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La situazione ecclesiastica e religiosa
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L’economia
melegnanese
L’epoca spagnola segnò un momento di tensione e di crisi in diversi settori, anche nell’agricoltura. A Milano nel 1688 il Senato in una sessione presentò un quadro drammatico che riassume la situazione dello Stato lombardo: « iamdiu intermissus agri cultus multis in locis nondum reperitur; incolae, profugi, abiecta omni spe melioris fortunae, in alienas regiones transmigrant», il che significa: ormai in molti luoghi è stato abbandonato il lavoro nei campi; gli abitanti dei campi, disperati di poter migliorare la loro condizione, se ne vanno emigrando in altre zone. Tuttavia nella Bassa milanese erano in forte espansione le risaie, ed il mais incominciava a penetrare. Il Melegnanese non risentiva della crisi che stava investendo altre parti della Lombardia. Anzi, questa nostra zona divenne un rifugio dalla città impoverita e resa squallida, come in occasione della famosa carestia del 1630 in Milano. La testimonianza dei registri dei matrimoni, dei nati e dei morti è eloquente per Melegnano: gli abitanti rurali sono assai numerosi e parecchie famiglie risultano fisse per molti anni nella medesima località di campagna. Nel biennio che va dal settembre 1603 al 1605 (come prime pagine del quarto registro dei battesimi) avvennero 275 battesimi di cui 158 per i bambini nati in Melegnano e 117 per i bambini nati nelle frazioni rurali che erano nella cura pastorale della chiesa di San Giovanni Battista e nella quale si portavano i figli per il battesimo, con questa statistica: Riozzo 18, Fornaci di Riozzo 10, Giardino 5, Mezzano 11, Pedriano 14, Cattanea 1, Martina 1, Vizzolo 17, Calvenzano 2, Legorina 2, Sarmazzano 2, Bernarda 1, Cassina detta Griona 2, Montebuono 2, Colturano 17, Cabiano di Colturano 2, Maiocca 1, Rampina 1, Rocca 2, Santa Brera 3, Molinazzo 3. Questo sta a dire che il 42,5% dei nati proveniva dalle frazioni agricole che erano intorno a Melegnano. Un punto forte dell’economia melegnanese era il mercato e Filippo II, nel 1556, appena salito al potere, riconfermò la facoltà di svolgere il mercato al giovedì, assegnando al marchese Gian Giacomo le prerogative, le licenze, i privilegi, le immunità e le esenzioni così come erano state attribuite ai mercati di San Fiorano e di Codogno. Quelli che venivano a comperare ed a vendere, insieme con i loro animali e con le merci di qualunque specie, sia che entrassero in Melegnano sia che uscissero, stavano sotto la protezione di speciali leggi del ducato di Milano: erano liberi ed esenti da restrizioni e da ogni costrizione. Non potevano essere trattenuti o arrestati se pendeva su di loro qualche denuncia di reato o se fossero insolventi nei debiti. Tuttavia alcune categorie non godevano delle libertà di movimento: i falsari di monete, coloro che lordavano le vie, gli eretici, i rei di lesa maestà, i banditi ricercati, quelli ai quali era stato imposto il domicilio coatto. Tutti costoro potevano essere arrestati. Una speciale menzione si faceva per i cereali, per i luoghi di provenienza e per i luoghi di vendita: potevano trasportarsi in Melegnano da qualunque parte, esclusi i paesi che erano nel raggio di sei chilometri da Milano. Si potevano portare dal mercato di Melegnano verso qualunque paese che gravitava nel territorio della città di Milano; ma verso le altre città (Lodi, Crema, Pavia) i cereali non potevano essere venduti oltre dodici chilometri. Nell’editto si davano severe disposizioni ai responsabili del governo perché gli ordini del sovrano