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Il Carroccio e la riscossa lombarda
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Il Carroccio
Il Carroccio, dal latino quadri-roteus = quattro ruote, era un carro, con ruote cerchiate in ferro, trainato da trè coppie di buoi bianchi, che aveva nel mezzo un'antenna ai piedi della quale  vi era la croce lobata che il vescovo Ariberto da Intimiano aveva donato ai Milanesi simbolo della fede edeall'unità del popolo. Il Carrocio era tutto contornato da stoffa purpurea, issava il vessillo del comune, recava inoltre una campana detta la Martinella usata per incitare all'eroismo e al rispetto del giuramento fatto i combattenti. Al termine della battaglia, quando il Carroccio ritornava in città il suono della Martinella annunciava la vittoria, che vi erano stati dei morti in battaglia e che molti figli avevano perso il padre.  Da allora a Milano chi è rimasto senza padre viene chiamato "martinit". Il carroccio rappresentava il sacro simbolo del Comune, visto come civitas e, in tempo di pace, era custodito nella chiesa maggiore. In tempo di guerra, prima della battaglia vi veniva detta una messa per benedire quanti si sarebbero battuti per difenderlo e attraverso questo difendere il Comune. Durante lo scontro vi si trovavano i comandanti per osservare dall'alto lo sviluppo  della battaglia e i trombettieri che scandivano con il loro suono le azioni da compiere e vi si raccoglievano i feriti, rappresentava il centro dello schieramento delle forze cittadine. Attorno al Carroccio si raccoglievano le forze migliori, truppe scelte, votate all'estremo sacrificio, piuttosto che perdere il sacro Carroccio il che avrebbe rappresentato per loro un'onta cui si doveva preferire la morte che rappresentava la gloria invece dell'infamia, era la Compagnia della Morte, composta da 900 armati pronti a morire combattendo.
La disfatta di Federico Barbarossa
Preceduta dalla Dieta di Ratisbona, la quinta calata del Barbarossa avvenne nell'autunno 1174, lo seguivano le truppe del fratello Corrado, di Ladislao di Boemia, di Ottone di Wittelsbach, degli arcivescovi di Colonia e di Treviri nonchè le milizie di molti principi e vescovi, inoltre c'erano bande mercenarie di Babansoni (del Brabante).  Attraversò la Savoia ed entrò in Italia per il Moncenisio.  Nel 1175 Federico assediò Alessandria; ma inutilmente. Ed anche cercava nuovi alleati in Italia: alcune città della Lega passarono dalla sua parte, mentre riceveva forti soccorsi dalla Germania, che giunsero, infatti, nella primavera del 1176. Fu allora che i Milanesi, anche se non potevano contare su tutte le forze della Lega, deliberarono di giocare la carta decisiva. Così si giunse alla battaglia di Legnano il 29 maggio, tra il Ticino e l'Olona, a trenta chilometri da Milano. Al grido “ sant'Ambrogio! “, attorno al Carroccio, mentre la Compagnia della Morte urlava e si lanciava sulle truppe tedesche, gli alleati vinsero clamorosamente e batterono Federico con una grave sconfitta. Egli cadde da cavallo che gli fu ucciso, scomparve nella mischia, si salvò errando, sconosciuto sul campo di battaglia. La vittoria di Legnano assicurò l'indipendenza alle città lombarde e costrinse l'imperatore a riconciliarsi con il papa, Alessandro III°, a cui l'anno dopo si umiliò in Venezia all'ingresso della basilica di San Marco. Il 23 giugno 1183 venne la Pace di Costanza a rinsaldare gli effetti conquistati sul campo di battaglia; e Federico scomparve nel 1190 mentre partecipava alla Terza Crociata, annegando nel fiume Salef, sul confine della Siria.  La pace di Costanza aveva introdotto la nuova figura del Podestà, che avrebbe poi soppiantato quella dei Consoli della città. Primo Podestà di Milano fu Uberto Visconti da Piacenza.  