I Cakra

LA CONSAPEVOLEZZA DEL SUONO E IL LINGUAGGIO


I Cakra e le vibrazioni dei bija mantra

Il massaggio dell’energia spirituale rappresenta una tecnica originale che il Maestro indiano S.V. GOVINDAN ha prima sperimentato su di sè e poi ha trasmesso agli altri, condensando gli insegnamenti in un capitolo specifico inserito nella seconda edizione del suo libro sul massaggio ayurvedico. Nella pratica il trattamento consiste in manipolazioni dei punti riflessi degli organi connessi ai cakra nelle piante dei piedi. L’approccio della nostra mentalità razionale nei confronti di un intervento sottile, esoterico correlato al contatto con una dimensione di energia spirituale necessita di qualche integrazione, senza tuttavia dimenticare che dobbiamo sempre privilegiare la pratica nei confronti della teoria. Il rischio è quello di disperderci nei meandri delle varie interpretazioni fornite da scuole diverse o da analisi erudite, accademiche; dobbiamo cercare la risposta ai nostri dubbi nella pratica. In particolare vorrei sottoporvi quale contributo integrativo alcune mie considerazioni sulla struttura del linguaggio in generale e del sanscrito in particolare per poi determinare quale consapevolezza è insita nei suoni dei bija mantra correlati ai vari cakra ed alle lettere che sono inserite nei petali relativi. Il massaggio dell’energia spirituale rappresenta un intervento di riequilibrio dell’essere, nel quale siamo spronati a ricercare attraverso le vibrazioni la capacità di reintegrare la nostra personalità. Il nostro corpo è formato da cellule che, analizzate sempre più profondamente, appaiono sotto forma di particelle infinitesimali che vibrano e si muovono continuamente atttorno ad uno spazio vuoto. Queste particelle di materia non hanno più nulla di solido , ma appaiono nella loro realtà profonda, che è una pura vibrazione di energia. Solo l’analisi esteriore grossolana ci fa apparire il corpo come un qualcosa di definitivamente strutturato. Cosa tiene unito allora questi elementi infinitesimali? E’ una delicata e spesso instabile dimensione di equilibrio degli stati dell’essere a partire dal corpo fisico e un ruolo importante è svolto dal suono, che più si avvicina all’essenza dell’essere più è in grado di tenere unito in maniera olistica la materia. Govindan stesso ha scritto che "le vibrazioni che esistono nella vita sono sotto forma di colori, suoni, fragranze e simboli che rappresentano una pura rotazione di energia". Il quotidiano comporta la relazione con l’altro che è essenzialmente comunicazione verbale. Il linguaggio finisce per colorarsi, diventare espressione del nostro raga (passionalità, coinvolgimento emotivo), allontanandoci dal silenzio che è pura sospensione e rappresenta il punto di arrivo della ricerca yogica. Con le parole vogliamo diventare protagonisti, entrare in competizione con gli altri, il linguaggio diventa fine a sè stesso associandosi completamente con il mentale identificandoci con le vritti dello stesso . Dobbiamo percepire l’esigenza di modificare il linguaggio, non solo rallentandolo, ma andando all’origine del suono, sintetizzarlo, farci permeare dai suoni primordiali per pervenire all’equilibrio che possa consentirci di trascendere la dimensione fisica e avvicinarsi alla conoscenza autentica. L’indicazione pratica è quella di ridurre il linguaggio all’essenziale, purificarlo per sentire l’esigenza di rallentrare la comunicazione verbale ordinaria e invertire la rotta, avicinandoci al suono essenza. Da sempre l’uomo si è interrogato (a partire per restare nel mondo occidentale da Aristotele) sulla relazione tra linguaggio e conoscenza, alla ricerca del superamento della convenzionalità che ci ha portato a strutturare diverse forme di linguaggio. Possiamo dire che l’uomo è la sintesi del verbo nelle due direzioni: a) la discesa del verbo conoscenza nel mondo manifesto della sostanza e b) la risalita, mediata dal pensiero-linguaggio purificato, verso l’immanifesto. Di fatto stiamo anticipando il significato del termine mantra, che svilupperemo dettagliatamente oltre. Fatte queste premesse possiamo incominciare ad analizzare i concetti essenziali della lingua sanscrita e l’ inserimento delle lettere nei petali dei cakra. Il