fossero eseguiti alla lettera. Nel settore commerciale, la pesatura delle merci era controllata dal Comune mediante la verifica fiscale delle pese, stadere e misure che si usavano per le varie merci, tra cui principalmente lino, seta, formaggi, frutta, cereali, semi di lino ed altre merci di consumo generale. L’uso delle pese, stadere e misure varie doveva sottostare ad un controllo pubblico che era esercitato da speciali agenti dipendenti dal Comune o che avessero ricevuto in affitto questo tipo di controllo o di riscossione che ne derivava come una forma di dazio. Il 6 febbraio 1655 il Comune aveva ottenuto il rinnovo del privilegio fiscale sulla pesatura. Inoltre aveva ottenuto anche lo ius prohibendi, il diritto di proibire l’uso di pese, stadere, pesi e misure in modo indiscriminato fuori da ogni controllo, senza licenza pubblica comunale. In seguito ad abusi il magistrato delle regie ducali entrate straordinarie dello Stato di Milano, su richiesta degli assessori comunali, emanò una grida (il tipico provvedimento emanato dal governo spagnolo a Milano) « con la quale prohibisce, et comanda a qualsivoglia persona di qualsiuoglia stato, et conditione si sia, che per l’avenire non ardisca sotto alcun pretesto di usare, ne seruirsi di stadere, pese, et misure di qualsiuoglia sorte in detta communità di Melegnano in ogni tempo senza licenza in scritto degli agenti, et deputati d’essa, o suo impresaro, sotto pena della perdita d’esse, et ancora di scuti cinquanta d’esser applicati per una parte all’accusatore, a quale con l’attestazione d’un testimonio degno di fede si darà piena fede, et volendo sarà tenuto secreto, et per gl’altri duoi terzi al Regio Fisco». Tale grida doveva essere resa pubblica con l’affissione nei luoghi più evidenti ed usuali. Il podestà, come delegato del magistrato, doveva accettare le accuse, agire contro i trasgressori con tempestività, inviando le accuse stesse al magistrato milanese. Questa grida venne emanata il 16 gennaio 1657. Ancora nel settore commerciale bisogna ricordare che a Melegnano esistevano depositi della paglia e del fieno per assicurare il rifornimento dei cavalli alle truppe che erano di passaggio. Melegnano era un luogo obbligato di frequente ed intenso passaggio militare. Vi era il quartiere militare ed il deposito militare. Era, dunque, necessario un continuo commercio di generi necessari ai militari ed alle cavalcature, un commercio che interessava direttamente le nostre cascine produttrici del fabbisogno richiesto in Melegnano. Nel settore industriale ed artigianale tutta l’attività era diretta alla richiesta del mercato del giovedì e della Fiera del Perdono alla quale, già in una documentazione del 1616, « accorre immensa folla ». Inoltre vi era una fabbrica per le confezioni di articoli di cuoio in modo particolare di calzature per il rifornimento all’esercito spagnolo. Tuttavia le primarie e plurime attività della gente melegnanese, occupata in diversi settori dell’agricoltura, industria e commercio, erano accanto e inserite con le manifestazioni di natura ecclesiastica e religiosa, come stiamo per dire. La situazione ecclesiastica e religiosa Già abbiamo detto che il Cristianesimo si diffuse nella nostra zona in età molto antica, forse appena dopo le persecuzioni e l’Editto di Costantino del 313. Poi si costituirono le Pievi, cioè le circoscrizioni ecclesiastiche minori: una di queste fu San Giuliano in Strada (oggi San Giuliano Milanese). Melegnano fu dipendente dalla pieve di San Giuliano fino al periodo di San Carlo Borromeo. Pure fino a questo periodo fu esercitato da parte di alcune nobili famiglie melegnanesi e