Indice sommario

1.1 - Premessa. L’armonizzazione comunitaria delle operazioni societarie interne: fusioni, scissioni e altre forme di riorganizzazione delle imprese. *

  • 1.2 - Le operazioni internazionali. La neutralità fiscale e la salvaguardia della sovranità impositiva degli Stati. Ragioni e obiettivi della direttiva 90/434 nel processo di integrazione europea. *

    1.3 - Diretta applicabilità delle disposizioni comunitarie in caso di inosservanza dei termini o rifiuto di attuazione. Situazioni di implementazione parziale o scorretta. *

    1.4 - Ostacoli di diritto interno alle fusioni e scissioni internazionali. La "real seat doctrine" e la dottrina dell’incorporazione nel diritto internazionale privato. Il "three-steps model". La convenzione di Bruxelles sul riconoscimento delle persone giuridiche. *

    1.5 - Rapporti tra la direttiva e il diritto commerciale interno e comunitario. Le prospettive di diritto uniforme: la proposta di X direttiva societaria e il progetto di statuto di "Societas Europæa". *

    1.6 - Applicabilità della normativa nei rapporti con imprese extracomunitarie. Competenza esclusiva del Consiglio CEE nelle materie disciplinate da normative comunitarie. Rapporti tra la direttiva e gli accordi bilaterali. *

    2.1 - Ambito di applicazione soggettiva (art. 3). *

    2.2 - Possibilità di discriminazione in base al Trattato CEE e agli Accordi bilaterali. Nuova proposta rettificativa. *

    2.3 - Definizione delle operazioni coinvolte (art. 2): fusioni e scissioni. *

    2.4 - Segue: conferimenti d’attivo e scambi d’azioni *

    2.5 - Neutralità delle operazioni. Non imponibilità delle plusvalenze latenti in capo alla società conferente. Condizioni e presupposti (art. 4). La continuità dei valori fiscalmente riconosciuti. *

    2.6 - La "effettiva connessione" dei beni trasferiti alla stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato della conferente. *

    2.7 - Nozione di stabile organizzazione ai fini della Direttiva. *

    2.8 - Conferimento di una stabile organizzazione situata all’estero (art. 10). Incorporazione di una stabile organizzazione. *

    2.9 - Neutralità degli scambi azionari, fusioni e scissioni nei confronti dei soci della acquisita o conferente (art. 8). Trattamento dell’eventuale conguaglio in denaro. Conferimenti e doppia imposizione. *

    2.10 - Disciplina delle differenze contabili da annullamento di azioni (art. 7). Proposta di modifica. *

    2.11 - Trattamento dei fondi in sospensione di imposta (art. 5). *

    2.12 - Riporto delle perdite (art. 6). *

    3.1 - Premessa. L’art. 34 della legge comunitaria per il 1991 e il D.p.R. 544/92. Efficacia temporale della nuova disciplina italiana. *

    3.2 - L’individuazione dell’ambito applicativo (art. 1 del D.p.R. 544): (a) soggetti che possono beneficiare del regime comunitario; *

    3.3 - Segue: (b) operazioni interessate. *

    3.4 - Le regole delle fusioni e delle scissioni transnazionali (art. 2 D.p.R. 544). *

    3.5 - Conferimenti di aziende o complessi aziendali. *

    3.6 - Permute o conferimenti di azioni o quote qualificate. Neutralità del concambio per i soci della società scissa o incorporata. Trattamento dei conguagli. *

    3.7 - (a) Fondi in sospensione d’imposta e (b) riporto delle perdite. *

    3.8 - Trasferimento di stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro. Operazioni con soggetti extracomunitari. Conclusioni. *

    4.1.1 - Il sistema fiscale societario inglese e la mancanza di norme relative a fusioni e scissioni internazionali. Il Finance (No. 2) Act 1992. *

    4.1.2 - La disciplina degli scambi di azioni e dei conferimenti di attivo. *

    4.1.3 - Trasferimento di stabili organizzazioni estere. La condizione generale delle bona fide commercial reasons. *

    4.2.1 - Francia: estensione del regime di favore alle operazioni transnazionali. *

    4.2.2 - Regole comuni relative a fusioni, scissioni e conferimenti. L’échange de titres. L’imposizione degli azionisti. *

    4.2.3 - Il regime dell’Apport partiel d’actifs. Operazioni relative a stabili organizzazioni. *

    4.3.1 - Attuazione parziale della direttiva in Germania. Disciplina delle fusioni e scissioni nazionali. *

    4.3.2 - Regime impositivo delle riorganizzazioni transnazionali. Trasferimento di residenza e di rami di attività alla luce del diritto comunitario. *

    4.3.3 - Impatto della direttiva sulla disciplina dei conferimenti d’attivo. *

    4.3.4 - Il regime degli scambi azionari. *

    4.4.1 - La disciplina delle operazioni interne nei Paesi Bassi. Aspetti civilistici e fiscali. *

    4.4.2 - Regole inerenti ai conferimenti d’attivo e alle concentrazioni mediante scambio di azioni. Il rilievo dei gruppi di società e l’"unità fiscale". *

    4.4.3 - L’integrale implementazione della direttiva 90/434. Regime delle transazioni internazionali. Operazioni inerenti a stabili organizzazioni. *

    4.5 - Implementazione della direttiva in Danimarca. *

    4.6 - Belgio. *

    4.7 - Irlanda. *

    4.8 - Spagna. *

    4.10 - Lussemburgo. *

    5.1 - Premessa. Ragioni di una legislazione antielusiva in materia fiscale societaria. *

    5.2 - Principi antielusivi nel diritto fiscale comunitario. L’articolo 11 della Direttiva 90/434. *

    5.3 - "Anti-avoidance rules" nel diritto anglosassone. *

    5.4 - Applicabilità dell’art. 10 L. 408/90 da parte dell’Amministrazione italiana. *

    5.5 - L’"abus de droit" in Francia tra "evasion" e "fraude fiscal". *

    5.6 - La soluzione tedesca. *

    5.7 - La normativa dei Paesi Bassi. Clausole antielusive negli altri Stati-membri. Conclusioni. *

  • 1.1 - Premessa. L’armonizzazione comunitaria delle operazioni societarie interne: fusioni, scissioni e altre forme di riorganizzazione delle imprese.

     

    Al fine di rendere praticabili, senza discriminazioni tra i diversi ordinamenti nazionali, forme di concentrazione e cooperazione reputate necessarie per soddisfare le esigenze della moderna economia europea ad un adeguato dimensionamento delle imprese, elemento di per sé incidente sul corretto svolgimento della concorrenza, da lungo tempo la Comunità è impegnata nel tentativo di approntare gli strumenti normativi indispensabili per il raggiungimento di tali obiettivi . Gli istituti utilizzati dalle imprese esercitate in forma societaria, sia allo scopo di riorganizzare la propria struttura interna, sia per ridisegnare l’assetto giuridico dell’unità economica di cui fanno parte, sono molteplici: da una parte le operazioni ordinarie di concentrazione, tramite acquisto del controllo, formale o de facto, di una società, in prevalenza attuato mediante la presa di partecipazioni rilevanti, e dall’altra le operazioni straordinarie che implicano modifiche statutarie, in particolare creazioni ed estinzioni di soggetti. La scelta di una forma giuridica diversa per ottenere un risultato sostanzialmente analogo può essere determinata da motivi di ordine aziendale, economico, giuridico e non ultimo fiscale.

    Ogni Stato membro della Cee tuttavia disciplina in maniera a volte radicalmente differente una operazione similare, sia dal punto di vista commerciale che da quello impositivo, e stabilisce condizioni e presupposti che rendono pressoché impraticabile la via delle ristrutturazioni internazionali .

    La Commissione delle Comunità Europee ha in più riprese espresso la ferma volontà di rimediare alla carenza di norme omogenee in materia societaria e fiscale, ma il perdurante contrasto fra gli Stati membri impedisce tuttora l’adozione di provvedimenti vincolanti che permettano alle imprese di operare ristrutturazioni a livello intracomunitario senza essere fortemente penalizzate .

    Solamente negli ultimi anni il panorama comunitario si è arricchito di importanti normative riguardanti il settore societario, sia nei suoi aspetti civili, con l’attuazione negli Stati-membri della Terza e Sesta Direttiva, rispettivamente relative a fusioni e scissioni interne, sia in materia fiscale, con l’adozione da parte del Consiglio di un pacchetto di due direttive e una convenzione, concernenti: il regime transnazionale delle operazioni societarie (dir. 90/434), la tassazione dei dividendi intragruppo (dir. 90/435) e infine la c.d. arbitration convention, che prevede il ricorso ad un organismo arbitrale esterno in caso di insuccesso delle procedure amichevoli previste dai trattati contro le doppie imposizioni (dir. 90/436) .

    All’analisi dettagliata della direttiva n. 434 del 1990, e delle questioni sorte in sede di attuazione nelle legislazioni dei Paesi membri saranno dedicati i capitoli successivi: in questa sede ci si limiterà ad una breve disamina delle forme di ristrutturazioni attualmente possibili sul piano interno e intracomunitario.

    Ruolo principe nell’ambito delle operazioni di ristrutturazione viene assunto dagli istituti della fusione e della scissione, introdotti negli ordinamenti di alcuni Paesi solo con l’attuazione delle direttive 78/855 e 82/891 .

    La fusione, realizzando una compenetrazione giuridica tra i soggetti interessati, conferisce all’unità economica risultante dall’operazione anche un’adeguata veste formale: la perdita di individualità sancisce l’unione delle rispettive forze produttive nella maniera più completa. In Italia, stante l’assenza normativa di una definizione precisa dell’operazione in questione, la dottrina ha cercato di individuarne i caratteri determinanti nella "integrazione tra i patrimoni di due o più società" e nella sostituzione di un’organizzazione unitaria alla precedente pluralità soggettiva .

    Mentre questi effetti normali della fusione sono agevolmente riscontrabili, notevoli difficoltà hanno impedito ai teorici di diritto commerciale di definire univocamente la natura giuridica del fenomeno, limitandosi l’art. 2501 del codice civile alla previsione della possibilità di effettuare fusioni proprie o per incorporazione . La concezione prevalente in passato inquadrava la fusione nell’ambito successorio, e la assimilava ad una sorta di successione universale mortis causa. Attualmente pare maggioritaria la opinione secondo cui si preferisce attribuire all’istituto natura di semplice modifica statutaria, espressione dell’autonomia contrattuale delle parti coinvolte .

    Infatti non di estinzione delle società fuse si dovrebbe parlare, ma piuttosto di mera compenetrazione di situazioni giuridiche attive e passive in capo ad un unico soggetto: lo scioglimento della società conferente discende dalla logica stessa dell’operazione, e non è da considerare alla stregua di una liquidazione, posto che risulta rafforzata, piuttosto che annullata, l’intenzione di proseguire l’attività economica esercitata, nell’ambito di un ente superiore per dimensioni e forza competitiva. La Terza Direttiva offre una definizione ripresa più o meno integralmente nelle legislazioni interne degli Stati membri, e i cui elementi caratterizzanti consistono nello scioglimento, senza liquidazione, della società che trasferisce l’intero patrimonio (cd. società conferente) e nell’attribuzione ai soci della stessa di partecipazioni nella beneficiaria, emesse, in genere, a fronte di un aumento di capitale effettuato dalla società incorporante o risultante dalla fusione propria .

    La scissione, prima d’ora espressamente regolata solamente nell’ordinamento francese, consiste nel frazionamento di una società in più parti, destinate ad essere inglobate in una o più altre società preesistenti (scissione per incorporazione, con evidenti analogie con la fusione) ovvero a dar vita ad altrettante nuove compagini sociali (scissione in senso stretto, per molti aspetti simmetrica rispetto alla fusione propria). Anche nella scissione, così come accade nella fusione, la società conferente è destinata a scomparire, con l’assunzione da parte della beneficiaria di tutti gli obblighi e le attività relative.

    Entrambe le direttive prevedono un procedimento semplificato in caso di operazioni concernenti società conferenti interamente possedute dalla beneficiaria. È inoltre consentito attribuire ai soci delle società apportanti un conguaglio in denaro, comunque non eccedente il 10% del valore nominale dei titoli ricevuti, per evitare il problema dei resti nel calcolo del rapporto di cambio .

    La Sesta Direttiva attribuisce infine agli Stati membri la facoltà di introdurre una forma di scissione cd. parziale che non implica l’estinzione della società scissa. Si tratta in effetti di una operazione di scorporazione, nuova per molti ordinamenti, ma per certi versi analoga all’istituto, già previsto dalla normativa francese, dell’apport partiel d’actif, assoggettabile alla disciplina delle scissions qualora consista nel conferimento di un ramo d’impresa indipendente .

    Stante la non obbligatorietà della Sesta Direttiva, Germania, Danimarca e Olanda hanno manifestato l’intenzione di non ammettere alcuna forma di scissione nei propri ordinamenti, non contribuendo in questo punto al processo di armonizzazione europea.

    Differente struttura risulta avere la forma di concentrazione più diffusa a livello internazionale, ossia il conferimento di elementi d’azienda in cambio di partecipazioni azionarie nella società beneficiaria, che vengono acquistate direttamente dalla società conferente. L’oggetto del trasferimento può consistere parimenti in rami aziendali, assets, branches of activity, intere divisioni d’impresa o singoli beni determinati, compresi titoli azionari già in possesso della società alienante .

    Esistono poi altri strumenti giuridici a disposizione delle imprese che intendono effettuare ristrutturazioni o riorganizzazioni interne senza che risultino modificati gli statuti delle società coinvolte, ossia evitando l’estinzione, creazione o trasformazione di enti nuovi o preesistenti. Le operazioni ordinarie più comuni consistono essenzialmente nell’acquisto di titoli rappresentativi del capitale sociale, leveraged buy-outs, cessione o affitto di aziende, uncorporated joint-ventures, stipula di altri accordi vincolanti tra imprese.

    La disamina non può prescindere infine da un breve cenno preliminare al regime impositivo di queste operazioni.

    Nella panoramica delle normative nazionali relative alle fusioni e scissioni interne si riscontrano differenti forme di regimi agevolati, accordati generalmente solo in presenza di presupposti e condizioni determinate, il cui carattere fondamentale risiede essenzialmente nella neutralità fiscale che viene assicurata alle società interessate, tramite un meccanismo di rinvio della tassazione sulle plusvalenze latenti che le società conferenti realizzerebbero in sede di scioglimento. A ciò si accompagna l’obbligo per le società beneficiarie di riprendere nei propri bilanci i precedenti valori fiscalmente riconosciuti dei beni trasferiti.

    Analogo trattamento è riservato in alcuni Paesi ai conferimenti in natura, purché i beni apportati costituiscano un ramo indipendente di attività, requisito richiesto dal diritto francese per l’apport partiel, oppure, come nel Regno Unito, siano beni strumentali all’esercizio dell’impresa destinati ad essere rimpiazzati .

    Per quanto concerne le acquisizioni di pacchetti rilevanti di azioni, invece, comunemente non viene offerta una disciplina maggiormente favorevole rispetto alla semplice compravendita di titoli, sottoposta al normale regime di tassazione dei capital gains oppure sui redditi, salvo in alcune circostanze, qualora si tratti di operazioni infragruppo qualificate .

     

    1.2 - Le operazioni internazionali. La neutralità fiscale e la salvaguardia della sovranità impositiva degli Stati. Ragioni e obiettivi della direttiva 90/434 nel processo di integrazione europea.

     

    L’atteggiamento favorevole della Comunità nei confronti dei processi di concentrazioni di imprese, sia pure con la cautela necessaria ad evitare che risultino pericoli allo svolgimento della libera concorrenza, è attestato sin dalle origini delle strutture comuni europee nel Trattato di Roma, il quale all’art. 220 contiene una previsione relativa alla fusioni internazionali, la quale si sarebbe dovuta mettere in atto tramite negoziati multilaterali, paralleli alla normativa comunitaria .

    La possibilità di operazioni di ristrutturazione internazionale, impedite da una numerosa serie di ostacoli giuridici frapposti dagli ordinamenti interni, fu però presa in considerazione dalla Commissione Cee solo nel 1969, allorché avanzò al Consiglio una proposta di direttiva , il cui contenuto essenziale è stato poi ripreso nel testo licenziato nel 1990.

    La lunga attesa è dovuta principalmente alla mancanza di accordo fra i Governi degli Stati membri principalmente per una duplice serie di motivi:

    a) in primo luogo assume rilievo generale il principio di sovranità impositiva degli Stati, secondo cui le differenti amministrazioni fiscali nazionali non intendevano rinunciare al gettito, presente e futuro, proveniente dai beni formalmente trasferiti oltre i confini della propria giurisdizione, e imponevano così la tassazione immediata sulle plusvalenze latenti in caso di fusione o conferimento internazionale;

    b) secondariamente, la Germania e l’Olanda interponevano ostacoli di diritto interno dovuti alla preoccupazione di assicurare ai lavoratori la compartecipazione alla gestione delle imprese; gli stessi Paesi inoltre espressero formalmente il timore di una massiccia emigrazione di società verso gli ordinamenti che non applicavano il sistema classico di imposizione sui dividendi, con conseguente danno per le proprie entrate fiscali .

    D’altra parte, l’accento dell’azione comunitaria, in applicazione del principio fondamentale della non discriminazione , è posto sull’esigenza di eliminare le disposizioni che penalizzano le principali forme di riorganizzazione svolte sul piano intracomunitario, in contrapposizione a quelle che riguardano le società di uno stesso stato membro. L’obiettivo dichiarato non consiste nell’incondizionato incoraggiamento alle fusioni e scissioni transfrontaliere, che non siano motivate da necessità di ristrutturazione economica e concorrenziale, ma nell’eliminare il costo fiscale dell’operazione, rendendola fiscalmente neutra, qual è all’interno del singolo ordinamento .

    Il provvedimento alfine adottato riesce a ben conciliare le esigenze impositive dei singoli Stati con il principio di neutralità accordato alle operazioni transnazionali, attraverso un semplice meccanismo di differimento della tassazione, caratterizzato dalla conservazione dei diritti di prelievo sui beni trasferiti in quanto confluiti nella stabile organizzazione della società beneficiaria nel territorio della società conferente. Poiché infatti la maggior parte delle disposizioni interne o bilaterali, contenute nei numerosi trattati contro le doppie imposizioni stipulati fra gli Stati membri, attribuisce il diritto di tassare i redditi della stabile organizzazione di un’impresa straniera allo Stato in cui essa è localizzata, non si avrebbe alcuna perdita di gettito relativa agli stessi beni .

    La direttiva affronta invece la questione sub b) all’art. 11, dedicato alle disposizioni antielusive: secondo il comma primo, lett. b), ogni Stato membro ha il diritto di non accordare, o revocare se già concesso, il beneficio della neutralità, qualora dall’operazione risultino compromesse le condizioni richieste per la rappresentanza dei lavoratori negli organi della società interessata .

    1.3 - Diretta applicabilità delle disposizioni comunitarie in caso di inosservanza dei termini o rifiuto di attuazione. Situazioni di implementazione parziale o scorretta.

     

    L’articolo 12 della direttiva contiene l’obbligazione per i competenti organi degli stati membri di emanare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie ad attuare la normativa comunitaria entro il termine del 1° gennaio 1992, concedendo una deroga parziale alla Repubblica portoghese, autorizzata ad implementare la disciplina dei conferimenti di attivo e degli scambi di azioni entro il 1° gennaio 1993.

    A tutt’oggi, la totalità degli Stati membri ha provveduto all’attuazione della direttiva, perciò non sembrerebbe porsi il problema della applicabilità del diritto comunitario in caso di inerzia degli organi nazionali; resta però il fatto che alcuni Paesi non hanno implementato integralmente le disposizioni emanate dal Consiglio: Regno Unito, Germania e Belgio hanno esplicitamente espresso l’intenzione di non includere nelle proprie leggi di attuazione interne la disciplina delle fusioni e delle scissioni transnazionali, limitandosi ad introdurre le previsioni relative ai conferimenti di attivo e agli scambi azionari. La motivazione addotta risiede nella carenza di norme comunitarie di diritto commerciale che consentano la realizzabilità giuridica delle operazioni non ancora disciplinate. In particolare i tre Paesi fanno riferimento alla proposta di decima direttiva sulle fusioni transfrontaliere e al progetto di statuto di Societas Europæa, ritenuti necessari e prodromici alla completa attuazione della direttiva 90/434 .

    Per evidenziare le possibili conseguenze di una implementazione parziale o scorretta da parte degli organi nazionali, si renderà opportuna una breve disamina della questione a livello di giurisprudenza comunitaria e interna.

    Com’è noto, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha più volte ribadito che le disposizioni contenute in una direttiva, provvedimento che di per sé non crea diritti in capo ai singoli soggetti, ai sensi dell’art. 189 del Trattato di Roma, possano trovare tuttavia diretta applicazione all’interno dei singoli ordinamenti nonostante l’inerzia dei competenti organi nazionali, dal momento in cui scade il termine previsto per l’attuazione, e sino a quando non verranno emanate le necessarie norme interne di adeguamento , purché siano rispettate alcune condizioni elencate dalla stessa Corte .

    La diretta applicabilità delle norme comunitarie si limita ai soli rapporti verticali tra un cittadino comunitario e lo Stato membro inadempiente o un ente di sua emanazione: nella decisione relativa al caso Marshall l’interpretazione della Corte di Giustizia sembra escludere un’efficacia immediata delle norme inattuate tra i privati, nonostante successive sentenze propongano interpretazioni correttive di questo principio, che se assunto isolatamente potrebbe provocare distorsioni ingiustificate. Nella sentenza Marleasing , infatti, la Corte stabilisce il principio generale secondo cui i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare in conformità alle disposizioni comunitarie inattuate le norme nazionali non ancora adeguate. Sulla base di queste decisioni sembra potersi affermare che, scaduto il termine previsto per l’attuazione, i soggetti interessati possano pretendere dagli organi giurisdizionali di ciascuno Stato inadempiente il rispetto nei loro confronti delle disposizioni dettagliate ed incondizionate contenute nelle direttive, mediante l’applicazione diretta o l’interpretazione conforme.

    Sulla scorta di queste considerazioni, la direttiva 90/434 sembra soddisfare in gran parte i requisiti di diretta applicabilità evidenziati dalla giurisprudenza comunitaria, poiché molte delle disposizioni in essa contenute:

    a) risultano sufficientemente precise e incondizionate, comportando essenzialmente il mero divieto di applicare norme interne incompatibili con il sistema di neutralità fiscale introdotto;

    b) pur essendo intimamente connesse a rapporti tra privati, le società partecipanti all’operazione, comportano il sorgere di obblighi direttamente in capo alle autorità finanziarie di ciascuno Stato membro, instaurando un rapporto di tipo verticale .

    Una conferma alla diretta applicabilità di norme comunitarie in campo tributario deriva inoltre, a livello di ordinamento nazionale italiano, dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 168 del 1991 , in cui viene esteso anche alle direttive il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, in base al quale nelle materie di competenza del legislatore di Bruxelles ogni giudice nazionale è autorizzato a disapplicare le disposizioni interne incompatibili con le previsioni comunitarie, essendo tenuto ad assicurare la diretta applicazione di queste ultime senza necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale ex art. 11 Cost. .

    Il principio di prevalenza opera nonostante l’emanazione successiva di disposizioni nazionali, nei limiti e nella misura in cui queste risultino difformi dalle norme comunitarie considerate direttamente applicabili, ovvero violino lo spirito e gli obiettivi della direttiva nel suo complesso. In accordo coi principi sopra esposti, l’implementazione parziale, così come la scorretta attuazione, non esonera i competenti organi degli Stati membri dal garantire comunque l’osservanza dei precetti contenuti nelle previsioni inattuate.

    Vero è che alcuni articoli della direttiva riservano margini di discrezionalità nell’attuazione da parte degli Stati membri: la scelta di includere differenti opzioni d’altronde rientra di regola nella prassi normativa comunitaria in accordo con la definizione stessa di direttiva, data all’art. 189 del Trattato istitutivo delle Comunità, tenuto conto delle diverse esigenze nazionali in alcuni punti maggiormente contrastati.

    L’interpretazione delle norme della direttiva non sarà uniforme in alcuni punti maggiormente contrastati. Qualora si sollevasse questione relativamente alla disciplina introdotta da un singolo Paese, i parametri di riferimento per sindacare la legittimità o meno della scelta operata dovrebbero rinvenirsi negli scopi generali della direttiva. La Corte di Giustizia infatti usa spesso indicare la parte più importante di un provvedimento nel preambolo, e nelle ragioni oggettive sottese alle disposizioni: l’interpretazione teleologica e la ricerca dell’intenzione del legislatore di Bruxelles costituiranno essenziali strumenti interpretativi nella risoluzione di eventuali inadempienze poste a carico degli Stati, siano esse rifiuti ed omissioni di attuazione, ovvero situazioni di implementazione parziale o errata .

    In questi casi lo stato membro inadempiente resterebbe responsabile dei danni subiti dai soggetti privati a causa della mancata o scorretta attuazione, come risulta dal principio enunciato nelle decisioni Francovich .

    Ammettendo la completa e incondizionata supremazia del diritto comunitario in questi termini (eventuale disapplicazione delle norme interne disposta dai giudici nazionali, previo ricorso ex. art. 177 alla Corte di Giustizia, le cui decisioni interpretative hanno efficacia diretta nel territorio comunitario ), nonostante le divergenti implementazioni emanate negli Stati membri, sarebbe comunque garantita una omogenea applicazione della direttiva .

    1.4 - Ostacoli di diritto interno alle fusioni e scissioni internazionali. La "real seat doctrine" e la dottrina dell’incorporazione nel diritto internazionale privato. Il "three-steps model". La convenzione di Bruxelles sul riconoscimento delle persone giuridiche.

     

    Si è detto in precedenza che tra gli ostacoli frapposti dalle legislazioni nazionali alla praticabilità giuridica delle fusioni e scissioni transfrontaliere assume immediato rilievo l’assenza di adeguate disposizioni interne. La chiusura delle frontiere alle operazioni internazionali trova fondamento in ragioni di interesse puramente domestico, legate perlopiù a questioni relative:

    a) alla conservazione della personalità giuridica per i soggetti incorporati da società estere, impedita dalle norme di diritto commerciale fondate su principi interni inderogabili, quali la conservazione delle garanzie patrimoniali a favore dei creditori e il rispetto dei diritti dei lavoratori alla partecipazione gestionale o agli utili, come in Germania e in Olanda, oppure, come in Belgio, Lussemburgo e Spagna, per motivi di nazionalità;

    b) all’adempimento delle formalità e dei controlli richiesti alle società nazionali, secondo la dottrina dominante impraticabili nei confronti dei soggetti stranieri assorbiti da enti regolati da leggi interne, come in Germania.

    Tuttavia, mentre nel caso in cui sia una società estera a perdere la propria individualità e ad essere incorporata in un ente nazionale le autorità competenti richiedano in genere solamente l’adempimento di determinate formalità o la verificazione di certe condizioni, più o meno onerose, per il riconoscimento dell’operazione, qualora si realizzi la scomparsa di un autonomo soggetto nazionale, ovvie ragioni di sovranità civilistiche e fiscali negano i crismi della neutralità all’operazione considerata: la conseguenza immediata e inevitabile non può che essere la liquidazione, con palesi effetti negativi, dal punto di vista fiscale consistenti nell’immediata tassazione di tutte le plusvalenze latenti, e deterrenti alla diffusione di fusioni e scissioni.

    La situazione di una società assorbita da un ente straniero può essere senza difficoltà accostata per evidenti ragioni di analogia al trasferimento oltre i confini nazionali della sede statutaria: in entrambi i casi difatti si verifica la potenziale fuoruscita definitiva dei beni dell’incorporata dalla sfera di sovranità del relativo Stato di residenza, con gli effetti sopra descritti in relazione allo scioglimento imposto alla stessa società.

    Emblematico al riguardo è l’esempio offerto dalla legislazione tedesca, supportata da un orientamento giurisprudenziale per molti versi tuttora ancorato ai saldi principi della tradizionale dottrina della sede reale, elaborata in Francia e Germania durante il XIX secolo.

    Secondo i dettami di tale teoria, la cui valenza operativa equivale a quella di una norma di conflitto, risulta rilevante ai fini dello statuto personale di una società, e quindi ai fini della disciplina di eventi non specificamente considerati dal diritto internazionale privato di un Paese, quali appunto il trasferimento all’estero della sede, o l’incorporazione di una società nazionale, la legge dello Stato in cui è situata la sede effettiva della persona giuridica interessata all’operazione. La giurisprudenza tedesca, confermata da una recente pronuncia della Corte d’Appello del Land di Baviera , interpreta tale dottrina in maniera assai restrittiva, e sostiene che "se una società a responsabilità limitata soggetta al diritto tedesco trasferisce all’estero la sua sede essa cambia ... il suo statuto personale" e, tenuto conto che la conservazione dell’identità è subordinata alla compatibilità tra i differenti Statuti, il trasferimento implica di conseguenza l’estinzione della società, non cambiando le cose il fatto che si tratti di un trasferimento intracomunitario.

    La teoria della sede reale (tatsächlicher Sitz) non trova invece spazi operativi in altri Paesi europei, dove prevale la contrapposta dottrina dell’incorporazione, di origine anglosassone, secondo cui resta applicabile alle persone giuridiche lo Statuto dello Stato in cui la società è stata costituita, rilevando solamente la sede legale (Satzungssitz) indicata nell’atto costitutivo e trascritta nei registri delle imprese.

    La ragione essenziale dell’adozione della teoria della sede viene solitamente indicata nella miglior tutela accordata agli interessi di ordine pubblico relativi ad un effettivo controllo statale e alle garanzie dei creditori. Tuttavia sembra porsi un problema di compatibilità con il diritto di libera circolazione delle persone all’interno dell’area dell’Unione Europea. Il combinato disposto degli articoli 52 e 58 del Trattato pongono infatti come libertà fondamentale, anche delle società, la facoltà di stabilimento all’interno dei Paesi aderenti. In realtà la questione è già stata portata innanzi alla Corte di Lussemburgo, la quale si è pronunciata nel famoso caso Daily Mail a favore della compatibilità tra l’art. 58 e la teoria della sede, avendo negato l’esistenza di un diritto di stabilimento primario, ossia un diritto a trasferire liberamente la propria sede legale, a favore delle società, e avendo così semplicemente ammesso la possibilità che un’impresa possa costituire in un’altro stato membro senza ostacoli solamente una sede secondaria, una filiale o un’agenzia.

    La conciliabilità tra la libertà di trasferimento, e di riflesso la facoltà di fondersi, laddove non esistano regole determinate, e l’esigenza di un efficace controllo sembra invece trovare riscontro all’interno dell’ordinamento italiano, ove nel silenzio della legge la dottrina e la giurisprudenza ritengono coscienziosamente di poter applicare le norme contenute nel capo IX del titolo V del quinto libro del codice, relative alle società estere, in unione con l’art. 2437, per fondare una assoluta libertà di compiere operazioni internazionali. Secondo l’art. 2505 si reputano di nazionalità italiana tutte le società, alternativamente, costituite nel territorio, o costituite all’estero ma aventi la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale dell’impresa in Italia, mentre l’art. 2509 dispone che una società costituita in Italia non perde la nazionalità per il solo fatto del trasferimento all’estero della sede legale. L’art. 17 delle Preleggi impone poi alle società nazionali l’assoggettamento all’ordinamento italiano.

    Per contro, l’art. 2505 impone alle società straniere, cioè costituite all’estero, le quali abbiano determinati fattori di contatto con il territorio italiano, il rispetto di tutte le norme in materia societaria, unicamente per una fondamentale funzione di tutela del pubblico interesse, senza per questo voler spogliare della loro nazionalità le società estere. In ultima analisi, quindi, il meccanismo previsto dall’ordinamento italiano consente "piena libertà di trasferimento all’estero delle società da e verso lo Stato, rimanendo le stesse sempre in possesso della nazionalità originaria e senza essere costrette a sciogliersi e ricostituirsi ... non rinunziando affatto lo Stato italiano al controllo sulle società immigrate o emigrate" .

    La legge francese, diversamente dalle disposizioni italiane e tedesche, richiede invece la sussistenza di un accordo bilaterale con lo Stato in cui una società francese intenda trasferire la propria sede . In presenza di detto trattato, che deve prevedere espressamente il reciproco riconoscimento, l’art. 221 del Code Générale des Impôts concede poi un differimento dell’imposizione sulle plusvalenze latenti della società emigrata. Tuttavia non risulta al momento stipulato alcun accordo di questo genere tra la Francia e un altro paese, nonostante alcuni Autori ritengano automatica l’applicazione dell’art. 154 in caso di trasferimento di società verso uno Stato membro della Cee, sulla base dell’articolo 58 del Trattato di Roma, la cui valenza come norma internazional-privatistica non è stata preclusa dalle statuizioni della pronuncia Daily Mail .

    Il riconoscimento della soggettività delle persone giuridiche straniere, così come la conservazione della stessa personalità dei soggetti nazionali in caso di trasferimento all’estero della propria sede legale, assume rilevanza determinante in assenza di una disciplina specifica sulle fusioni internazionali. Come è stato sottolineato dalla stessa Commissione, infatti, la fusione internazionale potrebbe aver luogo nonostante la carenza delle norme comunitarie indicate dagli Stati inadempienti – Belgio, Germania e il Regno Unito – utilizzando un meccanismo più complesso di operazioni che condurrebbe ad un risultato analogo, il c.d. Three-step-model .

