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Questa pagina è uno stimolo per tutti i miei amici e conoscenti che avessero dei “testi” belli da sottoporre agli sparuti visitatori di questo sito.

 

Il motto che Pierre De Coubertin ha ripreso dall'antichità per rifondare le moderne Olimpiadi (“Più veloce, più in alto, più forte”), può essere assunto a descrizione della nostra civiltà, tutta basata su questa proposta: “Cerca di andare sempre più veloce, di arrivare più in alto possibile, di essere più forte e competitivo dei tuoi avversari!”. Sono ben note e pesanti le conseguenze di questa impostazione di vita a livello internazionale e sociale, familiare e personale. All'inizio del terzo millennio, è giunto forse per tutti il momento di fermarsi, di rimettere in discussione quanto appare ovvio e di trovare nuovi punti di appoggio per risollevare questo pianeta stanco e le nostre esistenze disorientate.

Infatti, molti di noi oggi paiono vittime di una “pazzia contagiosa”: abbiamo ormai il fiato lungo e desideriamo sinceramente un diverso stile di vita. Che fare? Propongo semplicemente di capovolgere il motto di De Coubertin e di cominciare a vivere più adagio, più in profondità, più amabilmente. Può sembrare, a prima vista, un'indicazione irrilevante; credo invece si tratti di una grande sfida alla mentalità dominante. Se messa in pratica, tale provocazione si rivela capace di rinnovare tutto: ideali, obiettivi, metodi, scadenze. Il tema mi sembra talmente rilevante da meritare qualche approfondimento.

Ormai, in ogni settore del vivere, il piede sull'acceleratore è generalmente considerato il modo più adeguato per rispondere ai vari problemi. Si vive con la sensazione di un'insostenibile corsa contro il cronometro e con l'impressione finale di rimanere sempre arretrati rispetto alle tante urgenze, spesso fasulle perché imposte dal consumismo imperante. Di qui l'assurdo: nella società del tempo libero, nessuno ha più tempo.

In natura, il cammino della maturazione è lento: tra l'aratura, la semina e il raccolto passano vari mesi. Ogni frutto è sempre il dono di un'attesa paziente e operosa. Non è possibile “produrre in fretta” la maturazione umana e la crescita spirituale: le persone non sono oggetti! Un'amicizia non si costruisce in pochi minuti. “Non si conoscono”, dice la volpe al piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, “che le cose che si addomesticano”. Per addomesticare la propria mente e per far maturare il proprio cuore sono richiesti tempo, pazienza e vigilanza.

Il ritmo accelerato del cambiamento, la massa di informazioni in tempo reale e l'enorme gamma di possibilità dilatano la nostra esperienza in una misura che non ha paragoni con nessun'altra epoca della storia. Eppure, si avvertono alcune contraddizioni. Ad esempio, abbiamo tutto, ma niente ci appaga veramente; pianifichiamo tutto nella vita, eppure l'incertezza ci domina; conosciamo tante cose, ma non crediamo in niente; siamo sempre più attivi, ma ci ritroviamo sempre più superficiali! E l'elenco potrebbe continuare a lungo.

Anche qui, dovremmo imparare dalla natura. Le piante hanno una folta chioma e danno frutti succosi quando, dopo aver affondato le radici nel terreno fertile, fanno scorrere nel tronco la linfa vitale. Questa “linfa vitale”, per l'essere umano, è un sano e disintossicante prendersi tempo per riprendersi la propria anima. Si tratta di accedere al “tempo del cuore”, di arrivare cioè al centro del nostro io più autentico, a quella dimensione che consente di vedere, sentire, pensare e comunicare in profondità.

Sono convinta dell'utilità di introdurre nelle scuole lezioni di silenzio, di immobilità attiva, di ascolto di sé e dell'altro. Ritengo di fondamentale importanza iniziare a impostare un discorso sull'educazione emozionale e sullo sviluppo armonico dell'interiorità. È lavorando sull'interiorità, nel profondo, e non tanto stimolando dal di fuori, che si possono formare persone nuove. Questa è anche la grande intuizione del messaggio religioso e sapienziale.

Proprio dal punto di vista della capacità di dialogo, stiamo attraversando, in Occidente, un periodo di barbarie. Si è diffusa una mentalità di efficientismo, competizione e individualismo, per cui l'ideale consiste nell'essere “più” in ogni campo. Questo genera nei rapporti interpersonali il sospetto e la paura, il giudizio e la durezza. È in aumento la sfiducia nel confronto, diminuisce la ricerca del consiglio, cala l'umiltà di chiedere aiuto, come se ognuno dovesse e potesse “farsi da solo”. Il risultato è che, nelle relazioni, aumentano il “freddo”, l'indifferenza e l'insofferenza. Invece che una risorsa e uno stimolo, l'altro rischia di essere considerato un disturbo e un pericolo. E si afferma una convivenza caratterizzata da discorsi convenzionali, pratiche burocratiche e modelli stereotipati.

Il segno della maturità di una persona consiste invece nel rendersi amabile, nel diventare “attraente”, nel costruire legami improntati alla fiducia, alla benevolenza e alla condivisione. Anche per il futuro, la qualità della vita non potrà migliorare senza il recupero del rispetto e della tenerezza, della gratuità e del calore umano. Soltanto l'amore previene e crea sintonia, spiana la via della verità e diffonde gioia.

C'è una quarta direzione verso cui tendere. Alzare lo sguardo al Mistero che ci sovrasta. È la dimensione spirituale, quella che tutto fonda e racchiude: il suo oscuramento è la causa principale della crisi del nostro tempo. È forse un caso che, in natura, ogni cosa si orienti verso l'alto, alla ricerca della luce?

Per tante persone, in questi anni, l'orizzonte ultimo si è andato abbassando e rimpicciolendo; la difficoltà vera sta nell'avere il coraggio di intravederne un altro di là di quello conosciuto, di aprire uno spiraglio affinché il senso del sacro e del Mistero torni a vivificare i nostri giorni. Nella tradizione ebraica, l'anno giubilare era finalizzato a rimettere Dio al centro della propria vita di popolo, di famiglia e di individuo. Il Mistero del tempo era pubblicamente riproposto attraverso un periodo di intensa spiritualità, segnata dal riposo esteriore e dall'armonia interiore, perché tutti potessero avere l'opportunità di ri-generarsi e ri-sanare rapporti inquinati dell'egoismo. Quella del Grande Giubileo è un'occasione preziosa, offerta al nostro mondo “grigio e freddo”. Ripercorrendo la vicenda di Momo, narrata nel noto romanzo di Michael Ende, le nuove generazioni potranno evitare quegli scogli pericolosi sui quali tanti adulti oggi si stanno arenando.

Susanna Tamaro

 

L'amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un'attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona con il mondo, non verso un "oggetto" d'amore. Se una persona ama solo un'altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo portato all'eccesso. Eppure la maggior parte della gente crede che l'amore sia costituito dall'oggetto, non dalla facoltà di amare. Infatti, essi credono perfino che sia prova dell'intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona "amata". Questo è lo stesso errore di cui abbiamo già parlato prima. Poiché non si vede che l'amore è un'attività, un potere dell'anima, si ritiene che basti trovare l'oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé. Questa teoria può essere paragonata a quella dell'uomo che vuole dipingere ma che, anziché imparare l'arte, sostiene che deve solo aspettare l'oggetto adatto, e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato. Se amassi veramente una persona, amerei il mondo, amerei la vita. Se posso dire a un altro "ti amo", devo essere in grado di dire "amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso".

 
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