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Demografia e società sotto la Spagna
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Demografia melegnanese

Particolarità sociologiche

Melegnanesi che si distinsero

Le inondazioni del fiume Lambro - Il nuovo ponte


 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


 

Demografia melegnanese
Considerando la demografia melegnanese per gli anni della seconda metà del 1500, quando possiamo disporre dei primi registri parrocchiali, ricaviamo che nel 1582 vi furono 43 matrimoni, nel 1583 se ne celebrarono 40, nel 1584 eccone 27, e per il 1585 si sposarono e si formarono 36 famiglie.  Abbiamo considerato il registro di battesimo dell’anno 1651,  cioè un anno lontano dalle epidemie e dai momenti di gravi disastri o di particolari emergenze, cioè un anno normale, tale da poter essere considerato un anno modello per la media degli altri anni. Le statistiche sono impressionanti e parlano da sole. Eccole: 
nati: 165
morti appena nati: 10
morti entro una settimana: 9
morti entro un mese: 7
morti entro un anno:  18
morti entro dieci anni: 30
morti dagli 11 ai 20 anni: 12
morti dai 21 ai 30 anni: 18
morti dai 31 ai 40 anni: 20
morti dai 41 ai 50 anni: 18
morti dai 51 ai 60 anni: 7
morti dai 61 ai 70 anni: 7
morti dai 71 agli 80 anni: 7
morti dagli 81 ai 90 anni: 2
pari al   6% circa
pari al   5,5% 
pari al   4,2%
pari al 10,9%
pari al 18,1%
pari al   7,3%
pari al 10,9%
pari al 12,1%
pari al 10,9%
pari al   4,2%
pari al   4,2%
pari al   4,2%
pari al   1,2%
Non siamo in grado di specificare le cause della morte, specialmente le morti infantili, se si considera che su 165 nati, ben  74, cioè il 44,804 non oltrepassava i dieci anni di età; ovviamente le Cause sono simili a quelle di tutta la comunità nazionale: mancanza di cure igieniche, povertà e miseria, lavoro stressante della madre,  malattie infantili allora mortali, tifo, colera, tisi, disgrazie sul lavoro, infezioni gravi, acque di pozzi inquinati: tanto per citare le più comuni.  Una grave situazione è trascinata fino alla scadenza del 1600.  Difatti nel triennio 1697-98-99, a chiusura del secolo, le condizioni della mortalità infantile non erano migliorate: nel 1697 i bambini che non raggiunsero i dieci anni furono 40 su 97 morti in totale, pari al 41%. Verso la fine del 1697 la situazione si aggrava. Nel 1698 si tocca la punta massima con 74 bambini morti prima dei dieci anni su 108 morti in totale, pari al 68,5%. Nel 1699 c’è la tendenza a diminuire perché ne muoiono 85 su 136 morti in totale, pari al 62,5%.  La percentuale si abbassa decisamente nell’anno 1700 quando si ha il 55,4% di morti prima dei dieci anni.  Queste aride cifre sono, tuttavia, documenti preziosi per intendere un volto del 1600 melegnanese.  Quanto ai matrimoni, registrati per la prima volta dal 1580, si scopre che le donne melegnanesi accettavano uomini provenienti da zone esterne a Melegnano. Per il quasi triennio agosto 1580 fino alla fine del 1582 sono stati celebrati 91 matrimoni nella chiesa di San Giovanni in Melegnano, dove si dovevano sposare obbligatoriamente le femmine residenti; ed in tal caso, quindi, il maschio doveva venire in chiesa San Giovanni a Melegnano, anche se era di paese diverso.  Ebbene, dei 91 matrimoni sopra ricordati per il periodo citato, moltissimi hanno il maschio proveniente da altre località: Bascapè, Bustighera, Campolungo di Lodi, Carpiano, Castel Sant’Angelo, Cerro, Cologno di Lodi, Dresano, Gnignano, Graffignana, Gugnano, Isola Balba, Landriano, Locate, Lodi, Lodi Borgo Adda, Lodi Santo Stefano, Mairano, Mantova, Massanzano, Milano, Montefiori, Pairana, Paullo, Pavia, Rovido, San Giuliano, San Zenone, Serasano di San Martino Olearo, Strepata di Triginto, Truccazzano, Vigonzone, Villanterio, Vimercate, Zivido.  Sono, quindi, 35 località diverse da Melegnano. E su 91 matrimoni esse rappresentano il 38,4%. Su questa statistica crolla il mito caro ai nostri antenati di una Melegnano fatta soltanto ed unicamente di soli Melegnanesi: la mobilità umana era vivace già alla fine del 1500, prima ancora del grosso fenomeno della venuta tra noi dei meridionali in tempi più recenti.
Particolarità sociologiche
Si presterebbero ad osservazioni sociologiche le situazioni registrate nel libro dei morti della parrocchia di San Giovanni Battista.  Abbiamo scelto un modello di analisi dagli anni 1683 al 1699: una generazione che chiude il 1600, e ne derivano queste notizie che noi trascriviamo in parte e così come stanno scritte: 
Maria povera di Melegnano sepolta gratis...
Un povero della Rocca brivio morto improvvisamente... 