    Le tre successive tappe funzionalmente collegate si possono brevemente sintetizzare nel modo seguente:

    1) trasferimento della sede legale della società incorporanda nello Stato membro in cui si vuole realizzare la fusione (Stato target o di destinazione);

    2) riconoscimento di detta società da parte dello Stato di destinazione;

    3) susseguente fusione della società incorporanda con una società residente nello Stato target in conformità alle leggi di quest’ultimo.

    Evidentemente si richiedono alcune imprescindibili condizioni, affinché l’operazione possa essere efficace:

    a) lo Stato di origine della società incorporanda deve accettare la rilocazione della sede legale della società;

    b) lo Stato di destinazione deve successivamente riconoscere la medesima transazione, attraverso l’automatico riconoscimento della personalità giuridica;

    c) infine la legislazione dello Stato target deve consentire una fusione tra una società nazionale ed una straniera che abbia trasferito la propria sede statutaria nel suo territorio.

    Mentre la terza condizione non pone rilevanti questioni, la praticabilità del primo dei "gradini" dell’operazione risulta fortemente ostacolata dalla stessa dottrina della sede reale, di cui si parlava poc’anzi.

    Il secondo passo incontra altresì notevoli impedimenti, giustificati dal timore di eccessive immigrazioni di società provenienti da Paesi in cui il livello di tutela e controllo statale, relativo alla protezione degli interessi degli azionisti di minoranza, dei creditori, dei lavoratori, nonché i requisiti di minima capitalizzazione, siano troppo liberali o inconsistenti. Questi pericoli andrebbero tuttavia dissipati se lo Stato di destinazione potesse imporre alle società estere l’ottemperanza alle proprie norme di diritto societario: non residuerebbero in questa maniera ulteriori obiezioni al riconoscimento, così come avviene in Italia.

    L’intera problematica muta prospettiva se intervengono trattati tra gli Stati membri che prevedono l’espresso reciproco riconoscimento delle persone giuridiche. Un esempio di convenzione bilaterale attualmente esistente è dato dal trattato di stabilimento tra la Germania e la Spagna, in cui viene garantito il mutuo riconoscimento .

    Lo stesso Trattato istitutivo delle Comunità prevedeva, all’art. 220, l’avvio di procedure intese a realizzare un accordo multilaterale parallelo finalizzato al riconoscimento automatico nei casi di trasferimento all’estero della sede legale e di fusione societaria. Il primo passo concreto è stato compiuto il 29 febbraio 1968, quando i Ministri degli esteri dei sei Paesi originariamente aderenti hanno firmato, a Bruxelles, la Convenzione sul reciproco riconoscimento delle persone giuridiche, pubbliche e private, esercenti attività economiche. La Convenzione segue la dottrina dell’incorporazione, prevedendo il riconoscimento di diritto allorché una società sia stata costituita in conformità della legge di uno Stato contraente ed abbia la propria sede legale nei territori in cui l’accordo si applica. L’operatività della teoria della sede reale rimane invece prevalente quando una società residente sia effettivamente localizzata oltre i confini della Comunità, non avendo con questa alcun genuino legame. Uno Stato contraente può infine imporre ad una società estera immigrata l’applicazione delle proprie norme considerate imperative .

    La fase della ratifica, tuttavia, non ha tuttora trovato conclusione, data la mancanza dell’adesione dei Paesi Bassi.

    1.5 - Rapporti tra la direttiva e il diritto commerciale interno e comunitario. Le prospettive di diritto uniforme: la proposta di X direttiva societaria e il progetto di statuto di "Societas Europæa".

     

    Abbiamo in precedenza visto che alcuni Stati membri si sono opposti all’implementazione della direttiva 90/434 sulla base della carenza di appropriate norme comunitarie che permettano esplicitamente la realizzabilità di fusioni e scissioni transfrontaliere. Ora, alla luce dei principi di diritto europeo e delle possibili soluzioni interpretative su esposte, ci si chiede se esista una obbligazione vincolante a carico di detti Paesi di mutare la propria legge interna in senso favorevole a tali operazioni.

    In passato è stata sostenuta, in opposizione all’adozione di misure comuni di carattere civilistico, la previa necessità di addivenire ad un accordo in campo fiscale: sarebbe ora singolare, nonché incoerente, condizionare l’attuazione della direttiva 90/434 all’approvazione finale delle norme relative al diritto societario, contenute nella proposta di X direttiva. Secondo un’autorevole opinione "the EC Merger Directive constitutes a legally binding obligation to adopt the necessary company law measures at EC level to give the EC Merger Directive full effect for the Member States under Article 5 EECT " . Lo stesso art. 5 del Trattato di Roma infatti impone agli Stati membri di adottare ogni provvedimento interno utile al fine di rendere possibile la completa attuazione dei provvedimenti comunitari: in conformità a tale disposizione, e seguendo i principi degli articoli 7, 52 e 58 i Paesi Bassi e l’Irlanda hanno incluso nelle rispettive leggi di attuazione la disciplina tributaria delle fusioni e scissioni transfrontaliere, nonostante i loro ordinamenti disconoscano tali istituti giuridici. Di conseguenza, pare inopportuno il perdurante rifiuto di Germania, Belgio e Regno Unito di operare un’integrale attuazione della normativa.

    Ci si chiede ora in quale maniera possano mutare realmente le cose allorché la X direttiva entrerà finalmente in vigore. La proposta del 1985, che nel primo considerando ritiene indispensabile una normativa specifica per le fusioni cui partecipino società di differente nazionalità, posto che il coordinamento introdotto con la direttiva 78/855 "riguarda soltanto le fusioni nelle quali tutte le società partecipanti sono soggette alla legislazione di un solo e unico Stato membro" , contiene un generale rinvio alle norme della Terza direttiva, già attuate negli Stati membri, garantendo comunque il rispetto delle differenti scelte compiute dai Governi nazionali in relazione alle specifiche opzioni concesse. Questa limitazione, nonché la presenza di numerose norme di conflitto che indicano la legge applicabile ad ogni singolo momento della procedura , individuandone il contenuto minimo necessario per l’applicazione, rendono però l’operazione complessa.

    Viene riaffermato il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, in via generale contenuto nell’art. 7 del Trattato di Roma, e un’ulteriore serie di norme materiali disciplina direttamente alcuni aspetti peculiari, quali la pubblicità dei documenti essenziali, la designazione congiunta degli esperti indipendenti, le modalità di controllo della regolarità del procedimento.

    Sembra quindi che la disciplina delle operazioni internazionali si possa discostare notevolmente, almeno limitatamente ad alcuni aspetti, dalle corrispondenti normative interne, a seconda del numero delle leggi che vengono ad applicarsi. In assenza di un accordo integrale, e di conseguenza di una disciplina veramente uniforme sia a livello nazionale che in campo intracomunitario, non pare neppure opportuno introdurre disposizioni di astratta e disomogenea applicabilità. Le questioni pratiche possono altrettanto bene risolversi in base a criteri interpretativi, nonostante rimanga comunque un’ampia area di incertezza giuridica, auspicabilmente attenuata o rimossa da una giurisprudenza conformatrice della stessa Corte di Giustizia.

    Con ogni probabilità maggiore efficacia operativa avrebbe avuto l’approvazione dello Statuto della c.d. "Societas Europæa" (SE) .

    In estrema sintesi, è possibile definire una SE come una società avente oggetto commerciale e personalità giuridica costituita e regolata da una comune legge europea, contenuta in un regolamento del Consiglio, direttamente e integralmente efficace in tutti gli Stati membri. Una delle procedure privilegiate per addivenire alla creazione di una SE è individuata dal corpo del progetto in una fusione internazionale tra enti pubblici o privati aventi la sede dell’amministrazione centrale in almeno due diversi Paesi dell’Unione. Le norme materiali contenute dagli articoli da 17 a 29 disciplinano indi l’intero procedimento, eliminando in radice ogni rilevante difficoltà di applicazione di leggi differenti. Le medesime disposizioni risultano impiegabili anche nel caso di successive operazioni di fusione tra le SE e altre società, incluse preesistenti SE.

    Come appare del tutto evidente, l’entrata in vigore dello Statuto ovvierebbe a molti impedimenti alle operazioni di ristrutturazione a livello comunitario. Il maggiore ostacolo, rappresentato dalla tutela inderogabile dei diritti alla partecipazione gestionale dei lavoratori, viene poi radicalmente eliminato grazie alla parallela proposta di direttiva che completa lo Statuto, e prevede i modelli di partecipazione e l’accesso al capitale e agli utili della SE .

    L’unica disposizione in materia tributaria si ritrova invece nell’art. 133, relativo al regime impositivo delle stabili organizzazioni di una Società Europea .

     

    1.6 - Applicabilità della normativa nei rapporti con imprese extracomunitarie. Competenza esclusiva del Consiglio CEE nelle materie disciplinate da normative comunitarie. Rapporti tra la direttiva e gli accordi bilaterali.

     

    Il dettato della direttiva non risolve il problema, che può assumere notevole importanza, dei rapporti fra gli Stati membri e i Paesi Terzi in merito all’applicabilità del regime comunitario alle operazioni di fusione e scissione cui partecipano imprese situate oltre i confini dell’Unione.

    L’originaria proposta del 1969 conteneva una specifica disposizione finalizzata a regolare le competenze residue degli Stati membri, i quali rimanevano depositari della facoltà di estendere le agevolazioni fiscali concesse dalla direttiva alle imprese extracomunitarie.

    In assenza di espresso divieto di adottare misure unilaterali, ci si chiede quindi se sia raffigurabile una proibizione implicita.

    Lo stralcio della previsione, attuato nella versione definitiva, il fatto che l’ambito soggettivo di applicabilità della direttiva sia ristretto solamente alle società indicate nell’allegato e la presenza di un considerando che individua uno degli obiettivi trainanti del progetto nel rafforzamento sui mercati internazionali della posizione competitiva delle imprese comunitarie, non inducono tuttavia a considerare esclusa la possibilità per i paesi dell’Unione di intervenire unilateralmente nell’ambito extraeuropeo .

    D’altro canto, è opportuno ricordare che, in aderenza all’ormai consolidato principio espresso dalla Corte di Giustizia, approvando una direttiva, ai sensi dell’art. 100 del Trattato, la Comunità ha acquistato la competenza esclusiva a condurre i negoziati e stipulare convenzioni con i Paesi Terzi nella materia disciplinata. Pertanto, ogni intervento statale inteso ad emanare una disciplina pattizia con altri Paesi, nel settore della fiscalità delle operazioni internazionali, costituirà violazione degli obblighi assunti col Trattato di Roma .

    Tuttavia è ipotizzabile l’applicazione di questo principio al di fuori della sfera convenzionale, vietando così agli Stati non solo di condurre a termine accordi coi Paesi terzi, ma altresì di adottare misure unilaterali?

    Il principio generale secondo cui la direttiva pone i criteri minimi cui devono attenersi gli Stati membri nell’implementazione, e non i massimi, sembra deporre a favore della tesi negativa. La stessa prassi attuata nei singoli ordinamenti offre alcuni esempi di vantaggi tributari concessi senza distinzione a tutte le società estere, oppure di regimi che stabiliscono condizioni di applicabilità più liberali rispetto agli standards contenuti in una direttiva. A quest’ultimo proposito giova citare la disciplina della tassazione dei dividendi infragruppo, contenuta a livello comunitario nella direttiva 90/435, che prevede l’applicazione dell’esenzione e l’eliminazione della ritenuta alla fonte nel caso in cui la partecipazione nella filiale, detenuta dalla società madre, superi il 25%, mentre le legislazioni nazionali inglese e olandese ritengono sufficiente il possesso, rispettivamente, del 10% e del 5% del capitale della sussidiaria. Ma la facoltà di disattendere le prescrizioni comunitarie in senso maggiormente favorevole ai soggetti interessati potrebbe collidere con l’interesse dell’Unione ad una disciplina il più possibile omogenea, in omaggio allo strumento del "ravvicinamento delle legislazioni" utilizzato proprio per emanare la direttiva 90/434, e soprattutto al fine di evitare distorsioni alla concorrenza nel mercato interno.

    Sorge, a questo punto, la questione se sia invocabile da parte di soggetti situati in Paesi terzi il regime agevolativo previsto dalla direttiva in base alle norme di un applicabile trattato contro la doppia imposizione stipulato con uno Stato membro dell’Unione.

    In linea generale, la posizione di un accordo bilaterale risulta subordinata al diritto comunitario emanato anche successivamente, sia che regoli materie disciplinate a livello europeo, sia che il caso esuli dal campo di applicazione oggettivo del Trattato di Roma .

    La situazione comunque sembra essere molto più complessa. Se l’accordo concede benefici maggiori o condizioni meno rigide si potrebbe indurre, in base ai principi di cui si trattava in precedenza, che le norme pattizie trovino piena applicazione , e che, in particolare, sia lecito invocare la clausola di non discriminazione prevista in via generale dal Modello OCSE.

    La questione se una società di nazionalità europea, indipendentemente dalla propria residenza, possa fruire dei vantaggi tributari accordati dalla direttiva attiene tuttavia alla problematica relativa al campo di applicazione soggettivo della stessa normativa, e perciò richiede un’analisi maggiormente approfondita in sede più appropriata .

     

    2.1 - Ambito di applicazione soggettiva (art. 3).

     

    Il regime comune previsto dalla Direttiva, secondo la disposizione generale contenuta nell’articolo 1, si applica esclusivamente alle "operazioni riguardanti società di due o più Stati membri". L’espressione "società di uno Stato membro" viene poi compiutamente definita dal seguente articolo 3, in base a tre differenti criteri:

    1) in primo luogo il soggetto interessato deve rivestire una delle forme giuridiche enumerate, per ciascuno Stato membro, nel relativo allegato ;

    2) secondariamente la società deve, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, essere considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato e, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo, non sia considerata come avente tale domicilio fuori dalla Comunità;

    3) la società deve infine essere assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle imposte sui redditi delle società, od altra equivalente, elencate dal testo stesso dell’articolo , o a qualsiasi altra imposta che venga a sostituire una di quelle indicate.

    Una prima lettura dell’articolo 3 indurrebbe a pensare che ciascuna delle suddette condizioni debba essere soddisfatta nello stesso Stato membro, come ad esempio nel caso di una società per azioni costituita in Italia, quivi avente domicilio fiscale, e soggetta ad IRPEG. Tuttavia, data la non univoca formulazione del testo, è sostenibile un’interpretazione meno restrittiva. È persino possibile che una società risponda ai separati criteri in tre differenti Stati, essendo incorporata in Italia – avente quindi la forma di S.p.A. –, con domicilio fiscale in Belgio e, mediante una stabile organizzazione in Germania, soggetta alla Körperschaftsteuer . Il caso più frequente comunque risulta essere probabilmente la situazione di una società avente forma giuridica regolata da un ordinamento (perché ivi costituita), e con residenza (da cui in genere dipende la tassabilità) in un altro Stato.

    La scelta di un’interpretazione più o meno restrittiva dipende in primo luogo dalle leggi di attuazione emanate dai singoli Paesi. Ad esempio, il dettato del testo italiano non aiuta molto in questo senso, per la difficoltosa e imprecisa formulazione. Sembra però esclusa dal regime comunitario l’operazione cui prendano parte esclusivamente società non costituite in Italia, seppur ivi fiscalmente residenti . L’intenzione del legislatore comunitario tuttavia non pare propendere per una lettura letterale del testo, anche perché così facendo verrebbero frustrate le ragioni di armonizzazione e di non discriminazione che stanno alla base del provvedimento. Si tenga inoltre presente che, mentre la questione della residenza fiscale deve essere risolta in base alle singole legislazioni nazionali, il riscontro della presenza dei residui criteri è pressoché automatico, dal momento che basterà confrontare le rispettive elencazioni. Da ciò risulta che una società potrà essere considerata residente, ad esempio, nello Stato in cui si trova la sede statutaria, nello Stato di direzione effettiva e anche nello Stato in cui opera una stabile organizzazione: tutto ciò, peraltro, non muta il fatto che comunque la Direttiva troverà applicazione. L’unica limitazione deriva dalla condizione che la società non venga considerata residente esclusivamente in un Paese non aderente alla Comunità, secondo una convenzione bilaterale sull’eliminazione della doppia imposizione .

    La disciplina è applicabile qualora siano coinvolte società di Stati differenti. Siccome la Direttiva non fornisce una concreta indicazione per determinare lo Stato al quale appartengono le società considerate, sorgono allora ulteriori problematiche, legate alla individuazione di un criterio univoco. Mentre alcuni autori risaltano il ruolo preponderante del criterio della residenza fiscale, altri reputano che sia preferibile la soluzione di considerare ciascuno dei tre criteri come indipendenti tests ai fini di stabilire l’appartenenza di una società . D’altro canto potrebbe essere preso in considerazione il criterio generale che attribuisce la nazionalità ad una persona giuridica, secondo la sede statutaria o la sede effettiva.

    Emblematiche sono le situazioni seguenti, in operazioni cui partecipano:

    a) due (o più) società incorporate nello stesso Stato membro, ma con differente residenza ai fini tributari;

    b) due (o più) società aventi diversi statuti nazionali ma entrambe residenti nel medesimo Stato membro.

    Sarà applicabile la Direttiva nel caso di una fusione tra i due soggetti?

    In assenza di chiare disposizioni letterali, data la necessità di ricorrere ad un’interpretazione teleologica, secondo i precetti della stessa Corte di Giustizia, occorre preliminarmente considerare le ragioni sottostanti al provvedimento comunitario. Questo è stato emanato per comporre gli interessi al prelievo di più amministrazioni fiscali, oltre che per evitare una gravosa quanto ingiustificata imposizione immediata a carico dei soggetti interessati, in nome della rimozione di ostacoli distorsivi della libera concorrenza. Poiché si tratta di salvaguardare, entro i limiti, la sovranità impositiva degli Stati, non v’è dubbio che il criterio di collegamento maggiormente rappresentativo è dato dalla residenza a fini tributari, mentre il terzo criterio, relativo all’assoggettabilità ad una delle imposte indicate, pone solamente alcuni limiti ulteriori alla sfera di persone giuridiche, già indicate nel primo punto, che possono invocare i benefici della Direttiva, escludendo gli enti che concretamente non risultano soggetti alle varie imposte sulle società.

    Nella situazione di cui alla lettera a), nonostante l’identica origine delle due società, i differenti ordinamenti fiscali cui sono sottoposte inducono a considerare quale internazionale l’operazione di fusione, e quindi soggetta alla disciplina comunitaria. Nel caso sub b) non si avrebbe invece ragione di applicare direttamente la Direttiva, rilevando al contrario le disposizioni concernenti le operazioni interne, ed, eventualmente, le disposizioni di un Trattato bilaterale.

    Una rilevante questione può sorgere nei casi di doppia residenza, allorché dal punto di vista di uno degli Stati interessati l’operazione non soddisfi ai requisiti prescritti dalla Direttiva. Si consideri la seguente esemplificazione: si attua una ristrutturazione tra una società olandese, residente in Olanda, e una società belga, ivi residente; per il diritto nazionale del Belgio, la prima società viene considerata anche residente in quest’ultimo Paese, poiché qui è situata la sede dell’amministrazione; dal punto di vista del diritto belga, quindi, l’operazione riguarda due società entrambe residenti nel proprio territorio. Non sarà allora soddisfatta la condizione essenziale prevista dall’articolo 1. In realtà sarebbe opportuno applicare la Direttiva da una prospettiva maggiormente obiettiva, indipendentemente dai punti di vista meramente nazionali, in modo da non lasciare aperta la possibilità di una diversificata applicazione in ragione del criterio di determinazione della residenza adottato dai singoli Stati membri.

    2.2 - Possibilità di discriminazione in base al Trattato CEE e agli Accordi bilaterali. Nuova proposta rettificativa.

     

    La necessità che ricorrano le condizioni prescritte dall’articolo 3 esclude dal campo di applicazione della Direttiva numerosi enti commerciali ugualmente soggetti alle imposte sulle società.

    Innanzitutto non si può far a meno di notare come l’elenco contenuto nell’allegato comprenda esclusivamente le società di capitali ordinarie, non considerando società di diritto speciale, come possono essere le SICAV, né, in generale, tutte le società cooperative , o le società personali con particolari caratteristiche, come alcune società in accomandita semplice, le unlimited company, nonché, caso assai rilevante, le società unipersonali, come l’EURL.

    In secondo luogo vengono ad essere esclusi alcuni tipi di società per varie ragioni esenti o esentabili dall’imposta, come le holdings lussemburghesi create sotto il regime della legge del 1979, o, seguendo la lettera della norma, le società francesi collocate entro un perimetro di integrazione fiscale, i centri di coordinamento del diritto belga, alcune società di investimento olandesi .

    Mentre in queste ultime situazioni non sorgono rilevanti questioni, ci si chiede, tuttavia, se le società non indicate dall’allegato, le quali soddisfino alle altre condizioni poste dall’art. 3, possano parimenti invocare i benefici della Direttiva in ragione dei principi generali del diritto comunitario relativi alla non discriminazione. In realtà, le imprese escluse, operando nei medesimi mercati e soggette al medesimo regime fiscale, si troverebbero con ogni probabilità in una posizione deteriore rispetto alle società elencate, senza che una giustificazione possa essere ragionevolmente addotta. Il preambolo stesso della Direttiva non menziona alcun motivo per questa distinzione, dando adito a dubbi di legittimità ai sensi dell’articolo 190 del Trattato, il quale prescrive l’obbligo di motivare adeguatamente le norme approvate. Da ciò potrebbe derivare l’invalidità parziale dello stesso provvedimento per gli effetti discriminatori che ne sorgerebbero . Il problema si presenta però in termini molto più complessi, data la difficoltà di individuare un procedimento univoco per ottenere i risultati auspicati. L’ipotesi di applicare l’art. 173 del Trattato non sembra sostenibile, almeno per quanto riguarda la possibilità che siano legittimate a ricorrere le società interessate . Potrebbe anche ottenersi, in base all’art. 177, una sentenza interpretativa della Corte, avente efficacia vincolante per gli organi nazionali.

    Per quanto concerne l’ipotesi di applicazione della clausola di non discriminazione, prospettata in precedenza , è necessario tener conto del testo dell’art. 24 del Modello OCSE, punto di riferimento delle numerose convenzioni bilaterali. La disposizione accorda alle società costituite secondo la legislazione di uno degli Stati Contraenti il diritto di esigere dall’amministrazione fiscale dell’altro Stato un trattamento tributario identico a quello riservato alle società nazionali di quest’ultimo Stato, a parità di condizioni . Ci si chiede quindi se una società incorporata nella Comunità, avente quindi una delle forme elencate nell’allegato, possa invocare i benefici della Direttiva nonostante essa sia situata al di fuori dei confini della Cee . Normalmente tale estensione sembra impedita dalla seconda condizione richiesta dall’art. 3 , a meno che la stessa società resti residente nel Paese di cui ha la nazionalità, e, nel contempo, sia considerata residente nello Stato Terzo in virtù di norme interne . Il successivo requisito dell’assoggettabilità ad una delle imposte indicate sarà poi soddisfatto dalla presenza di una stabile organizzazione, nonostante sussistano opinioni divergenti . Una possibilità più concreta risiede nell’applicabilità del quarto comma dello stesso art. 24, il quale vieta ogni discriminazione in base alla residenza della società che possiede una stabile organizzazione in uno Stato Contraente . La disposizione potrà essere in questo caso utilmente invocata da parte di una società extracomunitaria che trasferisce ad una società residente nella Cee una stabile organizzazione situata in un terzo Stato della Comunità .

    Infine, nonostante la lettera dell’articolo 3 sia molto precisa nella elencazione, a prima vista tassativa, occorre nondimeno tenere presente almeno due fatti:

    1) diversi Stati membri hanno ritenuto di non considerare tale elenco inderogabile, e con le loro leggi nazionali di attuazione hanno di conseguenza incluso nell’ambito di applicazione del regime comunitario anche soggetti aventi forme non coincidenti con quelle enumerate ;

    2) è stata recentemente presentata al Consiglio da parte della Commissione una proposta di modifica alle direttive 90/434 e 90/435, mirante, fra l’altro, a estenderne, in senso più liberale, il campo soggettivo di applicazione .

    In merito al primo punto, non riteniamo necessario soffermarci più a lungo, avuto riguardo alla già accennata dottrina secondo cui una direttiva non pone che le condizioni minime, rimanendo gli Stati membri liberi nel ricorrere a discipline maggiormente favorevoli .

    Il secondo punto offre al contrario rilevante interesse, posto, ovviamente, che la proposta venga approvata dal Consiglio.

    La modifica consiste nella sostituzione dell’originario art. 3 e trova giustificazione, come sottolineato dal preambolo, nella esigenza di estendere l’ambito di applicazione "a tutte le imprese che possono esercitare attività transfrontaliere nelle Comunità e che sono assoggettate all’imposta sulle società di uno Stato membro" . La nuova formulazione elimina in radice la possibilità di discriminazioni, rimuovendo dal testo ogni riferimento ad una specifica forma societaria. L’espressione "società di uno Stato membro" viene ad essere definita come "qualsiasi entità" che, indipendentemente dalla veste giuridica assunta, soddisfi a due requisiti:

    a) sia considerata, in forza della legislazione fiscale di uno Stato membro, domiciliata in tale Stato...

    b) sia assoggettata, senza godere di esenzioni, ad una delle imposte sulle società indicate, o ad una tassa che sia "identica o sostanzialmente similare ... e che venga successivamente imposta in aggiunta o in sostituzione di quelle indicate" .

    Il termine entro cui gli Stati membri dovranno adeguarsi è fissato al primo gennaio 1994, salvo eventuali differimenti disposti dal Consiglio in sede di approvazione.

    Rimane tuttavia una preoccupante incongruenza nel sistema complessivo del diritto comunitario, poiché l’ambito di applicazione della Direttiva, attuale o futuro, non coincide affatto con quello stabilito negli altri precedenti provvedimenti in materia commerciale, ristretti alle sole società per azioni e tipi corrispondenti, anche se è vero che diversi Paesi hanno adottato disposizioni interne di attuazione di più ampia portata .

    D’altra parte, la nozione di "società" accolta nel Modello OCSE del 1992 include "ogni ente morale od ogni entità che viene definita come tale ai fini fiscali" ; ed alcune delle convenzioni bilaterali contengono definizioni enumeranti tipi societari diversi e ulteriori rispetto a quelli elencati nell’allegato della Direttiva, e comprendenti in particolare società di persone e associazioni soggette ad imposta sulle società .

     

    2.3 - Definizione delle operazioni coinvolte (art. 2): fusioni e scissioni.

     

    Le operazioni rientranti nel campo di applicazione della Direttiva sono delineate nell’art. 2 in maniera attenta, seguendo, per quanto riguarda le fusioni e le scissioni, le definizioni già contenute nella Terza e Sesta Direttiva.

    Sono previste tre differenti forme di fusione:

    a) per incorporazione ("una o più società trasferiscono, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del loro patrimonio, attivamente e passivamente, ad altra società preesistente, tramite l’assegnazione ai loro soci di titoli rappresentativi del capitale sociale dell’altra società ed eventualmente di un saldo in contanti non eccedente il 10% del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile di tali titoli");

    b) fusione propria ("due o più società trasferiscono, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del loro patrimonio, attivamente e passivamente, ad una società da esse costituita, mediante l’assegnazione ai propri soci di titoli rappresentativi del capitale sociale della nuova società ed eventualmente di un saldo in contanti non eccedente il 10% del valore nominale, o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile di tali titoli");

    c) quasi-liquidation merger ("una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del proprio patrimonio, attivamente e passivamente, alla società che detiene la totalità dei titoli rappresentativi del suo capitale sociale").

    La scissione è invece configurata come "l’operazione mediante la quale una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del proprio patrimonio, attivamente e passivamente, a due o più società preesistenti o nuove, mediante l’assegnazione ai propri soci, secondo un criterio proporzionale, di titoli rappresentativi del capitale sociale delle società beneficiarie del conferimento ed eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10% del valore nominale o, in mancanza del valore nominale, della parità contabile di tali titoli".

    Dalla lettura delle definizioni sopra riportate si prospettano alcuni spunti interessanti.

    Curioso è il riferimento allo "scioglimento" della società conferente "senza liquidazione", poiché apparentemente sembra dar luogo ad una contraddizione terminologica. La questione, però, riveste minima importanza a livello operativo: l’estinzione della società che apporta l’intero suo patrimonio ad altra è conseguenza inevitabile e fisiologica della fusione o della scissione, mentre il fatto di sottolineare l’assenza di una qualsiasi forma di liquidazione impedisce ogni sorta di tassazione immediata, in genere imposta nei casi, appunto, di liquidazione.

    Da evidenziare la necessità che venga trasferito l’intero patrimonio attivo e passivo, con la corrispondente esclusione di scissioni parziali dal novero delle operazioni comprese nella definizione, a differenza delle disposizioni (non cogenti) della Sesta Direttiva . Se una società desidera trasferire solo una parte delle proprie attività ad un altra compagnia in cambio di azioni emesse a favore dei propri azionisti (una sorta di demerger), per ottenere i benefici della Direttiva non può che attuare un conferimento di attivo, (mediante il quale le azioni emesse per l’occasione andranno iscritte nel bilancio della società stessa, e non nel patrimonio dei soci), ed assegnare successivamente i titoli ricevuti ai propri soci: la neutralità della seconda transazione dovrà però trovare fondamento nelle regole di diritto interno .

    Salvo il caso della incorporazione da parte della casa madre della sussidiaria posseduta totalitariamente (quasi-liquidation), i soci della conferente debbono ricevere "titoli rappresentativi del capitale sociale della beneficiaria". Poiché tale espressione non viene definita, si pone la questione se sia atta a ricomprendere titoli diversi dal mero capitale azionario. La legge irlandese e una risoluzione del Governo inglese hanno incluso nell’estensione del termine anche titoli obbligazionari, quali le debentures , mentre la maggior parte dei Paesi sembra aver propeso per una interpretazione limitata alle azioni o quote societarie, in maggior aderenza, probabilmente, alla lettera e agli obiettivi del legislatore comunitario.

    Un ulteriore punto riguarda il conguaglio in denaro che non può eccedere il 10% del valore nominale (o, se assente, della parità contabile) dei titoli ricevuti. È incerto se questo si debba ritenere un limite invalicabile posto per ciascuno degli azionisti, oppure un mero tetto complessivo. Non sembra però congruo ammettere una disparità di somme attribuite, con la eventualità che alcuno riceva esclusivamente un pagamento in contanti: ciò costituirebbe una vera e propria liquidazione della quota sociale e una estromissione dalla compagine del socio, anche contro la sua volontà. La facoltà di attribuire conguagli monetari è data allo scopo di risolvere il problema tecnico della determinazione del rapporto di cambio, senza che risultino resti: non è quindi pensabile un suo utilizzo a finalità differenti.

    Coerente a questa impostazione è anche la disposizione, in materia di scissioni, che vieta l’assegnazione dei titoli, emessi a fronte del trasferimento dell’attivo, in modo non proporzionale fra i soci. In conseguenza non sarà possibile invocare i benefici del regime comune nei casi di suddivisione delle differenti attività di una società tra i soci, ad esempio per comporre liti interne o per separare rami d’impresa.

     

    2.4 - Segue: conferimenti d’attivo e scambi d’azioni

     

    Il conferimento d’attivo viene definito dall’art. 2, lettera c), come "l’operazione mediante la quale una società conferisce, senza essere sciolta, la totalità o uno o più rami della sua attività ad un’altra società mediante consegna di titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria del conferimento". A sua volta per ramo di attività deve intendersi "il complesso degli elementi attivi e passivi di un settore di una società che costituiscono, dal punto di vista organizzativo, un’azienda indipendente, cioè un complesso capace di funzionare con i propri mezzi" .

    Si osserva innanzitutto che gli elementi caratterizzanti questa transazione sono da ricercarsi nella mancanza di scioglimento della società conferente e nell’attribuzione delle azioni direttamente alla stessa società. Un ovvio esempio potrebbe essere l’incorporazione di una stabile organizzazione che una società ha in un altro Stato membro, con la formazione di una sussidiaria .

    Il conferimento può essere parziale o totalitario (in questo secondo caso si avrebbe la trasformazione della conferente in una holding pura della beneficiaria), e deve avere per oggetto un "ramo di attività", ossia una divisione, dal punto di vista economico, un settore, una branca autonoma dell’impresa, con tutti gli elementi attivi e passivi che sono ad essa inerenti. L’istituto è analogo all’apport partiel, regolato dall’ordinamento francese: anche qui si richiede il trasferimento di una branche autonome d’activité, per godere del regime di favore previsto per le scissioni. Le ragioni pratiche, oltreché antielusive, di un collegamento effettivo, di tipo contabile e funzionale, fra i beni conferiti sono di trasparente evidenza.

    Si dubita a proposito se possa essere ricompreso nella definizione il trasferimento di una divisione che soffra di perdite strutturali, e sia quindi incapace di "funzionare coi propri mezzi". Lo scopo complessivo della Direttiva sembra propendere per la soluzione positiva .

