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Silvio
Berlusconi: l'Italia è stanca, ridiamole energia /
Intervista a Inter@zione Ti proponiamo l'intervista al leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, pubblicata sul numero 6 di Inter@zione, il settimanale web di Ideazione Onorevole Berlusconi, chiusa la lunga trattativa per la definizione delle alleanze, Forza Italia si presenta insieme ad An, Lega, Ccd e Cdu. Qual è l'identità politica che caratterizza il Polo? Nel corso di questi mesi abbiamo lavorato per mettere in campo un largo schieramento politico e sociale, quello che abbiamo chiamato "La casa delle libertà" nella consapevolezza che, partendo dal Polo, bisogna andare "oltre il Polo" e aggregare tutte le forze politiche e sociali che sono emarginate e respinte dall'arroganza del potere espressa dai post-comunisti del Pci-Pds-Ds. Infatti nel nostro Paese sta avvenendo qualcosa di molto grave e preoccupante: un partito del 17-18%, erede del Pci, sta occupando tutte le leve del potere utilizzando in primo luogo le procure politicizzate e trattando i partiti alleati come subalterni che devono solo ubbidire e tacere in cambio di qualche sistemazione secondaria. Quello che sta avvenendo alla Regione Campania è emblematico di una situazione più generale. Ancora più significativo è quello che è avvenuto nell'economia e nella società italiana nel corso di questi anni, quando i governi di centro-sinistra hanno sviluppato una politica economica che, privilegiando l'intesa corporativa tra sindacati e pochi grandi gruppi industriali e finanziari, ha colpito il ceto medio e le piccole e medie imprese. In una situazione di questo tipo Forza Italia deve diventare il punto di riferimento essenziale di tutta quella vasta area di centro che non intende piegarsi all'egemonia dei post-comunisti. Forza Italia è una forza politica nuova, che è nata come risposta politica alla "falsa rivoluzione" del '92 - '94, e ha aggregato insieme sia personalità e settori della società civile che mai si erano impegnati in politica, sia quadri ed elettori che sostenevano i tradizionali partiti di governo (la Dc, il Psi, il Psdi, il Pli, il Pri) che, pur fra errori e contraddizioni, hanno assicurato al Paese 50 anni di democrazia e di benessere. In una situazione caratterizzata tuttora da una legge maggioritaria, e anche da una crescente frammentazione politico-partitica, Forza Italia intende dare espressione e rappresentanza politica all'Italia dei moderati. Nella storia di questo Paese i moderati sono stati i cattolici-liberali, i laici-liberisti, i socialisti riformisti e autonomisti. Ognuna di queste forze è stata spesso in difficoltà o in minoranza nelle originarie aree di appartenenza. Così i cattolici liberali, da Sturzo a De Gasperi, sono stati storicamente contestati prima dai clerico-fascisti poi dai cattolici integralisti alla Dossetti e dai catto-comunisti; i laici-liberisti sono stati contestati dai laici-dirigisti subalterni al Pci; i socialisti riformisti prima sono stati messi in minoranza dai massimalisti, e poi dai frontisti: Saragat, Nenni dopo il 1956, e poi Bettino Craxi, hanno dato espressione politica al socialismo autonomista. Ebbene, Forza Italia, per condurre la sua battaglia di libertà dal 1994, ha fatto i conti con tutte queste storie e i valori sottostanti, e mira adesso ad essere il grande partito di centro, la formazione politica dei moderati, terreno d'incontro, appunto, di storie e valori anche diversi, ma non conflittuali. Infatti ciò che unifica non solo Forza Italia, non solo il Polo, ma la "Casa delle libertà", è appunto ciò che Benedetto Croce chiamò la "religione della libertà": il valore che in un certo senso trascende e invera tutte le ideologie e le storie politiche delle forze democratiche. E di questa "religione della libertà", di una grande battaglia in suo nome, c'è oggi bisogno nel momento in cui emergono forti tendenze autoritarie di regime. Forza Italia è un partito popolare, pluralista dal punto di vista culturale e sociale, è il partito dei ceti medi, dei professionisti, dei piccoli imprenditori, dei titolari delle