da parte di sei cittadini, che presiedevano agli affari pubblici, il diritto di patronato ecclesiastico, cioè il diritto, alla morte di un prevosto della chiesa di San Giovanni, di presentare un nuovo successore da loro scelto come idoneo. Le più importanti novità furono al tempo, lo ripetiamo, di San Carlo Borromeo, entrato in Milano come arcivescovo il 23 settembre 1565. Due avvenimenti interessarono direttamente Melegnano: l’elevazione di Melegnano a capo della pieve e le visite pastorali. Melegnano cessò di essere sotto la pieve di San Giuliano e divenne capo di pieve, inserita nella regione sesta che comprendeva questi capi di pieve: Vicomercatum, Trivilum, Sforzatica, Vaprium, Gorgonzola, Meltium, Septala, Chignolum, Melegnanum, Sancti Iuliani, Locatum, Sancti Donati, Segratum. La prima visita pastorale di San Carlo fu nel 1567 quando ordinò importanti riforme ecclesiastiche riguardanti il clero, la parrocchia e la chiesa di San Giovanni Battista, tra cui l’ordinamento dell’archivio parrocchiale. In quell’occasione San Carlo staccò Mezzano e Pedriano dalla prepositura di San Giuliano e furono aggregati alla prepositura di San Giovanni di Melegnano la quale comprendeva le seguenti chiese: chiesa prepositurale di San Giovanni Battista (altar maggiore con la Scuola del SS. Sacramento, cappella della Purificazione della Beata Vergine, cappella di Sant’Antonio, altare di San Pietro martire, altare dei Santi Nabore e Felice, altare della Concezione con la Scuola della Concezione, altare di Sant’Ambrogio, chiesa di San Pietro con la Scuola dei Santi Pietro e Biagio (altare maggiore, altare di Santa Maria, altare del Santo Sepolcro), Oratorio dell’Assunzione nel Castello di Melegnano, chiesa di San Rocco nel borgo delle Fornaci (altare maggiore, due altari sotto il portico davanti alla chiesa), chiesa di San Materno, chiesa di San Biagio, chiesa di Santa Brigida a Santa Brera, chiesa della Natività della Vergine alla Rocca Brivio, chiesa di San Rocco a Riozzo, chiesa di San Pietro e Paolo a Vizzolo (tre altari), chiesa dei Santi Protaso e Gervasio a Sarmazzano, chiesa di Santa Maria in Calvenzano (quattro altari), chiesa di Sant’Antonio a Colturano (tre altari), chiesa di San Michele in Pedriano (tre altari), chiesa di Santa Maria della Neve in Mezzano. Verso la fine del 1500, in Melegnano l’anno 1579 vi erano quattro conventi di frati: quello dei Cappuccini, capace di 12 frati ed abitato da 9 frati (5 sacerdoti e 4 laici); quello dei Carmelitani, capace di 15 frati ed abitato da 7 frati (5 sacerdoti e 2 laici); quello dei Servi di Maria, capace di 12 frati ed abitato da 4 frati (2 sacerdoti e 2 laici); quello di Santa Maria della Misericordia (capace di 25 frati ed abitato da 10 frati (7 sacerdoti e 3 laici). Il convento delle Suore Orsoline, molto ampio e fiorente in via Cavour angolo Via Trento e Trieste, capace di circa 25 suore. Il ricordo dei conventi, tutti scomparsi tra la fine del 1700 ed i primi del 1800, è ormai molto vago e fra qualche generazione si perderà del tutto. Restano soltanto alcuni nomi di vie o di zone melegnanesi: San Francesco, A bass i mùneg, le mura e qualche locale del convento dei Servi in un cortile di via San Martino, il cortiletto della chiesa del Carmine, una vecchia mura in via San Francesco con un affresco di Crocifisso. Anche Melegnano, quindi, era inserita nel grande sviluppo religioso del tempo. Basti pensare che alla metà del 1600 nelle 67 pievi che gravitavano attorno a Milano vi erano 226 chiese, 30 conventi di frati, 34 conventi di monache e 2200 sacerdoti. Le istituzioni ecclesiastiche Carlo Borromeo, prima ancora di essere a