sanscrito utilizza la scrittura devanagari, il significato grammaticale dei due termini rimanda a qualcosa di perfettamente strutturato, quindi sacrale, divino . Analizziamo sommariamente le caratteristiche dell’alfabeto per ricavarne spunti per la pratica. Gli alfabeti delle lingueoccidentali prevedono le lettere (vocali e consonanti) elencate in un ordine casuale, consolidato dalla tradizione presentandosi in una certa sequenza fissa (quindi su qualsiasi vocabolario troverò a, b, c, d etc). La parola stessa ed il relativo significato rappresentano l’unione di varie vocali e consonanti. Il sanscrito e la devanagari utilizzano un approccio diverso e originale. I saggi avevano osservato che all’interno della bocca le lettere si originano in una determinata parte, a partire dall’interno (la gola) per spostare gradualmente la fonazione fino alle labbra nel contatto con l’esterno. In base a questa osservazione vennero classificate le 25 consonanti. Le prime saranno quindi le gutturali, che risuonano nella profondità della gola, a partire dalla prima che è KA. Ka di per sè stessa è sillaba sacra, rimandando attraverso Prajapati, direttamente a Brahma ed alla creazione del manifesto. Vengono poi le palatali (tra le quali ca di cakra), le cacuminali, cerebrali o retroflesse, le dentali e infine le labiali che comunicano direttamente con l’esterno (pa, ba, ma etc). A queste si aggiungono, per arrivare alle 33 divinità che promanano da Brahma le semivocali, le sibilanti e la aspirata HA. Esistono dei segni particolari per indicare dei suoni speciali, come l’anusvara, quel puntino che vediamo spesso rappresentato, ad esempio in OM, e che altro non è che pura nasalizzazione del suono , una vibrazione cosciente che si trova nei bija dei vari cakra. Per molte scuole quel puntino non è altro che bindu. Abbiamo inoltre la presenza delle vocali con i relativi dittonghi (e, ai, o etc). Dovremo inoltre cercare di capire anche a livello filosofico che cosa rappresentano le vocali, che sono all’inizio dell’alfabeto, le consonanti e le cosidette semivocali (presenti nei bija dei cakra). Questa, sommariamente, per non infarcire la presentazione di appesantimenti scolastici, la struttura del sanscrito. Si tratta ora di passare da queste conoscenze , all’utilizzo pratico per cogliene le valenze vibratorie e energetiche che possano aiutarci nel cammino verso la conoscenza, sviluppare cioè quello che in tutti gli aspetti dello Yoga viene chiamato disapprendimento. Il linguaggio deve essere riportato all’origine sacrale attraverso un’operazione di estrema sintesi, partendo dalla diminuzione dell’espressione verbale ordinaria che spesso è manifestazione della competitività che diventa passionalità, prevaricazione, esigenza quindi di essere sempre al centro dell’attenzione in una dimensione di estroversione. In molti centri di Yoga ci si limita, per quanto attiene la conoscenza dei cakra e dello yoga kundalini, a ripetere meccanicamente i bija, recitando lam, vam, ram, yam, ham, om, om. Per qualcuno tutto questo sembrerà appartenere a quelle situazioni stravaganti che lo Yoga ogni tanto propone e vissuto quasi con un senso di fastidio, qualcosa che non ci interessa e non ci appartiene. Per qualcun altro invece l’emissione del suono rappresenterà un momento di orgoglio mentale in grado di soddisfare l’ego del praticante cosidetto esperto, che crede che lo yoga mentale rappresenti un qualcosa che si raggiunge con le capacità mentali razionali. I cakra sono 6, più sashrara che appartiene alla dimensione superpersonale. Ogni cakra è provvisto di petali, a partire dai 4 di muladhara. Il totale dei petali è 50. Nelle raffigurazioni classiche dei cakra troviamo, oltre ai bija classici che presiedono ogni singolo cakra, dei simboli grafici inseriti in ogni petalo. Questi segni appartengono alla scrittura devanagari e non sono nient’altro che le 50 lettere dell’alfabeto sanscrito. L’evoluzione della coscienza è strettamente legata all’alfabeto sanscrito. Devanagari lipi significa scrittura della città degli Dei, quindi cioè che è perfettamente strutturato, una dimensione sacrale. Resta da analizzare l’ordine nel quale sono inserite le varie lettere e in quale contesto fonetico si presentano i bija.