partite Iva ma anche dei giovani, dei disoccupati. Forza Italia non è il partito dei grandi gruppi industriali e finanziari: essi preferiscono allearsi con chi ha il potere politico e giudiziario. I radicali oggi vi accusano di essere l'altra faccia di una stessa medaglia conservatrice: da un lato i Ds, dall'altro il Polo guidato da Forza Italia. Quali sono state le regioni del naufragio dell'intesa con Pannella? La realtà sociale espressa e riassunta da Forza Italia, dal Polo, dalla stessa Lega, è fortemente radicata nel territorio, a partire da molti distretti industriali fatti da piccole imprese e da artigiani, ma non è affatto chiusa alla nuova economia, al nuovo individualismo, all'innovazione. Anche per questo avevamo cercato l'alleanza pure con i radicali perché alcune posizioni programmatiche di fondo risultano comuni. Purtroppo i radicali, al di là di ciò che esprimono sul piano programmatico-politico, sono poi dominati da un padre-padrone il cui narcisismo contraddice ogni possibilità di alleanza e di scelta politica seria e autentica. Per quel padre-padrone tutto diventa gioco e spot funzionale al suo protagonismo personale. Proprio in seguito a questo vizio narcisista ed egoista dal 1992 a oggi Pannella, malgrado la sua ripetuta affermazione di essere liberale e liberista, garantista e libertario, è mancato all'appello quando si è trattato di condurre fondamentali battaglie contro l'uso politico della giustizia, contro la tentazione e la tendenza dei post-comunisti di avviarci lentamente ma inesorabilmente sulla china di un autentico regime. Adesso Pannella, dopo essersi guadagnato 30 giorni di pubblicità attraverso il confronto con il Polo, afferma che le posizioni tra i due poli sono simili, fungibili ed entrambe da sconfiggere. Addirittura afferma che impedirà "a questa destra di vincere". In questo modo Pannella dà una rappresentazione mistificata e caricaturale dello scontro politico in Italia e rischia di diventare l'utile idiota dei post-comunisti. Forza Italia, il Polo, la "Casa delle libertà", costituiscono la grande area politica e sociale dei moderati, dei riformisti, dei garantisti, dei liberisti, contrapposti ai post-comunisti, ai paleo-comunisti, ai giustizialisti e ai dirigisti-statalisti. Fra queste due scelte non c'è una terza via o una terza forza. Ci può essere solo qualche mediocre imbroglio retorico o trasformista. Si vota per rinnovare le 15 Regioni a statuto ordinario. E' un'occasione per definire e rilanciare il progetto federalista. In cosa consiste e come si realizzerà concretamente questo progetto nelle Regioni in cui vincerà il Polo? La legislatura che si apre con le elezioni del 16 aprile è l'occasione per varare una profonda e radicale riforma dello Stato in senso federalistico. Il principio, che il Polo sostiene da sempre, è quello della sussidiarietà: assegnate allo Stato centrale le materie che gli competono (la politica estera, la difesa, la giustizia, le grandi infrastrutture nazionali, frutto di una programmazione centrale), alle nuove autonomie regionali sarà assegnato il resto: l'agricoltura, la sanità, la scuola, la formazione professionale, ma anche la politica fiscale nel senso che il prelievo e la spesa debbono essere vicine ai cittadini, laddove si producono le risorse. Fatta salva quella parte del gettito fiscale che serve alla politica dello Stato centrale, e a un fondo di solidarietà, o di perequazione, da assegnare alle Regioni economicamente più svantaggiate, il resto deve essere amministrato dalle Regioni che lo producono e sottoposto a controllo ravvicinato da parte dei cittadini, ai quali deve essere demandato il giudizio sulla corrispondenza fra le risorse messe a disposizione delle amministrazioni e i servizi dei quali sono chiamati a fruire. E' questo lo schema di massima, basato sulla "devoluzione", che prevede una riforma radicale nel senso che capovolge quel che è avvenuto finora: i poteri delle Regioni o delle nuove autonomie federali non costituiscono né un decentramento dei poteri dello Stato, né vengono costituite sulla base dei poteri che lo Stato assegna alle periferie. Il procedimento