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La Chiesa del Carmine (pag. 2)
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L'ARCHITETTURA DELLA CHIESA E DEL CONVENTO
Nel 1928 sono stati eseguiti gli scavi nell'abside, verso sinistra, e vennero alla luce due antichi pavimenti: la chiesa ha dunque tre pavimenti: l'attuale, uno meno recente, ed uno molto antico. Ma non ci sono prove certe che il pavimento più antico sia quello della primitiva chiesa di San Bartolomeo o addirittura della cappella della foresteria dell'anno 836. Gli scavi sono stati fatti da don Giuseppe Del Corno, ed il sospetto del triplice pavimento sorse nell'osservare che il piano attuale del pavimento interno della chiesa non corrisponde al piano esterno dell'abside, assai più basso. Si è pure osservato che la finestra che si trova nella sacristia vecchia, che serve ora come passaggio, è molto bassa rispetto al pavimento attuale; anche il soffitto di questo locale è assai basso. Lo stesso ingresso della chiesa inclina al basso e scende di alcuni gradini: forse ti segna l'uso delle chiese antiche, che a questo modo assomigliavano alle catacombe dove si ritiravano i primi fedeli a celebrare gli anniversari dei martiri; più logico pensare che il piano della chiesa primitiva non scendesse per nulla, ma che sia stata la strada circostante ad essere tutta rialzata con il passar del tempo.  La chiesa del Carmine è un edificio ad ampia navata unica, coperto ora da un soffitto a cassettoni; ma la chiesa primitiva era arcuata e gli archi sono visibili ancora a chi sale sul soffitto della chiesa. E' affiancata da cappelle laterali, parzialmente snaturate, e conclusa da una zona absidale a tre ampie campate quadrate da volte a crociera acuta su capitelli pensili. Termina poi in un'abside centrale poligonale, dalla volta su capitelli pensili.   L'ampia facciata occidentale, larga così da chiudere ambedue le cappelle, benchè priva di alti contrafforti rastremati, si svolge con forme affini a parecchie altre chiese lombarde e settentrionali, nella sua pesante struttura a capanna monocuspidata, ornata da pinnacoli in cotto.  L'edificio si lega ad esempi di chiese "a sala"' sia per la limpida unità spaziale da esso perseguita, sia per l'andamento generale della decorazione. Nel complesso. tenuto conto dei restauri attraverso i secoli, si tratta di forme architettoniche ritardatarie ripetute ai primi del 1400, con accenti più rigidi e cristallizzati, di tipo vicino a quello che nella stessa Melegnano si ritrova nella chiesa di San Giovanni Battista, iniziata nel 1418. Infatti, nei restauri del 1928, la facciata fu parzialmente cambiata e si volle un po' copiare lo stile della facciata di San Giovanni, forse per un desiderio di unificare gli stili delle chiese molegnanesi: oggi c'è un maggior rispetto delle forme antiche e un maggior desiderio di conservazione.  Tuttavia il rosone della facciata è inteso con valore cromatico e decorativo, non un tentativo di togliere la massa alla facciata e peso strutturale.   La chiesa, nel suo stile romanico, è databile tra il 1393 e gli inizi del 1400: i pilastri su cui si impostano le volte sottolineano in un gioco di ombre e di luci, i lavori dello spazio architettonico.  Il Saresani, nel secolo scorso, non era troppo entusiasta quando scriveva: "...la chiesa a te si cara ci sta dinnanzi, oh!  vedila dunque nella vetustà della sua costruzione, nell'umiltà delle sue forme, e in quel suo insieme così poco simmetrico ed ordinato, che ti segna un edificio che la carità dei fedeli innalzava a poco a poco ed aggrandiva a sua volta, ascoltando più le voci del bisogno di spazio, che le regole dell'arte e del buon gusto". (Saresani, op. cit., p 244).  Le chiese di San Franceseo, di sant'Ambrogio, di San Pietro Martire a Vigevano, e di San Lorenzo a Mortara sono un esempio di chiese a sala simili alla nostra del Carmine.  La domenica 2 dicembre 1928 è stata inaugurata e benedetta la nuova facciata, come oggi la vediamo: i lavori erano sotto la direzione dell'architetto mons. Polvara con il continuo interessamento ed amore dei sacerdoti melegnanesi don Giuseppe Del Corno, vivente, e don Giovanni Sala, defunto.   