La parte di Melegnano che era sulla sinistra del fiume Lambro (ora occupata dalle Vie Dezza, San Martino, Sangregorio, Lodi, Piave, Volturno, Gramsci, ed altre più recenti) e le terre di Vizzolo e di Calvenzano erano da secoli nei confini naturali del territorio laudense, e quindi anche nella diocesi di Lodi, a cui pagavano i tributi. Ma nel Trattato di Pace tra Milano e Lodi, stipulato il 28 dicembre 1199, i Lodigiani cedettero ai Milanesi tutta la zona di Melegnano che stava sulla sinistra del Lambro, con Calvenzano e Vizzolo, che dovevano per sempre rimanere nel dominio milanese. E così Melegnano si trovò unificata, come comunità stretta attorno alle rive del suo Lambro. Fu una pace di buon compromesso, perchè i Milanesi ricevevano la parte melegnanese che stava a sinistra del Lambro e mantenevano alcuni diritti che già avevano sulla navigazione del Lambro. Ma anche i Lodigiani poterono mettere per scritto che “ a riguardo del fiume Lambro da sotto Melegnano fino al Po, dall'una e dall'altra sponda, nessun ponte, ne porto deve essere costruito se non con il permesso e la volontà del Comune di Lodi”. La vittoria di Legnano, che ebbe una vasta risonanza in tutta Italia ed Europa, e la relativa Pace di Costanza del 1183 determinarono diverse prese di posizione e di revisione di vecchi contratti e di ingiustizie sofferte o presunte tali. Un caso di questi avvenne il 13 luglio 1185, quando Giordano di Melegnano, e gli eredi di Guido ed Alberto che già abbiamo trovato a Maleo, essi pure melegnanesi, pretesero la restituzione di parte della sostanza immobiliare che a loro era stata tolta, presentando la causa legale contro il vescovo di Cremona, Offredo, un amico dell'ex Barbarossa. Difatti il 13 luglio 1185 Ydo di Tortona, giudice del tribunale imperiale, con il vescovo di Novara, Bonifacio, e con il vicario imperiale del tribunale, Metello, emise la sentenza che Offredo, vescovo di Cremona, dovesse restituire il possesso di metà delle terre di Malco a Giordano di Melegnano, ed il possesso della quarta parte agli eredi di Guido e di Alberto che la domandavano.
L'ascesa di Federico II°
Morto Federico Barbarossa, scomparso molto presto anche il suo figlio Enrico VI, il cesaropapismo imperiale fu risuscitato da un principe che darà una forte impronta al suo secolo: Federico II°, re di Sicilia ed in seguito re dei Romani e imperatore. Vissuto orfano molto presto in Sicilia, in mezzo ad ogni sorta di intrighi, circondato da cortigiani sia tedeschi che italiani, egli si educò da solo, rifiutando ogni disciplina imposta: questo spiega la sua insufficiente formazione morale come anche il suo eccezionale orgoglio. Palermo era una città orientale in cui regnava un lusso straordinario unito a costumi pagani, che i precedenti re normanni avevano fatto propri, raccogliendo attorno un vero harem di donne arabe mescolate con cristiane. Nell'amministrazione e nella corte si era conservato un cerimoniale bizantino, dove il sovrano era onorato come un dio, tra un fasto che la presenza di musici mori, con i loro cembali e tamburi, rendeva più splendido. Federico II° si trovò in mezzo ad una mescolanza e ad un eclettismo incredibile, dovuto ad una situazione geografica quasi unica: musulmani, giudei, cristiani vivevano in una larga tolleranza culturale e religiosa. Fisicamente era biondo e imberbe come suo padre, ma più alto e vigoroso. Aveva passione per gli esercizi fisici, e l'equitazione e la caccia erano le sue distrazioni preferite. Nei suoi spostamenti era scortato da cavalli, falconi, sparvieri, da cammelli, dromedari, elefanti egiziani, leoni, pantere e scimmie, unitamente ad uno sciame di donne d'una conturbante bellezza. Le sue tre mogli successive da lui odiosamente ingannate ed i molti figli nati fuori dal matrimonio sono la testimonianza dello spirito libero, spregiudicato, di colui che il cronista inglese Matteo di Parigi definisce “ la meraviglia del mondo ed il prodigio innovatore “.  Tuttavia il programma imperiale, già di Federico Barbarossa, divenne assai pericoloso per i Comuni. Federico II° voleva farla finita assolutamente con la Lega Lombarda, avanzando dure richieste. Era nuovamente la guerra tra Comuni e l'Impero.
