Duilio fu il mio primo marito. Lo conobbi a Roma, al “caffè degli artisti” in via Margutta. Chissà se quel piccolo bar c’è ancora?

Aveva quattordici anni più di me, sette meno di mia madre.

Era un gigantesco ragazzone di trentacinque anni, coi capelli corti e ramati che gli scendevano a frangetta. E un piccolo naso delicato. Era molto bello.

Faceva il pittore e di quadri cercava di vivere. Ma era difficile. E allora… faceva il “cambio merce”… Un quadro per il nostro armadio, due quadri per un abbonamento alla trattoria più vicina.

Era buono e tenero come un vitello da latte, e soffriva.

La vita alle volte è una cosa selvaggia, come te la cavi se sei tenero come un vitello da latte?

E allora aveva trovato un modo: bere. E quando lo faceva, finalmente ruggiva…

Mai ho visto un uomo rinascere, in così pochi minuti, dopo un bicchiere di vino: un leone! E da leone, travolgeva tutto e tutti, anche me, la sua piccola Bamby, così mi chiamava.

Raccoglieva gatti randagi, li sfamava, accarezzava: li amava.

L’ho visto piangere per la bellezza di un filo d’erba… Ricordo la sua testa reclinata sulla spalla, il filo d’erba appena staccato dalla terra retto nella mano, controluce… una goccia di pioggia scivolava lenta lungo la scanalatura…

Aveva sempre un cerino all’angolo della bocca e fumava mille sigarette. Aveva un modo tutto suo, di reggere le sigaretta: tra l’indice e il medio della mano destra, ma in fondo, dove le dita si uniscono alla mano. E teneva il braccio piegato, appoggiato al busto, sì da essere tutt’uno col corpo stesso. E dal suo corpo vedevi nascere un sottile fumo azzurrino che si scioglieva nell’aria, con grazia.

Dipingeva con accanimento e passione usando le mani assieme ai pennelli. Per ore ed ore, immemore di me che lo guardavo…

Quando ci siamo sposati, sul sagrato del Duomo mi fece dono di un coniglietto bianco che caricato a molla batteva due piattini d’oro: “Din!…. din!… din!”… Ero la sua bambina.

Morì una sera d’agosto, nel suo studio, sparato da un amico. Prima di morire ebbe la forza di scrivere su una parete, in basso vicino al pavimento: “Va… porco mondo!”

Aveva trentotto anni, Luca due, io ventiquattro.