Il campanile si eleva in una posizione architettonicamente paradossale: tre lati poggiano sul tetto; probabilmente è della fine del 1400 e gli inizii del 1500: costruito sul tetto perchè le corde delle campane potessero scendere in coro e dare la comodità ai frati di suonare quando fosse necessario senza uscire dal coro stesso. Sul campanile vi erano, ai tempi d'oro dei Carmelitani, due campane Nel 1836, nel tempo in cui infieriva il colera, per un voto, ne posero una terza. Nel 1863, la campana più grossa screpolò; la si fece rifondere a Milano dalla ditta Cobianchi; e, rottasi la più piccola nel 1874, Gerolamo Zaina con altri benefattori, la fece rifondere in Milano dai fratelli Barigozzi.  Il convento, annesso alla chiesa, costruito sul lato, aveva il chiostro. E' della fine del 1400 ed i primi del 1500. Al piano terreno vi era. la sala capitolare, la foresteria, il refettorio e la biblioteca con archivio che serviva anche da sala del superiore; al primo piano c'erano le stanzette dei frati, i servizi, e probabilmente una piccola cappella, ed una sala di raduno per il dopo pranzo e dopo cena: sono ancora oggi visibili in parte le porte delle stanzette, Già dicemmo che il convento poteva contenere quindici frati, ma questo numero non fu mai raggiunto. Negli Atti delta Visita Pastorale del Card. Pozzobonelli del 1749, conservati presso l'Archivio della Curia di Milano, risulta che vi erano sei padri Carmelitani e tre frati laici per il servizio, mentre la parrocchia di Melegnano contava 4372 anime.  Certamente annesso al convento vi era il cimitero dei frati e probabilmente anche quello dei fedeli. Resti di scheletri furono trovati tanto sotto il pavimento della chiesa, quanto nel terreno circostante. C'era in chiesa, nella parte sinistra dell'altare, una lapide sepolcrale, di colore nericcio, alla quale lo sfregamento dei piedi tolse molti fregi e corrose a poco a poco l'iscrizione: "ambulantes in hoc carmeli monte ad lapidem istum utique offendere debitis, pro carmelìtis fossa condita anno 1679" (quando voi camminate in questa chiesa del Carmelo dovete pure imbattervi in questa pietra: è la fossa per i carmelitani costruita nell'anno 1679.  Probabilmente sepolcrale è pure un'altra iscrizione che sta murata sulla parete destra appena entrati in chiesa e che porta queste parole: " D.O.M. Aurum montium filius redit ad montes hoc scilicet in Carmelo. Libris octomile novecentum imperialibus d. Carolus Ambrosius Tenca collegi mediolani ac ss.  Inquisitionis notarius, ac d. Francisca Martina coniuges quotidianam missam fundarunt quae in omnes dies ad hanc aram ss. Virginis; illis semper habebitur probe factum; pii coniuges avara liberalitate auxistis quae donastis. Constat ex istrumento rogato per notarium Antonium Montorfanum die V octobris MDCLXXVII", con la quale iscrizione si accenna ad un lascito per una messa quotidiana (A Dio ottimo massimo. Il figlio degli aurei monti ritornò ai monti cioè al Carmelo. Con lire ottomila e novecento imperiali il signor Carlo Tenca del collegio di Milano e notaio della santa Inquisizione, e la signora Francesca Martina, coniugi, stabilirono una messa quotidiana per ogni giorno su questo altare della santa Vergine; sempre per essi verrà con onestà eseguito questo fatto; o pii, avete guadagnato ciò che con generosità avete donato) Il documento è stato steso dal notaio Antonio Montorfano nel giorno 5 ottobre 1677.  Già abbiamo detto che alcuni cittadini di Melegnano chiedevano di essere sepolti in chiesa del Carmine. Una lapide sepolcrale di candido marmo sul pavimento presso l'altare portava scolpito le seguenti parole che il tempo ha corroso, ma pur segnavano l'onorato riposo delle spoglie mortali di una delle più cospicue ed antiche famiglie del nostro Borgo: "Sepulcrum Francisci et fratrum de Corneliano et parentum suorum. MDCXXVII"
(Sepolcro di Francesco e dei fratelli di Corneliano e dei suoi genitori, 1627).
