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La peste a Melegnano - 1576 e 1630 Il disastro melegnanese a Staffarda
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La
peste a Melegnano - 1576 e 1630
Lo spostamento degli eserciti, saccheggi, la povertà e la mancanza di possibilità igieniche facevano scoppiare molte malattie, tra queste una delle più mortali era la peste. Era una malattia infettiva e contagiosa dovuta ad un microrganismo specifico. Nella storia del genere umano, oltre alla peste che colpiva piccole comunità, si ricordano quelle famose del periodo ateniese nel 43~429 e narrata dallo storico Tucidide, quella che ha decimato i bovini e ricordata da Virgilio nel terzo libro delle Georgiche e quella descritta da Giovanni Boccaccio del 1348. Nel secolo XVI già la peste circolava qua e là. Verso il 1575 vi erano alcuni casi a Monza, ma tenuti nascosti. Comunque la peste veniva da lontano su un itinerario che partiva dall’Ungheria e che passava per le strade del commercio del Trentino e della Svizzera, dell’Alto Novarese e di Voghera. Da Trento la peste comparve a Verona, poi a Padova, a Venezia e a Mantova. Quindi fu portata attraverso la strada mantovana che collegava Mantova-Melegnano, da Melegnano doveva entrare anche in Milano. Il 27 luglio da alcuni viaggiatori mantovani il morbo “fu divulgato per Milano, a mezzo il borgo di Rancate, in casa di M. che aveva alloggiato un suo M... che era oste dell’Osteria del Falcone in Melegnano, che aveva portato la peste in Milano”. E la peste colpì dapprima gli abitanti del borgo degli Ortolani in Milano. Tutti i nobili, i capi politici e parecchie autorità governative scapparono lontano. L’arcivescovo San Carlo, che era a Melegnano di passaggio per andare a Lodi dove il vescovo Scarampo stava morendo, fu avvisato del terribile male capitato in città; e, saputo che il vescovo lodigiano era morto, ritornò in Milano dove si prodigò con infinite cure fino a vendere tutti i suoi beni in favore degli assistiti: per questo fu anche detta la peste di San Carlo. A Melegnano fu inviato il senatore Gerolamo Monti perché approntasse i provvedimenti di emergenza. Egli diede ordini severissimi: Melegnano fu isolata e le strade controllate. Gli esercenti, specialmente gli osti e gli albergatori, dovevano richiedere il certificato sanitario di sana costituzione dei loro clienti. L’Osteria del Falcone fu chiusa con assi di legno, tutto fu bruciato, le persone del cortile furono allontanate, e da allora non fu più, forse, un’osteria come una volta. Il Tribunale di Sanità di Milano, per mezzo del commissario straordinario Monti, fece costruire in Melegnano un lazzaretto capace di cinquanta capanne di legno nella zona della Madonnina di Sarmazzano. Furono inviati da Milano medici, barbieri, carpentieri, manovali. Le prime cure, oltre a infusi di erbe, furono i salassi, le purghe ed i clisteri. Controllata severamente fu la circolazione dei cittadini. Fu proibito il vagabondaggio degli accattoni e dei girovaghi. I sani e quelli in forze furono avviati ai lavori del trasporto, delle pulizie, dei servizi di prima necessità. Al tempo di questa peste fu eretta in Melegnano la Crocetta di San Carlo per la celebrazione all’aperto dei riti propiziatori. Ancora oggi ne rimane il nome e la colonna in una piazzetta. L’eco della gravità di questa peste in Melegnano ci perviene da una relazione inviata dalla comunità di Melegnano, firmata dal presidente Monti, al Tribunale sanitario di Milano dove si dice che “Sono informate le S. V. Illustri delli gravissimi danni, e disagi patiti, e che di presente patiscono la comunità, et uomeni della terra di Melegnano fid. serv. delle S. V. Ill. per l’infortunio gli è occorso di mal contagioso, e pestifero, per la cui causa sì in generale, che in particolare sono stati gravemente afflitti parte di loro sendo posti fuori alle gabbane (essendo infermieri per gli appestati e che indossavano, quindi, la gabbana, una camicia da ospedale), altri serrati nelle loro case, et altri nella terra sopraseduti da ogni sorta di negozi, anzi privi di non poter curare i fatti suoi, sendo serrata tutta la terra con grandissime guardie...”