    La mancanza della possibilità di effettuare un saldo in denaro, infine, si spiega considerando che, trattandosi di un conferimento in senso tecnico, non avrebbe senso chiedere la restituzione in denaro di una parte del valore trasferito. Ciò equivarrebbe infatti ad una parziale monetizzazione del bene.

    Lo scambio di azioni, figura non consueta nel panorama giuridico italiano, viene definito dalla lettera d) dell’articolo 2 come "l’operazione mediante la quale una società acquista nel capitale di un’altra società una partecipazione il cui effetto sia quello di conferirle la maggioranza dei diritti di voto di questa società, mediante l’attribuzione ai soci dell’altra società, in cambio dei loro titoli, di titoli rappresentativi del capitale sociale della prima società e eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10% del valore nominale, o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile dei titoli consegnati in cambio".

    La struttura di questa operazione può essere sintetizzata nel modo seguente: una società A acquista dai soci di un’altra società B un pacchetto qualificato di azioni e, in cambio, cede agli stessi soci una parte del proprio capitale azionario. Le maggiori difficoltà riguardano l’interpretazione della espressione relativa all’acquisto della partecipazione idonea a conferire alla "società acquirente" la maggioranza dei diritti di voto della "società acquisita" . Alcuni problemi sorgono nell’individuazione del momento in cui si è raggiunta la maggioranza dei "voting rights" nelle seguenti situazioni:

    a) posta la frequente presenza di differenti tipi di titoli che attribuiscono diritti di voto, ci si domanda se la Direttiva sia applicabile alla società acquirente che non acquisti il diritto di decidere su alcune vicende, ad esempio sulla distribuzione degli utili. Tenendo conto che l’obiettivo della Direttiva è quello di facilitare le operazioni attraverso cui si ottiene un reale controllo sulla società da acquistare, dovrebbe sussistere il possesso della maggioranza di ogni tipo di azione che conferisca diritti di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie;

    b) non pare destare dubbi l’applicabilità della Direttiva qualora una società sia già in possesso di una quota minoritaria e, con uno scambio di azioni, acquisti un pacchetto tale da aumentare la propria partecipazione nella acquisita fino alla soglia del 51%;

    c) data l’assenza dell’espressione "almeno", non è chiaro se il regime della Direttiva si applichi alla quota di azioni, acquistata o complessiva, eccedente il limite del 51%, sia nel caso in cui una società già detenga o meno una partecipazione;

    d) se una società già possiede la maggioranza, al contrario, non pare soddisfare alla condizione richiesta dalla lettera della norma: l’acquisto del controllo, infatti, ne presuppone la precedente assenza. Una interpretazione teleologica, basata sulle finalità e sulle ragioni sostanziali della Direttiva, tenderebbe però ad includere anche tali operazioni nel campo applicativo dell’art. 2;

    e) infine si prospetta l’eventualità che l’acquisto si protragga nel tempo, come, ad esempio, durante una Offerta Pubblica: in quest’ultimo caso si avrebbe comunque un’unica operazione, e quindi rientrante nei termini della Direttiva. Il medesimo risultato non sarebbe, al contrario, perseguito tramite diverse operazioni successive, ciascuna delle quali indipendente e autonoma dalle altre .

    La Direttiva limita il proprio campo di applicazione agli scambi azionari "riguardanti" società di diversi Stati membri: mentre è pacifico che entrambe le società acquirente e acquistata devono soddisfare ai requisiti prescritti dall’art. 3, ci si chiede se anche la società che cede le partecipazioni nella acquisita debba essere localizzata entro i confini della Comunità . Anche se la risposta fosse negativa, comunque il regime di neutralità non potrebbe trovare applicazione, giacché la transazione esulerebbe dalla giurisdizione comunitaria .

     

    2.5 - Neutralità delle operazioni. Non imponibilità delle plusvalenze latenti in capo alla società conferente. Condizioni e presupposti (art. 4). La continuità dei valori fiscalmente riconosciuti.

     

    Si è visto come l’obiettivo principale della Direttiva sia quello di eliminare i costi fiscali delle operazioni di ristrutturazione, legati alla tassazione delle riserve nascoste. Lo strumento tecnico adottato consiste nel differimento di tale imposizione fino al momento in cui i beni saranno effettivamente realizzati, perché ceduti a soggetti terzi, perché distribuiti o assegnati ai soci, o comunque utilizzati per fini non imprenditoriali.

    Il meccanismo è descritto innanzitutto nell’articolo 4: "la fusione o la scissione (o il conferimento di attivo, secondo il richiamo fatto dal seguente art. 9) non comporta alcuna imposizione delle plusvalenze risultanti dalla differenza tra il valore reale degli elementi d’attivo e di passivo conferiti ed il loro valore fiscale" .

    Il "valore fiscale" viene definito, non senza ambiguità, come il valore al quale i beni sarebbero stati valutati ai fini delle imposte sul reddito in occasione di un’eventuale cessione, ossia il valore fiscalmente riconosciuto . In genere, si tratterà del valore contabile netto iscritto in bilancio, rettificato secondo le differenti regole tributarie delle legislazioni nazionali. Il valore reale dei beni conferiti non è invece espressamente definito, benché sembri ragionevole far riferimento al fair market o going-concern value, coincidente con il prezzo o corrispettivo di norma praticato nelle medesime condizioni di mercato per beni similari . Un’altra interpretazione considera al contrario rilevante il valore stabilito in vista della remunerazione dei soci della conferente .

    Ragioni tecniche sono alla base della condizione prevista dal comma II dell’art. 4, il quale afferma il principio di continuità dei valori fiscali, ai fini del calcolo delle nuove quote di ammortamento e delle future plusvalenze o minusvalenze inerenti agli elementi trasferiti . Il divieto, per la beneficiaria, di iscrivere i beni ricevuti a valori superiori rispetto a quelli presenti presso la conferente costituisce il presupposto centrale della neutralità delle operazioni interne. Diversa è la situazione delle operazioni transnazionali, ove la eventuale rivalutazione dei beni operata dalla beneficiaria riguarda solamente lo Stato in cui essa è residente, e non più lo Stato di origine, il quale rimarrebbe indifferente ad ogni conservazione dei valori. Il motivo per cui si è introdotto il principio in questione è probabilmente da ricercarsi nel tentativo di scoraggiare operazioni attuate con il precipuo scopo di ottenere rivalutazioni di cespiti senza imposizione, la qual cosa avrebbe trasformato il regime comune, adottato con la finalità extrafiscale di eliminare le barriere alla libera circolazione delle imprese e dei capitali, in pura agevolazione tributaria . Per l’amministrazione fiscale dello Stato della beneficiaria il problema consiste essenzialmente nell’evitare che i beni trasferiti vengano valutati ad una cifra superiore al valore corrente, ma è palese che più basso sarà il valore fiscale di ingresso nel territorio, maggiore sarà la base imponibile di una eventuale imposta in caso di realizzo delle plusvalenze .

    La ripresa dei valori fiscali non è comunque principio inderogabile. Nel caso in cui, in base alla legislazione dello Stato membro della società conferente, "la società beneficiaria può calcolare i nuovi ammortamenti e le plusvalenze inerenti agli elementi d’attivo e di passivo conferiti in maniera diversa", il principio non si applica agli "elementi di attivo e di passivo per i quali la società beneficiaria abbia fatto uso di tale facoltà" . Quando perciò la società beneficiaria potrà procedere a rivalutazione dei beni ricevuti secondo il diritto tributario nazionale, nulla le impedirà di applicare la medesima disciplina alle operazioni transfrontaliere .

    Da rimarcare il fatto che l’art. 4 limita la non applicazione del principio di continuità ai singoli beni che hanno usufruito del diverso regime interno: sarà possibile, quindi, anche una parziale rivalutazione dei cespiti conferiti.

     

     

     

     

    2.6 - La "effettiva connessione" dei beni trasferiti alla stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato della conferente.

     

    L’esigenza "politica" degli Stati a non perdere definitivamente il gettito proveniente dai beni che possono uscire dalla loro sfera impositiva viene salvaguardata mediante la sottoposizione dell’operazione alla condizione che i beni rimangano effettivamente connessi alla stabile organizzazione della beneficiaria, situata nel territorio dello Stato della conferente . Determinante è che la stabile organizzazione sia assoggettabile ad imposta in quest’ultimo Stato (gli elementi trasferiti devono concorrere "alla formazione dei risultati presi in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile delle imposte"), per garantire che le plusvalenze verranno effettivamente tassate nel momento del realizzo. Per questo motivo, non soddisfano a questa condizione le compagnie di trasporto marittimo o aereo, i cui risultati, in virtù dei trattati bilaterali, sono imponibili nello Stato in cui è posta la direzione effettiva .

    Ci si chiede per quale ragione si richieda la connessione ad una stabile organizzazione, quando lo scopo della Direttiva sarebbe stato conseguito semplicemente limitando il meccanismo di rinvio ai beni che rimangono soggetti a tassazione nello Stato della conferente . È possibile che la scelta della Commissione sia stata motivata dall’intenzione di sottolineare come non fosse sufficiente la ritenzione di qualsiasi semplice diritto di imposizione, ma occorresse un legame più intenso, rappresentato dalla presenza di una stabile organizzazione. Una seconda ipotesi considera invece collegate le due condizioni, in modo tale che l’assoggettabilità ad imposta divenga criterio ulteriore per individuare l’esistenza di una stabile organizzazione, in relazione alla definizione del termine prevista nei Trattati bilaterali.

    Non è infine da escludere la probabilità che il requisito dell’imponibilità sia richiesto al fine di evitare che gli elementi di attivo, nonostante risultino connessi alla stabile organizzazione, vengano in seguito sottratti alla giurisdizione fiscale dello Stato della conferente mediante la loro rimozione successiva all’operazione. La proposta originaria però conteneva un esplicito divieto a tal proposito , mentre la redazione finale è muta al riguardo, lasciando senza risposta la questione relativa al tempo minimo necessario per cui i beni devono essere collegati alla stabile organizzazione. La mancanza di una norma certa e trasparente apre la strada ai possibili abusi della pianificazione fiscale, i quali saranno quindi oggetto di specifiche previsioni nazionali, basate sulla clausola antielusiva contenuta nell’art. 11 della stessa Direttiva .

    La difficoltà principale riguarda tuttavia l’esatta individuazione della "effettiva connessione" degli elementi attivi e passivi trasferiti. Quale criterio deve essere adottato per valutare tale collegamento qualificato? La prima impressione è che si debba far riferimento a principi economico-gestionali, secondo cui, però, non tutti i beni appartenenti alla conferente si potrebbero ritenere funzionalmente connessi alla stabile organizzazione risultante dall’operazione, data la necessità di un effettivo inserimento nel meccanismo produttivo della stessa. Quale sarà ad esempio la sorte di beni detenuti a finalità d’investimento, quali partecipazioni in altre società, o immobili? Seguendo un metodo sostanziale non potranno che essere esclusi dai benefici della Direttiva, poiché non facenti parte del processo produttivo.

    D’altro canto bisognerebbe allora tener conto di eventuali elementi in qualche maniera economicamente connessi con il funzionamento della stabile organizzazione, anche se localizzati all’estero .

    In senso contrario si è però orientata la pratica delle singole leggi nazionali di attuazione, le quali fondano l’effettiva connessione su di un differente, e concretamente meno difficoltoso, criterio, basato sul dato formale dell’iscrizione in bilancio .

    A questo punto occorre notare un elemento importante, che caratterizza l’intero dettato della Direttiva. Il regime comunitario sembra infatti considerare come rilevanti unicamente operazioni internazionali il cui esito sia quello di costituire una stabile organizzazione della beneficiaria situata nello Stato della conferente, ovvero di far confluire nella stabile organizzazione già esistente i beni conferiti. La struttura presa a modello è molto semplificata, e può essere intesa in maniera eccessivamente limitativa, tanto da far sospettare una reale superfluità del regime adottato, poiché interviene in situazioni che avrebbero potuto trovare analoghi benefici anche in via interpretativa. Si pensi difatti che una stabile organizzazione costituisce già un autonomo soggetto d’imposta nei vari Paesi europei, in virtù di disposizioni interne o almeno pattizie . Vero è che si introduce in questo settore un margine di certezza giuridica, ma alcuni casi, che possono essere di estrema rilevanza, non vengono affrontati. Soprattutto è da rimarcare che non necessariamente in seguito al conferimento si crea una stabile organizzazione nello Stato della conferente, o non è detto che esista già uno stabilimento in cui possano confluire gli stessi beni. Queste situazioni non saranno ricomprese nell’ambito di applicazione.

     

    2.7 - Nozione di stabile organizzazione ai fini della Direttiva.

     

    Notevole è il fatto che la Direttiva sia priva di un qualsiasi richiamo al significato dell’espressione "stabile organizzazione", punto focale del regime comunitario. La proposta del 1969 conteneva una definizione in proposito, largamente basata sul dettato dell’art. 5 della Convenzione Modello OCSE, il che avrebbe recato un maggiore grado di certezza a livello di transazioni internazionali. Dall’eliminazione di tale disposizione si potrebbe indurre la propensione da parte degli organi della Comunità a ritenere liberi gli Stati membri di adottare o mantenere una propria interpretazione nazionale. Tuttavia, anche in base alle considerazioni precedentemente esposte , sembra preferibile l’utilizzo di una definizione il più possibile vicina a quella attualmente praticata nei Trattati bilaterali , per una duplice serie di motivi:

    a) meglio di ogni altra risponde agli obiettivi globali della Direttiva, in quanto incentrata sulle attività d’impresa esercitate sul territorio in maniera fissa, e quindi facilmente imponibili in tale Stato.

    b) ma soprattutto, nonostante alcune situazioni dubbie, presenta un’adeguata uniformità applicativa, in ragione di una costante prassi internazionale.

    Anche qui è importante evidenziare come sia essenziale che, indipendentemente dalla nozione usata, interna o convenzionale, gli Stati membri includano nella definizione omogenee condizioni di fondo, per non vanificare gli sforzi comunitari nel senso del ravvicinamento delle legislazioni. Le leggi di attuazione della Direttiva aiutano a comprendere però le difficoltà di interpretazione, data l’estensione più o meno vasta conferita al termine . La Spagna, ad esempio, ha ritenuto opportuno applicare la nozione interna, più ampia di quella dettata dal Modello OCSE, così come la Germania, mentre altri Paesi hanno posto come condizione prevalente la ritenzione del diritto di imposizione sui beni trasferiti .

    L’elemento comune sotteso al concetto internazionale di stabile organizzazione è la presenza di un forte legame territoriale con lo Stato in cui opera, unito alla non temporaneità e alla strumentalità dell’attività esercitata . Sono escluse le attività di carattere ausiliario o preparatorio, poiché rientranti nei processi produttivi meramente interni della casa-madre, e non direttamente collegati al sistema economico in cui sono situate.

    Il fatto poi che la definizione convenzionale non richieda l’idoneità produttiva dell’installazione non deve trarre in inganno. In realtà numerosi Trattati bilaterali considerano inerente al concetto di stabile organizzazione una qualche capacità di produrre reddito autonomo, che, più precisamente, "sia suscettibile di accertamento indipendente secondo criteri oggettivi e, in relazione al quale, sia determinabile una ben definita base imponibile" . Ciò conferma l’inserimento di una duplice condizione nel testo dell’art. 4 della Direttiva, in modo che i due apparentemente separati requisiti debbano essere letti e applicati in maniera integrata e complementare.

    In base a queste ragioni, qualora gli elementi trasferiti consistessero unicamente in beni immobili, o pacchetti di titoli, o brevetti, detenuti a scopo di investimento, non sarebbe possibile configurare la costituzione di una stabile organizzazione . La posizione della legislazione olandese è meno drastica su questo punto: essa contiene infatti una disposizione che permette di considerare un immobile quale stabile organizzazione locata sul proprio territorio. Si è dunque sollevato il problema se, applicando la definizione interna, fosse lecito estendere al trasferimento di tale bene i benefici accordati dalla Direttiva. Questa richiede però, nella definizione di conferimento di attivo, che gli elementi costituiscano un "ramo di attività", condizione evidentemente incompatibile per beni di questo tipo. Ciònonostante si ritiene plausibile che il bene in questione sia trasferito in virtù di operazioni differenti, parimenti trattate dalla Direttiva, come fusioni (caso molto improbabile) o scissioni .

     

    2.8 - Conferimento di una stabile organizzazione situata all’estero (art. 10). Incorporazione di una stabile organizzazione.

     

    I problemi interpretativi legati alla presenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato conferente non si esauriscono con il raggiungimento di un accordo, seppur approssimativo, sulla nozione da utilizzare.

    In primo luogo è da considerare il trasferimento di una stabile organizzazione all’estero, trattato separatamente nell’articolo 10 della Direttiva. La situazione, per certi versi opposta a quella prefigurata nella regola generale, viene considerata come un caso speciale per un duplice ordine di motivi :

    a) il conferimento di assets non situati nello Stato della società conferente non potrà ricadere entro il campo applicativo dell’articolo 4, per la mancanza di una delle condizioni essenziali;

    b) anche se fosse incluso, non si eviterebbe la possibilità di una ulteriore e immediata imposizione da parte dello Stato dove è situata la stabile organizzazione.

    Il primo paragrafo dell’art. 10 affronta la questione prevedendo che qualora tra i beni conferiti "figuri una stabile organizzazione della società conferente, situata in uno Stato membro diverso da quello di tale società, questo Stato (della società conferente) rinuncia a ogni diritto di imposizione di detta stabile organizzazione" . Successivamente viene creata una fictio juris per cui "lo Stato in cui si trova la stabile organizzazione e lo Stato della società beneficiaria applicano a tale conferimento le norme della presente Direttiva come se il primo Stato fosse lo Stato della società conferente" . In questa maniera è garantito il differimento della tassazione sulle plusvalenze latenti da parte dello Stato di residenza fiscale della stabile organizzazione.

    Lo Stato della conferente conserva solo la facoltà di "reintegrare nei profitti imponibili di tale società le perdite anteriori dello stabilimento permanente che sono state eventualmente dedotte dall’utile imponibile della società in detto Stato e che non sono state compensate" . Questa disposizione riguarda gli Stati membri che adottano il metodo di esenzione, come la Germania e i Paesi Bassi, qualora ammettano nel computo della base imponibile della casa-madre la deduzione delle perdite relative alla stabile organizzazione, con successiva tassazione dei profitti realizzati dalla stessa nei limiti della deduzione in precedenza concessa. Al contrario, se lo Stato della conferente applica un regime di imposizione mondiale viene concessa una opzione differente, consistente nel mantenimento del diritto di tassare le plusvalenze latenti a condizione della concessione di un credito di imposta pari all’imposta teorica che avrebbe colpito gli stessi beni nel Paese in cui è situata la stabile organizzazione in assenza delle norme della Direttiva . Tuttavia, essendo solamente un ammontare fittizio di imposta (c.d. notional Foreign Tax Credit) quello che viene accreditato nei risultati fiscali della conferente, la corretta operatività di questo sistema dipende in primo luogo dalla pratica implementazione disposta dagli Stati membri.

    La dizione letterale dell’articolo 10 pone peraltro l’interprete di fronte ad un punto incerto e controverso: dalla prima lettura del testo della Direttiva, infatti, sembra doversi escludere dalle transazioni legittimate ad ottenere i benefici del differimento la incorporazione di una stabile organizzazione, ossia la sua trasformazione in una società sussidiaria della beneficiaria, localizzata nello stesso territorio .

    La questione si pone anche a causa del fatto che in seguito a tale tipo di ristrutturazione viene a mancare uno dei presupposti cardine del sistema delineato dall’art. 4, e cioè la stessa installazione permanente, quale autonomo centro di imputazione. Si tratta in sostanza dell’operazione inversa a quella emergente dal complessivo sistema comunitario, che prefigura la conversione di una divisione di una società in una stabile organizzazione di una seconda società appartenente ad altro Paese: qui, al contrario, si attua un conferimento di una branch estera ad una società, di nuova costituzione (incorporation con creazione di una subsidiary) o preesistente (assets transfer o merger con eventuale acquisto del controllo della conferitaria, se non già posseduta), situata nel medesimo Stato membro.

    Una soluzione sarebbe quella di rifiutare il significato letterale della disposizione, e sostituirlo con una conclusione che rifletta la supposta intenzione del legislatore comunitario . Una prima argomentazione si basa sulla considerazione che il testo dell’art. 4 è stato redatto in funzione delle fusioni e scissioni, mentre l’estensione delle stesse condizioni ai conferimenti, effettuata dall’art. 9, dovrebbe intendersi in maniera elastica, tenendo conto delle differenze strutturali tra le diverse operazioni. Se la necessità che rimanga una stabile organizzazione nello Stato della conferente trova giustificazione nella garanzia accordata a tale Stato di poter in futuro esercitare il diritto di prelievo sui beni conferiti, allora, a maggior ragione, l’assoggettabilità ad imposta sarà mantenuta, se non rafforzata, nel caso di una branch incorporation . Il ragionamento non è affidabile però nel caso in cui l’applicazione dell’art. 4 sia diretta, ove l’incorporatione avvenga in seguito ad una fusione o scissione pura, dato che non vi sarà motivo di interpretare il richiamo dell’art. 9.

    Un’altra soluzione sembra invece rispettare la lettera del testo. In realtà non esistono vere ragioni linguistiche per cui "lo Stato in cui si trova la stabile organizzazione" e "lo Stato della società beneficiaria" debbano essere differenti . In più, non è escluso che il significato di stabile organizzazione, utilizzato nel contesto della Direttiva, comprenda altresì attività non necessariamente localizzate al di fuori del territorio nazionale. In questa maniera l’articolo 10 troverebbe applicazione diretta.

    Nonostante la possibilità di adottare tali interpretazioni, sarebbe opportuno che la Comunità intervenisse comunque per rendere chiara l’estensione della disposizione, in guisa da evitare discordanti applicazioni. In ogni modo, allo scopo di istituire un libero mercato interno, la branch incorporation dovrebbe essere soggetta allo stesso trattamento fiscale riservato alle analoghe operazioni puramente interne, cosa che in alcuni Paesi, purtroppo, non avviene .

    La Direttiva infine non dovrebbe applicarsi al trasferimento di una stabile organizzazione all’estero effettuato tra due società dello stesso Stato membro, per la mancata osservanza del requisito generale del coinvolgimento di imprese di almeno due Paesi.

    2.9 - Neutralità degli scambi azionari, fusioni e scissioni nei confronti dei soci della acquisita o conferente (art. 8). Trattamento dell’eventuale conguaglio in denaro. Conferimenti e doppia imposizione.

     

    L’articolo 8 si preoccupa di definire la posizione fiscale dei soci della società conferente o acquisita che ricevono i titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria o acquirente, in occasione di uno scambio azionario, di una fusione o di una scissione. L’attribuzione dei titoli in questione avviene in maniera fiscalmente neutra, come si evince dall’affermazione secondo cui essa non deve "di per se stessa comportare alcuna imposizione sul reddito, gli utili o le plusvalenze" in capo al socio. Anche qui opera un meccanismo di differimento dell’imposizione , consistente nel cd. roll-over relief, cioè subordinato alla condizione che il socio non assegni alle azioni ricevute un valore fiscale superiore a quello in precedenza attribuito ai titoli scambiati . Il concambio, infatti, non è un atto dispositivo che dà luogo al realizzo di plusvalenze, ma è invece una sostituzione materiale e giuridica di quote o azioni, con la conseguente conservazione dei medesimi valori fiscali. La neutralità, che opera indifferentemente nei confronti del socio persona fisica o giuridica, non impedisce peraltro agli Stati membri di tassare immediatamente le plusvalenze evidenziate sui titoli per i quali l’azionista eserciti l’opzione per un trattamento diverso, qualora la legislazione nazionale lo consenta . Permane altrimenti la facoltà di tassare "il profitto risultante dalla successiva cessione dei titoli ricevuti allo stesso modo del profitto risultante dalla cessione dei titoli esistenti prima dell’acquisto" .

    Lo stesso principio non vale invece per l’eventuale saldo in contanti: il quarto paragrafo dell’art. 8 sancisce precisamente la piena libertà per gli Stati membri di tassare il conguaglio versato al socio nell’ambito di una delle operazioni considerate . In omaggio soprattutto ad esigenze di semplicità e chiarezza, la scelta degli Stati, in sede di implementazione, è nel senso della totale imponibilità .

    L’art. 8 non si applica ai conferimenti di attivo: per questo motivo non esiste alcuna previsione che pone i criteri di valutazione per i titoli emessi a fronte del conferimento e confluiti nel bilancio della società conferente. Si apre così la possibilità per gli Stati membri di adottare differenti disposizioni al proposito. Dal punto di vista puramente teorico si dovrebbe consentire l’iscrizione al valore normale di mercato, quantomeno per evitare una doppia imposizione economica. La conservazione dei valori fiscali avrebbe infatti come conseguenza quella di creare una sorta di doppia sospensione d’imposta. Al momento del realizzo da parte di entrambi i soggetti, pertanto, i beni andrebbero incontro ad una tassazione duplice: al livello della beneficiaria, per l’estinguersi del rinvio in precedenza accordato, e al livello della conferente per la cessione del corrispondente pacchetto azionario. Il carattere internazionale dell’operazione, tuttavia, costringe lo Stato della conferente a preservare i propri interessi trasferendo il futuro carico fiscale sopra i relativi beni di secondo grado, ossia i titoli emessi . Si tenga presente, però, che lo stesso Stato mantiene comunque la giurisdizione fiscale sugli assets conferiti, confluiti per definizione in una stabile organizzazione. Sarebbero incompatibili con il sistema della Direttiva le disposizioni nazionali che comportassero l’obbligo per la conferente di calcolare le plusvalenze afferenti ai titoli ricevuti con riferimento al valore fiscale dei beni in precedenza apportati. Sembra essere questo, ad esempio, il caso della Francia .

     

    2.10 - Disciplina delle differenze contabili da annullamento di azioni (art. 7). Proposta di modifica.

     

    Quando la società beneficiaria detiene una partecipazione nel capitale della società conferente, conseguenza logica dell’operazione sarà l’annullamento delle azioni relative ai beni confluiti nel proprio stato patrimoniale. Se, come avviene di frequente, si verificano differenze tra il valore di libro delle attività ricevute e quello delle partecipazioni annullate, sorgerà il problema del relativo trattamento tributario.

    È opinione diffusa, sebbene contrastata, che le differenze in questione, sia positive che negative, dovrebbero avere rilievo tributario, almeno in relazione alle operazioni meramente interne, in applicazione del principio della conservazione dei valori fiscalmente riconosciuti, elemento cardine della neutralità . Ne discenderebbe non solo la tassabilità dell’avanzo, ossia l’eccedenza positiva del patrimonio netto della conferente rispetto al valore di libro delle relative azioni, ma anche la possibilità di utilizzare il disavanzo per effettuare rivalutazioni dei beni ricevuti, oppure di consentirne la deduzione in quanto perdita. In entrambi i casi la giustificazione risiede nella esigenza tecnica di riallineare i valori del patrimonio conferito al costo delle partecipazioni annullate. In campo transfrontaliero, tuttavia, è stata evidenziata una incongruenza di fondo, consistente nello sdoppiamento degli ordinamenti nei quali i valori fiscali sono stati ottenuti: la conseguenza logica dovrebbe consistere nella consentanea irrilevanza fiscale delle differenze in questione .

    La soluzione prospettata dalla Direttiva nell’articolo 7 si limita a regolamentare coerentemente a questa impostazione il regime degli eventuali avanzi da annullamento, considerando fiscalmente irrilevanti le plusvalenze emergenti nel bilancio della beneficiaria. Resta invece muta per quanto riguarda i disavanzi, evento, di solito, più frequente . Spetterà quindi agli Stati membri disciplinare questo aspetto, nonostante gli argomenti sopra esposte inducano a ritenere coerente una implementazione nel senso della irrilevanza. D’altro canto, si potrebbe motivare una disciplina differente, prettamente agevolativa, in base a ragioni di opportunità .

    Il secondo paragrafo del medesimo articolo attribuisce agli Stati membri la facoltà di derogare al principio dell’irrilevanza qualora la partecipazione detenuta dalla società beneficiaria nel capitale della società conferente non superi il 25%. La soglia stabilita ha ragione di essere in relazione al rapporto società madre-figlia, come definito dalla Direttiva 90/435 sulla imposizione dei dividendi infragruppo, e, più in generale, sul sistema dei gruppi societari considerati dalla complessiva disciplina comunitaria . Per collegare poi in maniera coerente la definizione di "partecipazione minima" con il regime della Direttiva 435 è stata di recente avanzata dalla Commissione una proposta di modifica dell’art. 7, par. 2, la cui nuova formulazione farebbe espresso rinvio alla "qualità di società madre in conformità alle disposizioni nazionali prese in applicazione dell’art.3, par. 1, lett. a) della Direttiva Cee 90/435" .

    L’art. 7 non regola la situazione inversa a quella considerata, qualora cioè la società conferente detenga partecipazioni nella beneficiaria prima dell’operazione. Dal punto di vista sostanziale si verificherebbe un acquisto delle proprie azioni da parte della seconda società: come nel caso di ogni altro bene, sembra doversi comunque applicare il principio generale dell’art. 4. In genere, l’acquisizione delle proprie azioni è però sottoposta a restrizioni di diritto commerciale, con l’obbligo di annullare i titoli eccedenti i limiti previsti. Il trattamento delle relative riserve nascoste è demandato alle legislazioni nazionali, che le tasseranno o meno a seconda che l’operazione comporti una distribuzione di utili o una restituzione di conferimenti.

     

    2.11 - Trattamento dei fondi in sospensione di imposta (art. 5).

     

    Un riflesso del principio di neutralità si ritrova nel disposto dell’art. 5, inerente al trattamento delle riserve in sospensione d’imposta presenti nel patrimonio netto della società incorporata o scissa (o apportante un attivo, secondo il rinvio contenuto nell’art. 9). I fondi in questione, dal punto di vista civilistico riserve a tutti gli effetti, sono caratterizzati dal fatto che "per essi la società che li iscrive non ha ancora adempiuto determinati obblighi tributari" , in virtù di particolari disposizioni che consentono un differimento dell’imposizione. La scomparsa della posta dal bilancio della conferente, in occasione di una ristrutturazione, dovrebbe comportare di norma la cessazione della sospensione, e la tassazione immediata sarebbe conseguenza inevitabile. Tuttavia la Direttiva impone agli Stati membri l’obbligo di adottare "le misure necessarie affinché gli accantonamenti o riserve regolarmente costituiti in franchigia d’imposta dalla società conferente, salvo quelli provenienti da stabili organizzazioni all’estero, siano ripresi, alle stesse condizioni di franchigia d’imposta, dalle stabili organizzazioni della società beneficiaria nello Stato della società conferente".

    Rimanendo soggetti alla medesima giurisdizione fiscale, i fondi ricostituiti continueranno così a fruire presso la stabile organizzazione del regime di sospensione cui erano prima sottoposti; "la società beneficiaria si sostituisce allora ai diritti ed alle obbligazioni della società conferente".

    La Direttiva non specifica con quali fondi deve avvenire la ricostituzione: si presume quindi che si possano utilizzare, oltre ad eventuali avanzi, anche le riserve disponibili già presenti nel bilancio della beneficiaria (o, meglio, della stabile organizzazione), ovvero in qualsiasi altro modo, non essendo ciò rilevante ai fini tributari .

     

    2.12 - Riporto delle perdite (art. 6).

     

    La continuazione della società beneficiaria nelle posizioni fiscali della conferente dovrebbe avere come conseguenza diretta anche la possibilità per la prima società di riportare nel proprio bilancio le perdite sofferte dalla seconda che non siano state ancora dedotte dagli utili (cd. carry-over). Nel caso diverso dall’incorporazione, dove il trasferimento del patrimonio attivo e passivo è totalitario, si pone il problema di suddividere le perdite riportabili tra le società che ricevono quote dell’attivo conferito: il criterio proporzionale sembra qui preferibile, ove non sussistano ragioni specifiche per collegare la posta del bilancio a elementi determinati, come ad esempio ad una stabile organizzazione con contabilità separata .

    Coerentemente la versione antecedente dell’art. 6 della Direttiva attribuiva alla stabile organizzazione il diritto di dedurre le perdite pregresse, salvo quelle provenienti da altre stabili organizzazioni della conferente situate all’estero, secondo le norme tributarie nazionali. Si richiedeva, in sostanza, che la stabile organizzazione fosse in qualche modo produttiva di un reddito capace di assorbire le perdite riportate: la limitazione era giustificata dal timore di indebite diminuzioni di materia imponibile dovute all’esistenza di rami di impresa esteri in cronica situazione deficitaria .

    Il testo approvato dal Consiglio contiene però una condizione supplementare, richiedendo la presenza di norme interne che permettano alla stabile organizzazione il riporto delle perdite, in occasione di operazioni nazionali . La restrizione fu inserita allo scopo di evitare discriminazioni in favore delle operazioni transnazionali rispetto a quelle interne, ma ha lo svantaggio di reintrodurre fattori distorsivi nelle scelte di riorganizzazione delle imprese .

