RELAZIONE MENTE-CORPO

NELLO YOGA CLASSICO

Per rispondere a questa affascinante domanda dobbiamo prima di tutto chiederci che cosa significa il termine Yoga, per verificare poi quali tecniche sia necessario sviluppare per un corretto utilizzo del corpo, della mente e pervenire a comprendere quale relazione venga a stabilirsi tra le due entità.

Esistono molti tipi di Yoga, che seguono strade diverse, per ricercare ed ottenere lo stresso risultato, anche se in realtà ogni serio ricercatore spirituale integra nella propria pratica parte delle tecniche delle varie discipline, che diventano quindi intercomunicanti.

Lo Yoga più conosciunto è lo Yoga Classico, o Raja Yoga o Asthanga Yoga.

Yoga Sutra, scritto da Patanjali all’incirca 2.000 anni fa, è il testo nel quale è stato presentato in maniera sistematica lo Yoga.

In 195 sintetici aforismi scritti in sanscrito è stato codificato lo Yoga, una disciplina di noi stessi, che era allora, come oggi del resto, praticata e diffusa.

Patanjali quindi non come inventore di una nuova via esoterica, metafisica, ma colui che ci ha trasmesso una sintesi di una profondità filosofica incredibile, a tutt’oggi insuperata.

Gli Yoga Sutra rappresentano ancora oggi il testo che deve essere studiato per chi si avvicina allo Yoga e i vari manuali, che il mondo editoriale in continuazione propone, gli rendono continuamente merito, inserendo le citazioni che i vari autori ritengono significative per dimostrare le loro opinioni o per renderle più autorevoli.

Yoga significa unione; unione del Sè individuale con la Coscienza Universale.

Per Sè possono essere utilizzati vari sinonimi quali anima, purusha, atman, drashtuh ed allo stesso modo per Coscienza universale possiamo intendere Dio, Anima universale, Macrocosmo, Ishvara.

Per molti lo Yoga è quella strana ginnastica nella quale i praticanti riescono a realizzare strani e stravaganti contorcimenti.

Vediamo allora come Patanjali definisce lo Yoga:

"yoga citta vritti nirodhah", lo Yoga è perfetto controllo delle attività mentali.

Il perfetto controllo significa completa diminuzione di attività propria della mente, per pervenire al blocco, all’arresto, entrando in una dimensione di silenzio.

Con la mente appare quindi chiaro che non riusciremo a trovare risposta ai perchè dell’esistenza.

Per lo Yoga la mente appartiene al mondo della materia, quindi ad un livello grossolano.

Vediamo allora cosa rappresenta il corpo per la pratica dello yoga.

Il ruolo del corpo spesso è stato enfatizzato, particolarmente in Occidente, fino a identificare le posizioni (asana) con lo Yoga.

Lo Yoga è disciplina pratica interiorizzata che coinvolge l’individuo nella sua globalità, includendo le relazioni con gli altri, Yama o indicazioni etico-morali; è una trasformazioni lenta graduale di noi stessi tesa a conquistare uno stato dell’essere che permetta di raggiungere lo scopo dello Yoga: tad drastuh swarupe avasthanam (allora l’anima si manifesta nella propria autentica essenza).

Quando ci avviciniamo ad una palestra o siamo attirati da qualche disciplina particolare ricerchiamo un benessere fisico, possibilmente accompagnato da calma e serenità, in grado quindi di attenuare lo stress e le tensioni.

Ecco quindi che in tutti i centri nei quali si pratica Yoga, inizialmente si richiede di praticare a livello fisico, trasformando lo yoga in una ginnastica dolce, o utilizzandolo come yoga-terapia per intervenire su squilibri fisici o psichici.

Torniamo alla tradizione e vediamo allora come lo yoga fisico debba essere praticato per capirne i meccanismi e per chiarire la relazione corpo-mente che è l’assunto che dobbiamo dimostrare.

Asana è innanzitutto prayatna saithilya (assenza di sforzo); è un concetto per noi difficile in quanto siamo sempre tentati di approfondire forzando, utilizzando energie fisiche e mentali, entrando in competizione con gli altri e con noi stessi, per dimostrare le nostre capacità acquisite.

Questo ostacolo mentale è particolarmente presente se dobbiamo raggiungere posizioni difficili, complesse, dove abbiamo paura di farci male e che vanno al di là delle nostre condizioni fisiche del momento.

Rispettare i nostri limiti, dopo averli individuati, ci aiuta a conoscerci meglio e poi a capire che la profondità della posizione, per essere mantenuta, necessita di rilassamento, proprio per impedire che nascono tremori, vibrazioni che arrivano alla mente e che debbono dalla stessa essere gestiti sotto forma di modifiche posturali.

Siamo quindi arrivati al ruolo della mente in asana: il mentale deve sganciarsi dal piano eminentemente fisico, deve entrare in un’altra dimensione che Patanjali individua insegnandoci ananta samapatti bhyam , dove in ananta samapatti troviamo samapatti che è sinonimo di meditazione e ananta l’infinito, il senza fine.

Il mentale quindi non più impegnato a gestire la tecnica, la situazione del corpo, ma a disapprendere per poter andare oltre e nella pratica il primo punto di distacco dal livello fisico è chiamato prana dharana, l’attenzione concentrata al respiro creato dalla posizione.

Bhyam significa che noi siamo in asana, stiamo facendo yoga, solo se i due concetti sono indissolubilmente legati, uniti (bhyam rappresenta il duale).

Quindi asana è postura più atteggiamento mentale distaccato.

E’ a partire da questo distacco che si comprende appieno il meccanismo relazionale mente- corpo nello yoga, sviluppare il distacco, applicare il non-attaccamento.

Non ci preoccupiamo se siamo bravi, se sentiamo dolore lo accettiamo serenamente, e sopratutto cerchiamo di fare assumere un nuovo ruolo alla mente, quello dello spettatore, dell’osservatore o del testimone.

Non più quindi un rapporto conflittuale con il corpo, causa scatenante di squilibri, ma piena assunzione della propria responsabilità, nella ricerca dell’equilibrio nel rapporto corpo-mente .

Avanzando nella pratica allora comprenderemo che compito della mente sarà quello non di imporre comportamenti al corpo, rendendosi protagonista a causa dell’ignoranza che privilegia il rapporto identificativo con il proprio essere origine di egoismi, smania di possesso, competizione, ma di fare riflettere la realtà, un incarico molto elevato che arriverà a noi solo se saremo in grado di riprogrammarci.

La realtà ultima si evidenzia attraverso la mente e non grazie alla attività razionale della mente.

Ciò che deve essere perseguito, ci insegnano i Sutra, è il discernimento tra la mente, ciò che osserva, e la pura coscienza che non ha capacità di azione.

Quello sarà il punto di arrivo della ricerca yogica, ricordandoci ciò che ha scritto Swami Satyananda: "non si può indagare oltre a livello concettuale, ma bisogna fare esperienza".

Lo Yoga è disciplina pratica interiorizzata è quindi pratica continua, solo nella pratica arriveranno le risposte.

Swami Shivananda, che possiamo considerare il creatore dello Yoga moderno e che pure ha scritto decine di volumi sullo Yoga, ricordava sempre che " è meglio un grammo di pratica che tonnellate di teoria".

Buona ricerca nella pratica.