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Prodromi della battaglia di Marignano
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  Profilo di Francesco I°
Francesco I° salì al trono di Francia il 1° gennaio 1515 a 21 anni dopo la morte dello zio Luigi XII°. Discendeva dalla stirpe dei Valois, una stirpe di guerrieri, con grandi ambizioni, con ardore e coraggio in battaglia, talvolta imprudenti e bizzarri. A soli sei mesi dopo il suo avvento al trono, Francesco I° riprese la spedizione in Italia al punto in cui l’aveva lasciata suo zio Luigi XII°. Le strade dalla Francia all’Italia erano solo due e bisognava passare per i valichi del Monginevro e del Moncenisio, che erano fortemente difesi dai soldati svizzeri. Francesco I° seguì i consigli di un giovane ingegnere spagnolo che era ai suoi servizi. In soli cinque giorni si aprì una nuova strada per il colle dell’Argentera : fece saltare le rocce con cariche esplosive, si avventurò con le sue truppe su passaggi tra burroni, e fece rotolare lungo i sentieri alpini l’artiglieria pesante. In un attimo si sparse la notizia che l’armata francese dilagava nella pianura di Saluzzo. Al comando c’erano Francesco I°, il Balardo detto “cavaliere senza macchia e senza paura”, monsieur de la palisse, Robert de la Marck, il maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. Ventimila Svizzeri difendevano il ducato di Milano. Ma lo scontro avvenne tra Melegnano e Zivido di San Giuliano. Fu una battaglia assai sanguinosa che inaugurò il massacro e i forti confronti del ventennio che va dal 1515 al 1535. Francesco I° ebbe la vittoria. Il maresciallo Gian Giacomo Trivulzio esclamò che le diciotto battaglie a cui egli aveva partecipato, gli sembravano giochi da fanciullo in confronto di questa che gli era sembrata una battaglia di giganti. Questa è in sintesi la vicenda storica che parte da Francesco I° e arriva alla battaglia di Marignano detta di Giganti.
Il re Francesco I° di Francia
Lo storico Francesco  Guicciardini ci dà una descrizione di Francesco I° : “A Luigi duodecimo succedette Francesco monsignore di Anguelem, più prossimo a lui de’ maschi del sangue reale e della linea medesima de’ Duchi di Orliens ; preferito nella successione del regno alle figliuole del morto Re per la disposizione della legge Salica, legge antichissima del reame di Francia ; per la quale, mentre che della medesima linea vi sono maschi, si escludono della degnità reale le femmine. Delle virtù, della magnanimità, dello ingegno e spirito generoso di costui s’aveva universalmente tanta speranza che ciascuno confessava non essere, già per moltissimi anni, pervenuto alcuno con maggiore accettazione della grandissima, umanità somma con tutti e notizia piena di molte cose ; e soprattutto grato alla nobiltà, alla quale dimostrava sommo favore”. Lo storico contemporaneo Guido Gerosa, nel suo libro dal titolo Carlo V, un sovrano per due mondi, così descrive Francesco I° : “Francesco I° salì al trono di Francia esattamente il 1° gennaio 1515, a ventun anni, dopo la morte dello zio Luigi XII°. Questo nobile gentiluomo amava appassionatamente (racconta lo storico Wyndham lewis) la gloria, gli eserciti, le battaglie, le arti, la letteratura, i giochi, le cacce, le donne. Fu in questo senso uno dei più autentici figli della Rinascenza. Era molto bello da vedersi : grande, bruno, atletico, vigoroso, la fine gamba ben modellata dal calzare, il volto intelligente e astuto con quel naso lungo e quel sorriso affascinante che Tiziano ritrasse abbellendolo con infinita adulazione. Francesco era un vero Valois. Da quella magnifica stirpe di re cavalieri aveva derivato l’ambizione sfrenata, il violento appetito di avventure, l’energia, l’impeto, l’ardore e il coraggio in battaglia, l’imprudenza e la bizzarria”. Una lettera di Domenico Contarini, provveditore generale delle truppe veneziane, residente in Lodi, scritta da Lodi il giorno 11 