    Le nuove regole non evitano comunque la possibilità di penalizzazioni a carico dell’operazione, poiché l’obbligo di riconoscere il carry-over, purché sussistano le condizioni citate, è imposto solamente allo Stato della conferente. Qualora lo Stato della beneficiaria, per evitare la doppia imposizione dei profitti della stabile organizzazione, adotti il sistema dell’esenzione, non sorgono particolari questioni. Ma se viene utilizzato il metodo del World-wide system, la stessa impresa subirà nel Paese della casa-madre una tassazione diversa a seconda del riconoscimento o meno del carry-over ammesso nello Stato della conferente .

    La Direttiva non pone quindi alcuna norma materiale uniforme in materia di riporto delle perdite, lasciando agli Stati membri la facoltà di stabilire limitazioni e condizioni. Queste ultime sono frequenti e variano da Paese a Paese, in base alle crescenti ragioni antielusive. Non è da dimenticare, infatti, che la presa a carico delle perdite pregresse costituisce a volte una delle motivazioni determinanti nella scelta delle imprese di effettuare una fusione o una scissione. La possibilità di utilizzare una società in forte perdita per compensare i futuri profitti di una nuova attività dà spesso vita ad un diffuso proliferarsi di ristrutturazioni, il cui obiettivo è meramente il risparmio fiscale . Parzialmente differenti sono le considerazioni che vanno fatte all’interno di un gruppo societario: l’assenza di una imposizione su base consolidata, caratterizzata dall’integrazione dei risultati netti delle varie imprese del gruppo, conduce inevitabilmente a sfruttare le opportunità concesse dalle legislazioni interne. Da qui gli sforzi della Comunità diretti all’approvazione di una uniforme disciplina in materia di fiscalità dei gruppi, di cui elemento essenziale sarà il sistema delineato dalla proposta di Direttiva sul riporto delle perdite, quando troverà concreta attuazione .

     

     

    3.1 - Premessa. L’art. 34 della legge comunitaria per il 1991 e il D.p.R. 544/92. Efficacia temporale della nuova disciplina italiana.

     

    La direttiva 90/434 è stata recepita nell’ordinamento italiano con l’emanazione del D.Lgs. n. 544 del 30 dicembre 1992, sulla base della delega legislativa contenuta nella Legge n. 142 del 19 febbraio dello stesso anno . L’articolo 34, comma 1, di quest’ultima fissa i principi e i criteri direttivi cui il Governo si sarebbe dovuto attenere nella predisposizione della normativa di attuazione: in alcuni punti esiste tuttavia una sensibile discrepanza, giustificata probabilmente dalla necessità di trasporre disposizioni di origine comunitaria sufficientemente precise, e non perfettamente tradotte nel testo parlamentare. Del resto, la stessa legge di delega precisava, all’art. 2, che "...i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che ... la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime" .

    Nonostante la formale assenza nell’ordinamento italiano di norme di diritto commerciale che disciplinano le operazioni transfrontaliere considerate dalla Direttiva, la praticabilità giuridica di fusioni, scissioni e conferimenti coinvolgenti soggetti di diversi Paesi non è mai stata posta in discussione, data la versatile interpretazione delle norme internazionalprivatistiche e del codice civile . Di conseguenza, il regime comunitario non ha trovato barriere di rilievo alla propria integrale attuazione, sebbene il disposto dell’art. 12 della Direttiva, relativo al termine, fissato al 31 dicembre 1991, entro cui gli Stati membri avrebbero dovuto adeguare la propria normativa interna, non sia stato minimamente rispettato: l’art. 5 del D.p.R. 544, infatti, prevede l’entrata in vigore della nuova disciplina solo a partire dal giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, e cioè dal 13 gennaio 1993, non contenendo un’apposita previsione che stabilisca la retrodatazione della propria efficacia, la quale invece si ritrova nelle leggi di implementazione di altri Stati membri . D’altro canto non bisogna dimenticare che la legge nazionale permette che gli effetti delle operazioni di fusione e, seppur in maniera più limitata, di scissione possono essere fatti retroagire, ai fini delle imposte sui redditi, ad una data anteriore, al limite coincidente con il giorno in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società partecipanti. È palese, tuttavia, anche in considerazione del fatto che né la Direttiva né la legge di attuazione affrontano l’argomento, che tale facoltà non può in ogni caso essere utilizzata per far valere il regime di neutralità in relazione alle operazioni effettuate nel primo periodo del 1992, rimanendo quindi unica soluzione praticabile la diretta applicazione della Direttiva, quale normativa avente immediata efficacia negli ordinamenti nazionali a partire dal termine da essa previsto .

     

    3.2 - L’individuazione dell’ambito applicativo (art. 1 del D.p.R. 544): (a) soggetti che possono beneficiare del regime comunitario;

     

    L’art. 1 del D.p.R. 544 si occupa della delimitazione dell’ambito operativo della nuova disciplina, con una formulazione eccessivamente intricata e in parte foriera di inopportuna confusione. Si cercherà dunque di esporre gli elementi essenziali in maniera maggiormente chiara ed esaustiva, distinguendo (a) il campo di applicazione soggettivo e (b) le operazioni contemplate .

    (a) L’ambito soggettivo viene definito mediante l’indicazione delle forme societarie di diritto italiano che possono prendere parte alla riorganizzazione internazionale cui partecipano anche soggetti residenti in altri Stati della Comunità Europea, che appartengano alle categorie elencate nella tabella A allegata al Decreto stesso, la quale riprende fedelmente il dettato dell’annesso alla Direttiva. I soggetti nazionali che possono invocare il nuovo regime comprendono innanzitutto le società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata) e le società con fine mutualistico (le società cooperative e di mutua assicurazione); sono altresì inclusi, infine, gli "enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali" , categoria ben più vasta e potenzialmente onnicomprensiva.

    In palese difformità rispetto all’elencazione fornita dalla Direttiva, la lettera dell’art. 1 del D.p.R. 544 aggiunge le società mutualistiche. Ciononostante, sia la facoltà riconosciuta agli Stati membri di adottare disposizioni interne più estensive di quelle stabilite in sede comunitaria, sia la pratica di altri Stati, che hanno parimenti inserito le cooperative nel novero dei soggetti destinatari delle normative di attuazione, sia infine la presentazione da parte della Commissione della proposta di modifica della Direttiva in senso più estensivo, depongono a favore della legittimità di tale variazione . D’altro canto è lecito rilevare come dal confronto con la legge di delega emerga la detta diversità di redazione: la lettera a) dell’art. 34, comma 1, infatti, riprende esattamente l’elencazione della Direttiva, non contenendo alcun accenno alle società mutualistiche . L’espressione "enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali" è d’altra parte atta a ricomprendere qualsiasi persona giuridica che eserciti, anche in via non esclusiva, un’attività d’impresa . Ammesso che nel novero di questi enti siano ricomprese le suddette società, resta da sottolineare allora la ridondanza espressiva del testo licenziato dal Governo.

    Considerando poi che il Decreto di attuazione pone la condizione dell’assoggettabilità alle imposte sulle società , è da ritenere che l’estensione della disposizione in questione sia da intendere nei significati attribuiti dalla normativa e dalla pratica interpretativa proprie del diritto tributario, con particolare riguardo all’art. 87 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, la cui lettera b) definisce in maniera analoga il soggetto d’imposta.

    Saranno quindi escluse le organizzazioni, pur dotate di un’autonoma soggettività, come le società di persone residenti e gli enti ad esse assimilate, per le quali vige il differente principio di trasparenza . Ci si chiede inoltre se rientrino nell’ambito della nuova disciplina anche gli enti aventi uno statuto personale parzialmente difforme dalle regole ordinarie, come accade nel caso delle società di intermediazione mobiliare , o sottoposti ad una speciale normativa tributaria già vigente, come avviene per gli enti creditizi .

    La formulazione dell’art. 1 sembra limitare l’applicabilità delle nuove norme alle "[operazioni] tra [enti di diritto nazionale] residenti nel territorio dello Stato e soggetti residenti in altri Stati membri della Comunità ... che appartengano alle categorie indicate nella tabella A ... e siano sottoposti a una delle imposte indicate nella tabella B". Pare pertanto che restino escluse le società costituite all’estero ma residenti in Italia, mentre non è chiara la collocazione delle società estere residenti in uno Stato membro diverso dal Paese di origine. La questione della necessità o meno che le tre condizioni delineate dall’art. 3 della Direttiva debbano essere verificate congiuntamente nel medesimo ordinamento non sembra trovare nel testo del Decreto di attuazione una soluzione univoca. Tuttavia astraendo dall’insieme delle previsioni contenute nelle lettere da a) ad e) dell’articolo 1 è possibile superare le difficoltà di redazione concludendo per una ampia facoltà di effettuare operazioni in regime di neutralità purché (i) siano coinvolte società residenti in almeno due differenti Stati membri e (ii) almeno una delle società interessate abbia la propria residenza nel territorio dello Stato italiano .

    3.3 - Segue: (b) operazioni interessate.

     

    Il Decreto di attuazione dichiara applicabili le proprie disposizioni: (a) alle fusioni; (b) alle scissioni; (c) ai conferimenti di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa; (d) alle precedenti operazioni con riferimento alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato; (e) alle permute e ai conferimenti di azioni o quote. Mentre però l’art. 34 della legge di delega fa esplicito riferimento alle suddette operazioni come definite dal testo della Direttiva, le norme di implementazione non si occupano di fornire una corrispondente definizione, lasciando al diritto e alla pratica interna il compito di individuarne i caratteri costitutivi e la struttura.

    a) Stante l’assenza di una definizione positiva sia ai fini tributari che nel codice civile, per "fusione" deve intendersi l’atto mediante il quale una società trasferisce la totalità del proprio patrimonio attivo e passivo ad un’altra società, preesistente o di nuova costituzione, in cambio dell’assegnazione ai soci della prima società di partecipazioni nel capitale della seconda . La possibilità di effettuare un conguaglio in denaro, non superiore al 10% del valore nominale delle azioni ricevute, è stabilita invece dalla stessa normativa del D.p.R. 544.

    b) L’art. 1 del Decreto attuativo prevede una forma di scissione più limitata rispetto a quella definita dall’art. 2504-septies cod. civ. . A differenza delle possibilità offerte da quest’ultima disposizione, infatti: non permette la realizzazione di scissioni parziali (cd. scorporazioni), richiedendo che l’intero patrimonio della conferente venga trasferito; impone l’obbligo dell’assegnazione proporzionale dei titoli della beneficiaria ai soci della conferente, mentre il diritto commerciale non è in linea di principio assestato su posizioni così rigide ; esclude infine dal proprio ambito operativo le scissioni che non abbiano per oggetto il trasferimento ad ogni beneficiaria di "aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa del conferente", con l’introduzione di una condizione che non è espressamente posta né dal diritto interno, commerciale e tributario , né dalla normativa comunitaria . Anche nelle scissioni è confermata la possibilità di accompagnare ai titoli un conguaglio in contanti non eccedente il 10% del loro valore nominale.

    c) Il conferimento di una parte del patrimonio attivo e passivo di una società ad un’altra società in cambio di titoli emessi a favore non dei soci, come avviene nel caso della fusione o scissione, ma della stessa società conferente, non trova uno specifico riscontro nel tessuto normativo italiano , dovendosi la fattispecie pertanto essere ricompresa nella generica nozione di conferimento in natura prevista dal codice civile . Nella prospettiva tributaria non esiste inoltre una norma generale che, al pari delle operazioni previste dagli artt. 123 e 123-bis del T.U.I.R., stabilisca un regime di neutralità. Solamente in un settore limitato, concernente le ristrutturazioni bancarie volte alla costituzione di gruppi creditizi, è stata predisposta una disciplina di favore riguardante i conferimenti . A parte questa eccezione, comunque, vige la regola generale della tassabilità delle plusvalenze realizzate , con la facoltà di frazionare l’importo imponibile in cinque esercizi consecutivi a quote costanti . Dopo l’emanazione del D.p.R. 544, la disciplina fiscale italiana comprende ora un sistema neutrale per i "conferimenti di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa da uno ad altro dei soggetti indicati nella lettera a), residenti in Stati diversi della Comunità, sempre che uno dei due sia residente nel territorio dello Stato", il quale quindi si rivolge unicamente alle operazioni transfrontaliere . In merito alla corretta estensione dell’espressione indicante l’oggetto del trasferimento, si presume che essa corrisponda alla definizione di "ramo di attività" fornita dall’art. 2, lett. i), della Direttiva .

    d) Le operazioni concernenti stabili organizzazioni situate nel territorio dello Stato sono ricomprese nella lettera d) del Decreto di attuazione, la quale intende garantire l’applicazione dell’art. 10 della Direttiva .

    e) Mentre la legge di delega, nel principio enunciato alla lett. f), si limita a richiamare le operazioni di scambio di azioni senza ulteriormente precisarne il significato , il Decreto di attuazione pone una specifica e puntuale definizione, prevedendo che le nuove disposizioni si applichino "alle permute e ai conferimenti di azioni o quote", evitando di introdurre così nell’ordinamento italiano il concetto di scambio azionario, attualmente sconosciuto quale particolare forma di riorganizzazione. Per individuare la disciplina civilistica applicabile si dovrà quindi far riferimento ad istituti esistenti: la permuta, che in base all’art. 1552 c.c. ha per oggetto "il reciproco trasferimento della proprietà di cose o di altri diritti da un contraente all’altro", e l’apporto in natura, per il quale valgono le regole già viste per i conferimenti di attivo. Oltre alla distinzione terminologica, ci si chiede quale sia la differenza sostanziale tra i detti tipi di scambio rispetto alla definizione fornita dall’art. 2, lett. d), della Direttiva. Mentre il conferimento di titoli avviene contro l’emissione di nuove azioni della beneficiaria a favore dei soci della società acquisita, nella permuta si verifica il reciproco trasferimento delle azioni della acquisita e di quelle della acquirente, quest’ultime presupponendosi già presenti nel patrimonio della stessa società. Sembrerebbe pertanto che la permuta possa essere utilizzata allorché la società acquirente attribuisca in cambio alla controparte azioni proprie, risolvendo positivamente un’incertezza interpretativa non chiarita dal testo comunitario . Considerando tuttavia l’unica normativa in precedenza esistente che riguarda la concessione di benefici fiscali comparabili con quelli della Direttiva in caso di conferimenti, ossia la cd. "legge Amato", si ritrova una disposizione che precisa l’applicabilità del regime di favore, estendendolo anche ai conferimenti di azioni, ma non facendo alcun cenno alle permute . Probabilmente la scelta del legislatore delegato in questo senso ha come obiettivo l’applicazione della medesima disciplina a due operazioni bensì diverse, ma conducenti all’identico risultato di far conseguire alla società acquirente il controllo dell’altra società . Quest’ultimo evento rappresenta il presupposto essenziale perché si possa dar luogo all’applicazione del regime neutrale. Mentre però la Direttiva parla di acquisizione della "maggioranza di diritti di voto", il Decreto di attuazione preferisce riferirsi ad una nozione di controllo, di carattere formale, già contenuta nella normativa italiana: la lettera e), infatti, sancisce l’applicabilità della nuova disciplina alle operazioni mediante le quali una società "acquisti o integri una partecipazione di controllo ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1 del codice civile" . Di questa formulazione si osserva innanzitutto la sostanziale corrispondenza rispetto al testo comunitario: sono infatti considerate società controllate, secondo l’art. 2359, "le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria" . L’esclusione dal computo delle azioni non aventi pieno diritto di voto, quali ad es. le azioni privilegiate, non è chiaramente prevista dalla Direttiva; in questo punto, pertanto, si presume che gli Stati membri siano stati lasciati liberi di decidere in senso positivo o meno . Da non dimenticare altresì la posizione delle obbligazioni convertibili, o di altri titoli aventi analoga funzione, il cui possesso incide, in prospettiva futura, sull’insieme dei diritti di voto . Il punto in cui invece la nuova disposizione non pare recepire il significato della complessiva normativa comunitaria (diretta ad assicurare una piena neutralità fiscale in occasione di riorganizzazioni – e quindi allo scopo di favorire l’acquisizione di nuove entità produttive – e non anche in caso di successive operazioni infragruppo per cui dovrebbero valere le norme ordinarie) è rappresentato dalla facoltà di usufruire dei benefici fiscali semplicemente mediante l’integrazione del controllo preesistente . In secondo luogo non viene precisato se la nozione introdotta comprenda le ipotesi di acquisto frazionato nel tempo, ad esempio mediante un’offerta pubblica, sebbene l’unitarietà dell’operazione dovrebbe far propendere per una risposta affermativa . Il testo del Decreto non sembra escludere poi la possibilità che il soggetto conferente le azioni o quote della società acquisita non debba soddisfare ai requisiti prescritti nella lett. a). In altre parole, l’azionista che cede la propria partecipazione nella acquisita potrà essere indifferentemente una persona fisica o giuridica. Eventuali conguagli in denaro sono infine ammessi entro i limiti del 10% del valore nominale delle azioni ricevute.

    3.4 - Le regole delle fusioni e delle scissioni transnazionali (art. 2 D.p.R. 544).

     

    Il principio di neutralità fiscale delle fusioni e scissioni , secondo il quale tali operazioni "non costituiscono ipotesi di realizzo delle plusvalenze latenti, né per le società coinvolte, né per i soci" , pur codificato in modo esplicito dalla legge delega , non trova un espresso riconoscimento nel testo licenziato dal legislatore delegato. Quest’ultimo infatti si limita a disporre l’irrilevanza dell’iscrizione dei maggiori valori nel bilancio della beneficiaria e non si cura della posizione fiscale della conferente, in omaggio ad un approccio avente riguardo più agli adempimenti tecnico-contabili che agli effetti sostanziali dell’operazione . Un’esplicito richiamo al principio della neutralità come inteso dall’art. 4 della Direttiva deve essere stato ritenuto superfluo, in quanto già presente nell’ordinamento italiano . Pertanto, posto che in ogni caso vige il principio generale dell’irrilevanza reddituale per le plusvalenze emergenti sui beni trasferiti, la società beneficiaria residente nel territorio dello Stato potrà iscrivere nel proprio stato patrimoniale l’attivo ricevuto al valore corrente. Il meccanismo del differimento dell’imposizione introdotto, tuttavia, pone la condizione essenziale della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, i quali verranno così utilizzati ai fini delle imposte sui redditi per calcolare le eventuali plusvalenze realizzate successivamente dal beneficiario, nonché per computare le quote di ammortamento, come se il trasferimento non avesse avuto luogo . A questo scopo è richiesta l’allegazione alla dichiarazione dei redditi, relativa al periodo d’imposta in cui è stata eseguita l’operazione, di un prospetto di riconciliazione da cui risultino i dati esposti in bilancio e i dati fiscalmente riconosciuti .

    Il regime è applicabile solo nella misura in cui gli elementi trasferiti siano "effettivamente connessi ad una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato o all’estero, preesistente ovvero risultante dall’operazione". La limitazione intende attuare il principio fondamentale contenuto nell’art. 4 della Direttiva. Infatti nel caso in cui una società conferente residente, all’atto del proprio scioglimento, si trasformi in una stabile organizzazione, oppure trasferisca parte del suo attivo ad una stabile organizzazione della beneficiaria già collocata nel territorio italiano, l’Amministrazione tributaria conserverà il diritto di prelievo. Quando al contrario sia residente in Italia la società beneficiaria (e questa pare l’unica situazione presa in considerazione dalla lettera della norma), alla quale venga trasferita una stabile organizzazione parimenti situata nello stesso territorio, si avrà la realizzazione di una cd. branch incorporation (se la beneficiaria è di nuova costituzione) ovvero di un’altra operazione comunque non specificamente disciplinata dalla Direttiva, che limita la propria applicabilità ai casi in cui la stabile organizzazione risultante sia situata nello Stato della conferente. Non essendo questa la situazione considerata nell’art. 2, comma 1, del D.p.R. 544, non si pone neppure il problema della conservazione dei diritti di imposizione sui beni trasferiti (e quindi dell’effettiva connessione con un’organizzazione che, a dir il vero, cessa di esistere in quanto tale) poiché questi confluiscono nel bilancio di una società residente, a maggior ragione soggetta ad IRPEG . Qualora invece la beneficiaria residente riceva un attivo confluente in una stabile organizzazione situata all’estero (e in particolare nello Stato di residenza della conferente ), l’applicazione del testo del Decreto non pone questo tipo di problema, costituendo attuazione dell’art. 4 della Direttiva, seppur in funzione della prospettiva della beneficiaria . Qualora sia residente in Italia la società conferente, vista l’assenza di specifici riferimenti normativi, sarà applicabile la norma di carattere generale codificata negli artt. 123 e 123-bis del Testo Unico, la quale sembra assicurare la neutralità fiscale delle fusioni e scissioni indipendentemente dalla residenza delle società coinvolte . I componenti dell’azienda o del complesso aziendale trasferiti che non siano "confluiti in seguito a tali operazioni in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato" si considerano però realizzati al valore normale . La stessa disposizione si applica se successivamente gli assets conferiti nella stabile organizzazione "ne vengano distolti" .

    In merito alla definizione di stabile organizzazione da utilizzarsi, sembra coerente riferirsi alla nozione recepita dal nostro ordinamento in conformità al dettato dei trattati bilaterali contro la doppia imposizione . La "connessione effettiva" viene invece interpretata in senso formale, in relazione al "confluimento" dei beni nel bilancio della sede fissa di affari .

    Il quarto comma dell’art. 2 del D.p.R. 544 si occupa del trattamento tributario delle eventuali differenze, risultanti nel bilancio della beneficiaria in seguito all’operazione, riferibili al concambio ovvero all’annullamento delle partecipazioni detenute nella conferente, sancendone l’assoluta irrilevanza ai fini delle imposte sui redditi, e consentendo l’iscrizione in bilancio dei maggiori valori registrati per compensare le differenze negative . Al riguardo occorre però effettuare una distinzione tra (i) le differenze derivanti dal concambio e (ii) quelle relative all’annullamento delle azioni possedute nella conferente, anche attraverso una comparazione con la disciplina vigente per le operazioni interne :

    (i) anche la normativa del TUIR dispone l’assoluta irrilevanza dell’iscrizione di avanzi o disavanzi da concambio (altrimenti detti utili o perdite di fusione) . Su questo punto, quindi, il regime comunitario sembra essere in linea con i principi interni;

    (ii) l’irrilevanza reddituale delle differenze da annullamento, al contrario, incontra nella disciplina nazionale una rilevante eccezione, essendo la beneficiaria autorizzata ad iscrivere plusvalenze esenti da imposizione fino a concorrenza del disavanzo registrato, consistente nella differenza tra il valore della partecipazione annullata e il valore del netto patrimoniale ricevuto . Non essendo questa possibilità offerta dall’art. 2 del D.p.R. 544, la disciplina valida solo per le operazioni intracomunitarie risulta in questo senso più restrittiva . Mentre l’art. 7 della Direttiva concedeva agli Stati membri la facoltà di derogare all’irrilevanza fiscale delle plusvalenze emergenti dall’annullamento delle partecipazioni, qualora esse non superassero la soglia del 25% del capitale della conferente, l’Italia non ha ritenuto opportuno esercitare tale opzione, non disponendo tout court alcuna tassazione dell’avanzo.

     

    3.5 - Conferimenti di aziende o complessi aziendali.

     

    La neutralità dei conferimenti è statuita dal secondo comma dell’art. 2 del Decreto di attuazione, mediante l’affermazione che tali operazioni "non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze". La società che trasferisce un’azienda o un complesso aziendale relativo ad un singolo ramo dell’impresa esercitata non verrà quindi assoggettata ad alcuna imposizione, in deroga alla regola ordinaria che dispone la tassazione al valore normale, mentre la beneficiaria dovrà riprendere nel proprio bilancio i valori fiscalmente riconosciuti, al fine di consentire all’Amministrazione fiscale di effettuare il prelievo sui beni in capo ad essa in caso di futura disposizione .

    La posizione della stessa società conferente, tuttavia, risulta più complessa, in quanto si ritrova a dover sostituire in bilancio gli assets trasferiti con i titoli emessi dalla beneficiaria a fronte dell’operazione, ponendosi quindi la necessità di adottare un criterio di valutazione che sia consono alle esigenze di neutralità che informano il regime di nuova introduzione. È la legge stessa però che si occupa di stabilire il valore cui le azioni ricevute devono essere valutate ai fini fiscali: lo stesso art. 2, comma 2, infatti, considera come costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni l’ultimo costo, del pari fiscalmente riconosciuto, dell’azienda o del ramo conferito. La differenza tra quest’ultimo costo e il valore cui le azioni ricevute sono state allibrate (che può essere comunque superiore) "deve essere iscritta in un apposito fondo e concorre alla formazione del reddito imponibile in caso di distribuzione" ai soci . La differenza tra i dati esposti in bilancio e i valori fiscali deve essere fatta risultare da un’apposito prospetto di riconciliazione, con una procedura analoga a quella prevista in caso di fusioni o scissioni. Il meccanismo introdotto corrisponde alla soluzione già adottata con riguardo ai conferimenti agevolati in occasione della ristrutturazione dei gruppi creditizi, sebbene sussistano alcune differenze non solo di ordine tecnico .

    Ai conferimenti è applicabile il settimo comma dell’art. 2, relativo all’esigenza che i beni confluiscano (e permangano) in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato affinché sia evitata l’imposizione al valore normale . Le operazioni riguardanti il trasferimento di una stabile organizzazione posta all’estero saranno invece trattate infra, al paragrafo 3.8.

     

    3.6 - Permute o conferimenti di azioni o quote qualificate. Neutralità del concambio per i soci della società scissa o incorporata. Trattamento dei conguagli.

     

    Nei confronti del soggetto che conferisce o dà in permuta le proprie partecipazioni nella società acquisita, il principio della neutralità fiscale trova attuazione attraverso la previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 2 del Decreto , il quale dispone che lo scambio non comporta realizzo di plusvalenze o minusvalenze sulle azioni o quote trasferite. Correlativamente viene specificata, in attuazione all’art. 8 della Direttiva, la necessità di assegnare ai titoli ricevuti il medesimo valore in precedenza riconosciuto ai fini fiscali ai titoli trasferiti, ripartito proporzionalmente in base alla misura stabilita in sede di determinazione del rapporto di cambio. Il medesimo principio è applicabile alle operazioni di fusione e scissione intracomunitarie.

    Si è già visto come lo status dell’azionista della società conferente sia indifferente ai fini dell’applicazione del beneficio del roll-over. Tuttavia occorre distinguere le ipotesi in cui questi sia (i) una persona fisica o un’organizzazione che non esercita un’attività d’impresa ovvero (ii) un imprenditore individuale, una società di capitali o un altro ente avente per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale .

    (i) La cessione di titoli da parte di un soggetto i cui redditi non hanno natura commerciale sono, in via ordinaria, sottoposti alla tassazione sui capital gains in base all’art. 81 del T.U.I.R., o, eventualmente, all’imposta sostitutiva introdotta con la legge n. 102 del 1991 . Poiché è data al contribuente la facoltà di avvalersi di un trattamento diverso, il meccanismo della sospensione dell’imposta non si applica alle partecipazioni per cui egli ha esercitato tale diritto di opzione, in conformità all’art. 8, par. 2, della Direttiva.

    (ii) I corrispettivi delle cessioni di azioni o quote, anche se non rientrano tra i beni al cui scambio è diretta l’attività commerciale esercitata, sono comunque considerati ricavi nella determinazione del reddito di impresa, a meno che gli stessi titoli non costituiscano immobilizzazioni finanziarie (cioè siano iscritte nel bilancio come tali), nel qual caso il loro realizzo darà luogo a plusvalenze imponibili, secondo la nuova versione dell’art. 54 TUIR . Sebbene in occasione di operazioni interne di fusione o scissione il principio della mera sostituzione, anche ai fini fiscali, delle partecipazioni scambiate sia da sempre affermato sia dalla dottrina che dall’Amministrazione finanziaria, l’introduzione di una norma positiva (relativa alle scissioni, ma che non può non essere estesa alle fusioni) che dispone la neutralità del concambio elimina in radice ogni possibilità di equivoco. Pertanto, nella misura in cui l’azionista attribuisca alle nuove partecipazioni lo stesso valore fiscale riconosciuto a quelle cedute, ogni tassazione sarà evitata. Rimane comunque da risolvere la questione dell’applicabilità di questo principio anche ai conferimenti e alle permute di titoli intercorrenti esclusivamente tra soggetti nazionali: la duplicità di regime (neutrale per il legislatore comunitario, imponibile per quello nazionale) non sembra in ogni caso essere soluzione compatibile con i principi di non discriminazione e di coerenza normativa .

    Il Decreto di attuazione precisa poi che "gli eventuali conguagli concorrono a formare il reddito dei percettori", attraendo a tassazione immediata secondo le regole ordinarie ogni saldo non rappresentato da titoli corrisposto ai soci della acquisita . A fronte della posizione incondizionata presa dal legislatore delegato per le operazioni transfrontaliere, si osserva un differente approccio valido per le scissioni interne, come si deduce dal terzo comma del nuovo art. 123-bis del Testo Unico, per esigenze sistematiche suscettibile di estensione anche alle fusioni: in caso di conguaglio viene dichiarato applicabile il comma 3 dell’art. 44, il quale afferma l’imponibilità delle somme ricevute dai soci in quanto eccedano l’ammontare del capitale sociale e delle riserve o fondi indicati dalla stessa norma . Se i conguagli pagati sono tratti da altre poste del bilancio non si avrà più una forma di restituzione di conferimenti, ma una vera e propria distribuzione di utili, in quanto tali passibili di tassazione .

     

    3.7 - (a) Fondi in sospensione d’imposta e (b) riporto delle perdite.

     

    (a) Qualora nel patrimonio trasferito in dipendenza di una fusione, scissione o conferimento di attivo risultino fondi in sospensione d’imposta, questi concorreranno alla formazione del reddito della stabile organizzazione beneficiaria dell’apporto nella misura in cui non vengano ricostituiti nelle sue scritture contabili .

    Pertanto, le riserve in franchigia totale o parziale di imposta (nella dizione fornita dalla Direttiva) transiteranno nel bilancio della conferitaria come se l’operazione non avesse avuto luogo, conservando presso di essa le medesime posizioni fiscali. Il regime comunitario, al contrario della normativa interna, non opera tuttavia distinzioni tra fondi tassabili solo in caso di distribuzione (ad es. i fondi di rivalutazione monetaria), fondi tassabili anche in ipotesi diverse (ad es. il fondo plusvalenze ex art. 54 o il fondo sopravvenienze ex art. 55 TUIR), e fondi o riserve imputati al capitale della conferente anteriormente all’operazione, disponendo l’obbligo della ricostituzione in ogni caso . I fondi in sospensione possono essere ricostituiti utilizzando l’eventuale avanzo di fusione o le esistenti riserve disponibili, oppure ancora in altro modo, non essendo positivamente stabilito un qualsiasi criterio . Il metodo di ripartizione degli elementi trasferiti previsto in caso di scissioni interne (i fondi vengono attribuiti proporzionalmente alle quote di patrimonio netto della conferente ricevute) non è esplicitamente richiamato dal Decreto di attuazione della Direttiva, ma essendo espressione di un principio generale, valido allorché non sia possibile determinare con precisione la destinazione di un componente aziendale oggetto del trasferimento, sembra trovare applicazione anche in ambito comunitario .

    (b) Il problema della sorte delle perdite della società conferente formatesi negli esercizi precedenti, e riportabili nei conti fiscali della beneficiaria allo scopo di una futura compensazione con gli utili, costituisce un argomento estremamente delicato e difficile da gestire, in virtù delle frequenti opportunità di abuso che si prospettano . Data la difficoltà per gli Stati membri di addivenire ad un compromesso soddisfacente (soprattutto per la chiarezza e l’uniformità di trattamento riservato alle imprese), a causa delle ferme posizioni nazionali in materia di riporto delle perdite , il testo della Direttiva non pone nel merito alcuna norma specifica, limitandosi a sancire l’obbligo di garantire alle stabili organizzazioni delle società beneficiarie situate nello Stato della conferente il medesimo trattamento fiscale vigente per le operazioni interne. Di conseguenza, il legislatore delegato ha ritenuto di permettere alla società beneficiaria non residente la deduzione delle perdite pregresse "alle condizioni e nei limiti di cui al comma 5 dell’art. 123", e "proporzionalmente alla differenza tra gli elementi dell’attivo e del passivo effettivamente connessi alla stabile organizzazione ... e nei limiti di detta differenza" . A sua volta, l’art. 123 richiede sostanzialmente che la società le cui perdite sono riportabili sia stata effettivamente operativa durante l’esercizio precedente, affermata comunque l’indeducibilità delle perdite di ciascuna delle società partecipanti eccedenti l’ammontare del rispettivo patrimonio netto, non computando a questi fini i versamenti effettuati negli ultimi ventiquattro mesi . Viene quindi disposta, in conformità all’art. 6 della Direttiva, l’estensione della disciplina nazionale alle operazioni intracomunitarie, sebbene il limite del netto patrimoniale incontri qui la difficoltà interpretativa legata all’esigenza dell’"effettiva connessione" dell’attivo e del passivo trasferiti alla stabile organizzazione risultante. La soluzione, per motivi di coerenza, dovrà essere equivalente a quella data in sede di applicazione delle altre disposizioni dell’art. 2 del Decreto, anche se, nell’ipotesi si reputasse soddisfatta la condizione in caso di semplice iscrizione nel bilancio, gli obiettivi antielusivi rimarrebbero in parte inattuati, per l’impossibilità di sindacare la reale connessione .