è l'inverso: si fissano quei poteri, come per l'appunto la politica estera o quella della difesa, che non possono essere gestiti se non dallo Stato nazionale e centrale. Il resto è lasciato, o restituito alle Regioni, che - definizioni nominalistiche a parte - finiscono per governarsi da sole. Oltre alle politiche fiscali, la devolution potrebbe riguardare anche il tema dell'ordine pubblico così avvertito dai cittadini? In questo senso, anche alcune attribuzioni che riguardano l'ordine pubblico dovrebbero essere assegnate alle Regioni: per esempio, la repressione dei reati cosiddetti minori, che però sono quelli che rendono più difficile e tormentata la vita dei cittadini, e dei più deboli fra loro. Alle Regioni dovrebbero essere assegnate anche parte delle forze di polizia, quelle da impiegare per un miglior controllo del territorio. In questo quadro, per esempio, nelle grandi città dovrebbe essere istituita finalmente la figura del poliziotto di strada, o di quartiere, l'unico filtro possibile non solo per la repressione di attività criminali che hanno la loro base sul territorio, ma anche per la prevenzione dei reati. Si pensi alla funzione che questo tipo di tutori dell'ordine può avere nel collegamento con le famiglie, con la scuola, per impedire, reprimere ma anche prevenire i reati legati allo spaccio e all'uso di droga. Si può e si deve anche, nel quadro di una efficace politica di repressione del crimine, fatta salva naturalmente l'autonomia della magistratura, orientare l'opera della Giustizia sul territorio tenendo conto delle esigenze e del bisogno di sicurezza delle diverse comunità, lasciando allo Stato le strategie che riguardano la lotta contro la criminalità organizzata, che richiede una articolazione più vasta e in collegamento con l'area europea e mondiale, giacché se c'è in atto una globalizzazione dell'economia e degli scambi ce n'è un'altra dell'attività criminale. Si pensi soltanto al traffico della droga e delle armi, all'operato dei diversi servizi, per tacere dei pericoli che il terrorismo internazionale fa gravare sul nostro Paese come sull'intero scenario mondiale. Una riforma in senso federalista dello Stato come quella disegnata dal Polo, e che risponde a esigenze comuni anche a Regioni che abbiano un colore diverso, può avviare quella trasformazione profonda dell'organizzazione dello Stato, e delle sue amministrazioni, che il Paese avverte come esigenza primaria. Una amministrazione più vicina ai cittadini; governanti che rispondano direttamente alle comunità; che siano chiamati a rispondere in modo più diretto del prelievo e dell'uso delle risorse: tutto ciò non può che giovare a una società che chiede solo minori vincoli, più opportunità per crescere, per produrre ricchezza, posti di lavoro, servizi adeguati ai sacrifici che si richiedono ai cittadini. Ai quali viene affidato un compito di controllo assai più pressante di quello che può essere esercitato su una realtà così lontana, e inafferrabile quale è oggi quella di uno Stato centrale. E' questa una concezione democratica dello Stato, e del ruolo fra amministrazione e cittadini, un tema al quale il Polo delle Libertà e Forza Italia hanno dedicato un'attenzione costante e approfondita. Gli Stati Uniti veleggiano sull'onda della nuova economia: globalizzazione dei mercati da un lato e localizzazione regionale delle iniziative dall'altro. Di fronte ai ritardi dell'Italia, quali riforme strutturali dell'economia proporrete in questa campagna elettorale? La "new economy" è molto più di questo. Essa deve la sua forza al fatto che il luogo nel quale è nata e sta crescendo si chiama Internet, che è un mezzo rivoluzionario perché consente il passaggio in tempo reale delle idee e delle informazioni commerciali da una parte all'altra del globo. Ma un Paese, per cogliere questa opportunità, deve disporre di uomini, di imprese e di infrastrutture capaci di sfruttare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Oggi più che mai essere competitivi significa saper dominare e controllare queste nuove tecnologie. La sinistra italiana tutto questo non l'ha capito. Non ha adottato alcuna