settembre 1515 indirizzata al veneziano Zuan Antonio Dandolo. Ecco il testo : “Da poi, questa mattina, siamo stati nui proveditori a visitation del Christianissimo, tanto ben visti et acarezati quanto più desiderar non se potria ; et factoli le parole oportune, Sua Maestà fece risposta resoluta et prudentissima, sicome per la publice vedrete. Fusemo poi invitati dal grande contestabele a pranso. Non ne parse restar, et siamo ritornati qui per esser al campo nostro pre le provision debite de ponti et altro, ai quali se atende con diligentia, et maxime a far questo su Ada, che sii forte. El ditto Christianissimo è bellissimo Re, gentiluomo, gratiato molto et molto afabile, et faceto, savio et aloquente, dotato de la natura di costumi et de bellezza et sentimento grande. Ha un poco de prima barba : l’abito con scufia di seta negra in testa, con una bareta de lana in capo cinta di panachi negri sopra, con una figura ne la bareta et uno sajon di veluto negro con verge d’oro, el zipon de raso negro et d’oro a strisce sive liste, e una casima con il colara fino  a la gola soto el mento lavorato quatro deda de lavoro de filo bianco in tutta bellezza. Sua maestà, conclusive, ne ha ditto voler essere una medema cosa con nui, et ad una fortuna, et usate le più amorevol parole del mondo, et promesso de venir a Venezia ; siché possemo reposarci de la fede sua, et de speranza de ogni bene. El campo è bellissimo e potentissimo, et tutto si governa con gran fondamento. El signor Zuan Jacomo Triulzi è stato da nui visto, et molto siamo stati raccolti et honorati de sua signoria, quale se mantien molto ben. Li clarissimi oratori nostri hanno disnato meco questa matina ; quali tutti hanno bona cera. A vostra magnificentia me ricomando, et non posso scriverli per non haver modo a le mie voglie”. Domenico Contarini, di cui si è riportato qui sopra il testo della sua lettera, scriveva dal campo di Francesco I° : egli era accampato tra Mulazzano, Casalmaiocco (dove si trovava Francesco I°) e Sordio.
Gli svizzeri alla difesa del ducato di Milano
A difendere il ducato di Milano erano gli Svizzeri, soldati mercenari ; ma chi erano questi Svizzeri, e perché erano soldati mercenari ? Francesco Guicciardini, storico e uomo politico di Firenze (1483-1540) e ambasciatore di Firenze in Spagna dal 1512 al 1514, poi governatore a Modena, a Reggio Emilia e a Parma, scrittore di storia, in modo particolare dell’opera fondamentale Storia d’Italia, dove narra gli avvenimenti dal 1492 al 1534, ci lascia al libro decimo, capitolo ottavo della citata Storia d’Italia, la seguente descrizione sugli Svizzeri : “Sono i Svizzeri quegli medesimi che dagli antichi si chiamavano Elvezii, generazione che abita nelle montagne più alte di Giura, detta di San Claudio, in quelle di Briga e di San Gottardo, uomini per natura feroci, rusticani, e per la sterilità del paese più tosto pastori che agricoltori. Furono già dominati da’ Duchi d’Austria, da’ quali ribellatisi, già è grandissimo tempo, si reggono per loro medesimi, non facendo segno alcuno di ricognizione né agli Imperatori né ad altri principi. Sono divisi in tredici popolazioni (essi le chiamano Cantoni) ciascuno di questi si regge con magistrati, leggi e ordini propri. Fanno ogni anno, o più spesso secondo accade di bisogno, consulta delle cose universali, congregandosi nel luogo il quale, ora uno ora l’altro, eleggono i deputati da ciascuno Cantone : chiamano secondo l’uso di Germania, queste congregazioni, diete, nelle quali si delibera sopra le guerre, le paci, le confederazioni, sopra le dimande di chi fa instanza che gli sia conceduto, per decreto pubblico soldati o permesso a’ volontari di andarVi ; e sopra le cose attenenti allo interesse di tutti. Quando per pubblico decreto concedono soldati, eleggono i Cantoni medesimi tra loro uno capitano generale di tutti, al quale con le insegne e in nome pubblico si dà la bandiera. Ha fatto