    Una soluzione maggiormente efficace ed equa sarebbe, con ogni probabilità, stata rinvenibile allorché il sistema fiscale italiano avesse introdotto, sulla scorta dell’art. 11 della Direttiva, una norma generale antielusiva di concreta applicabilità. Su questo tema, peraltro, si rinvia al quinto capitolo.

     

    3.8 - Trasferimento di stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro. Operazioni con soggetti extracomunitari. Conclusioni.

     

    Un’importante eccezione al principio di neutralità viene stabilita dal terzo comma dell’art. 2 del D.p.R. 544, relativo al trattamento tributario delle fusioni e delle scissioni nel caso in cui la società conferente residente aveva una stabile organizzazione situata all’estero. In seguito allo scioglimento della stessa società, infatti, la stabile organizzazione, i cui redditi erano prima attratti a tassazione in virtù del criterio di tassazione mondiale, esce definitivamente dalla sfera impositiva italiana. Per questo motivo le plusvalenze inerenti ai beni relativi alla sede estera vengono sottoposte a tassazione in base al valore normale, essendo contestualmente concesso un fittizio credito d’imposta pari all’imposta che lo Stato estero avrebbe effettivamente prelevato in assenza delle norme della Direttiva . È possibile poi indurre dalla formulazione della previsione che il credito non sia dovuto allorché lo stesso Stato non avesse dovuto prelevare alcuna imposta in applicazione delle proprie disposizioni interne .

    Analoga situazione si verifica in dipendenza di un conferimento di attivo, il cui oggetto sia costituito da una stabile organizzazione all’estero. Tuttavia il legislatore delegato ha preferito inserire la disciplina di tale operazione in un’apposita disposizione, rappresentata dal sesto comma . Le ragioni della distinzione sono da ricercarsi nell’esigenza tecnica di indicare positivamente il valore dei titoli ricevuti in cambio in seguito all’eventuale maggiore imposta prelevata. Posto infatti nel comma 2 l’obbligo di assegnare alle partecipazioni un costo fiscalmente riconosciuto equivalente all’ultimo costo dell’azienda o del ramo d’impresa conferito, viene ora precisato che il detto valore fiscale deve essere aumentato di un’importo pari all’imposta dovuta a saldo .

    Data la apparente esaustività delle disposizioni esaminate, ci si chiede se risultano applicabili le procedure stabilite dall’art. 15 TUIR in ordine alla valida deducibilità del credito d’imposta. Si pensi soprattutto al disposto del terzo comma, in base al quale la detrazione deve essere richiesta a pena di decadenza nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio in cui le imposte estere sono state pagate .

    In assenza di specifiche previsioni, inoltre, le plusvalenze inerenti a stabili organizzazioni situate oltre i confini della Comunità, oggetto del trasferimento, si intendono realizzate al valore normale: in questa ipotesi, pertanto, sarà applicabile il regime ordinario che consente alla conferente residente di detrarre dall’imposta netta italiana l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo, nei limiti posti dall’art. 15.

    In estrema sintesi, dunque, è lecito domandarsi se il complesso dell’attuale normativa italiana risponda in maniera corretta alle esigenze di neutralità prospettate in sede comunitaria, specie avuto riguardo ai concreti obiettivi che il legislatore di Bruxelles si era posto con l’adozione della Direttiva.

    In primo luogo è da notare come le disposizioni di implementazione non siano comunque atte ad eliminare ogni causa distorsiva del mercato unico, sebbene rispetto alle posizioni assunte da altri Stati membri il regime introdotto non sia per nulla censurabile. Permangono tuttavia alcune aree di incertezza, legate soprattutto alla non limpida formulazione del testo licenziato dal Governo: alcuni problemi saranno quindi incontrati in occasione della chiara definizione di alcune espressioni non conosciute in precedenza dall’ordinamento nazionale, come nel caso dell’"effettiva connessione" alla stabile organizzazione dei beni trasferiti. Mentre il trattamento delle fusioni e delle scissioni non desta rilevanti preoccupazioni, a causa della profonda analogia con il sistema già vigente per le stesse operazioni interne, le maggiori incertezze si riferiscono alla disciplina dei conferimenti e degli scambi azionari. Questi ultimi, infatti, se intercorrenti tra soggetti nazionali, non godono di un regime privilegiato: la duplicità instaurata rischia pertanto di incoraggiare comportamenti elusivi, dove il risparmio d’imposta sarebbe assicurato in caso partecipasse anche una sola società estera, coinvolta per l’occasione . A prescindere da queste considerazioni, tuttavia, è da rimarcare il mancato sfruttamento dell’opportunità offerta dalla necessità di attuare la Direttiva per adeguare anche il regime interno degli scambi e dei conferimenti, le quali operazioni costituiscono pur sempre strumenti di riorganizzazione delle strutture societarie al pari di fusioni e scissioni, conducendo a risultati comparabili .

    Non esistono infine previsioni che espressamente riguardino le operazioni cui partecipano soggetti non residenti nell’ambito Cee. Poiché tuttavia il dettato degli art. 123 e 123-bis del TUIR non limita esplicitamente la propria applicabilità alle sole fusioni e scissioni domestiche, è possibile allora inferirne la generale validità, indipendentemente dalla residenza delle società partecipanti . Nelle ipotesi in cui la sola società conferente sia un soggetto non residente l’Amministrazione italiana non andrebbe incontro ad alcuna perdita di gettito (salvo che in dipendenza dell’operazione scompaia una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato). Quando però la conferente sia residente in Italia si verificherà la sottrazione definitiva ad imposizione dei beni trasferiti, per la cessazione della qualità di soggetto d’imposta della stessa società . A questo punto, o si rende applicabile il principio della stabile organizzazione o altro criterio che permetta la conservazione dei diritti di prelievo , oppure i beni verranno tassati al valore normale, sebbene in ogni caso non sussista la necessità di una liquidazione formale.

    Una puntale disciplina che regoli le operazioni internazionali diverse da quelle considerate dalla Direttiva è comunque, più che opportuna, necessaria, al fine di eliminare le numerose incertezze che da una parte ostacolano pesantemente le decisioni delle imprese e dall’altra sono potenzialmente idonee a favorire l’elusione fiscale .

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    4.1.1 - Il sistema fiscale societario inglese e la mancanza di norme relative a fusioni e scissioni internazionali. Il Finance (No. 2) Act 1992.

     

    Mentre il diritto societario inglese conosce da tempo la pratica consolidata delle ristrutturazioni effettuate mediante trasferimenti patrimoniali (tranfers of assets) e scambi azionari (share exchanges, paper for paper deals), le riorganizzazioni mediante fusioni o scissioni, nonostante la possibilità giuridica, per l’attuazione della Terza Direttiva, non hanno riscontrato largo favore. In prospettiva internazionale, inoltre, le fusioni non solo non dispongono di un regime particolare in campo fiscale, ma non sono neppure consentite a causa della carenza di norme civilistiche. Per quest’ultimo motivo, dunque, il Governo inglese ha espresso l’intenzione di accordare implementazione alla Direttiva 434 limitatamente alle operazioni praticabili, riservandosi di proporre la disciplina necessaria per l’adeguamento in materia di fusioni e scissioni allorché queste avranno trovato una compiuta definizione legislativa, in particolare dopo l’approvazione della Decima Direttiva del Consiglio e dello Statuto della "Societas Europæa" .

    In conformità alle argomentazioni addotte, la legge finanziaria (No. 2) del 16 luglio 1992 dispone la modifica di alcune previsioni contenute nelle leggi relative all’imposizione societaria , ma non introduce un regime impositivo adeguato alle operazioni transfrontaliere di "scioglimento senza liquidazione", come prospettato dall’art. 2 della Direttiva, nonostante il diritto inglese preveda alcune forme di Tax relief in occasione di ristrutturazioni di questo tipo cui partecipino soggetti nazionali fiscalmente residenti nel Regno Unito. Più precisamente, la sez. 427 del Companies Act 1985 permette il trasferimento del patrimonio tra due società comportante "the dissolution, without winding up, of the transferor company". Similarmente, la sez. 110 dell’Insolvency Act 1986 contempla il caso in cui una società, volontariamente disciolta, conferisca la totalità dei propri beni ad una beneficiaria contro l’emissione di azioni a favore degli azionisti della prima società (con evidente analogia alla nozione di fusione data dalla Direttiva). Tali operazioni potranno beneficiare dei meccanismi di rinvio dell’imposizione previsti dal sistema nazionale, purché sussista, per entrambi i soggetti partecipanti, la residenza tributaria entro i confini del territorio dello Stato, in accordo alla sez. 139 del TCGA 1992 .

    È comunque possibile che un soggetto residente in Gran Bretagna sia coinvolto in un’operazione transnazionale cui prendano parte persone fisiche o giuridiche appartenenti a Paesi il cui ordinamento applichi integralmente i principi della Direttiva. Probabilmente in questi casi non verrà concessa alcuna esenzione nei confronti della società residente, i cui profitti rimarranno tassabili ordinariamente.

    È inutile aggiungere che l’approccio limitato del Governo inglese sortirà effetti deterrenti su molte ristrutturazioni decise all’estero, l’unica plausibile soluzione restando quella, di carattere interpretativo, proposta inizialmente dalla stessa Commissione della Comunità, conosciuta come il Three-step-model .

     

    4.1.2 - La disciplina degli scambi di azioni e dei conferimenti di attivo.

     

    L’ordinamento anglosassone, ancor prima dell’emanazione della Direttiva 434, annoverava già tra gli strumenti tributari favorevoli ai contribuenti un regime neutrale applicabile agli scambi azionari: la sez. 135 TCGA 1992 , difatti, accordava, e tuttora accorda, non essendo stata modificata, un rinvio dell’imposizione a livello dell’azionista, ove questi scambi le proprie partecipazioni con titoli azionari o debentures della società acquirente, purché quest’ultima detenga, o per effetto dello scambio verrà a detenere, titoli rappresentanti almeno il 25% del capitale ordinario della acquisita.

    La legge di attuazione ha adeguato al dettato dell’art. 8 della Direttiva il meccanismo esistente semplicemente aggiungendo una nuova disposizione, nella sez. 135–1 TCGA 1992, la quale estende il tax deferral ivi previsto ai casi in cui l’acquirente detiene, o in conseguenza dell’operazione otterrà, il controllo dei diritti di voto della società acquisita. Per non discriminare il regime interno a favore degli scambi azionari internazionali, la previsione si applica analogamente ai domestic exchanges .

    Sia il testo previgente, sia l’emendamento inserito dalla legge finanziaria non specificano con chiarezza se il differimento possa disporsi in relazione ai titoli in eccedenza rispetto ad un’esistente maggioranza, né in che maniera si debba determinare il raggiungimento della maggioranza nell’ipotesi in cui la società acquisita abbia emesso azioni con differenti diritti di voto . A differenza della Direttiva, inoltre, è permesso effettuare scambi di azioni con debt securities, ossia titoli di carattere obbligazionario, e, in aggiunta, secondo la sez. 135, viene concesso un parziale roll-over relief anche nelle situazioni in cui l’azionista riceve un conguaglio monetario di sostanziale entità, nonostante la normativa comunitaria imponga un limite del 10%. Da rimarcare è infine il fatto che il sistema delineato dalla sez. 135 si applichi, indipendentemente dal carattere internazionale della stessa, ad ogni operazione di scambio azionario, incluse quelle cui partecipino soggetti extracomunitari .

    L’implementazione delle previsioni della Direttiva inerenti ai conferimenti di attivo è stata invece disposta dalla sez. 44 della medesima legge finanziaria, la quale ha inserito la sez. 140A nel Taxation of Chargeable Gains Act 1992 . La nuova previsione statuisce l’irrilevanza ai fini fiscali del trasferimento di un’impresa (trade) esercitata nel Regno Unito, o di una parte di essa, intercorrente tra società residenti in diversi Stati membri della Cee . A fronte del conferimento devono essere emesse nuove azioni o debt securities da parte della beneficiaria .

    Una osservazione iniziale riguarda l’utilizzo del termine trade, generalmente inteso nel diritto inglese in un significato più ristretto rispetto al similare concetto di business, cui si può invece accostare la definizione di branch of activity data dalla Direttiva. Come avviene nel caso dell’Olanda, pertanto, una mera attività di investimento non soddisfa ai requisiti posti dalla norma, poiché esula dalla nozione specifica di trade .

    In secondo luogo la nuova legislazione non prevede, come fa al contrario nel caso di scambio azionario, l’estensione del regime introdotto alle operazioni puramente interne , per le quali rimarrà in vigore il group roll-over relief offerto dalla sez. 172 TGCA 1992 .

    La soluzione adottata dalla sez. 140A è in linea con l’art. 4 della Direttiva, in quanto consente il passaggio dei beni oggetto del trasferimento nel bilancio della beneficiaria senza conseguenze tributarie a carico della conferente . È imprescindibile condizione per essere ammessi al beneficio che sia la conferente, sia la beneficiaria, avanzino apposita richiesta all’Amministrazione fiscale, la quale dovrà quindi verificare la sussistenza dei requisiti di legge, differenti a seconda della residenza della società conferitaria. Si possono distinguere le seguenti situazioni:

    a) se la beneficiaria risiede in uno Stato diverso dal Regno Unito, dal punto di vista del Fisco inglese gli assets trasferiti diverranno una branch o una agency della società straniera: qualora i beni vengano successivamente ceduti, le plusvalenze inerenti saranno soggette alla Corporation Tax, in base alla presenza nel territorio dello stato degli stessi beni e al loro utilizzo per gli scopi di un trade ivi esercitato, ovvero per gli scopi della branch o dell’agency. La tassabilità dipende tuttavia dal fatto che la beneficiaria straniera eserciti tali attività economiche nel Regno Unito: non è stata infatti richiesta, più semplicemente e in conformità con l’art. 4 della Direttiva, la conservazione dei diritti di prelievo sugli assets in questione, indipendentemente dal trading in the U.K. della società ;

    b) se al contrario la beneficiaria è un soggetto residente, la condizione essenziale è che questa società non venga ritenuta residente di un’altro Paese in virtù di una Convenzione contro la doppia imposizione. In realtà, l’utilità pratica di questa disposizione è molto limitata, poiché risulta difficile trovare situazioni in cui una società residente ed esercitante un trade nello Stato, non sia ivi assoggettabile ad imposizione: anche se, per opera di una clausola di un trattato bilaterale , fosse considerata residente dell’altro Stato Contraente, la cessione del patrimonio presente nel regno Unito, facente parte di un’impresa ivi esercitata, sarà probabilmente tassabile in qualità di stabile organizzazione .

    La sez. 140A, inoltre, esclude nei casi da essa previsti, l’applicazione della cd. exit charge che altrimenti sarebbe stata imposta ad un soggetto non residente che avesse ceduto – in seguito al trasferimento – l’impresa esercitata in Inghilterra.

    Relativamente alla posizione fiscale della società beneficiaria, la legge di attuazione inserisce anche una nuova sez. 152B nel Capital Allowances Act del 1990. La norma inserita dispone che il conferimento, di per se stesso, non dà luogo ad alcuna alterazione nella situazione tributaria dei beni trasferiti in relazione al valore preso a base delle quote di ammortamento. Pertanto la società beneficiaria erediterà, agli scopi del CAA, l’integrale posizione della conferente, come se il trasferimento non avesse avuto luogo .

    4.1.3 - Trasferimento di stabili organizzazioni estere. La condizione generale delle bona fide commercial reasons.

     

    Qualora i beni trasferiti siano collocati all’estero, troverà applicazione la nuova sez. 140C TCGA, relativa al trattamento tributario del conferimento, da parte di una società residente, di una stabile organizzazione (branch o agency) situata in un altro Stato membro ad una società di un terzo Paese della Cee. La modifica si è resa necessaria allo scopo di adeguare la normativa nazionale al disposto dell’art. 10 della Direttiva, poiché la previgente sez. 268A ICTA 1970 (relativo all’incorporation of foreign branches) non avrebbe coperto tutte le transazioni considerate dal regime comunitario. Rientra infatti nel campo applicativo della sez. 140C anche l’ipotesi di incorporazione di una foreign branch in una società sussidiaria. In questo caso la società conferente può, in alternativa, anche optare per il differente regime, la cui regola è che viene comunque rinviata l’imposizione sulle plusvalenze, ma solo fintantoché, entro i primi sei anni successivi all’operazione, la stessa società mantiene nel proprio bilancio le azioni ricevute in cambio .

    La regola principale posta dalla nuova sezione stabilisce la tassabilità delle plusvalenze latenti del ramo di attività ceduto, mentre viene contestualmente concesso un credito di imposta pari all’ammontare del carico fiscale gravante sugli stessi beni in virtù delle norme tributarie dell’altro Stato, e non prelevato a causa della Direttiva.

    Il beneficio è disponibile su richiesta della società interessata, la quale deve produrre una certificazione rilasciata dai competenti organi dello Stato in cui è posta la stabile organizzazione, attestante la astratta configurabilità, la base e l’ammontare della teorica imposta sui beni per cui si chiede il rinvio . In assenza di tale documentazione, comunque, rimane in potere dell’Amministrazione fiscale inglese determinare autonomamente l’importo accreditabile.

    La sez. 140C pone ulteriori condizioni all’applicabilità del regime favorevole:

    a) il conferimento deve comprendere tutti i beni localizzati nello Stato in cui opera la stabile organizzazione che sono ad essa inerenti – le riserve monetarie possono essere invece escluse;

    b) il corrispettivo deve essere formato, sebbene non in modo esclusivo, da titoli emessi dalla società beneficiaria;

    c) l’ammontare delle plusvalenze inerenti ai beni trasferiti non deve superare la somma delle relative minusvalenze, in modo che l’operazione non venga attuata allo scopo di dedurre una perdita complessiva non effettivamente realizzata;

    d) il trasferimento deve essere effettuato per "ragioni commerciali di buona fede", e l’elusione fiscale non deve costituire l’obiettivo principale, o uno degli obiettivi principali dell’operazione.

    Quest’ultimo requisito, previsto dalla sez. 140D TGCA e, in relazione ai trasferimenti di U.K. Trades, dalla sez. 140B, riflette, nella legislazione tributaria inglese, un principio antielusivo di carattere più ampio – che si applica anche in materia di scambi azionari – il quale verrà esaminato e discusso più approfonditamente in seguito .

     

    4.2.1 - Francia: estensione del regime di favore alle operazioni transnazionali.

     

    Il canale legislativo attraverso il quale si è data applicazione in Francia alla Direttiva 434 è rappresentato dalla legge finanziaria rettificativa del 1992, il cui art. 25 contiene disposizioni di adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di fusioni e scambi di azioni . L’approccio utilizzato dal legislatore, essendo limitato ad alcune delle operazioni previste dalla Direttiva, non risolve però i problemi posti dalla compatibilità di diverse norme interne, ed è stato criticato dallo stesso Governo quale intervento che "ne respecte pas l’ensemble des principes définis par la Directive" .

    Per meglio comprendere le lacune individuate dalla dottrina, occorre preliminarmente descrivere il regime fiscale attualmente vigente, con particolare riferimento alle fusioni e operazioni assimilate, che, soddisfatte alcune condizioni, possono godere di un trattamento interno favorevole .

    In primo luogo assume rilievo la disciplina posta dall’art. 210 del Code Général des Impôts, secondo il quale le fusioni effettuate tra persone giuridiche non danno luogo a realizzo di plusvalenze latenti, secondo il principio della neutralità.

    Per quanto riguarda la definizione delle operazioni interessate, la legge di attuazione non riprende la dettagliata descrizione offerta dall’art. 2 della Direttiva: sembra peraltro che debba essere utilizzata, a fini fiscali, la nozione di fusione e scissione contenuta negli artt. 371 e ss. della legge societaria del 1966, come modificata dalla legge di attuazione della Terza e Sesta Direttiva . Il campo di applicazione risulta tuttavia non coincidente con quello prefigurato dalla Direttiva:

    a) in merito alla fusione, l’amministrazione fiscale non riconosce come tale l’operazione attraverso cui il socio unico riceve l’intero patrimonio della società totalitariamente posseduta in occasione del suo scioglimento senza liquidazione (art. 2, lett. a, 2° alinea della Dir. 434), nonostante si tratti di enti soggetti all’imposta sulle società ;

    b) d’altro canto, la nozione di scissione, come definita dalla Direttiva, non comprende le scissioni in cui la distribuzione dell’attivo non avviene su base proporzionale, mentre in Francia il règime de faveur è applicabile anche quando degli azionisti di minoranza intendano abbandonare la compagine sociale;

    c) in ultima analisi, il regime francese di favore può trovare applicazione anche alle società di persone che optano per il sistema d’imposizione societario.

    La neutralità vale sia per le persone giuridiche od altri organismi nazionali, sia per i soggetti esteri , l’unica condizione prevista essendo l’assoggettabilità all’imposta francese sulle società (Impôt sur les Sociétés) . L’ordinamento tributario non distingue, in merito all’applicazione del regime di favore, tra riorganizzazioni effettuate all’interno del territorio comunitario e operazioni coinvolgenti soggetti extra-Cee: in questo senso si verifica un uniforme trattamento per ogni tipo di ristrutturazione internazionale.

    Rispetto al dettato della Direttiva, sono quindi assenti i requisiti relativi alla forma e alla residenza fiscale, posti dall’art. 3, lett. a) e b) . Ma i problemi di compatibilità sorgono soprattutto laddove l’art. 210c C.G.I. condiziona l’applicabilità della disciplina di favore alle operazioni internazionali alla previa necessità di ottenere un’autorizzazione preventiva del Ministero delle Finanze. La disposizione in questione, non modificata dalla legge di attuazione, si limita a prevedere l’obbligo dell’agrément préalable solo per le fusioni (ed operazioni assimilate) in cui una persona giuridica nazionale trasferisca il proprio patrimonio ad un ente beneficiario straniero: tuttavia si tratta di una condizione che istituisce una discriminazione in funzione della nazionalità, per ciò stesso non consentita dal complesso delle norme comunitarie. Per ovviare a questa incongruenza, sarebbe sufficiente rilasciare automaticamente l’agrément qualora i requisiti prescritti dalla Direttiva siano soddisfatti .

     

    4.2.2 - Regole comuni relative a fusioni, scissioni e conferimenti. L’échange de titres. L’imposizione degli azionisti.

     

    La principale novità contenuta nell’art. 25 della legge finanziaria riguarda la facoltà di differire l’imposizione non solamente sopra le plusvalenze inerenti agli elementi di attivo immobilizzati, come prevedeva in generale la disciplina tributaria francese nell’art. 210a C.G.I., ma anche quelle concernenti i beni che, dal punto di vista tecnico, non costituiscono immobilizzazioni, quali le giacenze di magazzino e l’avviamento . È correlativamente imposto, secondo il dettato della Direttiva, l’obbligo per la beneficiaria di mantenere i valori fiscalmente riconosciuti presso la conferente , mentre è certamente incompatibile con i principi comunitari l’ulteriore condizione, spesso menzionata dalla dottrina amministrativa, che l’operazione non dia luogo ad una minusvalenza complessiva .

    Dal punto di vista procedurale, le società che intendono beneficiare del regime di favore sono tenute ad allegare alle loro dichiarazioni due prospetti indicanti il valore fiscalmente riconosciuto dei beni trasferiti (se questo differisce dal valore di bilancio) e gli utili imponibili differiti.

    La legge di attuazione mantiene inoltre l’esenzione definitiva delle plusvalenze evidenziate sulle partecipazioni reciproche annullate in seguito all’operazione, secondo l’art. 210a-1; così come restano immutate le disposizioni relative al trasferimento, presso la beneficiaria, degli obblighi e dei diritti tributari delle riserve e dei fondi in sospensione d’imposta esistenti nel passivo della conferente.

    La successione a titolo universale non comporta però in modo automatico anche il riporto, da parte della beneficiaria, delle perdite non ancora ammortizzate dal punto di vista fiscale. L’amministrazione finanziaria, in caso di fusione, può infatti permettere il riporto solo con uno specifico atto di consenso, di carattere eminentemente discrezionale . La direttiva stessa (art. 6) si limita ad imporre un obbligo di parità di trattamento per le operazioni intracomunitarie: ma risulterà arduo garantire tale uguaglianza se l’Amministrazione fiscale francese non è neppure tenuta a motivare le ragioni del rifiuto alla ripresa delle perdite .

    In ordine al trattamento tributario degli azionisti della società fusa, scissa o acquistata l’art. 8 della Direttiva sancisce il principio del roll-over relief. La relativa semplicità del testo comunitario si scontra però con la complessa disciplina francese, che distingue almeno tre differenti regimi impositivi, a seconda che lo scambio di azioni sia avvenuto in seguito (i) a un’offerta pubblica di scambio, (ii) a una fusione o scissione oppure (iii) a un’apport de titres, operazione assimilata ai fini fiscali all’apport d’actifs. In tutti i casi previsti dalla Direttiva è ammesso il riporto dell’imposizione , ma sono poste condizioni e limitazioni differenti a seconda del tipo di operazione e dello status del socio.

    Qualora l’azionista sia una persona fisica, rimane applicabile il regime dettato dall’art. 92b C.G.I. , il quale già statuiva il principio del riporto dell’imposizione, sebbene sia a tutt’oggi limitato alle operazioni di O.P.S., fusioni, scissioni e apporti a società soggette all’Impôt sur les Sociétés . Non sembra inoltre rispettato il disposto dell’art. 8-1 della Direttiva , poiché in alcuni casi permangono conseguenze fiscali, anche indirette, dell’operazione:

    a) in primo luogo non è ancora chiaro se le operazioni aventi diritto al rinvio debbano essere prese in considerazione al fine di determinare la soglia d’imponibilità definita dallo stesso art. 92b (un portatore di valori mobiliari potrebbe essere quindi sottoposto o meno a tassazione in ragione delle eventuali riorganizzazioni cui partecipano le società i cui titoli detiene);

    b) in aggiunta, estinguendosi il differimento allorché le azioni ricevute in scambio siano cedute, si profila la possibilità che una seconda operazione abbia come effetto di sottoporre a tassazione la plusvalenza dapprima riportata .

    Per quanto concerne, invece, le operazioni cui partecipano esclusivamente persone giuridiche, passibili dell’Impôt sur les Sociétés, l’art. 25 della legge finanziaria modifica la normativa previgente, inserendo una definizione di scambio di azioni, non del tutto coincidente, peraltro, con quella predisposta dal testo comunitario. Il legislatore ha infatti adottato una tecnica, poco felice, consistente nell’assimilazione de "les apports de partecipations portant sur plus de 50% du capital de la société dont le titres sont apportés ... à une branche complète d’activité", e il cui effetto è quello di sottoporre gli scambi di azioni alla stessa disciplina degli apports partiels d’actifs. Rinviando al paragrafo successivo le conseguenze negative in ordine alle condizioni richieste per beneficiare dei vantaggi della Direttiva , ci si limiterà in questa sede a notare che, innanzitutto, la nuova definizione nazionale fa riferimento all’acquisizione di almeno il 50% del capitale, e non della maggioranza dei diritti di voto come invece specifica l’art. 2d della Direttiva . La differenza di redazione, incentrata su di un elemento puramente formale e di facile constatabilità, suscita però diverse perplessità, specie nei casi in cui entrino in gioco partecipazioni non conferenti il diritto di voto nell’assemblea di un’altra società. L’acquisizione del 50% del capitale di quest’ultima potrebbe, da una parte, non attribuire alla acquirente la maggioranza dei diritti di voto, mentre, per converso, potrebbe anche essere sufficiente per ottenere il controllo azionario possedere meno della metà delle azioni emesse. Per essere in linea con gli obiettivi della normativa comunitaria, dovrebbe pertanto consentirsi alla società acquirente, nella seconda ipotesi, di beneficiare del regime di favore .

    Secondariamente merita riguardo la disposizione, introdotta dall’art. 38 della legge di attuazione, che limita l’applicabilità del regime di favore agli scambi di azioni cui partecipano unicamente società soggette all’Impôt sur les Sociétés. Mentre la Direttiva richiede che la società acquirente e quella acquistata siano delle società di capitali, nulla dispone relativamente alla qualità del soggetto azionista della seconda, essendo il regime fiscale di quest’ultimo irrilevante. Mentre gli azionisti persone fisiche potranno invocare la normativa dell’art. 92b, nei casi sopra riferiti, restano al contrario esclusi da ogni beneficio gli scambi intercorrenti tra gli imprenditori individuali e le società di persone.

     

    4.2.3 - Il regime dell’Apport partiel d’actifs. Operazioni relative a stabili organizzazioni.

     

    L’art. 2 della Direttiva, nel definire il concetto di conferimento di attivo, fa riferimento ad una nozione di "ramo di attività" che, sostanzialmente, equivale a quella già accolta nell’ordinamento francese. La giurisprudenza infatti descrive una branche d’activité come "l’ensemble des éléments qui constituent une exploitation autonome susceptible de fonctionner par ses propres moyens" : su questo punto, quindi, non è stata necessaria alcuna modifica legislativa.

    L’art. 210b C.G.I. condiziona l’applicabilità del regime di favore agli apports d’actifs ad un’autorizzazione preventiva, la quale, tuttavia, non si rende necessaria allorché siano soddisfatti due requisiti :

    a) la società conferente deve impegnarsi a conservare per almeno cinque anni i titoli ricevuti in cambio dell’attivo trasferito;

    b) la stessa società deve calcolare le future plusvalenze in caso di cessione (anche successivamente ai primi cinque anni) in base al valore fiscalmente riconosciuto che i beni avevano al momento del conferimento.

    La prima condizione è motivata da esigenze antielusive, allo scopo di impedire che le società interessate dissimulino una reale vendita dietro lo schermo di un conferimento, e può trovare giustificazione nella clausola anti-abuso posta dall’art. 11 della Direttiva .

    La seconda, al contrario, trova forti resistenze nella dottrina, la quale sottolinea come tale disposizione sia incompatibile con il regime comunitario in quanto, dando luogo ad una doppia imposizione, comporta conseguenze inaccettabili, soprattutto quando è coinvolta una società straniera. L’esigenza che la società conferente si impegni calcolare le plusvalenze di cessione in base al valore fiscale, e non al valore reale al momento del conferimento , è stata introdotta nell’ordinamento francese solo nel 1976, ed è stata motivata dall’Amministrazione allo scopo di impedire alla conferente di usufruire di un trattamento fiscale maggiormente favorevole rispetto a quello stabilito per una fusione completa, dove i titoli emessi a fronte del trasferimento patrimoniale assumono il valore cui erano iscritti i titoli scambiati . La dottrina, tuttavia, ha rilevato come le due operazioni siano in realtà fondamentalmente distinte : mentre la fusione comporta l’emersione di plusvalenze, la cui imposizione viene differita, sia al livello della conferente, sia al livello degli azionisti, i quali cedono le loro partecipazioni in cambio di nuove, il conferimento di attivo ha come effetto il sorgere di un’unica plusvalenza sui beni trasferiti, essendo connaturata all’operazione l’attribuzione delle relative azioni emesse per l’occasione. L’Amministrazione fiscale, assimilando il conferimento alla fusione per giustificare la condizione in questione, "fait comme si la société qui procède à un apport partiel d’actif cumulait les qualités de société absorbée (qui réalise une plus-value d’apport exonérée mais reportée sur la société absorbante) et d’actionnaire de cette même société absorbée (qui réaliserait une plus-value d’échange d’actions reportée lors de la cession desdites actions)" .

    Il dettato della Direttiva non avvalora in alcun modo la scelta legislativa francese: anzi, l’esclusione dei conferimenti di attivo dal novero delle operazioni sottoposte alla disciplina dell’art. 8, relativo al roll-over dei titoli scambiati, sembra evidenziare ancor più l’illegittimità dell’art. 210b-1 C.G.I., nella misura in cui pone una condizione che la Direttiva non menziona affatto. Pertanto, in conformità ai principi del diritto comunitario, come precisati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, occorrerà considerare come non scritta, con effetto dal primo gennaio 1992, la condizione incompatibile .

    In più, la disciplina dell’art. 210b influenza in maniera considerevole il trattamento fiscale del conferimento di una stabile organizzazione situata in Francia effettuato dalla casa-madre estera ad una società francese. L’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che fosse indispensabile in questo caso un’agrément préalable, sulla base dell’impossibilità di imporre alla società straniera l’osservazione delle due condizioni previste per ottenerne la dispensa . Tale posizione non pare più sostenibile, almeno con riguardo alle società beneficiarie residenti in altri Stati membri della Cee, dopo l’adozione della Direttiva 434. L’applicazione dell’art. 10 di quest’ultima impegnerebbe infatti il legislatore nazionale ad estendere il regime comune delle fusioni ai conferimenti del tipo sopra descritto. Tuttavia si ripropongono qui i problemi interpretativi legati all’incorporazione di una stabile organizzazione, su cui cfr. supra, par. 2.8.

     

    4.3.1 - Attuazione parziale della direttiva in Germania. Disciplina delle fusioni e scissioni nazionali.