La ripresa bellica anticomunale
Il nipote di Barbarossa, Federico II°, tentò nuovamente di ridurre all'obbedienza i Comuni e di riorganizzare l'Italia secondo un suo piano generale, nell'ambito più vasto di dimensione europea. Nel 1231 convocò a Ravenna un'assemblea dei rappresentanti delle città per iniziare il riordinamento della Lombardia. Le città della  Lega gli furono ostili. Federico Il le dichiarò colpevoli e nemiche. Infuriò, quindi, una catena di lotte, culminate nel 1237 con la sconfitta totale della Lega Lombarda a Cortenuova di Bergamo, mentre il conflitto minacciava di assumere proporzioni più vaste ed imprevedibili. La battaglia di Cortenuova avvenne il 22 novembre 1237. Seimila morti rimasero sul terreno e, insieme con quattromila prigionieri, anche il Carroccio milanese cadde nelle mani dell'imperatore che si affrettò a inviarlo a Roma. Ma fu un trionfo più apparente che reale: Milano rifiutò di capitolare; Brescia oppose una resistenza eroica che costrinse l'esercito tedesco a ritirarsi dopo tre mesi di assedio (luglio-ottobre 1238). Solo la Toscana si sottomise, ma altrove si riprese a sperare. Dopo la vittoria di Cortenuova, Federico II° si affrettò a riconciliarsi il pontefice con negoziati diretti tra lui e Gregorio IX°, preceduti da ambasciate di arcivescovi. Ma il vero scopo di Federico II° era quello di staccare il papa dalle città lombarde ribelli: difatti all'inizio del 1239 promulgò una costituzione con la quale proibiva ogni relazione con le città a lui nemiche. A sua volta il pontefice, il 24 marzo, scagliò la scomunica contro l'imperatore. E fu di nuovo la guerra. Il 21 agosto 1239 Federico II° era a Pizzighettone. Passato l'Adda assalì lo schieramento milanese e puntò su Lodivecchio. Passò il Lambro a Salerano, distrusse Melegnano e Landriano, mentre i Milanesi si ritiravano. Si portò a Bascapè e a Torrevecchia, per saccheggiare i campi e le cascine, mentre i Milanesi non gli davano tregua e continuavano a molestarlo. E la testimonianza storica parla chiaro: “ Anno 1239. Et imperator, cum carozino Verone, transivit Lambrum et Saleranum et venit in terram Mediolani, et destruxit Meregnanum et Landrianum et Bexelicam Petri et Turem de Lambro, et venit ad Cassinam  Somarugam, et Mediolanenses sempre erant opositi “, che tradotta è così: “nell'anno 1239, l'imperatore, con il carroccio di Verona, passò il Lambro a Salerano ed entrò nel territorio di Milano e distrusse Melegnano e Bascapè‚ e Torrevecchia e venne alla Cascina Sommaruga, ed i Milanesi gli erano sempre ostili. Intanto i Milanesi avevano scelto la strategia di allagare quanto più possibile i campi ed i prati, per rendere difficoltosa la marcia imperiale. Il podestà milanese Obizio Malaspina aveva ordinato di scavare un canale per unire le acque del Ticino nuovo, presso Cuggiono, con le acque del Lambro a Melegnano. Già era allagato tutto il territorio lodigiano mediante il canale Muzza, il Sillaro, il Lambro e l'Addetta. Tutti gli argini e tutti gli sbarramenti artificiali con saracinesche che stavano per alzare il livello delle acque di rogge e di fossati, furono tolti, mentre le truppe imperiali arrivavano sotto Chiaravalle, capeggiate da Enzo, il figlio di Federico II°. Ma le difficoltà del terreno allagato, diventato tutto acquitrinoso, costrinse l'esercito imperiale a ritirarsi verso Locate e Siziano, prendendo atto “quod non posset Mediolanenses in fossatis debellare”, cioè non potendo battere i Milanesi nel terreno paludoso. 