grande il nome di questa gente, tanto orrida e inculta, l’unione e la gloria dell’armi, con le quali, per la ferocia naturale e per la disciplina dell’ordinanze, non solamente hanno sempre valorosamente difeso il paese loro, ma esercitato fuori del paese la milizia con somma laude ; la quale sarebbe stata senza comparazione maggiore se l’avessino esercitata per lo imperio proprio e non agli stipendi e per propagare lo imperio degli altri, e se più generosi fini avessino avuto innanzi agli occhi che lo studio della pecunia, dall’amore della quale corrotti hanno perduta l’occasione di essere formidabili a tutta Italia, perché non uscendo dal paese se non come soldati mercenari non hanno riportato frutto pubblico delle vittorie, assuefattisi, per la cupidità del guadagno, a essere negli eserciti con taglie ingorde e nuove dimande, quasi intollerabili, e oltre a questo, nel conversare e nell’ubbidire a chi paga, molto fastidiosi e contumaci (= aggressivi). In casa, i principali non si astengono da ricevere doni e pensioni da’ principi per favorire e seguitare nelle consulte le parti loro ; per il che, riferendosi le cose pubbliche all’utilità private a fattisi vendibili e corruttibili, sono tra loro medesimi sottentrate le discordie ; donde, cominciandosi a non essere seguitato da tutti quel che nelle diete approvava la maggior parte dei Cantoni, sono ultimamente, pochi anni innanzi a questo tempo, venuti tra loro medesimi a manifesta guerra, con somma diminuzione dell’autorità che avevano per tutto. Più basse di queste sono alcune terre e villaggi chiamati Vallesi perché abitano nelle valli, inferiori molto di numero, di autorità pubblica e di virtù, perché a giudicio di tutti non sono feroci come i Svizzeri. E un’altra generazione più bassa di queste due, chiamonsi Grigioni, che si reggono per tre Cantoni, e però (= perciò) detti Signori delle Tre Leghe ; la terra principale del paese si dice Coira, sono spesso confederati de’ Svizzeri, e con loro insieme vanno alla guerra e si reggono quasi co’ medesimi ordini e costumi, anteposti all’armi a’ Vallesi ma non eguali a’ Svizzeri né di numero né di virtù (= valore)”. Lo stesso re di Francia, Luigi XII°, desiderando ancora nel 1512 ricuperare il ducato di Milano che aveva dovuto lasciare per l’impossibilità di governarlo con poche truppe, cercava in ogni modo di riconciliarsi con gli Svizzeri. Scrive ancora il Guicciardini : “Ma niuna cosa più premeva al Re di Francia che il desiderio di riconciliarsi i Svizzeri, conoscendo, da questo, dependere la vittoria certissima, per l’autorità grandissima che aveva allora quella nazione, per il terrore delle armi, e perché pareva che avessino cominciato a reggersi no più come soldati mercenari né come pastori ma vigilando come in Repubblica bene ordinata e come uomini nutriti nell’amministrazione degli Stati, gli andamenti delle cose, né permettendo si facesse movimento alcuno se non secondo l’arbitrio loro. Però (= perciò) concorrevano in Elvezia gli ambasciatori di tutti i Principi Cristiani ; il Pontefice e quasi tutti i potentati italiani pagavano annue pensioni per essere ricevuti nella loro confederazione, e avere facoltà di soldare per la difesa propria quando n’avessino bisogno soldati di quella nazione. Dalle quali cose insuperbiti e ricordandosi che coll’armi loro avea prima Carlo re di Francia conquassato lo stato felice d’Italia, e coll’armi loro Luigi suo successore aveva acquistato il ducato di Milano, recuperata Genova e vinti i Veneziani, procedevano con ciascuno imperiosamente e insolennemente” . Ancora il re francese Luigi XII°, per ricuperare il ducato di Milano difeso dagli Svizzeri, prometteva 150.000 ducati all’atto della consegna del ducato e dei castelli del ducato, e inoltre per venticinque anni avrebbe versato agli Svizzeri 40.000 ducati ogni anno, e mettendosi sotto la loro protezione : ma i Cantoni non ratificarono mai queste offerte. 