     

    Il Parlamento federale tedesco ha inserito nella Legge finanziaria del 1992 alcune disposizioni di attuazione della Direttiva, dirette a conformare al dettato comunitario il regime impositivo delle operazioni di ristrutturazione che, secondo il diritto interno e la pratica giurisprudenziale, possono effettuarsi tra società di diversi Stati membri. Tuttavia, per i motivi già esposti in precedenza nel primo capitolo, il legislatore ha espresso l’esplicita intenzione di non dar luogo ad alcuna modifica in materia di fusioni e scissioni: pertanto, tali riorganizzazioni non potranno beneficiare del sistema agevolato vigente per le analoghe operazioni intercorrenti tra soggetti nazionali residenti .

    In merito a queste ultime, la scelta, offerta alle imprese che intendono procedere ad una ristrutturazione, tra la tassazione ordinaria sulle plusvalenze emergenti oppure il differimento dell’imposizione sulla base della continuità dei valori riconosciuti, viene attribuita dalle norme della Legge Tributaria sulle Riorganizzazioni (Umwandlungsteuergesetz, UmwStG) . La stessa legge condiziona l’opzione di rinvio al trasferimento integrale del patrimonio della conferente in cambio dell’emissione di nuove azioni della beneficiaria ai soci della prima società , mentre non è ammesso alcun riporto delle perdite . Gli azionisti della conferente non sono a loro volta sottoposti a tassazione nella misura in cui assegnino ai titoli ricevuti lo stesso valore fiscale che avevano le azioni dismesse .

    La neutralità è disposta per le fusioni, proprie o per incorporazione, orizzontali o verticali, e per le scorporazioni. Al contrario la scissione, intesa nel significato dato dalla Direttiva di divisione di una società in due altri distinti enti, è istituto sconosciuto al diritto commerciale tedesco. Ciononostante, sul fondamento di diversi atti successivi permessi dal diritto civile, è possibile conseguire un effetto equivalente . A tale operazione un ordinanza dell’amministrazione tributaria , del 1992, consente tuttavia di usufruire di un regime di roll-over simile a quello delle fusioni, posto che rilevanti condizioni siano soddisfatte:

    a) entrambe le società devono essere assoggettabili a tassazione senza esserne esenti;

    b) la beneficiaria deve essere una società di nuova costituzione;

    c) gli azionisti di entrambe le società devono essere gli stessi della società scissa;

    d) la tassazione delle riserve nascoste deve essere assicurata in caso di futuro realizzo;

    e) i beni trasferiti devono formare una distinta divisione dell’impresa;

    f) le azioni ricevute dai soci non possono essere alienate per un periodo di cinque anni dalla data dell’operazione;

    g) i diritti di partecipazione dei lavoratori non devono essere pregiudicati.

    h) le perdite in nessun caso possono essere trasferite alle società beneficiarie.

     

    4.3.2 - Regime impositivo delle riorganizzazioni transnazionali. Trasferimento di residenza e di rami di attività alla luce del diritto comunitario.

     

    Si è detto che né il diritto commerciale né il diritto fiscale tedesco conoscono gli istituti delle fusioni o scissioni internazionali. Un’operazione alternativa per raggiungere effetti analoghi può essere però rappresentata dal trasferimento della sede sociale in un altro Stato, purché, in ogni caso, gli ordinamenti interessati considerino rilevante tale mutamento. Occorrerà a questo proposito distinguere la situazione in cui (i) una società sposta la propria sede dalla Germania all’estero e (ii) il caso inverso:

    (i) la legislazione interna impone la liquidazione della società che trasferisce all’estero la sede legale e la sede di direzione effettiva, sul fondamento della sopravvenuta estinzione di un ente assoggettabile ad imposta . Tuttavia il presupposto personale di imponibilità è costituito, secondo la sez. 1-1 KStG, dalla residenza della società determinata in base alla sede legale oppure a quella di direzione effettiva. Occorrerà pertanto far riferimento alla legge del Paese di destinazione per verificare se la società è considerata mantenere la residenza in Germania, ad esempio perché ha trasferito solo la sede amministrativa essendo rilevante in quell’ordinamento unicamente la sede statutaria. In tale situazione l’Amministrazione fiscale tedesca non avrebbe ragione per disporre la liquidazione dell’ente, tuttora ritenuto residente per via della sede effettiva rimasta nel territorio dello Stato . Nel caso opposto, in cui la società perda la residenza per lo spostamento di entrambi i criteri, nonostante permanga eventualmente una stabile organizzazione in Germania soggetta alla giurisdizione fiscale tedesca, la giurisprudenza non intende tuttora concedere alcun beneficio, seppur esso sia giustificato dalla conservazione dell’imponibilità. D’altro canto tale operazione non avrebbe neppure riconoscimento dal punto di vista civile, per via dell’impossibilità di applicare le norme ritenute imperative dello statuto commerciale tedesco alla società emigrante .

    (ii) una società con statuto straniero, d’altra parte, non può trasferire la propria sede in Germania e poi trasformarsi in un ente tedesco, né fondersi con una persona giuridica nazionale. L’accoglimento della "real seat doctrine", infatti, impedisce al soggetto estero di trasferire validamente la propria sede operativa in Germania, ed essere ivi considerata un ente morale, nonostante possa in astratto acquisire la soggettività tributaria in virtù della sez. 1 KStG . La dottrina invero non è univocamente assestata su tale posizione intransigente: mentre alcuni autori sostengono l’impraticabilità giuridica del riconoscimento della persona giuridica estera in questi casi, sulla base dell’impossibilità di adempiere alle formalità di registrazione , un’altra corrente di pensiero tende a valorizzare le disposizioni comunitarie allo scopo di affermare la libertà di movimento delle imprese all’interno del Mercato Unico . A prescindere, in ogni caso, dal preliminare dibattito di natura civilistica, il trasferimento in Germania della sede di direzione di una società che quivi possiede una stabile organizzazione non sembra ricadere entro l’ambito della sez. 12 KStG, e di conseguenza non potrebbe essere considerato come motivo di imposizione delle plusvalenze nascoste inerenti alla stessa installazione . La società estera potrebbe invece semplicemente stabilire nel territorio federale un ramo di attività e, in seguito, conferirlo in una società tedesca di nuova costituzione, la quale, pur essendo così una subsidiary della casa-madre estera o dei suoi azionisti, può partecipare ad una fusione con organismi locali, beneficiando del regime di favore interno.

    In ogni caso le disposizioni della Direttiva non sembrano poter trovare applicazione, per via delle difficoltà di ordine civilistico.

     

    4.3.3 - Impatto della direttiva sulla disciplina dei conferimenti d’attivo.

     

    Le attività imprenditoriali possono, in cambio di azioni, essere trasferite integralmente o in maniera parziale tra società residenti, su base fiscalmente neutrale oppure con emersione di plusvalenze tassabili a seconda del valore cui i beni ricevuti dalla beneficiaria sono iscritti in bilancio: la sez. 20-2 UmwStG accorda il differimento dell’imposizione qualora quest’ultimo soggetto attribuisca all’attivo conferito il valore originario, sempre che la differenza tra attività e passività non sia negativa . Viceversa l’assegnazione di un valore maggiore, con un limite massimo determinato dal going-concern value, rende imponibile la plusvalenza realizzata . La nozione di "conferimento di attivo" comunemente utilizzata dal diritto tedesco non differisce sostanzialmente dalla definizione contenuta nella Direttiva. In particolare, il concetto di "ramo di attività", non espressamente trattato dalla legge di attuazione, coincide integralmente con il disposto europeo, ed è applicato da lungo tempo nella pratica.

    Verificandosi un conferimento di carattere internazionale, anche alla luce delle modifiche introdotte dalla legge di attuazione, è opportuno distinguere differenti situazioni, in base alla localizzazione dei soggetti interessati:

    a) il conferimento di un ramo di impresa da parte di una società tedesca residente ad una stabile organizzazione in Germania, preesistente o di nuova formazione, di una società estera è attualmente disciplinato dalla sez. 20-8 UmwStG, la quale estende il regime interno alle operazioni coinvolgenti i soggetti elencati dall’allegato alla Direttiva 434. Per beneficiare del sistema comunitario, i beni devono entrare nel bilancio della stabile organizzazione al valore di libro precedentemente utilizzato dalla conferente, con la conservazione degli stessi criteri di valutazione e ammortamento. Le azioni ricevute in cambio assumono un costo riconosciuto di acquisizione pari al medesimo valore fiscale dei beni, e in caso di futura disposizione verranno tassate quindi sulle stesse plusvalenze latenti . Eventuali remunerazioni addizionali corrisposte dalla beneficiaria, consistenti in beni o denaro, pregiudicano per intero l’esenzione, e hanno come effetto la tassazione delle plusvalenze al valore corrente .

    b) il conferimento di una stabile organizzazione situata all’estero da parte di una società tedesca residente ad un’altra società residente in un altro Stato della Cee ; in questo caso per via degli esistenti trattati bilaterali il diritto di tassare gli utili della stabile organizzazione spetta allo Stato in cui questa è situata. Pertanto, nella misura in cui vengano trasferiti beni appartenenti ad una società nazionale ma relativi alla sua stabile organizzazione, l’operazione non può essere tassata in Germania, indipendentemente dal valore attribuito ai beni stessi nel bilancio della società estera. Il fisco tedesco, però, impone alla società conferente di iscrivere le azioni ricevute in cambio al medesimo valore cui i beni vengono valutati dalla beneficiaria estera nel corso dell’operazione, per assicurarsi, in caso di alienazione successiva dei titoli, il diritto di prelievo sulle stesse plusvalenze non tassate e trasferite nel costo delle azioni . In aggiunta, l’Amministrazione fiscale tedesca potrà procedere al claw-back delle perdite della s.o. utilizzate e non ancora compensate;

    c) il conferimento di una stabile organizzazione situata in Germania da parte di una società residente in uno Stato della Cee ad una società residente in un terzo Stato della Cee verrà trattato come un’operazione puramente domestica, con differimento dell’imposizione se il valore dei beni viene mantenuto, fintantoché gli assets rimarranno effettivamente entro i confini nazionali. Dal momento in cui essi usciranno dalla sfera impositiva tedesca, non potranno fruire della copertura della nuova sez. 20-8 UmwStG e saranno integralmente sottoposti a tassazione;

    d) il conferimento di una stabile organizzazione situata in Germania da parte di una società residente in uno Stato della Cee ad una società tedesca residente, ossia la trasformazione di una stabile organizzazione in Germania in una società nazionale sussidiaria della conferente estera, incontrerà l’applicazione di specifiche disposizioni legislative. La sez. 20-3 e 4 UmwStG e la sez. 12 KStG disponevano, prima della modifica operata con la legge di attuazione, che la beneficiaria dovesse iscrivere i beni ricevuti al loro valore reale, mentre allo stesso valore si doveva far riferimento per calcolare le plusvalenze imponibili della stabile organizzazione: la legge in questo caso non accordava il beneficio del differimento, disponibile per le analoghe operazioni domestiche, per il fatto che viene a mancare la possibilità di tassare anche le azioni emesse alla conferente estera, mentre comunque rimaneva la facoltà per la stabile organizzazione di rinviare fino a cinque anni il versamento dell’imposta . Ora, con l’introduzione della sez. 20-8 UmwStG, l’incorporation della stabile organizzazione può avvenire con effetti neutrali dal punto di vista fiscale, posta la continuità dei valori degli assets trasferiti.

    In accordo alla nuova sez. 25-4 UmwStG, l’esenzione relativa al conferimento di una stabile organizzazione effettuato da una società estera verrà revocata qualora la medesima società alieni le azioni ricevute entro un periodo di sette anni dalla data dell’operazione. La norma è stata inserita in applicazione degli obiettivi antielusivi riconosciuti dall’art. 11 della Direttiva, ma non pare rispettarne i principi. La presunzione di elusione connessa alla cessione dei titoli non può neppure essere oggetto di prova contraria, non essendo legittimata la conferente a dimostrare che la transazione sia stata effettuata per valide ragioni commerciali . In molti casi risulterà peraltro difficile l’effettivo accertamento della condizione, e la conseguente riscossione dell’imposta, data l’impossibilità pratica di sottoporre alla propria giurisdizione la conferente che non conservi alcuna attività nel territorio dello Stato.

     

    4.3.4 - Il regime degli scambi azionari.

     

    Secondo la precedente versione della sez. 20-6 UmwStG, il rinvio dell’imposizione sulle plusvalenze relative ai titoli scambiati, in base al sistema del roll-over, era concesso solo in caso di trasferimento dell’intero capitale azionario della società acquisita mentre la acquirente doveva essere un soggetto residente . In caso contrario, lo scambio dava luogo all’emersione imponibile delle plusvalenze calcolate secondo il valore normale di mercato delle azioni, anche se queste venivano trasferite ad una stabile organizzazione in Germania.

    Qualora non fosse stato trasferito l’intero capitale, tuttavia, l’applicazione di un principio giurisprudenziale, noto come Tauschgutachten, avrebbe ugualmente permesso il roll-over delle azioni sostituite, in virtù dello scambio, da altri titoli identici per natura, funzione e valore . L’identità di valore viene presunta se lo scambio intercorre tra due soggetti indipendenti, a meno che non sussistano evidenti disparità di prestazioni; l’identità di natura è riconosciuta quando le due società operano nel medesimo settore economico ; l’identità funzionale, infine, richiede che i titoli ricevuti dalla acquirente rappresentino, dal suo punto di vista, gli stessi assets ceduti, o sviluppino la medesima funzione, non potendo perciò essere considerate partecipazioni di maggioranza identiche a questi fini a un pacchetto di minoranza.

    La legge di attuazione ha ora esteso la regola della sez. 20-6 UmwStG alle operazioni in cui sia la società acquirente, sia la società acquisita, siano soggetti elencati nell’allegato alla Direttiva. Entrambi possono tuttavia essere residenti nel medesimo Stato membro, mentre la conferente può anche essere un ente non indicato, oppure una persona fisica. In conformità all’art. 2 della Direttiva, è sufficiente che la beneficiaria acquisti la maggioranza dei diritti di voto nell’altra società, non richiedendosi più un limite minimo di capitale azionario, mentre le azioni privilegiate senza diritti di voto vengono tenute in conto. Il beneficio è invocabile anche nell’ipotesi in cui la società acquirente deteneva già prima dell’operazione una maggioranza delle azioni.

    Il trattamento tributario degli eventuali conguagli in denaro, non eccedenti comunque il 10% del valore nominale del capitale ricevuto, viene ora stabilito dalla legge, nel senso della imponibilità.

    La legge di implementazione non estende però il regime favorevole agli scambi di azioni cui partecipa, in qualità di soggetto conferente, una stabile organizzazione in Germania di una società indicata nell’allegato: tale operazione pertanto ricadrà nelle ipotesi previste dalla sez. 20-3 UmwStG, con conseguente tassazione delle azioni al valore corrente.

    Ancora una volta si registrano perplessità in merito all’attuazione della disposizione antielusiva dell’art. 11 della Direttiva: a questo scopo, infatti, il legislatore tedesco impone il divieto di non alienare le azioni ricevute entro sette anni dallo scambio. La revoca del beneficio tuttavia non ha luogo se la società interessata dimostra che il successivo trasferimento ricade entro l’ambito di applicazione della Direttiva e di una disciplina nazionale di implementazione comparabile a quella dettata dalla sez. 20-6 UmwStG. Come nel caso dei conferimenti di attivo, la previsione di un periodo così lungo non pare soddisfare equamente all’esigenza di evitare abusi, come il Protocollo annesso alla Direttiva dimostra. Quest’ultimo, difatti, contiene una congiunta dichiarazione del Consiglio e della Commissione la quale esprime l’opportunità di considerare come tipico esempio di abuso delle disposizioni della Direttiva una rapida rivendita delle azioni: non v’è chi non veda come sette anni siano con tutta probabilità un termine ben al di là di questa definizione .

    Un’ultima norma che è stata ritenuta incompatibile con il diritto comunitario si ritrova nella sez. 6-3 dell’Außensteuergesetz, o Legge tributaria sui rapporti internazionali. Secondo tale previsione, il trasferimento di un significativo interesse azionario (cioè di una partecipazione di almeno il 25% del capitale di una società) da parte di una persona fisica tedesca residente in cambio di partecipazioni in una società straniera, viene assimilato ad una emigrazione dello stesso soggetto, e, conseguentemente, costituisce il presupposto d’imposizione di tutte le plusvalenze nascoste inerenti ai titoli alienati .

     

    4.4.1 - La disciplina delle operazioni interne nei Paesi Bassi. Aspetti civilistici e fiscali.

     

    Il parlamento olandese ha approvato una legge di attuazione della direttiva 90/434 il 24 settembre 1992 , conferendo efficacia retroattiva alle nuove disposizioni a partire dal primo gennaio 1992, in ottemperanza al dettato dell’articolo 12 della stessa normativa comunitaria. Prima di affrontare gli aspetti internazionali, tuttavia, si rendono necessari alcuni brevi cenni al diritto societario . Le forme maggiormente conosciute e diffuse di concentrazione fra imprese sono rappresentate dalle acquisizioni di titoli e dalle riorganizzazioni interne, costituite da trasferimenti di beni aziendali. La fusione cd. giuridica è stata introdotta nell’ordinamento solamente nel 1984, con l’attuazione della Terza Direttiva, ed è definita dall’art. 2:309 del codice civile come l’atto tra due o più persone giuridiche olandesi per cui una di queste acquista, in virtù della legge, l’intero patrimonio attivo e passivo degli altri enti coinvolti, i quali cessano di esistere. I tipi di fusione regolati dalla legge sono quattro:

    a) fusione per incorporazione, in cui i soci della conferente ricevono nuove azioni emesse dalla beneficiaria incorporante;

    b) fusione per costituzione di una nuova società, in cui i soci delle società target ricevono titoli rappresentativi del capitale della beneficiaria di nuova creazione;

    c) fusione di gruppo, in cui (i) il patrimonio di una o più sussidiarie interamente possedute viene trasferito alla loro comune società-madre, oppure dove (ii) il patrimonio di una società è trasferito ad un’altra società, quando le azioni di entrambe sono detenute dal medesimo azionista. Sostanzialmente si tratta di una variante dell’operazione definita sub a), salvo che per la mancata emissione di azioni nuove da parte della società beneficiaria;

    d) fusione triangolare, la quale assume la forma di un’incorporazione in cui non la beneficiaria, ma un’altra società del medesimo gruppo emette azioni ai soci della conferente.

    In ogni caso è ammesso un conguaglio in denaro non superiore al dieci per cento del valore nominale delle azioni ricevute.

    La fusione giuridica è possibile fra società di capitali, cooperative, mutue assicuratrici, fondazioni, associazioni e associazioni cooperative, ma la fusione eterogenea è ammessa solamente in alcuni casi specificati, il più rilevante dei quali riguarda la società a responsabilità limitata (Besloten Vennotschap met beperkte aansprakelijkheid) e la società per azioni (Naamloze Vennotschap), considerate dello stesso tipo secondo l’art. 2:310 BW .

    Le scissioni, al contrario, non sono regolate dalla legislazione olandese. É però consentito costituire una persona giuridica olandese sulla base di elementi d’attivo situati nel territorio e adempiere all’obbligazione di pagare le azioni, trasferendo il possesso di tali assets alla società di nuova creazione.

    Il regime impositivo delle fusioni giuridiche varia a seconda che i soggetti interessati abbiano o meno richiesto ed ottenuto dal Ministero delle Finanze un’esenzione secondo la disposizione dell’art. 29a della Legge sulle Imposte sul Reddito delle Società (analogamente, cfr. art. 68a della Legge sulle Imposte sul Reddito delle Persone Fisiche) .

    In mancanza di autorizzazione, al momento dello scioglimento la società conferente sarà soggetta a tassazione su tutte le plusvalenze latenti, compreso l’avviamento e le riserve fiscali, mentre la beneficiaria iscriverà nel proprio bilancio i beni ricevuti al valore normale di mercato. Nel caso in cui quest’ultima detenga partecipazioni nel capitale della conferente, ogni differenza, positiva o negativa, tra il valore reale del patrimonio ricevuto e il valore di libro dei corrispondenti titoli annullati costituirà, rispettivamente, plusvalenza imponibile o perdita deducibile .

    A loro volta, i soci della conferente, con differenti conseguenze a seconda che si tratti di azionisti persone fisiche o giuridiche, saranno ugualmente assoggettabili ad imposta sull’eccedenza del valore normale dei titoli rispetto al valore contabile degli stessi , così come sarà deducibile l’eventuale minusvalenza, salvo che ricorrano i presupposti per l’esenzione accordata alla cessione di partecipazioni qualificate . Le perdite fiscali non ancora compensate, non potendo essere riprese dalla beneficiaria, andranno perdute, a meno che non vengano utilizzate dalla conferente per ridurre l’imposta sulle plusvalenze realizzate per effetto della fusione.

    Relativamente alle fusioni giuridiche approvate dal Ministero delle Finanze, al contrario, è stato predisposto un regime di favore, basato sul principio di neutralità. I caratteri salienti dell’innovazione normativa, introdotta con la stessa legge di attuazione della direttiva 434, consistono essenzialmente:

    a) nella possibilità di evitare la tassazione immediata in capo alla società conferente delle plusvalenze nascoste e delle riserve fiscali, tramite un meccanismo di rinvio dell’imposta, a condizione che la beneficiaria riprenda nel proprio bilancio i valori fiscalmente riconosciuti alla conferente;

    b) nel cd. roll-over relief attribuito agli azionisti della conferente, i quali potranno di conseguenza iscrivere le azioni di nuova emissione ricevuti allo stesso valore fiscale dei titoli rilasciati, evitando l’imposizione sulle plusvalenze latenti, purché la loro precedente partecipazione sia ritenuta sostanziale;

    c) nella facoltà concessa alla beneficiaria di utilizzare le perdite pregresse della conferente per compensare i propri profitti, sebbene sussistano forti limitazioni .

    L’esenzione non può essere richiesta se una delle società interessate sia qualificata come "società di investimento di portafoglio", a meno che tutte le società coinvolte abbiano tale status e posseggano le dovute licenze.

    La richiesta d’esenzione deve essere inoltrata all’ispettore tributario al momento di effettuare l’operazione, e contro un’eventuale decisione sfavorevole è ammesso ricorso amministrativo.

    La nutrita serie di limiti e condizioni poste dalla legge, con precipuo scopo antielusivo, unita al fatto che il concetto di fusione giuridica ha da poco trovato cittadinanza nel sistema olandese, specie nell’area fiscale, induce tuttora le imprese ad affidarsi a strumenti maggiormente collaudati in campo legale e pratico, quali le acquisizioni e i conferimenti.

     

    4.4.2 - Regole inerenti ai conferimenti d’attivo e alle concentrazioni mediante scambio di azioni. Il rilievo dei gruppi di società e l’"unità fiscale".

     

    Le concentrazioni effettuate tramite un conferimento di attivo o di azioni sono soggette ad una disciplina tributaria caratterizzata da alcune disposizioni favorevoli, in larga parte già conformi ai principi della Direttiva 434 prima della sua adozione.

    Innanzitutto le plusvalenze realizzate da una impresa, in forma individuale o societaria, possono essere differite se, e fintantoché, il soggetto alienante ha l’intenzione di sostituire i beni strumentali ceduti con beni caratterizzati dalla stessa funzione economica. Tecnicamente viene formata una riserva in franchigia, il cui ammontare verrà dedotto dal prezzo di costo per la determinazione della base per l’ammortamento dei nuovi beni. La parte della riserva non utilizzata a questo fine concorrerà invece a formare la base imponibile .

    In secondo luogo la legislazione nazionale consente un rinvio dell’imposizione sulle plusvalenze latenti nei casi di fusioni di imprese, qualora cioè venga trasferita un impresa, o una parte indipendente di essa , in cambio di azioni o altri diritti di partecipazione , nel contesto di una concentrazione dal punto di vista finanziario ed economico . Alla facoltà di usufruire del differimento sono poste alcune condizioni:

    a) la società beneficiaria deve riprendere nel proprio bilancio i beni ricevuti allo stesso valore che avevano presso la conferente;

    b) le società interessate non possono compensare i futuri profitti con le perdite pregresse;

    c) entrambe le società devono essere assoggettate al medesimo regime tributario in relazione al computo della base imponibile;

    d) le azioni ricevute in cambio del trasferimento non possono essere alienate entro i tre anni successivi all’operazione, a meno che siano provate evidenti ragioni commerciali per giustificare la cessione anzi termine.

    In assenza di dette condizioni è comunque possibile ottenere il beneficio del rinvio qualora il Ministro delle Finanze rilasci una specifica autorizzazione.

    Mentre la Direttiva 434 non detta criteri per la valutazione, da parte della conferente, dei titoli ricevuti in seguito al conferimento, il memorandum esplicativo della legge di attuazione olandese sottolinea che, nel caso in cui la società beneficiaria sia olandese, verrà preso in considerazione il valore effettivo del patrimonio trasferito, consentendo lo step-up delle azioni al fine di evitare doppie imposizioni.

    Esiste inoltre un caso in cui le riorganizzazioni interne ai gruppi societari possono usufruire di un metodo meno gravoso: all’interno di una unità fiscale, infatti, i beni possono essere trasferiti in esenzione d’imposta tra un soggetto ed un altro. I vantaggi rispetto ad una concentrazione ordinaria possono sintetizzarsi come segue:

    a) non esiste l’obbligo di trasferire un’impresa autonoma, o una parte indipendente di essa;

    b) il trasferimento non deve necessariamente effettuarsi in cambio di azioni emesse dalla società beneficiaria;

    c) non sussiste l'obbligo di mantenere i beni ricevuti per almeno tre anni;

    d) nel caso in cui sia trasferita un’impresa ad una sussidiaria di nuova costituzione, non esiste alcuna limitazione al riporto delle perdite .

    Per quanto riguarda l’altro tipo di concentrazione comunemente utilizzato all’interno dei Paesi Bassi, l’acquisizione o il conferimento di partecipazioni, è da ricordare che, in via generale, l’alienazione di azioni comporta la tassazione delle plusvalenze realizzate. Tuttavia, nel caso in cui la partecipazione sia considerata sostanziale (ossia pari almeno al 5% del capitale nominale della partecipata), si applicherà l’esenzione prevista dall’art. 13 LIRS , purché le azioni non siano possedute per mere finalità di investimento . La stessa esenzione è disponibile anche in occasione di transazioni internazionali, posto che siano soddisfatte ulteriori condizioni giustificate da esigenze antielusive . In caso di applicazione dell’esenzione di partecipazione, coerentemente, non sarà inoltre possibile dedurre le minusvalenze realizzate .

    Con la legge di attuazione della Direttiva 434 il sistema olandese si è però arricchito di una disposizione specifica in materia di scambio azionario. L’articolo 14b LIRPF definisce infatti tre tipi di "fusioni di azioni":

    a) una società olandese residente emette titoli al fine di ottenere il possesso della maggioranza dei diritti di voto di un’altra società olandese residente;

    b) una società residente in uno degli Stati membri della Cee emette titoli per ottenere la maggioranza dei diritti di voto in una società residente in un altro Stato membro;

    c) una società olandese residente emette titoli per acquistare almeno il 90% dei diritti di voto di una società residente al di fuori della Cee.

    In tutte le situazioni sopra descritte viene concesso un differimento dell’imposizione quale prospettato dalla Direttiva. Un eventuale conguaglio in denaro, non eccedente il 10% del valore nominale dei titoli ricevuti, verrà assoggettato ad imposta.

    Anche qui, inoltre, lo scopo obiettivo dell’operazione deve consistere nell’integrazione finanziaria ed economica delle società interessate. La società acquirente, secondo il principio del roll-over contenuto nell’art. 8 della Direttiva, deve valutare i titoli ricevuti allo stesso valore riconosciuto alla acquistata subito prima dello scambio. Si applicano, relativamente alle società di investimento di portafoglio, regole analoghe a quelle previste in caso di fusioni giuridiche , mentre qualora una o entrambe le società interessate non esercitino attività imprenditoriali, il Ministro può comunque autorizzare l’applicazione della disciplina di favore. In ogni situazione, i contribuenti possono altresì richiedere al Ministero, in caso di incertezza, un advance ruling prima di procedere all’operazione.

    Merita infine un’annotazione la nuova disciplina applicabile agli azionisti persone fisiche coinvolti in uno scambio azionario come definito nell’art. 14b LIRPF. L’art. 40a della stessa legge prevede ora la possibilità di considerare irrilevante ai fini fiscali, nei confronti dei soci di maggioranza, il profitto derivante da tale operazione, rimanendo tassabile, all’aliquota ridotta del 20%, l’eventuale conguaglio in contanti. Se peraltro il contribuente, che ha scambiato le proprie azioni in una società olandese con quelle in una società residente in un altro Stato membro della Cee, cessa di essere considerato un soggetto residente entro cinque anni dall’operazione, la plusvalenza esente verrà inclusa nel reddito imponibile. Parimenti lo stesso termine minimo di cinque anni si applica nel caso in cui un individuo non residente riceva azioni di una società olandese in cambio di titoli di una società non olandese residente. Negli altri casi l’art. 40a non è applicabile agli azionisti non residenti .

     

    4.4.3 - L’integrale implementazione della direttiva 90/434. Regime delle transazioni internazionali. Operazioni inerenti a stabili organizzazioni.

     

    Le fusioni e scissioni transnazionali non sono riconosciute dal diritto commerciale interno. Non possono infatti prendere parte ad una fusione o scissione:

    a) le persone giuridiche straniere, trasformandosi in società olandesi, previo il trasferimento della sede nei Paesi Bassi, poiché gli Statuti devono soddisfare a tutti i requisiti della legge nazionale;

    b) né, d’altra parte, le società con statuto olandese ma con sede legale all’estero .

    Le dette operazioni, comunque, possono ugualmente usufruire del regime della Direttiva, in base all’art. IV della Legge di attuazione, il quale consente ai soggetti interessati di richiedere un’esplicito consenso al Ministro delle Finanze. Quest’ultimo deciderà caso per caso, valutando soprattutto la conservazione dei diritti di prelievo sui beni trasferiti e gli eventuali aspetti elusivi dell’operazione, e potrà autorizzare gli ispettori tributari a non prendere in considerazione le conseguenze fiscali di fusioni o scissioni intra-Cee. Non è fissato un limite temporale entro il quale gli ispettori debbano prendere una decisione. Contro quest’ultima è ammesso infine ricorso al tribunale.

    In merito al conferimento di una stabile organizzazione di una società residente, situata in un altro Stato membro della Cee, vige il principio generale dell’esenzione del reddito attribuibile allo stesso stabilimento calcolato secondo le norme interne, allo scopo di evitare la doppia imposizione . Di norma il patrimonio situato all’estero viene valutato dall’amministrazione olandese, ai fini del calcolo del reddito mondiale e dell’esenzione, secondo il costo storico presente nei bilanci della casa-madre, mentre il valore attribuito dallo Stato in cui è situato può essere differente. In caso di trasferimento ad una società di altro Stato membro, quindi, il memorandum esplicativo chiarisce che i Paesi Bassi possono applicare un’imposta sulla plusvalenza esistente al momento in cui i beni sono fuorusciti dal territorio dello Stato, per confluire, fisicamente, nella stabile organizzazione estera. Lo Stato in cui questa è situata può invece tassare la plusvalenza nella misura in cui essa sorge nel momento in cui l’attivo è entrato nel suo territorio.

    L’art. 10 della Direttiva consente allo Stato della casa-madre di reintegrare nei profitti le perdite della stabile organizzazione, già dedotte e non ancora compensate: verificandosi normalmente in seguito ad un conferimento di attivo la sostituzione dei beni conferiti con la relativa partecipazione, la legge di attuazione ha introdotto un nuovo articolo 13c LIRS, il quale adotta la soluzione di impedire l’applicazione dell’esenzione di partecipazione alle plusvalenze derivanti dai titoli fino a che la perdita dedotta non è stata recuperata.

    Sulla base dello stesso articolo 10, quando viene trasferita una stabile organizzazione situata nei Paesi Bassi, questi non possono tassarne le plusvalenze latenti, riconoscendo la sostituzione della casa-madre estera su di un piano di perfetta neutralità .

     

    4.5 - Implementazione della direttiva in Danimarca.

     

    Già da alcuni anni la Danimarca possiede una legislazione fiscale improntata su un regime neutrale delle operazioni interne di ristrutturazione, mentre, prima dell’attuazione della direttiva 434, nulla prevedeva in occasione di transazioni interfrontaliere, per cui vigeva il trattamento riservato alle liquidazioni societarie.

    Con effetto dal primo gennaio 1992, la legge n. 219 del 3 aprile 1992 ha emendato il corpo normativo nazionale, con l’inserimento di previsioni destinate a modificare in senso conforme alla Direttiva il regime dei conferimenti di attivo e degli scambi azionari, e a permettere l’applicazione dei vantaggi tributari riservati alle fusioni – e dal primo agosto 1993 anche alle scissioni – di carattere domestico alle analoghe operazioni intracomunitarie, attualmente impraticabili per l’assenza di adeguate norme di diritto commerciale. Come nel caso dell’Irlanda e dei Paesi Bassi, il legislatore danese ha ritenuto quindi opportuno implementare integralmente la Direttiva 434, lasciando alla Commissione Centrale delle Imposte la facoltà di concedere il differimento della tassazione sulle plusvalenze latenti in caso di fusioni transfrontaliere, su richiesta delle società interessate, e di porre, discrezionalmente, particolari condizioni. A questo proposito si presume che la Commissione rifiuterà l’autorizzazione solo nei casi di evidente intento elusivo, purché, comunque, la società beneficiaria sia residente in Danimarca oppure i beni trasferiti confluiscano in una stabile organizzazione danese di un soggetto residente in un altro Stato membro della Comunità. Gli effetti del regime agevolato sono equivalenti a quelli descritti nella Direttiva: mentre la conferente gode di un rinvio dell’imposizione sulle plusvalenze, la beneficiaria succede alla prima società nelle posizioni fiscali relative ai beni ricevuti, riprendendo nel proprio bilancio il valore riconosciuto ai fini del calcolo dei futuri profitti di realizzo, del periodo di possesso, della base di ammortamento .