La costruzione del Receptum
Già durante il rientro dei Milanesi in città dopo la distruzione del Barbarossa nell'anno 1162 i proprietari dei fondi in campagna ebbero l'obbligo di ricostruire i castelli era la necessità di porre in ordine le difese anche nella campagna in vista di nuovi attacchi. Quest'ordine fu dato anche per Melegnano in particolare perché durante la guerra di Federico II°, i Milanesi, guidati dal podestà Catellano Carbone, ricostruirono una già vecchia fortezza abbattuta dall'esercito imperiale; questa nuova rocca fu chiamata Receptum, con torri e fossati ed era pronta alla fine dell'anno 1243 ancora in pieno conflitto. Receptum è una parola latina che significa, in questo caso, edificio costruito con lo scopo di accogliere e di difendere la gente ma anche persone armate, attrezzato e fornito in modo speciale per resistere ad un lungo assedio. L'esito della guerra era sempre incerto, finchè la bilancia traboccò dalla parte del papato e dei Comuni. Il papa Gregorio IX° incitò i Lombardi che il 2 giugno 1240 riprendono Ferrara ed isolano Federico II° che si rivolge verso Roma occupando Spoleto e Terni. Intanto si era scatenata una campagna di diffamazione contro l'imperatore dipingendolo come l'Anticristo. Ed il nuovo papa Innocenzo IV°, dopo aver elencato i capi di accusa accertati contro Federico II°, lo dichiarò “privato da Dio di tutti gli onori e dignità”, lo depose e lo scomunicò secondo i riti tradizionali, in un solenne concilio ecumenico (Lione, 1245) da tutta la Chiesa riunita attorno al romano pontefice, confortata dalla orgogliosa contestazione antifedericiana dei Comuni. Dopo la sua condanna, Federico II° andò sempre più perdendo terreno. I Comuni lombardi passarono all'attacco: Parma, tutta la Romagna, il ducato di Spoleto si dichiararono per il papa.  Il figlio Enzo cadeva nelle mani dei Bolognesi. Stremato di forze, insidiato in tutta Italia, si affrettò a ritirarsi in tutta fretta nella sua Sicilia, il solo punto di appoggio che gli rimaneva, essendo anche la Germania diventatagli avversa. Moriva sfinito nella dissenteria il 13 dicembre 1250, lasciando in eredità i suoi Stati al figlio Corrado IV°, già re di Germania, a cui assegnò come luogotenente, per rappresentarlo in Italia, il suo figlio naturale Manfredi. 
Economia e politica
Come nei secoli precedenti, Melegnano continuava ad essere strettamente legata all'area milanese e agli interessi economici e politici di Milano. Anche dopo il Mille nel centro settentrione d'Italia il sistema feudale suddivide e moltiplica i poteri e i diritti: chi detiene un feudo esercita l'autorità a pieno titolo e non come un funzionario di un organismo pubblico statale come oggi. Avviene, così, la frantumazione della società ed il moltiplicarsi delle autonomie, specialmente dopo il 1037 quando l'imperatore Corrado Il ordina che anche i feudi minori e piccoli siano ereditari, con l'Editto della Costitutio de feudis (cioè: legge fondamentale sui feudi). Ma intanto avveniva anche l'evoluzione della società perchè i Comuni prendevano sempre più coscienza della loro forza. E così, accanto al sistema feudale, si ponevano le istituzioni comunali e si creava uno stretto rapporto tra di loro. Anche i Comuni concedevano feudi ed emettevano leggi non solo sulla città urbana, ma anche sull'amministrazione e sulla conduzione economica e fondiaria della campagna; tanto più che i maggiori Comuni in Italia settentrionale erano circondati da fertili campi: Milano, Como, Legnano, Crema, Cremona, Lodi, Pavia, Brescia, Bergamo, Torino, Susa, Asti, Alessandria, a cui possiamo aggiungere quelli fiorenti della Toscana: Firenze, Siena, Arezzo, Lucca, Pisa. Anche presso di noi il particolarismo è più accentuato, il vincolo feudale sotto forma di prestazione militare va indebolendosi sempre più. Sotto i grandi principi di fama europea, ecco il formarsi ed il moltiplicarsi di marchesi, conti, vescovi che sono conti; ed ancora sotto di loro una quantità di valvassori, piccoli valvassori o valvassini, gastaldi, avvocati, gonfalonieri, vicepadroni, viceconti, capitani: è una vera polverizzazione dei servizi e dei doveri e dei poteri che forma l'autorità politica. Inoltre si devono aggiungere i ministri, cioè gli amministratori delle terre, gli impiegati di Corte o del Comune, i membri del seguito di un personaggio importante. Non sarà inutile ricordare ancora che, tra le cause del sorgere e dell'affermarsi dei Comuni, sta anche il frazionamento del potere feudale.