La realtà economica degli Svizzeri e il rapporto con le guerre in Italia
Fino alla metà del 1400 la Svizzera era in prevalenza un paese di piccoli agricoltori, di pastori, di piccoli artigiani. Nelle valli si coltivavano i cereali, il lino e la vite. Nelle cittadine sparse tra  i monti fiorivano alcune industrie : del lino, della lana, la concia delle pelli : ma tutte queste attività davano soltanto il necessario per vivere, e non la ricchezza. Le case dei poveri erano di legno e basse ; i mobili pochi e assai rustici ; il letto era un pagliericcio o una pelle di montone per terra ; l’abbigliamento personale era molto povero. Ciò che specialmente mancava erano i cereali, il cui raccolto era scarsissimo ; per questo era indispensabile disporre di denaro. Le guerre europee e nel periodo bellico che interessava Melegnano, si rilevarono un mezzo efficacissimo per ottenere denaro per il pane e il sale le due cose più preziose. Quindi all’industria della guerra vi si dedicarono i singoli cittadini e le varie associazioni di manipolatori degli arruolamenti. Ogni anno la popolazione in eccesso trovava impiego nel servizio militare mercenario, ossia sarà ceduta o si offrirà spontaneamente al miglior offerente. Anche le autorità politiche e amministrative di ogni Cantone si impegnavano a fornire i combattenti ai principi europei. Ad un certo momento, proprio nei primi decenni del 1500, i Cantoni trovano che è anche molto più utile fare una politica armata di conquista di regioni fertili e ricche : una di queste è proprio il ducato di Milano. Così la Svizzera diventa la professionista della guerra, perché esprime dal suo seno una classe di guerrieri scaltriti e diventa la nazione più guerriera d’Europa. La guerra, dunque, serviva ad arricchire il paese e a elevare il tenore di vita ; cioè era servita a strappare dalla povertà organica in cui allora era vissuta. I mercenari, reduci in patria, disponevano di denaro ed erano diventati più esigenti e più spenderecci ; i borghesi delle città erano diventati più ricchi e più amanti del lusso. Le industrie si intensificarono : armi da fuoco, lana, concerie si sviluppano con abbondanza. Ma il mutamento ha il suo terribile rovescio. L’agricoltura è abbandonata ; il grano che giunge dall’estero a buon mercato scaccia il grano coltivato nelle campagne circostanti, e i contadini poveri impoveriscono sempre di più. All’agricoltura subentrò la pastorizia, ma anche questa a poco a poco venne abbandonata in mano alle donne, rimaste in patria, che prima curavano soltanto l’allevamento dei figli. I legami familiari si rilassano ; il più austero e mite popolo d’Europa divenne amante del gioco di taverna, del bere smodato, del vizio ; incominciarono i furti e gli omicidi quotidiani. L’uguaglianza delle fortune di un tempo si era andata rompendo, e in qualche luogo si erano formate ricche oligarchie urbane, animate da spirito capitalistico, che sfruttavano non solo i territori europei assoggettati, ma anche i rustici abitanti del contado straniero. I Cantoni fornivano milizie ai principi per ottenere vantaggi commerciali fortissimi. Essi patteggiavano vite umane per avere in compenso esenzioni e immunità da pedaggi, tasse presenti e future, ed anche per ottenere che i loro affari esteri avessero libertà di andare, partire, restare, abitare, negoziare : subentrò ben presto il conflitto tra le classi : i contadini odiano i grassi borghesi delle città ; i soldati mercenari comuni che sono pagati assai meno dei loro ufficiali, o ufficiali che avevano sprecato i loro stipendi o che addirittura non erano stati pagati, si rivoltano contro i funzionari cantonali che li arruolano e li vendono. Ormai gli interessi e le simpatie dei veri Cantoni non concordano più fra loro circa la politica di aiuti esterni da seguire, e una parte della Confederazione entra in conflitto con l’altra : la guerra ha sconvolto anche la Svizzera e l’ha gettata in una crisi sociale e nazionale. Il sacerdote svizzero Ulrico Zuiglio (1484-1531) che seguì in qualità di cappellano militare le truppe svizzere fino alla battaglia di Marignano del 13-14 settembre 1515, e che fu uno dei fondatori del protestantesimo svizzero, disse che l’arricchimento degli svizzeri vendendo la loro persona era “una tentazione operata dal Maligno attraverso l’interposta persona dei principi stranieri” (in Eine gottliche Vermahung an die Aidegenossen, in Corpus Reformatorum, ed. Egli e Finsler, vol. 165 e ss.). 