    Gli azionisti della fusa o incorporata sostituiranno le azioni cedute con i titoli emessi dalla beneficiaria, senza salti d’imposta. Un’eventuale conguaglio in denaro (limitato in ogni caso al 10%) verrà considerato come un parziale realizzo e concorrerà a formare la base imponibile del socio secondo le norme di tassazione ordinaria dei capital gains.

    Relativamente alle scissioni, la distribuzione delle nuove quote deve in ogni caso avvenire su base proporzionale: il diritto danese non permette di utilizzare tale operazione al fine di dividere gli interessi di una società tra separati gruppi di azionisti.

    Merita attenzione particolare anche la soluzione vigente in materia di perdite fiscali. La legge infatti vieta l’utilizzo di tali poste per compensare i profitti di tutte le società coinvolte in una fusione o scissione, indipendentemente dal carattere internazionale dell’operazione. Il riporto è ammesso solo nel caso eccezionale in cui si effettui una fusione verticale tra due società che durante i cinque anni precedenti abbiano compilato dichiarazioni di consolidazione fiscale, sul presupposto dell’appartenenza al medesimo gruppo.

    Gli stessi soggetti possono anche optare per il regime ordinario di tassazione, rinunciando al differimento, qualora vi abbiano diritto. La conferente si renderà così passibile di immediata imposizione sulle plusvalenze evidenziate, mentre cessano le ragioni che stanno alla base del divieto di utilizzare le perdite pregresse. Essendo la società conferente comunque autorizzata a compensare l’imposta dovuta con le perdite pregresse , queste non possono essere riprese in ogni caso dalla beneficiaria, la quale mantiene però il diritto di utilizzare successivamente le proprie perdite .

    Il roll-over relief è disposto anche in ordine ai conferimenti di attivo transfrontalieri, comprendenti, come risulta dal campo applicativo della nuova disciplina di attuazione, anche la trasformazione di una stabile organizzazione danese di una società estera in una sussidiaria della stessa . Per beneficiare del regime favorevole è necessario ottenere una autorizzazione dalla Commissione Centrale, a condizione che sia trasferita la totalità delle attività e passività della branch, e che il corrispettivo sia costituito integralmente da azioni emesse dalla beneficiaria. Non sono ammessi né il carry-over delle perdite inerenti alla stabile organizzazione conferita, né il carry-forward delle perdite della beneficiaria.

    Se poi la conferente è una società residente, le azioni ricevute devono essere iscritte in bilancio allo stesso valore fiscalmente riconosciuto che avevano i beni trasferiti. Il rischio di doppia imposizione viene perlopiù evitato in considerazione del sistema impositivo operante in Danimarca: generalmente le società sono passibili di imposta sulle plusvalenze azionarie in caso di realizzo entro i primi tre anni di possesso delle stesse, e la Commissione Centrale ha stabilito come condizione ulteriore per rilasciare l’autorizzazione il divieto di alienare le stesse azioni ricevute entro tale termine dall’operazione.

    Qualora oggetto del trasferimento sia invece una stabile organizzazione situata all’estero, è stato introdotto un sistema di foreign tax credit, in conformità a quanto disposto dall’art. 10-2 della Direttiva. La conferente può, in alternativa, richiedere l’applicazione di una clausola di un Trattato bilaterale , e usufruire del metodo di eliminazione della doppia imposizione ivi stabilito .

    In merito agli scambi di azioni, dopo l’inserimento dei nuovi paragrafi 13-2 e 3 della Legge sull’Imposizione dei Capital Gains Azionari, sono tuttora disponibili due serie di norme che prevedono il roll-over delle azioni scambiate in capo al socio della acquisita:

    a) la prima disposizione, di recente introduzione, è relativa unicamente alle operazioni coinvolgenti società residenti in diversi Stati della Cee. Come definito dall’art. 3 della Direttiva, lo scambio deve avere per effetto quello di attribuire alla società acquirente la maggioranza dei diritti di voto nella acquisita, mentre è ammesso un conguaglio non superiore al 10%. Sono però incluse nella definizione della sez. 13-2 anche le transazioni che riguardano esclusivamente azioni di società residenti. Lo scambio deve essere completato entro sei mesi dall’inizio dell’operazione, mentre non è più invocabile il beneficio, una volta conseguita la maggioranza, da parte della controllante che intenda aumentare la propria partecipazione. Soddisfatte le suddette condizioni, non è necessario ottenere alcuna autorizzazione preventiva dell’Amministrazione fiscale;

    b) la seconda, contenuta nella sez. 13-4, si applica in generale agli scambi di rilievo domestico o internazionale, anche extracomunitario. La differenza di maggior rilievo rispetto alla prima normativa riguarda la definizione di scambio di azioni, qui limitato all’acquisizione di una partecipazione totalitaria nel capitale della acquisita. Inoltre, è richiesta l’autorizzazione della Commissione Centrale delle Imposte.

    In entrambi i casi, come avviene per le fusioni e scissioni, il conguaglio risulta tassabile secondo le regole ordinarie .

    In certe situazioni, le due serie di regole possono interagire, potendo trovare applicazione in successivi momenti. Ad esempio, una società estera potrebbe beneficiare dapprima della sez. 13-2 allorché acquisti la maggioranza dei voting rights di una società residente in Danimarca, e in seguito ottenere il 100% del capitale della controllata utilizzando la regola della sez. 13-4, dato che la prima non è più applicabile .

    4.6 - Belgio.

     

    Il Belgio ha disposto, con due separati interventi normativi , l’attuazione della normativa comunitaria limitatamente alle sole operazioni transfrontaliere possibili dal punto di vista civilistico, ossia i conferimenti di attivo e gli scambi di azioni . Con effetto a partire dal primo gennaio 1992, le plusvalenze realizzate in occasione di una cessione di titoli effettuata da una società belga in cambio di partecipazioni in una società non residente sono ora esenti da imposizione, purché le azioni alienate non siano relative a enti residenti in paradisi fiscali, a società holding o finanziarie straniere le quali godano di uno speciale regime fiscale, o, infine, a società estere che detengano partecipazioni di altre società ugualmente non residenti che non possano distribuire in esenzione i dividendi all’azionista belga . L’esenzione si applica alle azioni scambiate indipendentemente dalla collocazione comunitaria o meno delle società partecipate .

    Le plusvalenze emergenti in caso di conferimento di un ramo di impresa in cambio di azioni, da parte di una società belga a favore di una società residente in un altro Paese delle Cee beneficiano di un differimento dell’imposizione qualora i beni trasferiti siano investiti in una stabile organizzazione della conferitaria situata in Belgio. La stessa società dovrà riprendere nel proprio bilancio i valori fiscalmente riconosciuti agli assets prima dell’operazione alla conferente, mentre quest’ultima avrà l’obbligo di valutare nel medesimo modo le azioni ricevute in cambio . Questo sistema non è applicabile se la beneficiaria è situata oltre i confini della Comunità Europea, nel qual caso il conferimento provocherà la tassazione immediata delle plusvalenze nascoste, non rendendosi disponibile neppure il rinvio previsto dalla legge se il contribuente reinveste il ricavato in altri beni ammortizzabili. Il Fisco belga può inoltre rifiutare l’applicazione del beneficio qualora dimostri che la riorganizzazione non è motivata da congrue ragioni economiche o finanziarie, potendo comunque rilasciare un "advance ruling" per render nota in via preventiva la propria posizione al proposito.

    Con riguardo alle fusioni e scissioni interne, ossia dove la società incorporante o risultante dall’operazione abbia la propria sede legale o amministrativa in Belgio, l’art. 124 CIR prevede la possibilità di applicare un regime privilegiato, consistente nella ripresa dei valori da parte della beneficiaria delle attività e passività trasferite, ai fini del calcolo delle future plus o minusvalenze, delle quote di ammortamento e agli altri effetti tributari, come se il trasferimento non avesse avuto luogo .

    Nella misura in cui la fusione o la scissione non sia remunerata con azioni delle beneficiaria, ossia nell’ipotesi di annullamento di partecipazioni nella conferente detenute dalla beneficiaria, sarà però prelevata la quota d’imposta sulle distribuzioni del patrimonio sociale secondo la regola generale dell’art. 118 CIR, il quale dispone la tassabilità delle plusvalenze in dipendenza della natura delle riserve cancellate . La deroga al principio dell’esenzione fiscale nell’estensione in cui la fusione o scissione sia effettuata senza concambio è stata introdotta allo scopo di porre fine a frequenti abusi , nonostante essa sia attualmente foriera di una doppia imposizione in seguito all’introduzione del metodo di taxation étalée delle plusvalenze : una volta in occasione della fusione o scissione, per il disposto dell’art. 124-3, e una seconda volta, frazionata nel tempo secondo le quote prestabilite, in virtù del sistema vigente per le plusvalenze d’impresa .

    Per quanto concerne le perdite delle società che vengono sciolte in seguito ad una fusione o scissione, esse non possono essere trasferite alle società beneficiarie degli apporti, secondo un principio che non trovava espressione positiva in una norma specifica, ma veniva fondato sui lavori preparatori di una Legge temporanea e su di una risalente sentenza della Cour de cassation . Dal 1989 esiste invece nell’ordinamento tributario belga una disposizione che non impedisce in senso assoluto la ripresa delle perdite, ma fissa un limite rappresentato dalla quota proporzionale di patrimonio fiscale netto della società, le cui perdite sono riportabili, ricevuto dalla beneficiaria interessata .

    Gli azionisti della società conferente infine non realizzano plusvalenze imponibili purché sia rispettata la condizione di indisponibilità prevista dall’art. 105 CIR , con la conseguenza che il loro trattamento risulta differente, e deteriore, rispetto a quello in vigore per gli scambi di azioni, dove non sussistono condizioni di tale ordine.

     

    4.7 - Irlanda.

     

    In seguito all’attuazione della Direttiva 434, tramite l’adozione del Finance Bill 1992 , il diritto tributario irlandese conosce ora, in relazione alle operazioni transfrontaliere con effetto successivo al 31 dicembre 1991, un regime privilegiato in caso di conferimenti di attivo (i) o di stabili organizzazioni estere (ii) e scambi di azioni (iii), applicabile anche nel caso che non siano coinvolte società di diversi Stati membri della Cee .

    (i) La legge di attuazione non definisce positivamente i "transfer of assets", ma la nuova disciplina si applica al trasferimento da parte di una società di un trade (o di una parte di esso) da essa esercitato in Irlanda, in cambio di titoli emessi a questo scopo dalla beneficiaria. L’operazione non è considerata realizzo imponibile di ogni plusvalenza emergente, mentre gli assets ricevuti dalla beneficiaria assumono lo stesso valore che avevano presso la conferente . Al fine di impedire un esercizio abusivo della facoltà di esenzione, inoltre, la legge obbliga quest’ultima società a mantenere nel proprio bilancio i titoli ricevuti per un periodo minimo di sei anni dalla data dell’operazione: nel caso di una alienazione durante il decorso del termine, infatti, la società verrà tassata sulle plusvalenze delle azioni, il cui costo ai fini del calcolo della base imponibile viene riportato al valore originario dei beni trasferiti che hanno usufruito della sospensione . Il beneficio non è altresì disponibile, o, più precisamente, è soggetto a revoca, se immediatamente dopo il trasferimento gli assets non vengono utilizzati nel processo produttivo del trade della beneficiaria in Irlanda, oppure se la medesima società non è assoggettabile ad imposta in relazione ad un eventuale realizzo degli stessi beni.

    (ii) Il diritto irlandese, basato sul principio del world-wide income, non esonera da imposizione le società residenti che trasferiscono una stabile organizzazione situata in uno Stato estero. Tuttavia, qualora venga ceduta ad una società non residente, in cambio di titoli, una branch o una agency condotta fino al tempo immediatamente precedente all’operazione, figurando tra i beni conferiti tutti gli assets concernenti il trade esercitato, la legge di attuazione concede, in conformità all’art. 10 della Direttiva, un foreign tax credit limitatamente alla somma indicata in un’apposita certificazione rilasciata alla conferente dallo Stato della stabile organizzazione . Il credito d’imposta, che in ogni altro caso è disponibile solo in base ad una clausola di un applicabile trattato bilaterale, verrà unicamente dato per l’importo indicato nell’attestazione prodotta, e indipendentemente dal fatto che si sarebbe dovuta garantire un’esenzione nel caso fosse stata effettivamente pagata l’imposta estera .

    (iii) Il regime impositivo degli scambi azionari non ha subito variazioni, posta la già piena conformità al dettato della Direttiva. In breve, le disposizioni esistenti prevedono il subentro da parte dell’acquirente rispetto alle medesime posizioni fiscali che le azioni ricevute avevano presso la società conferente, sulla base del principio del roll-over. Unica condizione è che l’effetto dell’operazione, che può consistere anche in un’offerta pubblica, sia quello di conferire alla società acquirente il controllo della società acquisita, ovvero di integrare la quota maggioritaria già posseduta . Questa agevolazione viene concessa solo se si dimostra che lo scambio è stato effettuato per ragioni commerciali di buona fede, e perde efficacia se emergono fini elusivi .

    A causa dell’assenza dell’appropriato background di diritto commerciale, il Governo irlandese non ha ritenuto opportuno, al pari del legislatore olandese, implementare la Direttiva nella sua completezza, omettendo di affrontare le ipotesi di fusione o scissione intra-Cee. In occasione di dette operazioni i benefici fiscali comunitari sono peraltro invocabili da una società irlandese qualora siano rispettati i presupposti e le condizioni della Direttiva, essendo in questo caso i commissari tributari invitati a concedere una specifica autorizzazione purché reputino equa e ragionevole l’applicazione del relief richiesto. Oltre a questa possibilità di carattere generale, è stata inserita una previsione particolare che riguarda l’ipotesi di trasferimento di un elemento del patrimonio attivo e passivo della società figlia alla propria parent company che detenga la totalità del capitale della prima . Il conferimento degli assets, utilizzati per gli scopi di un trade carried on in Irlanda dalla subsidiary conferente, avverrà su base neutrale rispetto all’imposta sulle plusvalenze, con la conservazione presso la holding beneficiaria dei medesimi valori fiscali, posto che:

    a) immediatamente dopo l’operazione la beneficiaria inizi ad utilizzare i beni ricevuti per gli scopi di un trade esercitato nel territorio dello Stato;

    b) al trasferimento non sia, in tutto o in parte, già applicabile la disciplina favorevole prevista per i transfers of assets;

    c) ogni futura disposizione dei beni sia assoggettabile ad imposta.

    Per l’applicazione della previsione non è richiesto, come prefigurato invece dalla Direttiva, lo "scioglimento senza liquidazione" della società conferente, forse perché tale concetto è estraneo al diritto irlandese. Inoltre non è fissata alcuna data da cui decorrono gli effetti della nuova disposizione, per cui risulta ormai impraticabile la retrodatazione al primo gennaio 1992, come prevede l’art. 12 della Direttiva. L’aspetto maggiormente criticabile resta tuttavia la necessità cha la beneficiaria possegga una partecipazione totalitaria, vista l’ampia estensione dello stesso termine, includente sia azioni che debentures . Ciononostante questa potrebbe essere l’unica norma in grado di assicurare il differimento delle plusvalenze in caso di conversione di una subsidiary irlandese in una stabile organizzazione di una società estera .

     

     

     

    4.8 - Spagna.

     

    Il Regno di Spagna ha provveduto tempestivamente ad emanare una normativa di attuazione della Direttiva con la Legge n. 29 del 16 dicembre 1991, avente effetto per le operazioni effettuate dopo il 31 dicembre dello stesso anno .

    La previgente disciplina assicurava già una sorta di neutralità ad alcune transazioni internazionali (fusioni), sebbene sussistesse una nutrita serie di obblighi e adempimenti formali che, di fatto, non permettevano la completa fruizione dei benefici fiscali, in gran parte vanificati .

    D’altro canto la giuridica possibilità di addivenire ad una fusione internazionale è tuttora in parte impedita dalle stringenti norme interne, che fondano sulle ragioni di nazionalità il divieto per una società spagnola di essere incorporata da una società straniera . Al contrario, non esistono ostacoli insuperabili nell’ipotesi in cui sia una società estera ad essere incorporata da una nazionale, previo adempimento di alcune formalità.

    Il sistema delle operazioni nazionali è stato riformato con l’entrata in vigore della legge 29/1991. Attualmente, quindi, il principio di neutralità trova piena applicazione nell’ambito delle fusioni e scissioni domestiche, essendo anche stata eliminata la necessità di ottenere un’autorizzazione preventiva da parte dell’Amministrazione. L’unico adempimento riguarda l’obbligo di informare, attraverso una dichiarazione scritta, il Ministero dell’Economia e delle Finanze della progettata operazione.

    In applicazione dei principi posti dalla Direttiva non vengono più ora attratte a tassazione immediata le plusvalenze emergenti (mentre sono parimenti irrilevanti le minusvalenze evidenziate ) in occasione di operazioni che comportino il trasferimento di elementi patrimoniali a società estere, anche se iscritte in bilancio, purché i beni restino effettivamente legati ad una organizzazione fiscale situata in territorio spagnolo. Nei conti della società beneficiaria i beni conferiti dovranno assumere un valore fiscale corrispondente a quello riconosciuto in capo alla conferente, eventualmente aumentato dell’ammontare delle plusvalenze tassate. Qualora i beni siano situati nel territorio di uno Stato che non sia membro della Cee, il valore preso in considerazione sarà invece uguale al valore reale di acquisizione, a meno che i beni non costituiscano una stabile organizzazione di una società spagnola e vengano trasferiti ad un’altra società residente in Spagna. In quest’ultimo caso si applicheranno le regole inerenti ai beni situati in Spagna. Per valore reale di acquisizione si intende poi il valore convenuto tra le parti, in nessun caso superiore al valore normale di mercato . Le azioni ricevute in cambio al conferimento di un ramo di attività verranno infine valutate fiscalmente in base al valore netto contabile dell’unità economica autonoma trasferita.

    Nei confronti degli azionisti della società conferente in conformità all’art. 8 della Direttiva il concambio non costituisce realizzo di plusvalenze. Il medesimo principio si applica anche in occasione di scambi azionari in cui la società beneficiaria dell’apporto sia residente in Paese extra-Cee, e non benefici di un regime privilegiato in relazione all’imposta sulle società. Saranno comunque ritenute imponibili le plusvalenze realizzate in operazioni cui partecipano soggetti domiciliati o stabiliti in "oasi fiscali", anche se tali soggetti assumono un ruolo di intermediari. Ogni eventuale conguaglio in contanti, limitato al 10% del valore nominale delle azioni ricevute, costituirà reddito ordinariamente tassabile. Da notare anche che a partire dal primo gennaio 1992 le plusvalenze delle azioni e delle partecipazioni sociali vengono ridotte in funzione degli anni trascorsi dalla data di acquisto: in conseguenza, la reale neutralità fiscale dovrà permettere, visto che la nuova legge non lo precisa, che le azioni provenienti da uno scambio siano sottoposte al medesimo trattamento .

    Se gli enti beneficiari detengono una partecipazione nella società conferente superiore al 25% del capitale, gli aumenti o le diminuzioni patrimoniali emergenti dall’annullamento di tali titoli saranno irrilevanti ai fini fiscali. Qualora la quota di partecipazione sia inferiore, al contrario, il suo annullamento provocherà un aumento o una perdita del patrimonio il cui ammontare sarà costituito dalla differenza tra il valore reale dei beni ricevuti e il valore netto contabile. Qualora sia la società conferente a detenere titoli della beneficiaria, le eventuali differenze non saranno comunque rilevanti.

    Il diritto al riporto delle perdite non è in ogni caso riconosciuto.

    Le società interessate possono comunque rinunciare al regime di favore per avere la possibilità di rivalutare i beni trasferiti ai fini delle future plusvalenze e delle quote di ammortamento, previa integrazione nella base imponibile della conferente delle plusvalenze evidenziate.

    I soggetti nazionali che possono invocare i benefici introdotti con la legge di attuazione sono limitati alle società, esclusivamente di capitali (sociedad anónima, sociedad comanditaria por acciones, sociedad de responsabilidad limitada) e ad altri enti commerciali di diritto pubblico; le operazioni praticabili in regime di neutralità, oltre le fusioni, i conferimenti di attivo e gli scambi azionari, comprendono, dal 1989, anche le escisiónes, totali o parziali . Le cooperative, nonostante siano soggette all’imposta sulle società, sono invece escluse dal regime di favore .

    Di rilievo è poi l’espressa previsione normativa introdotta in materia di operazioni cui partecipano soggetti residenti al di fuori della Comunità. Qualora il Paese di residenza sia qualificato come "paradiso fiscale", avente cioè un regime tributario fortemente privilegiato, le disposizioni che instaurano il sistema di neutralità non possono trovare applicazione.

    4.9 - Portogallo e Grecia.

    La disciplina fiscale delle fusioni e delle scissioni intracomunitarie è stata introdotta nell’ordinamento portoghese, che già conteneva disposizioni agevolative nei confronti delle analoghe operazioni interne, con il Decreto-lei n. 123/92 del 2 febbraio 1992 , con effetto retroattivo dal primo gennaio dello stesso anno. Stante la deroga al termine fissato dall’art. 12 della Direttiva in relazione ai conferimenti di attivo e agli scambi di azioni, il Portogallo ha provveduto a inserire il regime di queste operazioni successivamente, con il Decreto-lei n. 6/93, del 9 gennaio 1993, le cui disposizioni sono entrate in vigore il primo gennaio .

    Con riguardo alla forma dei soggetti che possono beneficiaria del regime di favore, la legge di attuazione comprende ogni società o altra persona giuridica che esercita attività commerciali o industriali, incluse le cooperative.

    Gli enti di diritto greco che invece possono partecipare ad operazioni internazionali in regime agevolato sono ristretti alle sole società di capitali: dopo la riforma fiscale del 1992 tuttavia sono state assoggettate all’Imposta sulle Società anche altre forme societarie, non ricomprese nell’allegato alla Direttiva. Qualora dovesse entrare in vigore la proposta di modifica, che estende l’applicabilità del regime comunitario a "qualsiasi entità che ... sia soggetta ad una delle seguenti imposte, senza esserne esentata: ... foroV eisod hmatoV nomikon proswpwn kerdoskopikon carakthra in Grecia", anche le società in accomandita semplice o in nome collettivo (che sono soggette all’imposta sulle società per il 50% dei redditi) dovrebbero godere dei benefici della Direttiva .

     

    4.10 - Lussemburgo.

     

    Il Governo lussemburghese ha implementato le disposizioni comunitarie entro il termine del primo gennaio 1992 previsto dall’art. 12 della Direttiva 434, con l’emanazione del Decreto Granducale del 20 dicembre 1991 . Il tessuto normativo relativo alle operazioni di ristrutturazione, vigente prima dell’attuazione, non ha subìto modifiche radicali, in quanto già largamente conforme ai principi della Direttiva. Premesso che il campo applicativo dell’intero sistema comprende le sociétés de capitaux e le società cooperative , occorrerà distinguere il regime fiscale delle diverse forme di riorganizzazione .

    1) Mentre in linea generale le fusioni e le scissioni comportano la liquidazione della società conferente, con conseguente imposizione immediata su tutte le plusvalenze latenti, soddisfatte alcune condizioni è possibile invocare il regime neutrale previsto dall’art. 170 della Loi de l’Impôt sur le Revenu (L.I.R.). Tale disposizione permette il differimento della tassazione sulle plusvalenze inerenti ai beni trasferiti posto che:

    a) il trasferimento sia totalitario, con l’effetto dello scioglimento della società fusa o incorporata, mentre tale esito può non riguardare la società scissa, vista la possibilità di una divisione parziale;

    b) la società conferente sia residente nel Granducato ;

    c) la beneficiaria sia una società residente "pleinement imposable", i cui profitti non siano quindi esenti in virtù di particolari disposizioni (come accade per le holding costituite secondo la legge del 31 luglio 1929); inoltre il Decreto di attuazione ha esteso il beneficio ai trasferimenti effettuati "ad una società residente in uno Stato membro della Comunità", definita legislativamente in base all’art. 3 della Direttiva;

    d) il trasferimento avvenga in cambio di azioni emesse a tale scopo dalla beneficiaria e attribuite ai soci della conferente, oppure, nel caso di fusione verticale, mediante l’annullamento della partecipazione nella conferente detenuta dalla beneficiaria (in questo secondo caso, tuttavia, devono sussistere valide ragioni economiche valutate anche in rapporto agli interessi della controllata);

    e) la beneficiaria riprenda i valori fiscalmente riconosciuti dei beni ricevuti, al fine di assicurare la futura tassazione degli stessi in caso di realizzo .

    Una ulteriore condizione è imposta in caso di scissione, dove sia il patrimonio trasferito, sia quello eventualmente ritenuto dalla conferente, deve rappresentare un’impresa, o un’autonoma parte di essa . Se anche non si verificasse tale situazione, tuttavia, il Ministro delle Finanze ha facoltà di concedere ugualmente i benefici dell’art. 170 qualora certifichi che l’operazione è "vantaggiosa per l’economia nazionale".

    In conseguenza, pare necessario che la società scissa possegga almeno due distinte imprese, o indipendenti parti di esse: quando invece la stessa società, ad esempio, detenga solo partecipazioni in qualità di holding, non può soddisfare a questa condizione, non essendo considerata tale attività come avente carattere commerciale a questi fini.

    A livello dell’azionista della società fusa o scissa, infine, la legge non ha esteso il regime previgente alle operazioni intra-Cee: in conseguenza, resteranno utilizzabili le esenzioni previste dall’art. 22 L.I.R. (che stabilisce il roll-over delle azioni ricevute dai soggetti-persone giuridiche) e dall’art. 101 (che si rivolge agli azionisti individuali e limita il beneficio ai casi in cui gli assets di una società nazionale residente sono trasferiti ad un’altra società residente, diversa da un’holding lussemburghese creata in virtù della legge del 1929).

    2) Il roll-over trova applicazione anche nei confronti dei conferimenti di attivo, il quale deve consistere, secondo il disposto dell’art. 59 L.I.R., in una impresa o un ramo autonomo di essa. Tale concetto deriva dalla nozione tedesca di Teilbetrieb, e corrisponde sostanzialmente alla definizione di "ramo di attività" data dall’art. 3 della Direttiva. Come nell’ipotesi di fusioni e scissioni, il Decreto di attuazione ha esteso il beneficio anche alle situazioni in cui la conferente o la beneficiaria siano società residenti in Lussemburgo o in un altro Paese membro della Cee.

    3) Qualora oggetto di un’operazione di fusione o scissione sia una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, trova rilievo la nuova disposizione inserita nell’art. 172 L.I.R. , atta a consentire il passaggio neutrale della branch tra due società di diversi Stati membri. Se la stabile organizzazione è ceduta in seguito ad un conferimento di attivo, invece, resta applicabile l’art. 59 L.I.R., il quale ricomprende anche l’ipotesi di trasformazione di una stabile organizzazione residente in una società sussidiaria di un beneficiaria non residente, purché appartenga ad altro Stato della Comunità . Per il caso infine che si verifica allorché una società residente trasferisca una stabile organizzazione sita all’estero, l’assoggettabilità ad imposta sulle plusvalenze, computate sulla differenza tra il valore di libro e il valore normale di mercato, non sarà evitata, in base al principio del world-wide income, ma si renderà applicabile il foreign tax credit previsto dagli artt. 134-bis e 134-ter L.I.R., in conformità all’art. 10 della Direttiva .

    4) In ultimo luogo, la nuova disciplina intende adeguare ai principi della Direttiva il regime degli scambi azionari. Il diritto lussemburghese già conosceva alcune forme di rinvio della tassazione, legate alla disposizione di immobilizzazioni diretta alla sostituzione dei beni ceduti entro un breve termine . In caso di partecipazioni, la regola è applicabile qualora esse siano considerate fixed assets, ossia, in genere, quando rappresentano almeno il 10% del capitale della società partecipata, mentre si rende comunque necessaria, siano le società le cui azioni vengono scambiate residenti o meno, una certificazione del Ministero che attesti l’utilità dell’operazione per l’economia nazionale. In relazione agli scambi interessanti società di Stati membri della Cee, la nuova versione dell’art. 54 L.I.R., emendato dal decreto di attuazione della Direttiva, sostituisce tale attestazione con una certificazione che riconosca le valide ragioni commerciali dell’operazione, mentre il limite minimo di pregresso possesso della partecipazione ceduta viene portato a dodici mesi decorrenti dall’inizio dell’anno in cui l’operazione ha avuto luogo . Lo stesso beneficio del differimento viene concesso ora anche nei casi descritti dall’art. 2-d della Direttiva, allorché cioè una società acquisti la maggioranza dei diritti di voto in un’altra società.

    Un ulteriore metodo utilizzabile per evitare l’imposizione delle plusvalenze inerenti ai titoli ceduti si ritrova nel principio di origine giurisprudenziale in base al quale lo scambio di azioni aventi identico valore, natura e funzione non dà luogo a profitto tassabile. A questi fini l’identità viene riconosciuta in genere se i titoli ricevuti sono detenuti nell’ambito dello stesso settore economico, e rappresentano per l’azionista beni utilizzati per la stessa funzione cui erano preposti i titoli ceduti.

    Le suddette previsioni non si applicano però agli azionisti persone fisiche: questi ultimi, infatti, rimangono soggetti ad imposizione nel caso in cui dispongano delle azioni ricevute entro sei mesi dall’acquisto, oppure detengano, da soli o unitamente ad alcuni membri della propria famiglia, più del 25% del capitale della società partecipata.

    Inoltre, il commentario ufficiale al nuovo art. 54 non chiarisce alcuni punti degni di attenzione. Rimane pertanto incerto se il regime di neutralità potrà riguardare operazioni di scambio in cui la società acquirente: passi da una partecipazione di minoranza alla maggioranza semplice; acquisti la maggioranza nel corso di un certo periodo di tempo; incrementi la propria partecipazione già maggioritaria.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    5.1 - Premessa. Ragioni di una legislazione antielusiva in materia fiscale societaria.

     

    È connaturata ad ogni sistema tributario complesso e moderno l’esigenza da parte delle Amministrazioni fiscali di affrontare e controbattere i comportamenti dei contribuenti che tendano a evitare l’assoggettazione ad imposta in maniera più o meno lecita. Nel campo delle operazioni societarie, dove i movimenti di capitali possono assumere dimensioni notevolmente elevate, le opportunità offerte da una disciplina dettagliata e non di rado intricata sono diverse; la stessa pratica degli ultimi anni insegna infatti che molte operazioni sono state dettate in modo determinante, se non esclusivo, da motivazioni di carattere fiscale. A ciò si aggiunge la possibilità di sfruttare le imperfezioni e i benefici riscontrabili nei differenti ordinamenti nazionali, al fine di porre in essere più o meno preordinati progetti strategici di pianificazione transfrontaliera.

    A questo proposito occorre tracciare una linea di demarcazione, seppur approssimativa, tra i comportamenti comunque rientranti nella sfera della legalità che possono condurre a un risparmio d’imposta (atti di "elusione") e comportamenti illegittimi perché espressamente contrari alle disposizioni poste dal legislatore (atti di "evasione" o "frode") . Mentre nella seconda ipotesi, caratterizzata dalla verificazione del presupposto d’imposizione e dal successivo intento del contribuente di non adempiere ai propri obblighi tributari, non sorgono rilevanti questioni in ordine alla repressione eventualmente intrapresa dall’erario, allorché al contrario ci si trovi innanzi ad operazioni effettuate nel rispetto della legge, ma motivate essenzialmente da ragioni fiscali, l’assenza di specifiche disposizioni non consente di ritenere illecito il vantaggio tributario che il contribuente consegue. Vige infatti al riguardo, in quasi tutti gli Stati membri, un principio informato a criteri di massima libertà, secondo il quale "chiunque ha il diritto di organizzare i propri affari in maniera tale per cui l’imposta applicabile in virtù della legge sia la meno onerosa possibile" . È inoltre generalmente fatto divieto agli operatori del diritto di interpretare le disposizioni tributarie in maniera non letterale, essendo del tutto esclusa l’integrazione analogica .

    In linea generale, pertanto, si dovrebbero affermare pienamente conformi alla legge tutte quelle operazioni che da un punto di vista economico non hanno una reale ragione di essere, ma che sono state realizzate al fine di trar beneficio dalle lacune e dalle incertezze interpretative del sistema (o dei sistemi) tributario.