La presenza dei melegnanesi nel contesto sociale
Da Ubertino, primo feudatario a noi noto storicamente per l'anno 983, fratello dell'arcivescovo di Milano, Landolfo, si crearono e continuarono i capitanei di Melegnano, che in origine erano i capi di un territorio ecclesiastico ricevuto dalle mani dell'arcivescovo, con il diritto di amministrare le terre e di riscuotere soldi o beni in natura, su un antico territorio di proprietà ecclesiastica denominata pieve, e che prima era amministrata da ecclesiastici che erano i titolari dei benefici.  Quindi dal secolo X furono appellati capitanei (= capi di pieve) anche coloro che non soltanto dall'arcivescovo, ma anche da un re, da un marchese, da un conte, ricevevano una pieve o una parte di una pieve, con la facoltà di concedere ulteriormente piccole parti della loro vasta amministrazione terriera ad altri sottomessi a loro. Troviamo molti melegnanesi inseriti in diverse attività, essendo capitanei ed anche non capitanei, occupando o svolgendo una mansione ai vertici della amministrazione pubblica politica, economica, finanziaria. Ma andiamo per ordine cronologico. Teufredo e la sua moglie Creusa avevano fondi a Carpiano. Nel 1065 dichiararono la loro posizione giuridica, facendo sapere che essi erano di legge longobarda, cioè si rifacevano a consuetudini antiche che si ritenevano ancora vigenti come forza di legge. Le grandi controversie richiamavano, a volte, clamorose istituzioni sulla scena pubblica: la prova del fuoco, di sapore barbarico, come criterio di intervento divino per stabilire la verità di un fatto. Durante la prima crociata (1096-1099) l'arcivescovo di Milano, che si era recato al seguito delle armate cristiane, venne a morte. Il suo vicario in Milano, di nome Grosolano, saputa la notizia, si fece eleggere subito nuovo arcivescovo diretto successore. Ma la sua elezione non piaceva agli elementi più austeri e più intransigenti milanesi, capeggiati dal prete Liprando: essi accusavano il neo eletto Grosolano di aver pagato la sua elezione (ed è ciò che si chiama simonia, cioè vendita degli uffici sacri). Liprando, per affermare la verità della corruzione e del pagamento, affrontò una spettacolare prova del fuoco; intervennero in molti per dissuaderlo: tra questi vi fu un melegnanese di nome Arialdo. Verso la fine del secolo, l'anno 1093, Arialdo e Lanfranco, due fratelli melegnanesi, ed un loro consaguineo di nome Attone, chiesero all'arcivescovo milanese Anselmo III°, nativo di Rho, di cedere Calvenzano ai monaci benedettini di Cluny, e per questo chiamati cluniacensi: l'arcivescovo Anselmo godeva di grande autorità, perchè‚ nel 1089 ricevette l'investitura dall'imperatore Enrico IV°, allora scomunicato, sfidando la legge papale canonica ed il rigore della giustizia ecclesiastica, facendosi riconoscere, canonicamente eletto, dal papa Urbano II°. Tra i sottoscrittori di un privilegio dell'arcivescovo Arnolfo nel 1095, concesso al monastero di San Gemolo, c'è Arialdo da Melegnano. Come pure tra i sottoscrittori di un diploma c'è nuovamente, nel 1099, Arialdo. Nel 1116 a un tribunale presieduto dall'imperatore Enrico V° per definire la restituzione ai legittimi proprietari di terreni occupati abusivamente da alcune famiglie collegate tra loro, fu presente nel collegio dei giudici un certo Araldo di Melegnano, forse un abate cluniacense. E tra i notai al servizio dell'imperatore, in questo periodo, figurano anche Gerardo Cotica. Difatti un atto legale termina con le parole: “Questo atto è stato steso e scritto da me Gerardo Cotica, notaio imperiale abitante a Melegnano”; il testo è naturalmente in latino. Ancora Arialdo da Melegnano attesta a favore della chiesa di Monza per la faccenda di alcuni beni che crearono una lite. Era l'anno 1119. Ed Arialdo è di nuovo sul fronte giuridico nel 1125 quando, nella lite tra il vescovo di Lodi e quello di Tortona, alla presenza del vescovo di Milano, testimoniò a favore del vescovo di Lodi. Uberto di Melegnano, l'anno 1128, segretario dell'arcivescovo Anselmo, giurò davanti al popolo che l'arcivescovo a Roma aveva difeso i privilegi che godeva la Chiesa di Milano. Nel mese di maggio del 1132 un certo