Milano, da Roma aveva usato ogni premura e tutto il suo ascendente morale perché fossero applicati i decreti del Concilio di Trento; e fra le principali occupazioni fu quella della compilazione di un catechismo per il popolo e l’istituzione della Scuola della dottrina cristiana. A Melegnano, Giovanni Battista da Comitibus Salamon il 15 maggio 1565 dava inizio in San Giovanni alla Scuola della dottrina cristiana per i fanciulli e per il popolo. Il 12 gennaio 1583 fu eretta la Congregazione plebana delle Dottrine cristiane secondo le Regole e gli Ordini di San Carlo: essa teneva affiliate organicamente come dipendenti le Scuole sorte in Riozzo, Vizzolo, Colturano, Pedriano, Bustighera, Mediglia, Balbiano, Triginto, San Giuliano, Zivido, Carpianello, Occhiò, San Martino Olearo, Robbiano, Civesio, Carpiano, Pantigliate, Zelo Foramagno, Caleppio, Mezzano, Mirazzano, Sesto Ulteriano, Zivido al Lambro, Torrevecchia, Vigonzone, Santa Brera, Zunico, Gnignano, Rancate, Cantalupo, Calvenzano. Per dare una sede alla Congregazione della Dottrina cristiana come centro organizzativo e come luogo di raduno generale dei responsabili, il 22 febbraio 1592 fu posta la prima pietra alla chiesa dei santi Giacomo e Filippo nell’attuale via Marsala. Qui si tenevano le adunanze ordinarie e straordinarie e le dispute generali, feste e processioni. La Congregazione della Dottrina cristiana ebbe vita fino ai tempi napoleonici. Il 3 giugno 1666 si pose la prima pietra della nuova chiesa di San Pietro, benedetta il 6 ottobre 1672 e consacrata il 7 dicembre 1744. Abbiamo parlato prima di visite pastorali. La visita pastorale è la conoscenza diretta che, mediante ispezione, il vescovo prende delle condizioni del territorio a lui affidato per rilevarne i bisogni e provvedervi con zelo e santità. E’ un mezzo assolutamente necessario al buon governo delle varie comunità, ordinato e reso obbligatorio dal Concilio di Trento (1545-1563) nella sessione XXIV. Oltre al vescovo erano inviati per le visite pastorali anche i suoi delegati ed i vicari foranei. San Carlo venne a Melegnano l’anno 1567 ed ancora nel 1581; poi, sotto l’arcivescovo Gaspare Visconti, vi fu la visita pastorale nel 1597. Successivamente, nel 1602 vi fu la visita pastorale ordinata da Federico Borromeo, cugino di San Carlo. In queste visite pastorali, la cui documentazione rimasta è assai interessante per diversi motivi anche non strettamente ecclesiastici e religiosi, i visitatori osservavano bene ogni cosa che si riferiva alla vita parrocchiale ed agli edifici di culto, controllavano archivi e registri, assumevano le più varie informazioni sulla vita del paese. In attesa di poter compiere uno studio più approfondito sulle visite specifiche fatte da San Carlo Borromeo, possiamo affermare che dalla fine del 1500 si operò in Melegnano una specie di riforma religiosa ed ecclesiastica: si tolsero gli abusi, si ricercarono le vere origini delle fondazioni ecclesiastiche, si regolarizzarono le inadempienze, si diede mano a lavori di cambiamento delle parti degli edifici sacri, si prese coscienza della sostanziale entità della vita dì fede dei Melegnanesi. Intanto erano trascorsi circa 50 anni dalla chiusura del Concilio di Trento, ed anche a Melegnano le Visite pastorali controllavano e misuravano se i decreti conciliari venivano applicati. Nella Visita pastorale del 1621 fatta dal cardinale Federico Borromeo, i convisitatori scoprirono parecchie irregolarità: registri mancanti, suppellettili e vasi sacri trascurati, manutenzione e pulizia negligenti. Si ordinò una sollecita opera di riordinazione con la minaccia di multe in soldi, di sospensione