. In questa relazione si legge che fu inviato a Melegnano un ispettore della sanità di Milano; fu scelto un commissario per il coordinamento e le forniture necessarie, il quale poi assoldò altri collaboratori, servitori, vivandieri, mentre i monatti furono inviati da Milano. La cura degli appestati pesò molto sulle finanze melegnanesi; le spese per le operazioni ordinarie e straordinarie erano altissime. Gli amministratori melegnanesi tentarono ogni sforzo per pagare la lista fiscale preparata dal commissario, ma essi osservavano alle autorità superiori che “difiicil cosa è il scoder denari in quella povera terra, et i suoi borghi, et altri luoghi circonvicini”. Tutta la relazione porta la data del 20 settembre 1576. La seconda peste, quella del 1630, fu causata ancora dalle invasioni e dagli assedi. I Lanzichenecchi che assediavano Mantova vi portarono di nuovo la terribile malattia nell’autunno del 1629. Molti luoghi vicini a Melegnano videro il passaggio, la permanenza ed il saccheggio di quelle spietate milizie: Lodi, Mairago, Camairago, Terranova de’ Passerini, Turano, Codogno, Maleo, Casalpusterlengo, Pandino, Zelobuonpersico, Paullo. La peste, scoppiata a Mantova, entrò anche nel Milanese e colpì pure Melegnano. Uno storico affermava: « La grossa borgata di Melegnano fu colpita dalla peste in misura notevole » e questa notizia e confermata anche dalle statistiche locali. In mancanza del registro dei morti, ci soccorre il registro dei nati e dei matrimoni. Nel periodo precedente alla peste si notano, per il 1626, numero 176 nati; 1627, 179 nati; 1628, 175 nati. Il numero cala paurosamente dal maggio 1629, nel quale anno vi sono 96 nati mentre il periodo più scarso è tra i mesi di giugno 1629 e giugno 1630. Il numero aumenta nel 1630 con 155 nati. Ma le conseguenze della peste si prolungano nella demografia perché nell’anno 1631 vi sono 140 nati e nel 1632 ve ne sono 141, ormai al di sotto della media degli anni precedenti al flagello. Naturalmente furono presi i soliti provvedimenti per arginare il contagio: chiusura o stretto controllo alle porte del paese, selezione dei viveri, abbruciamento dei vestiti infetti, uccisione di cani e di gatti ritenuti come i veicoli di infezione. L’ospedale dei Pellegrini, accanto alla chiesa di San Pietro, accolse i colpiti dal morbo perché era attrezzato per i ricoveri degli ammalati già da tempo. Nella chiesa di San Pietro si raccoglieva il popolo per le funzioni speciali contro la peste. Nell’aprile 1631 cessarono gli ultimi casi di peste anche a Melegnano e la vita riprese normalmente. Il voto dei Melegnanesi Durante la peste del 1630 la Comunità di Melegnano, per mezzo del prevosto Massimiliano Pusterla e dei deputati comunali, fece un solenne voto di speciali riti religiosi annuali in perpetuo se Melegnano fosse stata salva da tante perdite umane. Il 18 giugno 1630 il Comune di Melegnano, con il concorso della popolazione, ordinò dieci quadri raffiguranti la vita di San Giovanni Battista, i quali venivano esposti sotto le arcate della chiesa nelle feste del santo protettore. Alcuni di questi quadri sono nella chiesa di San Giovanni, altri nella chiesa di San Pietro. Il voto di speciali solenni riti fu rinnovato il 28 agosto 1708, festa della Decollazione di San Giovanni Battista. Ogni anno, quindi, la quarta domenica di agosto, oltre ad essere una delle feste patronali della parrocchia, è anche la festa commemorativa del voto del 1630 e del 1708. E’ in tale occasione in cui si brucia, in chiesa, prima della messa solenne, un globo di bambagia e di carta ben confezionato nei colori e nell’eleganza, per una specie di ricordo ai valori spirituali su quelli materiali: il celebrante, difatti, accingendosi a bruciare il globo, dice in latino: « sic transit gloria mundi », cioè: così passa la gloria del mondo. La gente, i vecchi, i bambini accorrono in chiesa per assistere allo spettacolo curioso. E noi, nella nostra prima infanzia, sentivamo gli anziani che dicevano: « A San Giuàn se brùsa el balòn », a San Giovanni si brucia il pallone. Questi ricorsi alla devozione del santo protettore di Melegnano dovevano essere più sentiti, in un secolo che, purtroppo, non mancava di momenti terribili dovuti alle tensioni politiche che sfociavano facilmente in conflitti aperti. Melegnano saccheggiata L’antica rivalità tra Francia e Spagna, sempre viva e sempre pronta ad esplodere, scoppiò ancora una volta verso la metà del secolo. Da tempo la Francia si faceva sempre più invadente in Italia e suscitava alla Spagna difficoltà da ogni parte. Si maturava un terribile confronto diretto. La Francia era riuscita a formarsi una lega con la Savoia, Modena, Parma ed i congiurati di Napoli: si voleva la sollevazione generale dell’Italia e la riconquista del Milanese. L’abile e spregiudicata politica di Richelieu aveva ridato fiducia e tracotanza alla Francia di Luigi XIV. La Spagna, per anticipare l’iniziativa francese, ordinò al duca di Modena di disarmare il suo esercito e di consegnare le piazzeforti. Questi si rifiutò e fu la guerra. Nel 1655 il duca di Modena invase la Lombardia e puntò su Melegnano. Il nostro marchese, Gian Giacomo III, che militava nelle file della Spagna come capitano di fanteria nel reggimento spagnolo Borromeo, si chiuse