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Storie ai minimi termini, ossia storie ridotte all’osso. Forse ancora qualcosa di meno delle short stories americane. Non chiedono di più dei cinque minuti di spazio tra un vissuto e un altro, esauriscono quello che hanno da dire prima che vi alziate dalla tazza, prima che vi venga sonno, un istante prima della noia.
Dei giocattoli apparentemente: divertenti, tragici, veloci, lapidari. Ma se provate a leggerle queste storie e a rileggerle tutte insieme vi si svelerà il disegno complessivo. Personaggi che combattono la realtà, che varcano le soglie del surreale, eroi o anti-eroi a secondo dei punti di vista. Di questi molti che vivono nella mente di Frank vedrete gioie, fallimenti, slanci, sogni.
Fuori da ogni psicologismo, però. Su tutto lo sguardo di Frank Solitario, disilluso, ironico, a volte ferocemente amorale. Seguitelo.
Gordiano Lupi - Direttore Editoriale
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Biografia breve di Frank Solitario
Frank Solitario nasce a 30 anni, uomo bianco ma non troppo, razza indoeuropea.
Lavora nei sotteranei di un alimentari scarica prosciutti e imballa panettoni nella fase più prolifica della sua ispirazione narrativa. Brevi, brevissime le esperienze in ruoli di responsabilità, incapace di resistere a dire quello che pensa: “Porco” ad un porco, “Isterica” all’isterica, “Zoppo” allo zoppo.
Ma Frank è stato maestro di tennis, semiotico, giornalista, rappresentante di opere d’arte, ama il Boemo, legge Ellroy-Bukowski-Kafka-Dostoevskij-Calvino, custodisce il culto di Lynch ai limiti della liturgia, ma fa la spesa, omofobo con una latente omosessualità, sessista, maschilista, è lo scrittore di sinistra più amato dal pubblico di destra, presa singolarmente ama l’umanità, sempre che si mantenga a distanza di sicurezza.
Giratevi il libro tra le mani.
Ci sono forse quattro righe noleggiate da Baricco o una ricetta siciliana segreta di Camilleri, gli isterismi di Busi o di Pinketts in quarta di copertina? Nossignore.
Frank non è nessuno.
Estratto dal libro
Inaccettabile
J.C.S. non era più così sicuro che accettare quel lavoro fosse stata una buona idea.
Si trovava in quella posizione da oltre due ore.
Soffrire, soffriva.
Poteva leggere sotto i suoi piedi: “Accettate ancora questo? Allora non comprate…”
Più sotto non riusciva a leggere.
Gli avevano detto che era un lavoro duro, che ci sarebbe stato da faticare.
Passò un uomo calvo, sui sessanta, occhi rancorosi, piccoli, barba rossa. Gli sputò; forse per vedere se si muoveva, se aveva qualche reazione.
Rimase immobile.
Come da contratto.
Se ne andò dopo alcuni secondi deluso e anche un po’contrariato.
Non è che gli avessero dato poi tanta importanza fino a quel momento.
Un moccioso lo aveva guardato per qualche istante, ma niente di più.
Le macchine ferme al semaforo contenevano tutte le stesse facce: esauste, stressate, stanche. Non vedevano l’ora di tornare a casa.
Questa nuova trovata pubblicitaria non era in grado di attirare la loro attenzione.
Provò a cambiare posizione; magari mettendo le gambe di lato sarebbe stato più comodo e con un’espressione più provata e sofferente le cose sarebbero andate in modo diverso.
Niente: non riusciva a muoversi.
I chiodi, sebbene arrugginiti, fissavano mani e piedi. Il sangue si era rappreso intorno al palmo di ciascuna mano; la sinistra non si sarebbe tenuta a lungo.
Meglio era stato fatto nel fissare i piedi, uno sopra all’altro.
Era estate, faceva caldo, d’accordo; ma lasciarlo lì solo con un panno a fasciargli il pube era stata un’esagerazione.
Lo stavano monitorando; forse non stava facendo un buon lavoro, non lo avrebbero pagato la cifra concordata alla fine della giornata.
Gli avevano detto: “Metà subito, il resto alla fine, se avrai svolto il lavoro con il massimo impegno e profitto”.
J.C. maledisse il momento in cui aveva sottolineato con l’evidenziatore quell’annuncio di lavoro. Sembravano gente seria, la paga promessa era sostanziosa.
Cercavano uno tra i trenta e i trentacinque anni, possibilmente con barba e capelli lunghi; non c’erano altre indicazioni.
Poi nel colloquio gli avevano spiegato le qualità richieste.
La persona che stavano cercando doveva sapere relazionarsi con gli altri, avere molta pazienza, non rispondere alle provocazioni; soprattutto avere buone capacità di resistenza.
Per questo forse avevano scelto lui; ma, invero, non è che si fosse presentata così tanta gente.
Si era quasi addormentato, quando sentì una voce: “Le cose non stanno andando affatto bene...la gente non si ferma, mettici un po’ più di pathos”.
Era l’uomo che gli aveva fatto il colloquio, il responsabile dell’area marketing.
Quarant’anni circa, vestito blu elegante, occhiali rotondi e sottili, mocassini neri lucidi.
Aveva al collo una ricetrasmittente.
L’apparecchio gracchiò. L’uomo si allontanò qualche metro a confabulare.
Lo sentì dire: “Purtroppo le cose non stanno andando come preventivato, ma abbiamo sempre il piano di riserva… Come dice signore? Di che si tratta? Beh, non si preoccupi, vedrà che adesso funzionerà…”
L’uomo fece un'altra chiamata: “Produzione? Sì, sono io… mandatemi il centurione, con la troupe… sì, ci sono problemi… il ragazzo qui non sta andando granché…”
Dopo cinque minuti vide arrivare un piccolo furgone.
Ormai era allo stremo delle forze.
Sistemarono l’impianto delle luci.
Già qualcuno si cominciò a voltare verso di lui con aria interrogativa; i passanti sembravano recepire. Molti guidatori non riuscivano a distogliere lo sguardo; si formò una gran coda. Anche quando il semaforo era verde, le macchine non ripartivano.
Vide arrivare un omone grosso, muscoloso, vestito da antico romano; era armato di tutto punto, aveva una splendida lancia rilucente nella mano destra e uno scudo bronzeo nella sinistra.
Si fermò ai piedi del cartellone pubblicitario; intinse una spugna in un catino e poi gliela avvicinò alle labbra. Aceto.
Indietreggiò di alcuni passi, si voltò verso l’uomo della produzione, poi verso il pubblico di astanti.
Tutti erano rapiti dalla scena.
L’uomo gli fece segno “O.K.”.
Inarcò al massimo il braccio destro e dopo alcuni secondi scagliò la lancia contro di lui.
Si sentì trapassare di netto all’altezza di un fianco.
La punta si piantò nella struttura di sostegno.
La gente si lasciò andare ad un “Ooooohhh!” di stupore, misto a disappunto.
Il pubblicitario venne percorso da un lungo interminabile orgasmo; il suo corpo era attraversato da fremiti.
Fu questo il momento esatto in cui tutti fissarono in modo indelebile nella loro memoria il nome di quel prodotto.
Come diceva la scritta, nessuno avrebbe potuto accettare tutto ciò.
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