degli uffici sacri, e per due volte anche la minaccia di interdetto alla chiesa di S. Giovanni, cioè la proibizione di celebrare gli uffici divini ai fedeli. Furono misure disciplinari gravi e si ha l’impressione di trovarci davanti a grossi errori e colpe del clero melegnanese. In realtà la parrocchia di Melegnano richiedeva molti impegni al suo clero, con una continua opera per un popolo che affollava la chiesa, perché proprio nei decreti della Visita pastorale del 1621 sta scritto che deve essere cura del prevosto e dell’universo popolo melegnanese sentire il parere di un architetto ed allungare la chiesa di S. Giovanni perché non poteva contenere il popolo numeroso che affollava le funzioni. Il tono severo dei decreti di tale Visita pastorale è comprensibile se lo si considera alla luce della volontà riformatrice del Concilio di Trento, cioè di riformare con impegno e senza tregua la vita delle comunità, sia cittadine sia sparse nei campi della diocesi; un Concilio di Trento che a Milano trovava esecutori di talento, di santità e di indiscussa esigenza riformatrice. Certo, gli abusi esistevano anche nelle file del clero melegnanese, e vi era talvolta insofferenza per l’autorità centrale della Curia. Ma il lavoro del clero melegnanese nel 1600 era vasto per la parrocchia di Melegnano, i distaccamenti di Vizzolo, Calvenzano, Mezzano, Pedriano, dove allora più di oggi vivevano forti comunità di contadini; il servizio era dato anche per le diverse Congregazioni, alcune delle quali fondate da S. Carlo e molto funzionanti, come quella della Dottrina cristiana che raccoglieva 37 scuole dei dintorni per la cultura catechistica; con la necessità di tenere rapporti, non sempre facili, con i Carmelitani al Carmine, i Disciplini all’ospedale dei Pellegrini, i Cappuccini, i Serviti del borgo Lambro, i Francescani, e le autorità tutorie delle monache orsoline. Non tutto brillava, naturalmente. E vi furono anche casi clamorosi e scandalosi che facevano meraviglia specie in un paese di provincia come il nostro. Nel 1679 la Curia di Milano notificava le colpe e i disordini del clero della Pieve di Melegnano e della sua parrocchia: l’inosservanza dei decreti conciliari, le assenze alle adunanze mensili; alcuni preti che gironzolavano tenendo i capelli lunghi e con folte zazzere e abiti indecorosi o indecenti; altri tenevano come domestica una donna non approvata dalle leggi canoniche e che poteva essere scambiata come una concubina. Ma vi furono anche preti che pativano la fame ed altri preti melegnanesi che morirono di peste perché esercitarono l’umile servizio di infermieri ai melegnanesi appestati. Naturalmente la storia non vuole scusare le malefatte accadute in un secolo di oscuramenti morali come nel 1600, dove furono coinvolti anche i membri del clero melegnanese: per due volte le autorità ecclesiastiche di Milano chiesero l’intervento al nostro marchese Giuseppe Medici contro fra Agostino Zambelli, carmelitano scomunicato residente in Melegnano diventato fervente anticlericale; o anche l’intervento contro un frate, vestito da laico, che girava spavaldamente per le vie melegnanesi armato di pistola con atteggiamenti da cafone; ed ancora nel 1683 il curato della chiesa di S. Giovanni, don Repossi fu più volte biasimato perché non voleva eseguire certi decreti della Visita pastorale. Sono macchie nere ecclesiastiche in un secolo tormentato da decadenza civile, da prepotenze private, da squilibri nell’applicazione della giustizia, dove il caso negativo isolato sembra compromettere una diversa realtà melegnanese. Accanto a questi esempi negativi sono da collocarsi invece quei