in castello, reclutò tutti i melegnanesi atti alle armi e si preparò all’assedio ed a respingere i nemici. Ma i Francesi rimasero in Melegnano soltanto poche ore. L’anno dopo, 1656, nel mese di maggio i Francesi attaccarono in forze Melegnano perché era un avamposto spagnolo. Chi poté si salvò in castello, altri melegnanesi fuggirono nei campi e trovarono rifugio nelle cascine più remote. Le truppe francesi saccheggiarono il paese, rubarono ogni bene possibile, spaventarono i rimasti, incendiarono qua e là gli edifici. Bruciò lungamente un grosso caseggiato che sorgeva nell’attuale via Marsala accanto alla chiesa di San Giacomo. Le operazioni militari continuarono rabbiose per circa due anni, con alterne vicende intorno a Milano. Nel luglio 1658 il nemico passò con il suo esercito a Cassano il fiume Adda ed era nuovamente a Melegnano, dove si fermò tre giorni. Poi, finalmente, venne l’armistizio e la pace, non senza gravi contrasti diplomatici. Ma la pace fu precaria: i contendenti miravano al predominio europeo, ed ogni conflitto coinvolgeva i territori sotto la Spagna, come la Lombardia che erano in pericolo o che dovevano inviare soldati al fronte. Il disastro melegnanese a Staffarda Verso la fine del 1600 il sovrano di Francia, Luigi XIV, diventava sempre più prepotente, dopo una serie di azioni politiche e soprattutto militari per espandersi in Europa. Contemporaneamente la Spagna era in declino politico impressionante, e la Francia poteva affermare di aver rotto l’accerchiamento che era durato oltre un secolo. Luigi XIV premeva sul Piemonte perché Vittorio Amedeo dovesse sterminare gli eretici valdesi, ma il reggente di Savoia sapeva bene che la persecuzione contro i Valdesi gli inimicava l’Europa protestante ed era un affare pericoloso dal punto di vista sociale e politico interno al Piemonte. Contro la Francia si formò la Lega di Augusta (Impero, Spagna, Olanda, Inghilterra) manovrata dalla Spagna che prendeva tutte le precauzioni per non finire sotto l’egemonia nascente della Francia. Di conseguenza tutti i territori occupati dalla Spagna, come il Milanese e quindi anche Melegnano, dovevano inviare truppe nel caso di una guerra contro la Francia. La guerra, difatti, scoppiò. Il territorio direttamente interessato fu il Piemonte. Il duca Vittorio Amedeo offerse la sua alleanza alla Francia, pretendendo in cambio alcuni territori del Milanese. Il re di Francia, Luigi XIV, volle come garanzia dei patti i castelli di Verrua e di Torino; ma questa proposta era inaccettabile: il Piemonte già aveva nel suo seno le fortezze francesi di Pinerolo e di Casale Monferrato. Sarebbe stato troppo inopportuno cedere anche Verrua e Torino. Quindi il duca Vittorio Amedeo si staccò dalla Francia e si unì alla Lega di Augusta. Giugno 1690. Il reclutamento delle truppe avveniva attraverso i capitani che militavano nell’armata spagnola. Il marchese Giuseppe Medici di Melegnano si portò parecchi melegnanesi come soldati di truppa, avendo ricevuto l’ordine di reclutare tutti gli uomini atti alle armi in Melegnano e fuori Melegnano, per la partecipazione diretta alla guerra. A Melegnano vi era una compagnia di soldati dell’esercito al servizio della Spagna; la compagnia era una parte del reggimento Borromeo; il reggimento Borromeo aveva undici stendardi, uno dei quali era quello di Melegnano e già lo troviamo descritto nel 1673 come stemma comunale: uno scudo troncato in fascia, rosso nella parte superiore, e nella parte inferiore vi è una croce su globo nero in campo bianco. I Melegnanesi, inseriti nel reggimento Borromeo, andarono in Piemonte dove si trovava il fronte di guerra al servizio della Lega di Augusta contro i Francesi, in appoggio al duca di Savoia. Il 18 agosto 1690 nei pressi di Staffarda, in provincia di Cuneo, avvenne il terribile scontro. I Francesi erano guidati da un abile generale, Nicolas de Catinat, che era in marcia dal Piemonte meridionale su Torino. Da tutte le due parti si combatté accanitamente, ma le schiere della Lega di Augusta rimasero in definitiva battute: anche gli uomini di Melegnano subirono una grave disfatta con parecchi morti e feriti. Molte famiglie melegnanesi piansero il padre, il marito, il figlio. Fu tale l’impressione per questa disgrazia bellica che il governatore milanese accordò a Melegnano di non prendere più le armi. Comunque questa fu una disposizione che durò soltanto due anni, perché ancora nel 1692-93 diversi melegnanesi partirono per il fronte, e soltanto una terribile carestia fermò la guerra per una tregua tra Francia e Spagna. Ma ritorniamo tra le nostre mura domestiche per considerare la situazione economica di casa melegnanese. |
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