politica seria capace di incentivare lo sviluppo di Internet e del commercio elettronico. Non ha compreso che è qui che si gioca il futuro dell'Italia. Il ritardo italiano è grave. Le tariffe telefoniche rimangono tra le più alte d'Europa, anche a causa del monopolio delle telefonate urbane, che è durato sino a pochi mesi fa; la vera liberalizzazione della rete telefonica fissa è ancora lontana; la pubblica amministrazione italiana continua nei fatti a ignorare l'esistenza della posta elettronica e della certificazione digitale, costringendoci a fare la fila negli uffici e nei ministeri. L'Italia dispone di sole 26 milioni di linee telefoniche. Il Regno Unito, che ha una popolazione paragonabile alla nostra, ne ha 33 milioni; la Francia 34 e la Germania 36. E questo divario tende ad allargarsi. Secondo l'Osservatorio Internet dell'università Bocconi più di 40 dei 48 milioni degli italiani al di sopra dei quindici anni non hanno mai "navigato" in rete. E secondo quanto riportato dal rapporto della Confindustria sulla competitività, nell'indicatore relativo alla dotazione di capitale umano e allo sviluppo tecnologico, l'Italia figura al terzultimo posto tra i paesi che partecipano all'Euro. La verità è che, al di là dei suoi proclami, la sinistra italiana ha un codice genetico profondamente statalista e guarda con timore e diffidenza la nuova frontiera di libertà che i cittadini si stanno conquistando grazie a Internet. Quali le proposte concrete? Servono misure incisive, da realizzare in tempi brevi. Forza Italia sta lavorando ad un progetto concreto e fattibile per restituire competitività al paese e a chi vi lavora. Posso dire sin da ora che, una volta che il Polo delle Libertà sarà chiamato al governo dagli elettori, introdurremo la completa deducibilità fiscale di ogni investimento in hardware e software eseguito dalle imprese per espandere la propria attività nel commercio elettronico e nelle attività "on-line". La creazione di sistemi di comunicazione digitale veloci, efficienti e a costi d'accesso vantaggiosi rappresenta oggi, per l'Italia, quello che negli anni Cinquanta sono state le costruzioni delle autostrade e dei distributori di benzina. Oggi il sistema produttivo nazionale ha bisogno di infrastrutture di telecomunicazioni a larga banda, capaci di operare a velocità di gran lunga superiore a quella attuale. Gli altri Paesi europei sono più avanti di noi. Tra le prime cose che un governo dovrebbe fare, e che la sinistra italiana non sa fare, c'è proprio l'attivazione di meccanismi di mercato e l'introduzione di incentivi fiscali che incoraggino i gestori delle reti a fornire il nostro paese di un'ossatura a larga banda. E per dare non solo ai giovani, ma a tutti i lavoratori, la capacità di confrontarsi con le nuove tecnologie, introdurremo profonde revisioni nei meccanismi della formazione, che oggi è un sistema clientelare, fonte di sprechi. La formazione che vogliamo prevede un aggiornamento continuo, lungo tutto l'arco della vita lavorativa, sia per coloro che sono occupati sia, a maggior ragione, per coloro che un lavoro lo stanno cercando. A differenza della sinistra, siamo convinti infatti che investire negli italiani, nelle loro intelligenze e capacità, sia il migliore progetto che un sistema-paese può fare. D'altronde, new economy a parte, l'talia è in affanno anche nei settori tradizionali. Come pensate di segnare la discontinuità rispetto a'attuale governo? L'economia italiana è segnata tuttora da forti elementi negativi che la collocano in una posizione di retroguardia rispetto a molti altri Paesi europei: un più alto tasso di inflazione, una più elevata disoccupazione, una fortissima pressione fiscale. Inflazione e carichi fiscali rischiano di strangolare la nostra economia. L'Italia è entrata in Europa senza aver compiuto la rivoluzione reaganiana e tatcheriana. Allora per rientrare, sia pure a stento, nei parametri di Maastricht i governi italiani hanno dovuto ricorrere allo strumento fiscale, che, però, ha compresso la crescita e l'occupazione. Allora la via maestra è molto semplice a dirsi, ma è molto difficile a farsi perché