    Si è detto che, di fronte alle varie opzioni offerte dall’ordinamento per conseguire un medesimo risultato sostanziale, o un risultato equivalente, la scelta fiscalmente meno onerosa da parte del contribuente è espressione di un diritto; tuttavia non v’è chi non veda come diverse siano le situazioni in cui (i) un soggetto, avente l’obiettivo di cedere il controllo della propria organizzazione produttiva, preferisca alienare le partecipazioni nella società che possiede i beni piuttosto che vendere direttamente l’azienda, per evitare l’eventualmente più severo regime impositivo legato alla seconda transazione , e quella in cui, (ii) attraverso una complessa e iterata serie di atti che apparentemente non sono tra di loro collegati, né giustificati economicamente, un soggetto sfrutti (o precostituisca) una capillare rete societaria multinazionale al solo scopo di trasferire utili o perdite .

    Le norme principali che, in materia di riorganizzazioni societarie, le imprese hanno sovente utilizzato (e tuttora utilizzano) al fine di ottenere un vantaggio fiscale sono per lo più legate (i) alla facoltà concessa in via ordinaria di compensare i propri profitti con le perdite accumulate in esercizi precedenti da altre società ; (ii) alla facoltà di rivalutare in franchigia i beni di una società a fronte di un disavanzo da annullamento di partecipazioni ; (iii) alla neutralità fiscale garantita alle operazioni, nell’insieme degli effetti che ne derivano, specie quando non sussistono ragioni commerciali ma solamente motivi particolari per muovere poste attive o passive all’interno di un gruppo, o anche tra imprese non collegate formalmente. Non è un elemento trascurabile inoltre che talvolta le ragioni che spingono il contribuente a ricercare percorsi alternativi sono dovute all’assenza di un’efficace ed uniforme sistema di integrazione fiscale di gruppo, che consenta ad una medesima unità economica di organizzare i propri affari senza essere condizionata dalle distorsioni provocate dalle diverse e spesso penalizzanti normative nazionali .

    Al fine quindi di prevenire comportamenti elusivi, gli ordinamenti degli Stati membri si sono via via arricchiti di meccanismi giuridici variamente differenziati, vòlti, nelle intenzioni delle Amministrazioni finanziarie, a porre un argine alle crescenti perdite di gettito. Gli strumenti utilizzati possono essenzialmente essere di ordine interpretativo-giurisprudenziale o normativo; nell’ultima ipotesi (probabilmente l’unica praticabile per via delle stringenti limitazioni all’interpretazione sopra viste) si registra la fondamentale distinzione tra:

    (i) norme che non riguardano espressamente la materia fiscale ma che in seguito alla loro applicazione consentono l’assoggettabilità ad imposta dell’operazione (casi di simulazione o frode alla legge) ;

    (ii) norme di carattere generale, formulate in maniera sufficientemente elastica per ricomprendere il maggior numero di casi possibile o norme dettagliate che equiparino espressamente alla fattispecie principale il cui risultato sia imponibile altre forme giuridiche equivalenti sotto l’aspetto economico ;

    (iii) norme specifiche che pongano limitazioni o condizioni precise, di diversa natura, all’applicazione dei benefici fiscali previsti dalla legge .

    In omaggio all’esigenza di certezza del diritto, la soluzione che intenda risolvere ogni singolo problema di elusione attraverso l’emanazione di normative specifiche sembra preferibile. Tuttavia l’operatività pratica di tale scelta si scontra con la difficoltà di ricomprendere in astratto tutte le possibili situazioni elusive che le imprese sono in grado di realizzare; per questo motivo sono state adottate in più Paesi soluzioni miste, in cui prevalgono clausole anti-abuso idonee ad assumere carattere generale, o, per lo meno, valore settoriale .

     

     

     

     

    5.2 - Principi antielusivi nel diritto fiscale comunitario. L’articolo 11 della Direttiva 90/434.

     

    A livello comunitario le pratiche elusive possono avere effetti distorsivi nei movimenti di capitale e nelle condizioni della concorrenza. Per questo motivo già da tempo il legislatore di Bruxelles ha cercato di predisporre misure normative in grado di porre un argine ai comportamenti dei contribuenti assunti in violazione della legge o altrimenti censurabili , le quali tuttavia non sembrano garantire alle Amministrazioni nazionali sufficienti risultati; la soluzione alfine preferita dagli organi comunitari è rappresentata dall’inserimento nell’articolato delle normative che pongono regimi favorevoli di specifiche disposizioni antiabuso, ovvero di norme che permettano agli Stati di intervenire unilateralmente.

    È stata pertanto introdotta nel testo della Direttiva una clausola di portata generale che consenta agli Stati membri di non applicare, in tutto o in parte, le disposizioni di favore, o di revocarne gli effetti, allorché uno degli obiettivi principali dell’operazione sia proprio l’evasione o l’elusione fiscale .

    Il significato delle espressioni "evasione" ed "elusione" non è stato però definito in alcun modo dalla Direttiva: l’ordinamento comunitario, infatti, non contiene tuttora una definizione dei comportamenti contrari alle norme tributarie, posta anche la differenziata valenza che questi termini assumono nei vari sistemi nazionali. Dalla lettura dell’art. 11 pertanto non si ricava una norma generale sovranazionale che imponga agli Stati membri di rifiutare o revocare i benefici accordati in determinati casi, ma semplicemente viene concesso di derogare alla normativa comunitaria allorché le stesse legislazioni interne già prevedano, ovvero introducano ad hoc, misure di prevenzione all’elusione corrispondenti ai criteri indicati dal Consiglio. A questo proposito occorre chiarire la reale portata della disposizione dell’art. 11, in rapporto alle eventuali clausole nazionali. Alcuni autori sostengono che in ogni caso la normativa interna possa essere applicata, senza però considerare le difficoltà che sorgono quando un’operazione sia ritenuta lecita da un ordinamento e contraria alla legge da un altro : non vi sarebbe quindi possibilità di temperare l’effetto discriminatorio emergente qualora, ad esempio, una società residente in Gran Bretagna sia incorporata da una società italiana piuttosto che da una società tedesca, posto che le normative antiabuso degli ultimi due Paesi sono radicalmente differenti. Pertanto sarebbe compito della Corte di Giustizia, interpellata dalla società il cui Stato rifiuta l’applicazione dei benefici della Direttiva, decidere se nel caso concreto l’operazione è contraria allo spirito e agli scopi del testo comunitario .

    Dal momento che l’art. 11 costituisce parte integrante della disciplina introdotta con la Direttiva, la definizione stessa di elusione diventa una questione di interpretazione di diritto comunitario. Gli Stati membri non possono altresì avere un’ampia discrezionalità nel porre norme antielusive nella materia di cui si tratta, essendo in ciò condizionati dalla presenza di determinati limiti, il cui scopo è proprio quello di realizzare un sistema uniforme vincolante tutti i Paesi, rappresentati dall’esigenza di accertare concretamente gli obiettivi elusivi che hanno determinato l’operazione. Nel linguaggio dell’art. 11 "il fatto che una delle operazioni di cui all’art. 1 non sia effettuata per valide ragioni economiche, quali la ristrutturazione o la razionalizzazione delle attività delle società partecipanti" stabilisce solo una presunzione a carico dei soggetti coinvolti che l’obiettivo principale (o uno degli obiettivi principali) sia costituito dall’elusione fiscale; l’esemplificazione non è pertanto tassativa, potendosi ben prevedere da parte delle singole legislazioni nazionali altre situazioni che in linea teorica costituiscono forti indici di utilizzo abusivo del regime della Direttiva. In ogni caso, però, gli Stati non possono a priori ritenere "null and void" qualsiasi operazione nella quale non siano rispettate specifiche clausole aventi fondamento in finalità antielusive: in tali ipotesi, le Amministrazioni finanziarie dovranno comunque concedere al contribuente la facoltà di dimostrare la correttezza dell’operazione, fornendo l’evidenza delle "valide ragioni economiche" la cui assenza, sola, può autorizzare gli Stati a disapplicare la Direttiva o a revocarne con effetto retroattivo i benefici.

    In questa prospettiva è da intendere l’articolo 11, il quale dovrebbe costituire un riferimento obbligato di diritto comunitario in base a cui interpretare ed, eventualmente, non applicare perché illegittime, le varie clausole antielusive nazionali.

     

    5.3 - "Anti-avoidance rules" nel diritto anglosassone.

     

    L’ordinamento inglese non conosce un vero e proprio principio antielusivo di portata generale. Le decisioni giurisprudenziali in materia sono sempre state contrarie ad ammettere limitazioni di rilievo alla libertà contrattuale delle parti, a partire dalla fondamentale dichiarazione di Lord Tomlin nel caso I.R.C. v. Duke of Westminster , basata a sua volta sulla necessità imprescindibile di interpretare il diritto tributario in maniera strettamente letterale, affermata per la prima volta nel lontano 1869 . Le Corti hanno in verità cercato di introdurre successivamente dei correttivi sostanziali a questo ampio principio, al fine di frenare le pratiche palesemente elusive che tuttavia non trovavano ostacoli in virtù della consolidata giurisprudenza, arrivando nei primi anni ’80 a modificare la valenza del dictum di Lord Tomlin , pur salvando formalmente la validità assoluta del precedente. Il ragionamento utilizzato da Lord Wilberforce nel caso Ramsay intende semplicemente introdurre la possibilità di far valere, in sede di ricostruzione dei fatti, l’eventuale simulazione (sham) posta in essere dal contribuente per evitare l’assoggettabilità ad imposta; la simulazione sussiste quando un atto è genuine, ossia quando crea gli effetti realmente voluti dalle parti e non significa altra cosa da ciò che in esso si dice. L’affermazione viene ripresa nello stesso anno durante la discussione del caso Burmah Oil da Lord Diplock , il quale afferma che il principio statuito in Ramsay troverà applicazione allorché sia realizzata una serie preordinata di transazioni tra le quali esistano atti intermedi non aventi obiettivi commerciali che siano posti in essere al solo scopo di evitare l’imposizione che si sarebbe resa esigibile in assenza degli stessi.

    Il nuovo principio antielusivo venne però compiutamente formalizzato nel 1984 in occasione della decisione Furniss v. Dawson . Nella parte conclusiva del discorso di Lord Brightman si ritrova l’enunciazione del new principle potenzialmente idoneo a reprimere i comportamenti scorretti dei contribuenti: gli elementi essenziali sono riscontrabili innanzitutto nella presenza di una transazione composita (formata da una serie preordinata di atti), il cui obiettivo complessivo può anche non essere di ordine economico; in secondo luogo devono esistere delle tappe intermedie inserite al solo scopo di evitare la tassazione, non avendo alcun effetto commerciale. L’applicazione del principio condurrà al disconoscimento ai fini fiscali degli atti intermedi che sono privi di alcun business purpose, e l’operazione verrà assoggettata ad imposizione in base alla legge applicabile al risultato finale delle transazioni .

    Il principio introdotto con il caso Dawson tuttavia non ha trovato efficace attuazione nelle decisioni successive, a causa delle specificazioni e limitazioni ad esso poste in seguito dai giudici , consistenti essenzialmente nella definizione precisa della "preordinazione" della serie degli atti, esigendo l’accertamento della certezza assoluta nelle intenzioni del contribuente che le tappe successive sarebbero seguite alla prima (practical certainty test) .

    Anche sulla scorta delle esperienze e delle difficoltà registrate dalle Corti nell’applicazione giurisprudenziale di un principio antielusivo, il legislatore inglese ha preferito intraprendere la via dell’introduzione di numerose disposizioni antiabuso particolari (statutory anti-avoidance provisions), dirette ad evitare l’elusione in casi ben specificati.

    Espressione di questo orientamento è, in materia di operazioni societarie, l’inserimento nel corpo statutario di una disposizione settoriale, ora contenuta nella sez. 140 del TCGA 1992, in base alla quale i benefici del differimento dell’imposizione in caso di conferimento di attivo e di scambio azionario non sono concessi a meno che "la transazione sia realizzata per ragioni commerciali di buona fede e non faccia parte di uno schema o di un piano il cui obiettivo principale, o uno degli obiettivi principali, sia l’elusione delle imposte sul reddito, sulle plusvalenze o sulle società" .

    È un obbligo delle società interessate all’operazione richiedere preventivamente un advance clearance, allo scopo di conoscere in anticipo la posizione che assumerà l’Amministrazione fiscale nei confronti dell’operazione; nell’ipotesi in cui l’Erario rifiuti l’applicazione del beneficio, la società potrà adire le Corti. La valutazione non potrà che essere ispirata ai fatti del caso concreto, anche se sono state in generale evidenziate alcune situazioni potenzialmente elusive, in cui l’assenza delle ragioni economiche di buona fede è presunta: in cui cioè il risultato economico, che normalmente viene conseguito attraverso un determinato procedimento giuridico, è realizzato utilizzando mezzi artificiosi e inusuali, che nessun imprenditore penserebbe di utilizzare se non per ottenere indebiti vantaggi fiscali. Il soggetto cui viene negata l’applicazione dei reliefs della Direttiva potrà comunque opporsi adducendo concrete ragioni che giustifichino il percorso giuridico alternativo scelto in luogo di quello normale, e che escludano l’intenzione di eludere il fisco mediante una preordinazione di atti .

    La legge di attuazione della Direttiva non ha introdotto nuove e specifiche clausole antiabuso, limitandosi ad estendere l’applicabilità del su esposto principio alle operazioni transfrontaliere. Sono da intendere tuttavia anche in chiave antielusiva: la necessità che il trasferimento di assets riguardi un trade collocato nel territorio dello Stato, in quanto esclude la possibilità che usufruiscano del differimento anche i beni costituiti da partecipazioni detenute a mero titolo di investimento (non facenti parte di un trade secondo il diritto interno, ma solo di un business) e le limitazioni al diritto di riporto delle trading losses .

     

    5.4 - Applicabilità dell’art. 10 L. 408/90 da parte dell’Amministrazione italiana.

     

    Com’è noto, l’ordinamento tributario italiano non contiene una norma generale di chiusura che attribuisca all’Amministrazione finanziaria il potere di rendere inefficaci nei propri confronti gli atti posti in essere dai contribuenti al fine di eludere l’applicazione di una fattispecie impositiva. La facoltà di far prevalere ai fini fiscali la sostanza economica dell’operazione rispetto alle forme giuridiche utilizzate non è tra gli strumenti normativi conosciuti dal sistema italiano, sebbene tale concetto fosse in qualche modo stato introdotto grazie alla disciplina dell’imposta di registro, con valenza del tutto limitata a tale ambito .

    La difficoltà di utilizzare istituti previsti in via ordinaria dalla legge civile, come la simulazione o la frode alla legge , e l’impossibilità di adottare metodi interpretativi di carattere estensivo o addirittura di natura analogica, stante il divieto implicito derivante dalla riserva di legge dell’art. 23 Cost. , hanno costretto il legislatore a dettare una definizione particolarmente analitica e dettagliata nelle materie più facilmente soggette a tentativi di elusione, inserendo inoltre sempre maggiori limitazioni o presupposti alla concessione dei benefici fiscali esistenti. Tale atteggiamento non ha nei fatti impedito ai contribuenti di sfruttare "le imperfezioni e i formalismi della legge" , contribuendo al contrario ad esasperare la ricerca di percorsi alternativi.

    Dopo il fallimento del tentativo operato nel 1988 di introdurre una clausola generale antielusiva , con la Legge n. 408 del 1990 il legislatore ha apportato una modifica potenzialmente risolutoria nel diritto fiscale societario, prevedendo, all’art. 10, che "è consentito all’amministrazione finanziaria disconoscere ai fini fiscali la parte di costo delle partecipazioni sociali sostenuto e comunque i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di fusione, concentrazione, scorporo e riduzione del capitale sociale poste in essere senza valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta". Con il D.p.R. 543/1992 è stato in seguito aggiunto all’elenco delle operazioni indicate un riferimento alle scissioni.

    Rispetto al disposto dell’art. 11 della Direttiva 90/434 è possibile trovare elementi in comune: verrebbe dunque da chiedersi se sia plausibile ritenere applicabile tale norma generale anche alle operazioni transfrontaliere considerate dal provvedimento comunitario. A questo proposito risulta preliminare la questione se sia giuridicamente necessario o meno che l’attuazione dell’art. 11 debba avvenire mediante un’espressa disposizione interna, dato che il D.p.R. 544, con cui è stata effettuata l’implementazione della Direttiva, non contiene alcun riferimento al riguardo. In caso negativo, al cui favore propende la tesi secondo la quale il regime nazionale previsto dal TUIR troverebbe applicazione anche nei confronti delle operazioni internazionali (diverse da quelle intracomunitarie) , nulla impedirebbe all’Erario di avvalersi dell’art. 10 L. 408 per neutralizzare l’utilizzo elusivo delle norme di recente introduzione da parte dei soggetti che effettuano fusioni, scissioni o conferimenti intra-Cee. In caso contrario, se fosse quindi essenziale prevedere direttamente una norma di attuazione dell’art. 11 nell’ordinamento italiano, non si potrebbe invece far riferimento alla clausola nazionale, restando i comportamenti elusivi delle società che usufruiscono dei benefici della Direttiva del tutto inattaccabili, salvo che siano violate altre specifiche disposizioni espressamente richiamate, come ad esempio l’art. 123, comma 5, in materia di riporto delle perdite.

    Anche se si ritenessero prevalenti gli argomenti favorevoli all’esclusione dal campo di applicazione dell’art. 10 le operazioni intracomunitarie, non potendosi interpretare il diritto tributario interno se non in maniera strettamente letterale, sarebbe comunque ipotizzabile una diretta applicazione dello stesso art. 11 della Direttiva, in quanto norma che non fa altro che delimitare l’ambito di efficacia del regime fiscale introdotto, attribuendo agli Stati la facoltà di esercitare, nel caso concreto, il potere di accertare la presenza o meno degli obiettivi elusivi richiesti per il disconoscimento del regime neutrale. Verificandosi questa opportunità, peraltro, l’amministrazione italiana si troverebbe costretta a specificare in maniera precisa le regole che dovrebbero presiedere ai provvedimenti di rifiuto o di revoca dei benefici concessi, permettendo, se del caso, ai contribuenti di richiedere un parere preventivo in ordine alla liceità o meno dell’operazione progettata .

    Anche nell’interesse dell’Erario, oltre che in favore della chiarezza dei rapporti con il contribuente, sarebbe opportuno adottare questa seconda possibilità, se non altro per la pratica incapacità di addivenire ad una concreta uniformità di vedute sull’applicabilità dell’art. 10, per molti versi inadatto allo scopo per cui è stato concepito . D’altra parte, non esistendo reali esigenze nel sistema tributario italiano per la predisposizione di una clausola generale antielusiva , per evitare eccessive discussioni intorno ad un argomento tanto complesso, potrebbe anche sembrare opportuno che il legislatore esplicitamente intervenisse dove il bisogno pare maggiore, modificando ulteriormente le fattispecie che danno adito a maggiori preoccupazioni elusive , anche se questa maniera di risolvere il problema, probabilmente, non avvantaggerebbe il sistema produttivo.

    Per quanto concerne invece le specifiche disposizioni inserite nel contesto del Decreto di attuazione, la cui legittimità deve essere vagliata in relazione ai criteri fissati dall’art. 11, le maggiori perplessità, a causa della laconica e vaga espressione usata, riguardano il dettato del comma 7 dell’art. 2, nella parte in cui si impone la tassazione al valore normale dei beni confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato successivamente distolti dalla stessa. Il problema sorge in quanto non viene chiarito il significato del termine "distolti", né viene precisato il periodo di tempo minimo entro il quale si considera rilevante l’allontanamento del bene dal processo produttivo dell’organizzazione. In ogni caso non sarà possibile nella pratica fissare un termine troppo ampio: il significato stesso dell’espressione "successivamente" richiama comunque un evento non troppo lontano nel tempo. In merito al momento in cui il bene verrà ritenuto "distolto" dal complesso aziendale, si potrà infine far riferimento ad un criterio formale (la scomparsa dal bilancio) oppure sostanziale (la concreta dismissione del bene dall’organizzazione produttiva): sembra tuttavia evidente e logico che non dovrà essere utilizzato un parametro diverso da quello usato per accertare l’iniziale "confluimento" nella stabile organizzazione.

     

    5.5 - L’"abus de droit" in Francia tra "evasion" e "fraude fiscal".

     

    L’ordinamento francese, al contrario di quello anglosassone, annovera tra gli strumenti a disposizione degli organi amministrativi e giudiziari in grado di reprimere i comportamenti elusivi dei contribuenti una norma generale, fondata sul concetto di abus de droit. In linea teorica, anche in Francia vige il principio della libertà di determinare i propri affari in maniera tale che il carico tributario sia il meno elevato possibile , ma si opera comunemente una distinzione tra évasion e habileté fiscale; mentre quest’ultima è corretta espressione della libertà contrattuale, la prima indica i comportamenti che, non essendo vietati da specifiche norme, purtuttavia vengono viziati da un utilizzo abusivo dei diritti. L’enunciazione di questo principio è contenuto nell’art. 64 del Libro di Procedura Fiscale, secondo il quale "non possono essere opposti all’amministrazione delle imposte gli atti che nascondano la reale portata di un contratto o di una convenzione mediante clausole che ... dissimulino sia la realizzazione, sia un trasferimento di utili o di redditi" ; la Corte di Cassazione ha in seguito precisato che si può avere abus de droit anche nel caso in cui gli atti in questione non siano fittizi, a condizione che l’operazione non abbia altra motivazione che quella fiscale .

    L’Amministrazione finanziaria potrebbe quindi tener conto, nella concessione dell’autorizzazione preventiva necessaria per l’applicazione dei benefici della Direttiva in ambito internazionale, delle ragioni obiettive che presiedono alla realizzazione dell’operazione, negando l’agrément qualora ritenga che uno dei fini principali sia costituito dall’évasion fiscale.

    La legittimità delle clausole specifiche già esistenti, relative al divieto di compensazione degli utili con le perdite pregresse e all’obbligo posto alla società acquirente di conservare per cinque anni le azioni ricevute dal socio della acquisita in uno scambio azionario, devono essere comunque valutate in base all’art. 11 della Direttiva: mentre il diritto di riportare le perdite fiscali non è in alcun modo influenzato dalla normativa comunitaria, in base all’art. 6, la liceità della cd. maintenance rule potrebbe incontrare difficoltà, in quanto ulteriore condizione non richiesta dalla Direttiva. Lo scopo dell’art. 11 è di autorizzare gli Stati a disapplicare il regime neutrale allorché uno degli obiettivi principali dell’operazione sia l’elusione, e solo in questo caso. Pertanto l’obbligo di conservare le azioni per un certo periodo di tempo è conforme allo spirito della norma fintantoché il termine minimo fissato resta ragionevolmente contenuto, in relazione al fatto che una cessione dei titoli troppo affrettata costituirebbe forte presunzione di utilizzo abusivo delle disposizioni di favore: ci si domanda quindi se un periodo di cinque anni possa essere ritenuto compatibile con la funzione attribuita dall’interpretazione dell’art. 11 alla maintenance rule presente nell’ordinamento francese. In ogni caso, la presunzione non potrebbe essere di tipo assoluto, essendo in facoltà dei soggetti interessati di dimostrare la bontà economica dell’operazione: ogni impossibilità di addurre prove in questo senso deve reputarsi in contrasto con la Direttiva, e, quindi, illegittima.

     

     

     

     

     

     

    5.6 - La soluzione tedesca.

     

    Alla dottrina tedesca si deve una prima analisi dei problemi relativi alla definizione dei termini dell’evasione e dell’elusione tributaria . In base alle argomentazioni addotte, viene innanzitutto evidenziato come le disposizioni impositive poste dal legislatore spesso non colpiscono un determinato risultato economico, ma si limitano a prescrivere l’assoggettabilità ad imposta di specifiche fattispecie; il contribuente è quindi legittimato a conseguire il risultato che intende realizzare mediante le altre vie che l’ordinamento consente, il cui trattamento tributario sia meno oneroso o addirittura assente. Tra gli strumenti efficacemente utilizzabili dal legislatore per eliminare od ostacolare tali comportamenti elusivi non possono essere ricomprese le norme relative alla simulazione e al negozio simulato, in quanto i contraenti hanno realmente voluto gli effetti prodotti dall’atto e non gli effetti della fattispecie prevista dalle norme impositive.

    Per questi motivi è stata introdotta nella legislazione fiscale tedesca una clausola generale idonea a reprimere gli atti in elusione d’imposta realizzati dai contribuenti . Il principio cardine del sistema è rappresentato dall’affermazione che l’obbligo d’imposta non può essere eluso o diminuito mediante "abuso delle forme e delle possibilità di adattamento del diritto civile"; la sostanza economica dell’operazione prevarrà quindi sulla forma giuridica scelta. L’abuso è riscontrato allorché il contribuente ponga in essere negozi "insoliti" per ottenere risultati normalmente conseguibili attraverso una fattispecie imponibile, al fine di eludere l’imposta, non avendo inoltre rilievo per lo stesso soggetto gli svantaggi giuridici derivanti dall’utilizzo degli strumenti alternativi. La conseguenza dell’accertamento delle suddette condizioni risiede nell’obbligo di corrispondere ugualmente l’imposta che sarebbe stata dovuta in caso di verificazione del presupposto eluso: la riscossione avverrà pertanto come se le parti avessero realizzato i fatti previsti dalla legge tributaria. Le eventuali imposte pagate in dipendenza dei negozi dichiarati inefficaci nei confronti dell’Erario possono, a richiesta, essere restituite.

    Avvalendosi della facoltà concessa dall’art. 11 della Direttiva, inoltre, la legge di attuazione ha inserito una nuova disposizione specifica con finalità antiabuso in materia di trasferimento di attivo e scambio di azioni. Mentre in passato un’ordinanza dell’Amministrazione finanziaria aveva imposto alla società acquirente non residente l’obbligo di conservare per dieci anni le azioni ricevute da una società tedesca mediante uno scambio, ora la sez. 25, par. 4, UmwStG fissa un’analoga regola anche per i conferimenti, riducendo comunque il periodo minimo a sette anni . Di conseguenza, allorché la società acquirente o conferente disponga dei titoli ricevuti entro i primi sette anni dalla data dell’operazione, i benefici fiscali costituiti dal differimento dell’imposizione verranno revocati con effetto retroattivo. Le società interessate non sono ammesse in alcun modo a dimostrare che la rivendita delle azioni non ha avuto finalità elusive, ma che è stata effettuata per valide ragioni economiche. La presunzione assoluta posta dalla legge non può considerarsi tuttavia conforme al dettato dell’art. 11. Come anche il Protocollo alla Direttiva chiarisce, in una dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione, un rapido ritrasferimento dei titoli può essere ritenuto tipico indice di abuso, al pari dell’assenza di ragioni di ristrutturazione o razionalizzazione degli assetti societari: un periodo di sette anni è palesemente eccessivo per far rientrare nei termini della "rapidità" la cessione realizzata. Dalla lettura dell’art. 11, in secondo luogo, emerge evidente l’esigenza di tener conto del caso concreto ai fini di verificare o meno la presenza di obiettivi elusivi: per questo motivo la previsione astratta di una sanzione, come quella comminata dalla sez. 25 UmwStG, non suscettibile di prova contraria, deve ritenersi sicuramente illegittima.

     

    5.7 - La normativa dei Paesi Bassi. Clausole antielusive negli altri Stati-membri. Conclusioni.

     

    Le disposizioni specifiche con finalità antielusive già presenti nella disciplina olandese delle operazioni societarie, o introdotte in seguito all’attuazione dell’art. 11 della Direttiva, sono numerose, e riguardano molteplici aspetti delle transazioni considerate. Alcune sono di ordine preventivo, come: (i) l’obbligo di richiedere in anticipo, al fine di ottenere i benefici fiscali, un’autorizzazione all’Amministrazione finanziaria (che in certi casi dovrà valutare approfonditamente le ragioni sostanziali dell’operazione, e in special modo gli eventuali intenti elusivi); (ii) l’esigenza che in una concentrazione di imprese si attui una reale "fusione di imprese", ossia una concreta integrazione economica delle aziende; (iii) la condizione che in uno scambio di azioni la società acquirente e la società acquisita conducano un’"active business", il che evita che delle società prive di oggetto commerciale, e che concretamente non sono operative, siano utilizzate al mero scopo di conseguire risparmi d’imposta attraverso l’applicazione delle norme di favore .

    Altre clausole invece pongono la loro attenzione alle situazioni che si verificano successivamente all’operazione, valutando a priori il comportamento dei soggetti coinvolti in relazione a probabili obiettivi elusivi. Tra queste assumono rilievo le disposizioni che: (i) stabiliscono un periodo di possesso minimo di tre anni per le azioni ricevute dalla conferente in dipendenza di un conferimento di attivo; (ii) un periodo di possesso minimo di cinque anni per le azioni ricevute dalla società acquirente in occasione di uno scambio di partecipazioni; (iii) un’imposta "di uscita" a carico dei cittadini azionisti emigranti, i quali cedano una partecipazione sostanziale in una società olandese, per un periodo di cinque anni dopo l’emigrazione.

    Si rende necessario ora valutare la legittimità di tutte queste disposizioni in base ai criteri statuiti dall’art. 11 della Direttiva: a differenza delle analoghe previsioni contenute nell’ordinamento tedesco, le maintenance rules sembrano però essere conformi alla disciplina comunitaria, in quanto il periodo di tempo è ragionevolmente contenuto entro limiti compatibili con il concetto di "rapid resale" proposto nella dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione; inoltre la legge permette ai soggetti interessati di fornire una prova delle valide ragioni economiche che giustifichino la rivendita dei titoli prima della scadenza del termine fissato.

    Nell’ambito del sistema fiscale lussemburghese non è stata introdotta in attuazione della Direttiva una nuova norma antielusiva di carattere generale . Tuttavia il principio delle "valide ragioni commerciali" enunciato nell’art. 11 è stato adottato in luogo del precedente riferimento "all’utilità per l’economia nazionale", il quale costituiva la condizione essenziale perché i benefici derivanti dalla neutralità fiscale potessero trovare applicazione alle operazioni di fusione, scissione e scambio azionario .

    In Irlanda sono state invece inserite apposite disposizioni di attuazione dell’art. 11 della Direttiva, secondo le quali l’applicazione del regime di favore deve essere negata a meno che si dimostri che il trasferimento "sia stato effettuato per ragioni commerciali di buona fede e che non costituisca parte di un disegno o piano il cui scopo principale ... sia l’elusione [fiscale]" . I termini utilizzati sono quindi analoghi a quelli vigenti in Gran Bretagna, e del tutto coincidenti con la precedente clausola relativa agli scambi azionari, in vigore dal 1982. Inoltre, dal 1989, l’Amministrazione fiscale è autorizzata a disconoscere gli effetti delle transazioni realizzate principalmente per ottenere vantaggi tributari.

    In altri Stati membri, come il Belgio e la Spagna, esiste poi una espressa normativa che consente in via generale di tassare le operazioni realizzate dai contribuenti in base alla loro sostanza economica e indipendentemente dalle forme giuridiche utilizzate, posto che sia provato l’abuso attuato.

    In conclusione di questa breve indagine sul trattamento dei comportamenti elusivi, soprattutto in relazione al sistema fiscale favorevole elaborato in sede comunitaria, pertanto, si possono ritenere giustificate le preoccupazioni degli interpreti rispetto all’incertezza che fatica a trovare una soluzione adeguata. In più ordinamenti non esistono norme generali che permettano di affrontare con risolutezza ed equità le situazioni abusive che sottraggano ad imposizione materia che per altra via sarebbe stata imponibile; d’altra parte le clausole specifiche o dettagliate che si riferiscono a determinati aspetti elusivi delle operazioni o non sono chiaramente formulate, o colpiscono indiscriminatamente transazioni meritevoli di tutela e transazioni palesemente artificiose. I criteri che, in virtù dell’esperienza anglosassone (e specialmente nordamericana), stanno lentamente affermandosi nel panorama legislativo internazionale, possono costituire validi strumenti di lotta all’elusione fiscale: preliminare condizione a che ciò avvenga, tuttavia, è l’uniformità di applicazione di un principio unico, accompagnata da una prassi, anche solo amministrativa, che ponga regole ben definite che il contribuente è tenuto a rispettare qualora non voglia affrontare il rischio di incorrere negli addebiti di elusione riscontrati dall’Erario. L’art. 11 della Direttiva sembra orientare le posizioni degli Stati membri in questo senso, nei limiti della materia di competenza comunitaria disciplinata: l’abuso sussiste qualora le società coinvolte abbiano come obiettivo principale l’elusione fiscale; poiché non è possibile dimostrare oggettivamente l’esistenza delle illecite intenzioni dei soggetti, l’obiettivo elusivo è presunto in determinate situazioni, principalmente dove non sono riscontrabili "valide ragioni economiche". In ogni caso le Amministrazioni dovrebbero permettere agli enti interessati di produrre prove che consentano di ritenere obiettivamente giustificate le operazioni effettuate.

    La funzione minima della disposizione dell’art. 11 dovrebbe comunque consistere nel suo ruolo di riferimento principale per risolvere i problemi di interpretazione e di legittimità di tutte le clausole nazionali che pongano eccessivi limiti, condizioni o sanzioni alla realizzabilità delle riorganizzazioni e delle razionalizzazioni delle strutture societarie in ambito comunitario.