Le sculture
CORO LIGNEO
Il coro ligneo è in noce, scolpito ed intagliato, ad un solo ordine di stalli. Gli stalli hanno dossale diritto diviso da lesene a foglie scolpite e teste di cherubino. Alla sommità vi è la trabeazione orizzontale. I postergali hanno specchi entro cui sono scolpite larghe foglie legate da nodi.  Oggetto parzialmente infisso trovasi in ubicazione originaria; occupa tutta la parete.  E' un'opera di mediocre interesse artistico, eseguita nel secolo XVIII° da ignoto intagliatore in legno appartenente a scuola locale, con caratteri e gusto comuni. E’ in buono stato di conservazione.
PORTE A DUE ANTE LIGNEE IN NOCE
Oggetto mobile: costituiscono i battenti della porta di accesso alla sagrestia. e l’ubicazione è originaria. Ogni anta misura 2,30 per 0,57 metri.  Cornici rilevate dividono la porta in quattro specchi: i due centrali, rettangolari, sono scolpiti a nodi intrecciati; in alto ed in basso corre una cornice scolpita a rosetta.  E' un'opera di scarso interesse artistico, eseguita nel secolo XVII° da ignoto intagliatore in legno locale.
ALTARE MAGGIORE MARMOREO
E' l'altare maggiore della chiesa.  La parte inferiore dell'altare proviene dalla originaria chiesa di santa Maria del Carmine. La parte superiore era in origine la corrispondente parte dell'altare della chiesa di santa Maria della Misericordia, soppressa nel 1810 (chiesa dei Francescani).  Le dimensioni approssimative sono di metri 4,50 per 3,00.  Ha mensa ed ali laterali in marmo nero del Belgio, con motivi in verde antico e giallo di Siena con grandi volute laterali.  Sul palliotto marmoreo c'è lo stemma, col monte bianco e le tre stelle, di santa Maria del Carmine. Sopra la mensa corre un doppio gradino sorretto da ricci e da volute. Si eleva l'alto dossale con nicchia centrale e pilastri sghembi aventi alla sommità elementi di architrave a volute e cimasa a sagoma irregolare.  E' un'opera di scarso interesse artistico, composta da elementi architettonici di diverse provenienze ed epoche: la parte inferiore è del secolo XVIII° e la parte superiore del XVII° entrambe tuttavia con membrature ed elementi decorativi convenzionali.
SAN GIUSEPPE ED IL BAMBINO
Si trova nella terza cappella a sinistra, in una nicchia sull'altare. L'opera proviene dalla chiesa di santa Maria della Misericordia, ove trovavasi nella cappella di San Giuseppe. Venne qui trasferita nel 1810, in seguito alla soppressione di tale chiesa, e l'ubicazione non risponde a speciali esigenze ambientali.  Il santo è ravvolto in manto dorato, in atto di camminare; regge tra le braccia il Bambino, chinando il volto barbuto. Misura in altezza metri 1,80.  E' un'opera di un certo interesse artistico, eseguita da ignoto scultore in legno di Melegnano nel 1860, come risulta dagli atti del convento. L'opera ha caratteri convenzionali, ma non è priva di espressione. Su questa statua è stata fatta una polemica riguardante il valore artistico.
ECCE HOMO
E' collocato entro una nicchia recente nella seconda cappella di sinistra, e l'ubicazione non è originaria. Proviene dalla soppressa chiesa delle suore Agostiniane di via Cavour.  Il Cristo è in ligneo manto rosso, il capo coronato di spine rovesciato indietro, tra le mani avvinte ed incrociate. Misura una altezza di metri 1,60.  E' un'opera di modesto interesse artistico di ignoto intagliatore di scuola melegnanese del principio del secolo XVIII°, tratta con agile e mosso intaglio.