 

MULADHARA è rappresentato come un loto con quattro petali, il bija mantra è LAM, le lettere inserite nei petali sono : vam, sham (linguale) sham (palatale) sam;

 

SVADISHTHANA loto con sei petali, il bija è VAM, le lettere dei petali sono: bam, bham, mam, yam, ram, lam;

 

MANIPURA loto con dieci petali, il bija mantra è RAM, le dieci lettere sono rispettivamente: dam, dham, nam, tam, tham, dam, dham, nam, pam, pham;

 

ANAHATA loto con dodici petali, il bija mantra è YAM, le dieci lettere sono le consonanti che risuonano nella profondità della bocca, un percorso evolutivo individuale che si compie: kam, kham, gam, gham, nam (gutturali, che risuonano nella gola), cam cham, jam, jham, nam, tam, tham;

 

VISHUDDHA loto con sedici petali, il bija mantra è HAM e le sedici lettere sono le sedici lettere dell’alfabeto sanscrito a, a, i, i, u, u, r, r, l, l, e, ai, o, au, m, h.

 

AJNA loto con due petali, il bija è OM, le ultime due lettere per totalizzare il numero 50 dell’alfabeto sanscrito sono ha e ksa;

 

SAHASRARA si situa su un piano che trascende la dimensione fisica dell’individuo, il bija è OM o SO HAM e nei mille petali sono ripetute per 20 volte le cinquanta lettere dell’alfabeto sanscrito.

Prescindiamo in questo contesto da tutte le altre implicazioni insite nei cakra, a partire dai colori, divinità, guna, granti etc., per semplicità espositiva. Rimane ora da considerare quale logica sottenda le sillabe utilizzate per i bija e le lettere inserite nei petali. Si dovrà poi verificare se il linguaggio non sia altro che accorpamente casaule, quindi mera espressione verbale o sia un incontro cosciente di lettere che può farci avvicinare alla conoscenza. Quali praticanti di yoga dovremo infine chiederci qual’è il ruolo del suono per Patanjali analizzando i sutra relativi. La riflessione finale sarà relativa al Pranava OM nella ricerca del significato profondo che si situa al di là della parola.

 

I cakra e le lettere relative

Abbiamo visto che 7 sono i cakra e 50 sono i petali,dovremo quindi analizzare in quale ordine sono inserite le lettere. Penso si possa preliminarmente osservare che a ogni cakra e a ogni petalo è abbinato un bija o suono seminale corrspondente a una lettera dell’alfabeto sanscrito. I mantra dei cakra diventano rappresentano cosciente del suono supremo che è al di la dell’udibilità, consacrando il corpo umano quale immagine manifesta dell’immanifesto trasformandolo in un vero e proprio mandala. Per non appesantire la trattazione accenniamo solo brevemente al triamgolo A KA THA, dobve per A si intendono le vocali, Per KA le consonanti da KA a TA e per THA le altre da tha a sa, per un totale di 48 lettere. A queste dobbiamo aggiungere HA, potenza di emissione e KSA potenza di riassorbimento, per un totale di 50, il numero dei petali dei cakra. Le 25 consonanti sono la sintesi dei 25 principi dell’evoluzione cosmica del Samkhya e dello Yoga, oltre che dell’Ayurveda..Le 4 semivocali, la, va. ra e ya sono dei kancuka corazze un insieme di suono che consentono la manifestazione quale potenza alteratrice.In Ajna c’è oltre al suono bija OM, la presenza delle 2 lettere ha , che è siva e ksa che è sakti. L’emissione dei suoni con le semmplici vocali accompagnatrici permettono lo sganciamento dal rapporto convenzionale esistente tra segno fonico e oggetto significato che finisce per proiettarci all’esterno suscitando l’immagine dei vari oggetti, basi per la costruzione di immagini sempre più artificiose. I bija (seme) sono dei mantra da considerare quali semplici suoni sillabici, privi quindi di significato compiuto, senza relazione che portano la consapevolezza proiettata verso un oggetto. Le parole ordinarie costringono la nostra coscienza in una dimensione esterna, direzionandosi verso l’oggetto o il significato razionale di quanto ripetiamo, con elaborazione mentale del significato. Nel mantra senza significato la coscienza riposa in sè, trasformando il linguaggio in manifestazione consapevole. La pratica dell’emissione dei suoni relativi ai bija diventerà un momento di presa di coscienza, a partire dal risuonare dei suoni nelle varie parti della bocca, compiendo un percorso di interiorizzazione, che dalla dimensione di apertura verso l’esterno, la risonanza labiale e dentale di Lam e Vam, ci porterà, attraverso Ram e Yam, alla gutturale Ham per espandersi in OM.