N. povero della Pallavicina di dodici anni è morto impensatamente...
Maria Pallavicina cingara di anni cinquantanove...
Tomaso Orchiello povero di Colturano...
Carlo Antonio di anni 30 circa è stato amazato in Mezano...
Carlo Savio Ortolano di Milano è morto nell’osteria del Gallo...
Una povera figlia è morta in Vizzolo...
Gioseffo servo del signor capitano spagnolo di Melegnano... 
Un povero mendicante si è trovato morto improvvisamente al Molinazzo...
Un mendicante d’anni 35 in circa è morto sopra d’una cassina del Servidate di Riozzo...
N. povero habitante in Melegnano detto communemente il Menestra è morto...
N. pastore di pecore è morto improvvisamente... 
Martiano Vercelesi di anni 40 amazato da un cavallo in Melegnano...
Alessandro Pedrino di anni 76 circa è morto essendosi annegato in un fosso in Colturano...
Alberto Rossi piacentino d’anni 25 caduto da una pianta è morto...
Un povero schiepino pazzo è morto improvvisamente in prigione di anni 45...
N. homo forastiere è morto nella Cassina di Sermazano improvvisamente...
N. morto in Montebuono improvvisamente forastiero...
N. mendicante è morto nella Cassina di Santa Brigida improvvisamente...
N. Borlandoto è stato amazato..
N. figlio di un moleta è morto...
N. mendicante è morto nell’hospitale...
N. figlio di anni 6 in circa è morto nella Cassina dell’Oratorio di San Pietro per andare a San Francesco...
N. mendicante d’anni 40 in circa è morto improvvisamente...
La situazione di disagio, di miseria o di povertà emerge dal modo della sepoltura: parecchie volte si legge, infatti, la frase sepolto in nostra chiesa gratis et amore. Evidentemente la famiglia del defunto non aveva soldi per poter pagare la cera, la campana ed i sacerdoti.  La diversità tra i Melegnanesi è evidente dal registro dei morti, quando si nota che alcuni erano sepolti gratis, altri (la maggior parte) con un sacerdote, altri con due, altri con quattro, altri con sei, altri con nove, altri con dieci, altri con dodici. Pochi e rari con funerali di gran lusso con dodici preti e dodici frati. I membri delle famiglie più ricche o più generose erano sepolti non nel cimitero comune, ma nelle diverse chiese dei conventi melegnanesi, con solenni cerimonie.
Melegnanesi che si distinsero
Anche nel 1600 vi è una schiera di Melegnanesi che si distinsero per comportamenti nobili, per eroicità nella loro vocazione, per essere stati protagonisti di avvenimenti sociali, politici ed ecclesiastici.  Ne ricordiamo alcuni:
Teodora Palazzolla, monaca nel monastero di Sant’Agostino in Milano, presso Porta Ludovica. Visse nella santità della Regola e morì il 2 ottobre 1629. Il cardinale Federico Borromeo scrisse la sua vita. 
Ilario Cinquanta, religioso laico dei Frati Minori Cappuccini; uomo di grande virtù e di vita semplice. Animo candido: i suoi confratelli dicevano che egli sapeva operare prodigi, tra l’altro predisse l’elezione al pontificato del papa Innocenzo XI. Morì nel convento di Melegnano verso il 1690.
Giovambattista Rastelli, dottore nel diritto civile ed ecclesiastico, vicario generale di Tortona e di Imola; poi vicario civile e criminale a Milano sotto l’episcopato dei cardinali Monti e Litta, nella prima metà del 1600.
Giovanni Battista Sacco, medico di Francesco Morosini, generale della Repubblica Veneta nel Medio Oriente e che fu creato doge nel 1688.
Giovanni Pietro Rossi il quale lasciò, con testamento del 20 aprile 1589, alla Scuola di San Giuseppe esistente ai suoi giorni ed eretta nella chiesa di San Giovanni per i vivi e per i morti, la somma per formare la dote a due signorine povere, ogni anno.
Carlo Medici, sergente maggiore al servizio dell’esercito di Carlo V, il creatore della potenza spagnola in Europa ed in America;
Giuseppe Maria Visconti, tenente colonnello con Carlo Il, re di Spagna (1661-1700);
Carlo Ferrario, sergente maggiore dei corazzieri al servizio di Carlo VI, imperatore (1685-1740); 
Andrea Bertuzzi, capitano di reggimento; Giacomo Farina, colonnello governatore 
Di Alicante, città della Spagna famosa per i suoi vini; 
Giovanni Battista Silva, ufficiale nell’esercito spagnolo; 
Giuseppe Fiocchi, sergente maggiore che partecipò alla conquista di Scio nelle armate di Venezia.
Alcuni di costoro vissero i loro anni anche nel 1700.
