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Il
palazzo Comunale o Municipio
Il Municipio è l'edificio che si erge sulla Piazza Risorgimento, nel centro storico, dirimpetto alla chiesa di San Giovanni, impropriamente detto Broletto. L'edificio, attraverso i secoli, ricevette molte trasformazioni tali che oggi è quasi impossibile delinearne la primitiva fisionomia. La parte più antica, tuttavia, rimane il lato nord entro la Via Bascapè: le finestre ogivali con arco a sesto acuto sono caratteristiche dell'arte gotica, e le cordonature in cotto esprimono un incontro tra gli stili romanico, gotico e rinascimentale. Nel palazzo del Municipio di Melegnano questi elementi stilistici rappresentavano una meditata accoglienza in provincia dei caratteri dell'architettura sforzesca, non solo nel riviverne il senso delle proporzioni, ma nel riprendere i valori costruttivi ed i significati morali e politici di glorificazione. Il Palazzo del Municipio è preceduto da un porticato a due lati, il più antico e forse originario è quello frontale, con il ricordo delle forme a sesto acuto cui si accede mediante diversi gradini dalla piazza. Già verso la fine del 1400 sono documentate le adunanze dei rappresentanti della Comunità melegnanese in questo edificio, e come tale era chiamato Palazzo della Comunità. Fino alla seconda metà del 1700 la facciata conservò il suo aspetto primitivo, nello stile rinascimentale lombardo: due ampie finestre con lesene di marmo, e sopra di esse erano gli stemmi dell'imperatore, della Comunità di Melegnano, della Famiglia Medici; tali stemmi risulterebbero collocati per iniziativa di Carlo Cosimo Medici, marchese di Melegnano nel 1738 d'accordo con gli amministratori. Nel 1874, a cura dell'ingegnere Gerolamo Maggioni, fu redatto un progetto generale per la sistemazione dell'intero Palazzo, con una spesa di preventivo di lire 13.879. Ma il progetto fu abbandonato perchè troppo costoso. Nel 1928 il Consiglio Comunale, al tempo del fascismo, era del parere di vendere il Palazzo Comunale per lire 150.000 perchè progettava una costruzione nuova in Piazza IV Novembre che comprendesse gli uffici comunali, l'ufficio veterinario, l'ufficio daziario, l'ufficio sanitario, il comando delle Guardie Civiche, il comando del Corpo dei Pompieri, l'ufficio sindacale, la sede della Milizia volontaria sicurezza nazionale, ed altri servizi minori. Dopo lunghe discussioni si decise di installare ogni ufficio più necessario nel Castello Mediceo, iniziando dal novembre del 1929. Il Palazzo si trasformò in botteghe, case e locali pubblici; alcune sale divennero la sede del fascio; tre locali furono usati per la sede delle sezioni combattentistiche e dei mutilati ed invalidi di guerra dal 1931. In tal modo il progetto per il nuovo Municipio svanì per sempre: esso doveva avere una fronte di trentatrè metri, un sotterraneo, un piano rialzato, un piano superiore, per un totale di trentasette locali; un progetto ambizioso redatto dall'ingegnere Mario Belloni di Milano. Ma gli uffici municipali in Castello diventavano ristretti, tanto più che il tetto del castello non era sempre in buone condizioni. Si pensò di ricuperare il vecchio Palazzo Municipale. Tuttavia occorreva una certa prudenza burocratica ed una sapienza estetica nella sistemazione, perchè dal 1912 il Palazzo Comunale era stato dichiarato di importante interesse artistico dalla Sovrintendenza ai Monumenti. Nel maggio del 1952 gli inquilini che abitavano nell'interno del Palazzo erano invitati ad uscire per lo stato di progressivo deperimento non senza contrasti. Le polemiche e gli interventi politici e sindacali ebbero termine quando fu dato il primo colpo di piccone per una generale ristrutturazione: botteghe ed appartamenti privati scomparvero nel 1959. Anche le sedi combattentistiche e la sede del Partito Comunista, concessa nel 1945, furono lasciate vuote. Il progetto della trasformazione del Palazzo fu presentato in Consiglio comunale nel 1964. Quattro anni dopo, il 17 gennaio 1968, la Giunta poteva approvare il certificato di collaudo dei lavori di completamento della nuova sede del Municipio. La spesa totale fu di 260 milioni. La chiesa di San Giovanni Battista La prima documentazione della nostra chiesa di San Giovanni risale all'anno 1398, anche se la tradizione, senza nessuna documentazione, la riporterebbe addirittura al quarto secolo dopo Cristo. Non essendo citata nell'elenco delle chiese del periodo precedente, si può pensare che essa fosse stata o costruita o rimaneggiata tra il 1200 ed il 1300. Il fatto di essere dedicata a San Giovanni Battista, un santo gradito molto ai Longobardi convertiti, potrebbe suggerire l'ipotesi che la chiesa fosse già esistente nei secoli VII e VIII, ma anche tale suggerimento non ha alla base un fondamento documentario. Fino al 1442, come diremo più avanti, la chiesa di San Giovanni non era prepositura ed aveva un solo sacerdote chiamato rettore della chiesa. Secondo l'uso del tempo questo sacerdote responsabile della chiesa era eletto dalla comunità melegnanese, e la sua elezione doveva essere approvata dal prevosto di San Giuliano, il quale interveniva a concedere l'ufficialità sia per la parte spirituale sia per i benefici materiali. Pare che il campanile fosse già innalzato alla fine del 1400 ed ulteriormente allungato nella metà del 1500. Il coro semicircolare fu un’imposizione dell'arcivescovo San Carlo Borromeo. Per il resto, anche dopo i restauri del 1600, sono ancora visibili i segni della primitiva costruzione gotica mediante gli