melegnanese chiamato Musto, figlio di Ugo, detto Burro, di legge longobarda, donava alcuni beni che aveva in Melegnano alla chiesa di San Giovanni in Laterano. E Druda, moglie di Musto donava ad Obizone, prete della stessa chiesa, una vigna in Melegnano. Nell'anno 1154, mese di gennaio, Oddone di Melegnano, suddiacono ordinario, sottoscrisse una pergamena, in favore della chiesa di Crescenzago. Il figlio di Ugo di Melegnano, di nome Gilberto, teneva alcuni diritto feudali in Civesio. In un contratto di affitto del 10 maggio 1173 si nominano alcuni campi di Balbiano: tra gli interessati vi sono Guido di Melegnano. Ed un Guido, sempre di Melegnano, il 23 agosto 1181 fu tra i consoli Milanesi per dirimere una controversia tra il monastero di San Vittore in Milano ed alcuni affittuari, abitanti a Grancino, una località presso Cesano Boscone per un diritto di passaggio. Il 15 agosto 1198 Rogerio di Terzago, console di Milano, pronunciò la sentenza nella lite mossa da Morando Bossio, a nome suo ed a nome del prevosto di San Giorgio e di altri, contro un certo Pietro, prete della chiesa di San Bartolomeo in contrada dei signori di Melegnano, perchè non ostacolasse la raccolta delle decime sopra un appezzamento di terreno nel territorio di Vizzolo. E per tanto tempo si era creduto che la chiesa di San Bartolomeo fosse l'antica chiesa del Carmine in Melegnano; ma ciò è errato. Nel 1199 si trovò come testimonio per Arialdo, abate di sant'Ambrogio di Milano il nostro melegnanese ser Martalliatus, oggi diremmo Martalliato. Il “ser” indicava una posizione nobiliare. Una potente famiglia in Melegnano erano i Cuzigo (forse dal paese Cuzigo, nel Comune di Castiglione d'Adda). Per diverso tempo essi furono feudatari, capitanei, conti. Da loro infatti dipendevano i vassalli, cioè coloro che avevano ricevuto terre da amministrare o feudi, in Tribiano, San Martino in Strada, Sordio, Dresano. 
La vita culturale e sociale
Nel periodo comunale Melegnano non era più un semplice vicus (piccolo villaggio) come si presentava nel lontano Alto Medioevo: era un paese, limitato ad un nucleo centrale abitato ed alle cascine agricole dei dintorni. Del resto abbiamo visto che parecchi melegnanesi erano investiti di cariche e di responsabilità pubbliche: cittadini istruiti, dotti, abituati a leggere ed a scrivere; consultati e chiamati per i diversi atti e testimonianze come pubblici ufficiali. E' da escludere in Melegnano la presenza di una scuola, perchè‚ i conventi, come piccoli centri di cultura, verranno verso la fine del 1300 e nel 1400 e nel 1500: Carmelitani, Francescani, Cappuccini, Servi di Maria, Suore Qrsoline; queste comunità monastiche si aggiungevano ai frati che vennero per primi a Melegnano, i Disciplini. Anche l'abbazia cluniacense benedettina di Calvenzano, abitata da un numero ristretto di frati (talvolta tre, talvolta quattro), forse non era un vero centro di cultura tale da assolvere al compito di preparare culturalmente un ceto sociale che chiedeva di specializzarsi in qualche ramo del sapere, anche se ciò non è del tutto improbabile. Però è chiaro che attorno a Melegnano vi erano i conventi di Milano, Lodi, Pavia, Crema: essi potevano accogliere i giovani aspiranti alla vita monastica e culturale e facilitare la loro preparazione per la presenza di maestri, di raccolte di scritti, di materiale scrittorio, di testi esemplari e soprattutto di possibilità per il mantenimento economico. Una volta inseriti nella vita monastica, ogni persona aveva a disposizione le diverse Case conventuali di tutta Italia e di tutta Europa, dove i fratelli, culturalmente più preparati o sacerdoti meglio dotati, impartivano a quelli del loro Ordine e ad altri la cultura professionale prescelta. Inoltre la vivace vita comunale ed i complessi intrecci tra Milano, Lodi, Pavia e Crema favorivano contatti più liberi e più frequenti tra la gente di campagna e quella di città: reciproci interessi economici che erano motivo di legami matrimoniali o di concreto e facile avviamento agli studi per intraprendere una vita culturale con l'inserimento in una classe politica o ecclesiastica o giuridica.
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