I patti di Gallarate
L’otto settembre Francesco I° fece un tentativo per convincere gli Svizzeri alla pace, e chiese un incontro tra le due parti (francese e svizzera) per raggiungere un’intesa. I plenipotenziari delle due parti si incontrarono a Gallarate, in provincia di Varese e in concreto prospettarono un’intesa di pace con le seguenti clausole : Tra il re di Francia (Francesco I°) e la nazione svizzera si doveva firmare una “pace perpetua”, che doveva durare per tutta la vita di Francesco I° e per dieci anni dopo la sua morte. Gli Svizzeri dovevano restituire a Francesco I° il territorio dei Grigioni (oltre la Valtellina) e tutte le valli che essi avevano occupato e che precedentemente appartenevano al ducato di Milano. Il re Francesco I° doveva versare agli Svizzeri, ogni anno, 40.000 franchi come pensione. Il re di Francia doveva pagare lo stipendio di tre mesi a tutti gli uomini dell’esercito svizzero che erano in Lombardia o che erano in cammino verso la Lombardia. Il re di Francia avrebbe pagato ai Cantoni svizzeri, con comodità di tempo, 400.000 scudi che già erano stati promessi prima. Il re di Francia prometteva di tenere ai suoi ordini 4.000 Svizzeri. Il re Francese dava al duca di Milano la residenza in Francia nel ducato francese di Nemours, con una pensione annua di 12.000 ducati, con un piccolo esercito di 150 uomini a cavallo, e una moglie di sangue reale. I plenipotenziari si lasciarono nella più rosea speranza di poter mettere la firma a questo trattato, mentre Francesco I° si immaginava di poter occupare Milano senza battaglia, avendo anche saputo che a Piacenza vi erano le truppe alleate degli Svizzeri : imperiali e papalini. La notizia del trattato di Gallarate fu subito divulgata ai quattro venti e una certa atmosfera di soddisfazione stava entrando in tutti gli interessati, tranne nella fazione svizzera guidata da Matteo Schiner. Questo Schiner, cardinale di Sion, era riconosciuto come il capo delle milizie svizzere in Lombardia, e fu subito in contrasto con quei parlamentari politici che stavano conducendo a buon termine i patti discussi e prospettati a Gallarate. 
Lettera di sier Domenego Contarini proveditor zeneral, data in Lodi, a dì 10, hore 24, particular a sier Zuan Antonio Dandolo drizata.