 

Relazione linguaggio conoscenza

Nei testi antichi è stato scritto che Paramesvara, il Supremo Signore pienezza di sat cit ananda, essere, coscienza beatitudine è dotato di energia frammentatriche, che si manifesta con la potenza suono. A questa sacralità originaria del suono nasce una esigenza di sintesi sottesa alle parole A e HA, prima e ultima lettera dell’alfabeto, che formano, con l’anusvara il pronome AHAM, io sono, l’essenza, l’essere. Questo AHAM, Io sintesi di tutta la creazione è la rappresentazione del proprio contrario, MAHA, l’Universo illimitato. Le vocali rappresentano la suprema consapevolezza del Signore , a partire da A I U(la Suprema, la Volontà e l’Espansione) dalle quali traggono origine per un momento di riposo cosciente le vocali lunghe. Un ulteriore flusso consapevole divino produce i due fonemi dittongo O e E. Per successivi sviluppi nascono gli altri suoni vocalici, per un totale di 16, che rappresentano i cosidetti suoni seminali, bija svarupa. Le consonanti rappresentano un ulteriore sviluppo e sono definitite le matrici. Non resta che da esaminare le semivocali, che sono Ya, Ra e La derivanti dalla volontà divina, la Va dall’espansione. Abbiamo poi Ha che è pura emissione e Ksa, unione di due matrici. Nel Vijnanabhairava tantra ci viene insegnato che" superando via via le dodici successioni, caratterizzate dai dodici fonemi (sono le vocali inserite in vishuddi) in base ad una progressione di grosso (parola corporea vaikhari) sottile (parola mezzana madhyama) supremo (pasyanti la parola veggente) alla fine si invera Shiva. Allora il punto di arrivo sarà rappresentato dalla suprema parola (para vac) il suono essenza non udibile che si attua come suprema attraverso la molteplicità.

 

Patanjali e il suono

Nel sutra I,27 Patanjali ci presenta il suono OM, dopo averci parlato di Isvara e ci spiega che "tasya vacakah pranavah" è la manifestazione di Isvara, cioè "il termine che lo caratterizza è OM", aggiungendo poi che è necessario un sadhana. Il sutra successivo I,28 ci dice "tajjapas tad artha bhavanam", cioè dobbiamo impegnarci nella "ripetizione costante e la meditazione sul suo significato". Nel commentario di Vyasa e nella glossa di Vachaspatti Misra viene analizzata la relazione tra parola , oggetto del linguaggio e significato. La relazione può essere convenzionale nel linguaggio ordinario, ma può portarci alla conoscenza del Supremo utilizzando le relazioni eterne.

 

Considerazioni aggiuntive su OM

Molto è stato scritto su OM e le nostre considerazioni potrebbero terminare a questo punto; Govindan stesso a suo tempo aveva scritto un bell’articolo su OM e sul suo significato. Voglio semplicemente concludere dando qualche indicazione pratica su OM e sul suo significato, anche dal punto di vista letterale. Per celebrare Dio e portarlo dentro di noi dobbiamo pronunciare vocalizzandolo (vacakah) il termine simbolo (pranava) che lo contraddistingue, cioè OM. Dobbiamo cercare di stabilire una relazione, una comunicazione. OM è composta da A + U , che diventa O e dalla M. La A è l’origine del linguaggio, la prima lettera dell’alfabeto. Nella Gita il Signore Krishna dice "tra le lettere sono la A". La M è la dimensione individuale. La M deve essere pronunciato con rispetto, senza espanderla eccessivamente, in una dimensione di umiltà. Dopo ogni Om c’è uno spazio di silenzio che è integrazione del suono, un ritorno alle origini.A è l’infinito M il finito O risultante di A + U è pronunciato con la bocca semiaperta, è lungo, la M è corta e si fonde nel silenzio. Patanjali utilizza il termine pranava " simbolo sacro, termine, quindi mantra" senza utilizzare direttamente OM, per una forma di rispetto verso la sacralità e la segretezza stessa dei mantra. Nel sutra I,28 Patanjali ci chiede di recitarlo con continuità, la ripetizione ci eleva al significato. Per poterlo praticare correttamente è indispensabile una corretta attitudine di devozionalità, di preghiera. Senza questa attitudine non avremo i risultati indicati da Patanjali, ma ci limiteremo a percepire una semplice sensazione di benessere fisico.

Romano