archi a tutto sesto sia della navata centrale sia delle navate laterali. La facciata ritiene pochissimo della sua primitiva struttura, perchè fu più volte nei secoli rimaneggiata. Oggi si presenta in uno stile tardo gotico dovuto ai restauri del 1913. Comunque l'itinerario dei secoli, la forma attuale della chiesa sia l'interno sia l'esterno, il significato delle pitture, l'elenco dei preposti parroci, e la Festa del Perdono, sono diffusamente esposti in un libro di storia melegnanese dal titolo: La chiesa di San Giovanni, le sue forme e i suoi uomini, stampato nel 1979 per opera dell'autore di questo testo. Il Palazzo Brusati È situato in Via Mazzini e si presenta come un edificio tra i più antichi della città. Era una zona di proprietà dei Frati Disciplinati o Flagellanti che per secoli erano i custodi della chiesa di San Pietro. Con il tempo si è degradato ed oggi, dei porticati, dei saloni, delle gallerie, non rimane che la facciata. La sua struttura muraria e in cotto, a vista. Vi si aprono finestre ogivali che potrebbero essere quelle primitive con decorazioni in cotto. Si notano aperture posteriori, senza un ordine preciso, di diverso tipo. Non è possibile dare una data di costruzione. Il suo stile gotico lo riporterebbe al momento dello sviluppo dell'architettura civile in Lombardia, cioè al 1400; durante il 1400 in Lombardia ebbero sviluppo le forme architettoniche di carattere gotico, sia negli edifici sacri come in quelli non sacri. Comunque i Brusati erano di origine nobile e marchesi. Uno di loro, Cristoforo, fu eletto parroco di Melegnano alla fine del 1503, dopo la morte di Giovanni de Rancate. Da ricerche fatte sul luogo risulta che dopo i Frati Disciplinati vi abitò un sacerdote, poi un cantore lirico con tre sorelle, poi un ferroviere con famiglia, quindi Ferruccio Dezza proprietario della pila del riso, in seguito vi si stabilì la celebre famiglia dei pittori Martinenghi; poi rimase vuota per alcuni mesi, e successivamente vi entrò la famiglia di Luigi Opizzi. Ora vi abita la famiglia di Edoardo Grandi. La casa interna fu sistemata con criteri moderni. I pavimenti di mattoni furono sostituiti, le scale sono di sasso. Vi erano bei pavimenti ed un piccolo grazioso caminetto ora scomparso. In una sala vi è ancora un bel camino artistico antico che porta sull'architrave la scritta in latino Exitus acta probat che significa: il fine giustifica le azioni. Pare che in questa casa fosse venuto Giuseppe Garibaldi per salutare la famiglia del generale garibaldino melegnanese Giuseppe Dezza che ha partecipato alla spedizione dei Mille e a tutte le imprese di Garibaldi. La scultura Nella parete esterna destra della chiesa, nel giardinetto prima della casa del coadiutore vi sono due frammenti di scultura in pietra che rappresentano sant'Ambrogio e Sant’Antonio. Il primo è raffigurato frontalmente col pastorale in atto di benedire, il secondo, pure frontalmente, sta con il bastone e con il campanello. Inoltre vi è un frammento di scultura decorativa con motivo a fogliette. Pare che i due pezzi provengano dalla chiesa del 1400, ma si ignora l’ubicazione precedente. Le figure sono alquanto consunte ed i pezzi sono ridotti allo stato frammentario. E' un'opera di scarsi pregi artistici, di ignoto autore locale della seconda metà del 1400, eseguita con caratteri convenzionali e con rozza fattura popolaresca. La pittura Nella chiesa di San Giovanni, entrando nella prima cappella di destra troviamo un affresco nella volta della cappella. In posizione frontale c’è Cristo in gloria, in veste rossa e manto verde, che leva la sua mano destra in atto di benedire, mentre appoggia la sinistra su un libro con la scritta Ego sum lux (io sono la luce). L'affresco ora è molto rovinato, ma ai tempi della mia fanciullezza era assai più visibile. La critica, sia dopo il 1912 quando furono arrestati i processi di umidità e tolte le scrostature, sia quella più vicina a noi (Sovrintendenza ai Monumenti della Lombardia nel 1941) attribuisce quest'opera, definendola "notevole", ad un pittore ignoto della prima metà del secolo XV° con la presenza di caratteri e di tecnica provinciali e di elementi anatomici impacciati, di scuola prefoppesca (Vincenzo Foppa È un pittore morto nel 1515, e serve come riferimento). Un altro affresco antico si trova nella chiesa di San Rocco, e rappresenta la Madonna col Bambino, dipinto su muro ed incorporato nell'altare della parete di sinistra: pare un avanzo dell'antica chiesa e posto qui dopo la costruzione della nuova cappella la cui costruzione iniziò il 16 aprile 1709, e tale affresco era detto anche Madonna delle Grazie. La Vergine seduta, in posizione frontale, con veste damascata dorata e manto regge sul braccio sinistro il Bambino che essa allatta, e reclina il volto, allargando la mano destra. Essa con la mano sinistra presenta, pare, due figure di donatori appena percettibili. L'espressione della Vergine è di assorta religiosità, e l'opera mostra tarde reminiscenze giottesche e superstiti lineamenti gotici. La critica più recente ritiene che vi siano accenti della Scuola del pittore Bernardino Luini milanese (+1531). L'opera ha subito diversi ritocchi in modo rozzo ed alterato. Nella chiesa di Santa Maria dei Servi sta un affresco rappresentante la Madonna della rosa. Entro sfondo a baldacchino architettonico, la Vergine, seduta in posizione frontale, in veste rossa e manto damascato in oro, regge tra le braccia il Bambino in veste rossa e tiene nella mano una rosa. |
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