Ogni dì ho fato intender a vostra magnificentia, per mie letere, quanto me ha parso expediente, et le ultime mie furono de heri da Crema. Questa sera ho avute le vostre, de 7, hore meza de note, e intesi le nove da Roma per relatione del Pontefice di l’acordo con sgiuzari, che in effetto è vero, sicome per le publice vostra magnificentia intenderà. El ducha de Milano sarà d’acordo anche lui, e se li darà per moglie una figlia che fo dil Valentino con stado dotale in Franza, et a questo modo sarà acordato il tutto senza sombater. Ozi matina, piantate le artelarie nostre mandate da Crema a la rocha di questa terra, et tirate poche bote per el signor Renzo, subito si reseno quelli che erano dentro a discretione, capo missier Hermes Visconte con alcuni altri di la factione gebelina che sono stà conduti a Crema. El campo nostro è alogiato qui apresso, et domatino se dia far uno ponte qui su Ada, et etiam se ne farà uno altro su Po ; che cussì ha ordinato il signor capitano nostro, quale è stato ozi da sua Maestà Christianissima, tanto ben visto che nihil supra. Nui, domatina andamo a far riverentia a Sua Maestà, et subito ritorneremo al campo. El Christianissimo, con lo exercito suo, che se dice esser fin hora da........milia persone ; el più bello che fusse mai visto, è a Marignano miglia 10 distante de qui. Siamo tutti ben visti et molto acharezati da’ francesi ; et hora monsignor di la Cleta, che è qui con 100 lanze, acui ho tocato la mano, me ha dito : “ Vui anderete dal Re che vi vedrà assa’ volentieri, per esser grandissimo pertesan del Stato vostro”. Questo povero Lodi è stà mal tractato et schizato dala gente dil Papa e sguizari. Me racomando et spero che presto retorneremo con la consumata victoria et recuperatione del Stato nostro a casa.
Copia di una lettera di Marco Antonio Contarini figlio di Carlo, veneziano, diretta al fratello Battista, data il 9 settembre, ore 24, a Vidigulfo sulle trattative a Gallarate.
In questa hora zonti qui, che ozi semo deslozati do volte per diversi prespecti. El Re havia deliberato questa note andar di persona con undece cento lanze et 10 millia fanti a trovar spagnoli, fo dito erano in Lodi. Zonse a meza note nova certa come passavano Po, sichè nulla fo fato. Questa matina poi zonse la certezza de l’apontamento seguito con sguizari, per el qual rendeno tutti i lochi il qual svizari tenivano del duchato di Milano, excpeto Belenzona, e li danno tutte le forteze, et quelle de Milan et Cremona libere in man del Roy, et a l’incontro la Maesta Christianissima li ha promesso una grandissima summa de danari, chi dize 800 millia, chi 600 millia scudi, et resto in tempi, et dà a Maximiliano Sforza ducha de Milan una ducea in Franza, qual si chiama Nemurs, et volendo maridarse, se obliga darli una del sangue e pension ducati 10 millia a l’anno, e li dà lanze 100 e promete lassario in libertà. A l’incontro, sguizari prometeno ch’el ditto Maximiliano retificherà e sarà contento di quanto è fatto per loro sguizari. Se crede doman o poi doman sarà qui in campo ; sichè per Franza la guera è finida, e chi non etenderà ai fatti soi, sarà so dano. De l’intrar nostro in Milan, non si sa ancora altro ; doman se delibererà el tutto. Desidero star qualche zorno a Milano per reposar, che veramente ne ho bisogno, et quanto più presto potrò, hessendo la via secura, che certo non li sarà più dubito algun, e che Mantoa e Ferrara se vegnirano recomandar : breviter secondo anderà el mondo, cussì me governarò. Non altro, voglio andar a dormir. Lettera di sier Marco Antonio Contarini de sier Carlo, data in Marignano, a dì 10 Septembrio 1516, drizata a sier Maphio Lion. El modo de questo benedeto apontamento, o vero o fento ch’el sia, lo scrissi heri a mio fradello. A ti non te lo scrissi, perché non mi fu concesso far mazo ; hogi te scrivo a ti et non a lui per la istessa causa, et cussì me scuserai con lui. Mai fu el più vergognoso apontamento : tamen ge per