma svasata con bordura di contorno a foglie lanceolate; sul rigonfiamento vi sono tre teste di drago a tutto rilievo, da cui partono le catenelle. Il collo esile è ornato a baccellature ed ovoli. Nella chiesa di San Pietro esiste la statua dell’Ecce Homo, un Cristo coronato di spine, con barba e capelli naturali, che reclina il volto, a mani legate, recando un manto rosso sulle spalle. Proviene dal soppresso convento di Santa Maria della Misericordia. E’ una notevole opera di scultura popolaresca locale del 1700 che denota le non comuni possibilità espressive di scultori ed intagliatori in legno fioriti nel secolo 1600 e 1700 in Melegnano. Nella chiesa del Carmine vi è il Coro ligneo in noce, scolpito ed intagliato, ad un solo ordine di stalli (seggi per canonici). Gli stalli hanno il dossale (schienale) diritto diviso da lesene (pseudo pilastri con funzioni decorative) a foglie scolpite e teste di cherubini. Vi è la trabeazione (travatura) orizzontale alla sommità. I postergali (parti posteriori dei mobili) hanno specchi entro cui sono scolpite larghe foglie legate da nodi. Occupa tutta la parete del coro. E’ un’opera di mediocre interesse artistico, eseguita da ignoto intagliatore, con caratteri e gusto decorativi. Nella pittura si ricorda il Ritratto di Rosa Gramatica: la donna è in veste di terziaria francescana con soggolo e velo in capo, un pò di profilo e con la destra al petto. E’ un quadro appeso ad una parete della sagrestia. Proviene dalla soppressa chiesa di Santa Maria della Misericordia, donde venne qui trasferita dopo il 1810, data della soppressione. E’ un’opera di mediocre interesse artistico di ignoto pittore, eseguita dopo il 1739, data della morte di Rosa Gramatica. Reca la scritta « Rosa Gramatica a Melegnano - tertiaria S.P. Francisci - obiit in Domino Melegnani die XIII aprilis MDCCXXXIX - aetatis suae anno LIV ». La tela ha interesse iconografico e storico locale. Vi sono, inoltre, diversi quadri, nelle chiese, qua e là: ma il loro valore è piuttosto scarso tanto che non vale la pena, per il momento, farne una segnalazione. |
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