melegnanesi che nel settore ecclesiastico tennero fede ai loro impegni spirituali. Dal 1600 alla metà del 1700 da Melegnano sono usciti un cardinale; cinque vescovi; dodici superiori generali o provinciali di Ordini monastici; cinque preti letterati e insegnanti; due missionari torturati dai Turchi; un vescovo beatificato. Un particolare interesse, nel secolo che stiamo descrivendo, si dava alle questioni di precedenza e di privilegi in occasione di cerimonie pubbliche e di raduni della comunità: nobili ed autorità erano gelosissimi dei posti che loro spettavano o che credevano di avere, avanzando tenaci diritti di casta, di consuetudine, di censo e di posizione sociale. Anche in provincia arrivava, in modo più ridotto, l’atmosfera del tempo: per il 1684 l’arcivescovo di Milano dovette sospendere dagli uffici divini il Priore della Confraternita di San Pietro in Melegnano ed il Maestro dei Novizi perché vollero far eseguire da altri ecclesiastici e non dal prevosto di San Giovanni la funzione della vestizione dei Confratelli. Si arrivò all’annullamento della vestizione precedente ed ad un nuova rivestizione fatta questa volta dal prevosto di San Giovanni che ne aveva il diritto. Un altro privilegio che continuava nel 1600 era l’immunità locale delle chiese: i malfattori che si rifugiavano in esse erano protetti in modo tale che non potevano essere tirati fuori con la forza. Avvenne che in Melegnano un tale si rifugiò nella chiesa di San Rocco ed un altro nella chiesa del Carmine, l’anno 1676; ma essi furono ugualmente arrestati ed imprigionati. La parrocchia di Melegnano era abbastanza vasta. Dai registri già nei primi anni del 1600 si raccoglie una copiosa serie di località che circondano Melegnano come una periferia attiva e laboriosa. Tali località sono direttamente sotto la completa giurisdizione della parrocchia di Melegnano per ogni esercizio religioso. I battesimi erano in chiesa di San Giovanni; ugualmente lo erano i matrimoni. Per le sepolture si usava il cimitero che stava accanto alla chiesa di San Giovanni, dove ora è in parte il giardinetto di via Frisi. Quelli di Colturano erano sepolti là. Nella registrazione anagrafica, ad ogni singola citazione della località si legge, subito accanto, la frase « di nostra cura » che significa precisamente « dipendente dalla parrocchia di San Giovanni ». Le località citate, alcune delle quali con grafia diversa dalla attuale, sono: Cascina Silva, Cascina Martina, Cascina Bertarella, Cascina Cattanea (scritta Catagna o Cattagna), Riozzo, Fornaci di Riozzo, Faino al Gamborello di Riozzo, Vizzolo (anche Vizolo e Vizzuolo), Sarmazzano (anche Sermazano e Saramazano), Bernarda, Montebuono, Calvenzano, Legorina, Cascina Griona, Pallavicina, Molinazzo, Molino Crema, Santa Brigita (anche Santa Brera), Rocca, Rampina, Costagié (anche Costigerio), Colturano, Cabiano di Colturano, Folla di Mediglia, Mezzano, Vichiabiolo, Pedriano, Maiocca, il Giardino, Colombara, Molino della Valle. Per quanto riguarda la grafia del nome del nostro paese, ormai nel 1600 è stabilizzato in Melegnano. Non appaiono più le diverse forme antiche Meloniano, Meregnano, Marignano, Merignano, Mellegnano, Malegnano e forse anche Madregnano e Madreniano, tra le forme più usate. Un fatto di rilievo, per la parrocchia di San Giovanni, fu la costituzione del Capitolo dei canonici il quale cominciò a funzionare il 22 aprile 1655 e rimarrà attivo fino ai tempi napoleonici: una specie di comunità tra sacerdoti per i servizi religiosi, amministrativi e direttivi, con l’assicurazione di una rendita certa e continua. |
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