a costor tochar le stelle, et non è anchor seguito. Hozi li hanno mandato i scudi 160 millia ; non sanno se li acetano et consegnano le forteze segondo i patti. Sta guerra si ha per finita ; altro non se aspetta ; per tutto doman saremo o dentro o fuori, et segondo se intenderà, cussì etiam io mi governarò. Nella lettera del giorno 10 settembre, scritta dai provveditori generali dei Veneziani a Lodi si legge che : “si inscrontono essi proveditori nel capitaniozenearal, qual andò dal re con 4 cavalli, et era ritornato, e li disse di boca dil Christianissimo di acordo fato con sguizari in 800 millia ducati in 4 anni, e li havea mandato de praesenti scudi 120 milia. Il segretario di Gian Giacomo Trivulzio, di nome Costanzo, scrive al vescovo Triulzi di Asti, rappresentante del re a Venezia ; la lettera è data “in campo regio a Marignan a di 11”. Si scusa non li poter mandar li danari, perché l’acordo fato con sguizari, il Christianissimo re havea tolto i danari, l’avea potuto trovar dil campo per mandar scudi 120 millia ai sguizari, alozati però nel Barco apresso il castello. Francesco I° e il suo generale vivevano nell’euforia di una ormai quasi certa conquista del ducato di Milano in modo pacifico ; si avverava il grande sogno, già diverse volte vissuto, di essere a Milano come in casa propria legittimamente, come discendenza di Valentina Visconti che era citata nel testamento di suo padre, il duca Gian Galeazzo mentre si spegnava a Melegnano nel 1402. Ma la felicità di Francesco I° e del suo quartiere generale non era del tutto piena. Francesco I° sapeva perfettamente di avere grossi nemici tra loro insieme collegati, con una lega militare già costituita sette mesi prima (il 16 febbraio 1515) tra il papa Leone X, il futuro imperatore Carlo V°, rappresentato in Italia dal vicerè Raimondo di Cardona, la Spagna con Ferdinando d’Aragona, i Cantoni Elvetici rappresentati a Milano dal cardinale Matteo Schiner rappresentante supremo della politica svizzera a Milano, e il duca di Milano Massimiliano Sforza. Francesco I°, davanti a questa coalizione, evidentemente costituita contro di lui, effettuò un sua alleanza con i Veneziani il 5 aprile 1515 a Blois in Francia. Ma ecco che i suoi nemici collegati, conoscendo apertamente le intenzioni di Francesco I sulla Lombardia e in particolare su Milano, nella prima estate avevano fatto scendere in Lombardia ben 12.000 Svizzeri : in tal modo tutti, amici e nemici erano in forte tensione, fino a quando si diffuse la voce del Trattato di Gallarate. Ancora il giorno 10, lunedì, tutti i rapporti politici stesi dagli ambasciatori davano come certa la notizia della pace. Abbiamo letto poco fa un brano della lettera dei provveditori veneziani scritta il giorno 10 settembre, dove si dice che il capitano generale veneziano , che era Bartolomeo d’Alvino, aveva incontrato Francesco I° il quale gli aveva riferito “di accordo fato con sguizari...”. Ancora il giorno 11, martedì, abbiamo visto che il segretario di Gian Giacomo Trivulzio, Costanzo, dice che il re Francesco I° non può mandare i soldi per le truppe veneziane, perché aveva mandato 120.000 scudi agli Svizzeri per l’accordo. Questa lettera è stata scritta “in campo regio a Marignan a dì 11” ; quindi Francesco I° il martedì 11 settembre 1515 aveva già portato il suo esercito tra Melegnano e San Giuliano, in attesa di poter entrare in Milano pacificamente. Ma in poche ore gli avvenimenti precipitarono in senso contrario. Il Trattato di Gallarate non piacque al capo delle milizie svizzere in Lombardia, che era il cardinale Matteo Schiner ; non piacque a quei mercenari svizzeri avidi di bottino ; non piacque a quegli Svizzeri che ritenevano un tradimento consegnare il duca ai Francesi. Vinse la tesi di Schiner : bisognava combattere. Egli stesso tenne un focoso discorso interventista. Il Trattato di Gallarate in poche ore fu reso vano.
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