Carlo Bascapè è la personalità melegnanese di più alto spicco in questo periodo. Nacque in Melegnano il 25 ottobre 1550 e mori vescovo di Novara il 6 ottobre 1615. Uscì da nobile famiglia ed al fonte battesimale fu chiamato Giovanni Francesco. Si laureò in legge a Pavia e si legò a San Carlo come aiuto validissimo.  Si fece barnabita nel 1578 e percorse tutti i gradi della gerarchia della sua congregazione. Il papa Clemente VIII lo nominò vescovo di Novara nel 1593, e come tale si diede alla fervida applicazione dei decreti del Concilio di Trento ed alle riforme più urgenti, secondo lo spirito di San Carlo di cui prese il nome quando si fece religioso. Fu promotore della beatificazione di San Carlo ed ebbe la gioia di vederlo canonizzato nel 1610. Scrisse opere ascetiche, giuri-diche e storiche. Nella Chiesa cattolica è stato proclamato venerabile.  I Bascapè avevano un bel palazzotto nel centro storico di Melegnano già verso la fine del 1300. Alla fine del 1500 uno della famiglia, Giovanni Francesco, era proprietario dell’azienda agricola di Montebuono, tra la Bernarda e la Legorina, nel Comune di Vizzolo Predabissi. L’eredità di Francesco fu lasciata alla figlia Angela che aveva sposato Marcantonio Ubaldi i quali ebbero un figlio che si fece prete, Tommaso.  Accanto ai beni in Montebuono, i Bascapè erano proprietari dell’osteria San Carlo che si trovava in via Senna, e di una bottega in piazza Risorgimento. L’eredità di Montebuono passò ai Bolgiani, e le case in Melegnano agli Spernazzati.  Melegnano gli ha dedicato una via, quella che prima, da secoli, era detta via San Giacomo e che nel periodo del Risorgimento era chiamata via del Popolo. Nel 1908 si discusse in consiglio comunale di cambiare il nome, mettendo quello di Felice Cavallotti, uomo politico e giornalista. La proposta fu respinta. Il 30 aprile 1933 il podestà Luigi Moro diede il nuovo titolo alla via, chiamandola via venerabile Carlo Bascapè, come è tuttora, tra la piazza Risorgimento e la via Castellini.
Le inondazioni del fiume Lambro - Il nuovo ponte
Il corso del nostro fiume, attraverso i secoli, non è stato mai completamente tranquillo. Di tanto in tanto le cronache dovettero registrare masse d’acqua straripanti che formavano tumultuosi ed estesi allagamenti nelle zone basse di Melegnano, occupate da orti e giardini.  Le notizie per il 1600 al riguardo sono frequenti: una inondazione avvenne l’anno 1644. Nel novembre 1647 eccone un’altra; ed ancora nell’ottobre 1655. La più terribile, tuttavia, è segnalata nel gennaio 1686. Difatti l’8 gennaio, dopo tre giorni di continua forte pioggia, l’impetuosità delle acque spaccò il ponte che era sulla Vettabia. I rottami del ponte, alla loro volta, travolsero gli impianti del mulino della Valle. Si formò un corso d’acqua straripante e pericoloso che trascinava le macerie e gli sfasciumi di pali, di travi, di assi pesanti: da questa valanga fluviale fu investito il Prestino Vecchio e la Contrada del Gambero che furono rovinate.  Il 21 agosto 1692, in pieno periodo spagnolo, il governatore per la provincia di Milano emanò un concorso per la costruzione di un nuovo ponte sul fiume Lambro, in cotto e più ampio. Vinse l’appalto l’impresa Fratelli Perucchetti di Milano, che portò a termine il lavoro. Accanto al ponte si fecero altri lavori: fu costruita una stanza ben coperta per servire all’assistente del ponte « nella quale abbino ad abitare le persone che assisteranno ad esso ponte senz’obbligo di alcun affitto », ed è la casa che ancora esiste all’estremità del ponte, e che porta sulla sua parete esterna l’effige della Madonna Assunta, di chiara fattura barocca. Per il pagamento del lavoro fatto al ponte sul Lambro i costruttori Perucchetti ottennero dal governo spagnolo non soldi in contanti ma il diritto di riscuotere e di tenersi la tassa del pedaggio, fino al totale ammortamento, dopo di che il diritto di riscuotere la tassa del pedaggio ritornava al governo spagnolo ed alla comunità melegnanese. Il primo agente della tassa a nome dei Perucchetti fu il melegnanese Carlo Martinengo, dipendente della ditta Perucchetti; ma gli eredi dei Fratelli Perucchetti chiusero l’attività edilizia, ed in tal caso non poterono più riscuotere il pedaggio, ma volevano l’ammortizzamento con soldi in contanti.  La questione si trascinò fino a dopo il governo spagnolo, e fu trattata dal governo austriaco. La somma rimanente da versare agli eredi Perucchetti era considerevole. Fu accettata la proposta del Comune di Melegnano: il Comune si impegnò a versare la somma per totale pagamento definitivo agli eredi Perucchetti, ma ottenne la proprietà del ponte del Lambro, assumendosi le spese per la sua manutenzione; il contratto venne firmato il 16 luglio 1756, ed in tale giorno il Comune di Melegnano diventava proprietario assoluto del ponte sul Lambro, fino al 1803.
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