SANT'ANTONIO DA PADOVA
Il santo è in atteggiamento mistico e reggente il Bambino Gesù. E' una statua di modesta lavorazione artigiana, che però non manca di una certa ispirazione.
SAN DIEGO D'ALCALA'
Trovasi su mensola, nella sagrestia della chiesa. Proviene dalla soppressa chiesa di santa Maria della Misericordia, donde venne qui collocata nel 1810.  Il santo, in saio, frontale, apre la destra ed alza la sinistra reggendo la croce; e si posa su nubi con teste di cherubino. Misura metri 1,50 di altezza. E' in buono stato di conservazione: la statua fu però radicalmente dipinta in epoca recente.  Opera di scarso interesse artistico eseguita da ignoto intagliatore di scuola melegnanese, con caratteri convenzionali, nel 1632, come rilevasi dagli atti del convento. Dello stesso autore è la statua di sant'Antonio da Padova nella medesima chiesa. 
Le decorazioni parietali
Sulla parete centrale dell'arco santo sta Dio Padre in atto di giudicare le anime: il volto severo, i tratti personali rigidi, la mano destra alzata, denunciano la irrevocabilità della sentenza.  Ai lati stanno Gesù Cristo, più mite, e lo Spirito Santo sotto forma di colomba. La Vergine in manto azzurro si raccoglie, quasi paurosa e perplessa, dinnanzi al gesto giudicatore di Dio. Angeli e stelle del firmamento creano la decorazione e lo sfondo, senza per altro partecipare al dramma della Trinità.  Alla base sta il Purgatorio con le anime sante che attendono il loro turno per dirigersi al Paradiso: il loro volto è sereno e fiducioso.  Nella parete di sinistra è svolta, in quattro quadri, la vicenda de Purgatorio. Sono quattro ampi spazi quadrati, troppo in alto perchè ogni fedele possa sempre meditarli e sentirli vicini.  Rappresentano quattro atti di uno stesso dramma: il primo presenta l'arrivo dell'anima paurosa e disorientata al contatto con l'al di là; essa si mette in ginocchio davanti ad un angelo inflessibile che stringe nelle mani una bilancia ed una spada fiammeggiante, con il commento scritto: "Non exies inde donec reddas novissimum quadrantem" (da qui non uscirai finchè tu non abbia pagato l'ultimo centesimo).  Nel secondo riquadro l'anima sta purificandosi: l'angelo fattosi più mite tiene preparata la veste nuziale, come un abito di gala celestiale per una prossima festa; e le parole commentano: "Accipe vestem sanctam et immaculatam quam perferas ante tribunal Domini nostri", (ricevi la veste santa e immacolata che porterai davanti al tribunale del Signor nostro).  Nel terzo riquadro osservi l'abbraccio di pace e del perdono in un'atmosfera di dolce intimità nell'abbandono fiducioso dell'anima alla tenerezza dell'angelo: siamo ormai lontani dallo spirito del primo riquadro dove regnava solo la severità e la fredda giustizia. Qui l’angelo è l'amico tenerissimo e caro, anche nelle parole che vengono usate: " Pax Domini sit semper tecum", (la pace del Signore sia sempre con te).  Nel quarto riquadro l'anima è emergente nella sua natura ricostituita integra e pura: la purgazione è finita, il luogo della pena è quasi alle spalle, il paradiso è vicino e sta per arrivare il gran giorno da tutti atteso: l'incontro con Dio!  E' l'anima che domina la scena, perché l'angelo che fa da guida si tiene scostato per dare la strada al cielo. Il commento è steso con le parole: "Euge serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui ", (vieni, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore) Per il senso di sicurezza dell'anima, per l'impostazione dei due personaggi, per la stessa atmosfera già paradisiaca che sorregge tutta la scena, per il conforto spirituale che suscita, questo riquadro è uno dei più belli.  Alla base di ogni quadro volteggia la fiamma purificatrice pallidamente rossastra del Purgatorio.  A destra troviamo la vicenda del paradiso. Siamo in un’altra concezione: più serenità, più gioia, più trasparenza di Dio.  