implica lo smantellamento delle bardature sindacali, corporative e amministrative: bisogna intervenire sui meccanismi di spesa per ridurre il deficit e, conseguentemente, diminuire la pressione fiscale per riprendere lo sviluppo degli investimenti. Contemporaneamente occorre realizzare le riforme che riguardano la flessibilità del lavoro e portare a compimento quelle grandi opere pubbliche contenute nelle proposte di legge che abbiamo presentato. Le Regionali sono una tappa importante in vista delle politiche del 2001. E' lì che si giocherà la partita decisiva per il governo del paese. Come pensa di lavorare per predisporre una squadra di governo vincente e un'ampia alleanza politica in grado di supportarla? Già con le aggregazioni realizzate in occasione di questa campagna elettorale per le Regionali abbiamo dato la dimostrazione di voler andare oltre il Polo e di costruire un arco di alleanze molto vasto. A questo proposito voglio sottolineare che sia oggi, sia per le elezioni politiche del 2001, noi intendiamo muoverci in due direzioni. Il primo problema è quello di interessare e di coinvolgere nell'attività politica, a partire dal voto, quei milioni di cittadini che si sono allontanati da ogni interesse per l'attività politica, che si astengono, che non partecipano al voto. Purtroppo c'è una frantumazione di movimenti e partitini che non avvicina, ma anzi allontana dall'impegno politico. Per di più i provvedimenti presi dal governo e dalla maggioranza contro l'opposizione, quali la "par condicio", riducendo la comunicazione politica a un contenitore nel quale si sommano confusamente tutti i messaggi, contribuiranno ad allontanare ulteriormente i cittadini dall'interesse per la politica. Per parte nostra faremo di tutto, con le nostre proposte politiche e programmatiche, con la nostra battaglia politica generale per coinvolgere gli italiani sul piano politico. Spesso, infatti, le operazioni autoritarie e di regime sorgono e si sviluppano perché una parte significativa di cittadini è indifferente o non ha compreso quale è la posta in gioco. Proprio perché noi riteniamo che i pericoli corsi dalla libertà nel nostro paese sono molto rilevanti, faremo di tutto per combattere l'astensionismo e l'indifferenza verso la politica. In questo quadro dobbiamo anche aggiungere che siamo appena all'inizio nella costruzione di una grande "Casa delle libertà". Infatti noi pensiamo che, di fronte all'arroganza dei post-comunisti e anche alla loro incapacità di governare, anche settori del mondo cattolico e dell'area laico-socialista che, dopo la crisi del '94, si sono ritirati da un'esplicita militanza politica o che si sono dislocati in partiti come il Ppi, lo Sdi o altre formazioni politiche che appoggiano l'attuale centro-sinistra, adesso non possono non fare i conti con l'involuzione politica in atto. I Ds attaccano frontalmente e criminalizzano la grande formazione politica di centro che è Forza Italia perché accettano solo centristi minoritari e divisi, a essi subalterni. La condizione di significative componenti cattoliche e laico socialiste sta diventando addirittura imbarazzante per le umiliazioni che sta infliggendo loro un partito che non va oltre il 17 - 18% dell'elettorato, ma controlla tutte le leve del potere e non esita ad utilizzare spregiudicatamente le armi della prevaricazione e del ricatto. Proprio perché convinti che le elezioni del 2001 saranno decisive per conquistare o perdere libertà sostanziali noi siamo impegnati a costruire un grande e pluralistico centro, alleato con la destra democratica di An, per offrire un'alternativa credibile. In questo quadro intendiamo rivolgerci sia ai cittadini sia alle classi dirigenti di questo Paese con un programma teso alla modernizzazione dell'Italia e alla piena riconquista dello Stato di diritto. Siamo solo all'inizio della costruzione della "Casa delle libertà". Come ho già avuto occasione di dire, in coerenza con il nostro programma, prima delle prossime elezioni politiche proporremo anche la squadra che comporrà il nuovo governo in modo da offrire il massimo di credibilità e di trasparenza. 7 marzo 2000 |