Forse è la parte più bella di tutta la decorazione della chiesa del Carmine; certamente la più ricca di poesia, la più mistica.  Nel primo riquadro, iniziando dall'altare, è San Bernardo e la Madonna, con le parole: “Iste fuit per quem patuit doctrina sophie”, od anche: "Preco Dei, doctor fidei, citharistae Mariae", (Fu per questo santo che venne divulgata la dottrina della sapienza, predicatore di Dio, dottore della fede, citaredo di Maria).  Nel secondo riquadro c'è santa Teresa con un angelo e le parole: "Ut stella, ut luna, ut sol fulget in meridie, sic beata Theresia fulget in tempio Dei", (come una stella, come la luna, come il sole splende sul meriggio, cosi splende santa Teresa nel tempio di Dio).  Nel terzo riquadro ammiriamo un angelo che tiene un libro e il santo Giovanni della Croce, con le parole: “Hic vana terrae gaudia et laeta culti praedia polluta sorde deputans ovans tenet coelestia” (costui stima cose vane le gioie del mondo e il possesso allegro di una vita spensierata, e si tiene con gaudio le gioie celesti).  Nell'ultimo riquadro è santa Maddalena de' Pazzi con un angelo che tiene una corona di spine ed una veste, con le parole: "Grandis pulchritudo eius restaurata est super sidera, et brachium eius in nubibus coeli et odor eius in aeternum permanet", (la sua meravigliosa bellezza fu riprodotta al di sopra delle stelle, la sua forza è tra le nubi del cielo e il suo profumo rimane in eterno).  Alla base fiorisce il giardino del cielo, con graziosi fiori sui prati eternamente primaverili.  Come già dicemmo, questa parte ci sembra la migliore e la più artisticamente riuscita. Nell'insieme è tutta una seduzione al cielo, in un cielo che è puro. Le figure degli angeli e dei santi vivono, in buona potenza descrittiva, i loro intensi momenti di rapimento, senza contorsioni medioevali, senza inutili visi stravolti. Spira un incanto da quelle figure: sono in rilievo luminoso, si ampiano nel respiro di aura celestiale nel travestimento spirituale, la materia non esiste più, è lo spirito nella serena pacifica sicura estasi. La contemplazione è visione di paradiso, è preghiera di pura elevazione, è perfetta letizia.  Sulle pareti, nella parte inferiore, tra campata e campata, stanno a sinistra Davide vincitore su Golia, il profeta Elia mentre sta per purificarsi con fiamme ardenti, Mosé che consegna le tavole della legge: quasi da considerarsi come figure simboliche di Cristo vincitore, più che profeta divino legislatore.  A desta le grandi donne dell'Antico Testamento: Giuditta porta in trionfo la testa mozzata di Oloferne che assediava Betulia; Rachele, seconda figlia di Labano e moglie di Giacobbe, che piange sui figli; la regina Ester, nell'eleganza dell'abito regale, che salva dallo sterminio i Giudei.  Sono figure simboliche di Maria Vergine e della sua opera di corredentrice del genere umano.  Le cappelle laterali sono dedicate a sant'Antonio, all' Ecce Homo, a san Giuseppe, a santa Teresina, a san Giovanni Bosco, alle sante Gerosia e Capitanio. Le decorazioni nelle cappelle riprendono il tema dei Vecchio Testamento o narrano vicende e fatti della vita dei santi a cui la cappella è dedicata.  E tutta l'arte della chiesa, unitamente ai fatti della sua storia, è nuovamente affidata a noi, di oggi e di domani, perchè non solo si ammiri, con giusto orgoglio concittadino, una chiesetta degna di ogni stima da parte di tutti; ma anche, e vorrei dire soprattutto, è nostro dovere sperare che il futuro conceda a questo tempio, carissimo al nostro cuore, una vicenda più gloriosa, più giusta, maggiormente conforme al valore storico, artistico ed umano di questo luogo di culto, rendendo finalmente più ampia la proporzione tra la lunga tradizione e la continuazione nei secoli venturi.
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