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La
controversia storica sulle origini e la diffusione delle epidemie coleriche
non è ancora sopita, poiché l'incidenza della mancanza di
igiene e delle condizioni climatiche ed ambientali completa le scoperte
fatte nel secolo scorso circa l'agente della malattia. Ancor oggi è
accettato il principio che il vibrione colerico è facilmente distrutto
dai disinfettanti acidi, epperciò insieme alla terapia fondamentale
basata sui sieri specifici e le tetracicline, gli igienisti consigliano
ancora, durante le epidemie, fra gli alimenti i succhi di agrumi, l'aceto,
il vino e la birra. Un tuffo nel passato, quando la medicina
era povera di mezzi e si riservava su dei consigli pratici e delle cure
sintomatiche che oggi fanno sorridere. Di fronte all'orribile flagello
che nell'anno 1836 fece registrare in Lombardia oltre cinquantasette mila
casi con più di trentadue mila morti, si deve salutare il progresso
e la civiltà che oggi fornisce i mezzi di prevenzione e di difesa,
nonché il migliorato livello sociale che permette l'acquisizione
delle norme prescritte dall'igiene. Alla epidemia del 1836 Melegnano
ed i paesi del suo circondario pagarono un pesante scotto; oltre duecentocinquanta
morti nei soli due mesi estivi, ché coi primi freddi il morbo si
attenuò e scomparve; più che mai merita oggi di ricordare
la figura luminosa di un sanitario, medico condotto in borgo e paesi circonvicini
per circa cinquant'anni, il quale legò il suo nome a tre generazioni,
onorato per la sua sollecitudine e perizia, compianto per le sue alte doti
di mente e di cuore. Intorno a Felice Senna si fa qualche confusione;
altri è il primario dell'Ospedale Maggiore di Lodi, la cui tomba
è nel cimitero di Melegnano (1860 - 1920); altri è il nostro
più antico medico condotto, prozio del precedente, nato a S. Angelo
Lodigiano nel 1777 e morto nel 1854; a quest'ultimo, si pensa, è
dedicata la vecchia via nel centro di Melegnano. Alla sua scomparsa,
il dottor Serafino Senna, nipote e successore allo zio nella condotta medica,
si fece promotore di un ricordo marmoreo che tramandasse i di lui meriti
e virtù. Per raccogliere i fondi di amici ed ammiratori si nominò
una commissione presieduta dall'I.R. Commissario Distrettuale Fabrizio
Bossi, residente in borgo e se ne commise l'opera ad un valente artista.
Il Governo della Lombardia austriaca, molto progredito in fatto di misure
sanitarie, ma ancor più stimolato dalla comparsa di qualche piccolo
focolaio epidemico insorto nel Veneto, nell’ottobre del 1835 studiò
e ordinò un vasto piano di provvedimenti e di norme igieniche da
attuarsi in tutta la regione, fin nei più piccoli paesi e frazioni.
E’ sempre dal copioso materiale conservato nell’archivio della chiesa di
Cerro che togliamo delle interessanti notizie riguardanti il passaggio
del pauroso cataclisma per Melegnano od il suo territorio. Una circolare
della Imperial Regia Delegazione Provinciale datata 18 ottobre. diretta
ai Comuni ed ai Medici condotti, ordina la costituzione ovunque di Case
di Soccorso ovverosia lazzaretti; ritenuto che un lungo trasporto dei malati
riesce dannoso, questi ricoveri debbono porsi il meno lontano possibile
dal centro dell’abitato. Le frazioni distanti più di mezzo miglio
dalla Casa di Soccorso dovranno avere delle proprie stanze per colerosi;
tutte le cascine isolate, almeno una stanza, qualche letto e gli utensili
più necessari per l’assistenza ai malati. Si parla di distinti
ingressi, di scale comode, di locali per servizio ed alloggio infermieri,
serramenti riparati o ventilazione, camino o stufa di ferro o di cotto
per riscaldare l’ambiente. Meticolosi sono gli elenchi del mobiliare e
degli utensili che debbono servire per i degenti, naturalmente secondo
i sistemi elementari di allora. Si stimola la privata beneficenza e si
invitano i Parroci a far opera di propaganda perché i volonterosi
si mettano a disposizione per assistere i colpiti dal morbo; « i
signori Medici Chirurghi poi avranno campo colla recisa loro cura nell’istruirli
di formarsi dei meriti speciali». Quello su cui insiste la
circolare governativa è che le Case di Soccorso siano disposte in
modo da poter essere attivate da un momento all’altro; nelle cascine ed
altre frazioni non necessita far sloggiare immediatamente le stanze destinato
allo scopo, ma prevedere che la sospettata sistemazione possa effettuarsi
alla
evenienza dei bisogni senza alcun ritardo. A Melegnano ed in tutti
gli altri centri dipendenti le disposizioni sanitarie del governo ebbero
sicuramente attuazione per opera principalmente del medico condotto Felice
Senna, uomo illuminato, diligente e caritatevole, che la storia locale
deve annoverare fra i suoi cittadini più illustri. Sulla metà
di luglio la diffusione del morbo in tutta la nostra provincia è
in pieno sviluppo; entra in funzione a Milano la famosa Commissione Municipale
di Beneficenza, ed il Podestà, con suo manifesto del giorno 18,
annunzia la suddivisione della Città in Circondari ed in Regioni
con uffici di soccorso per i colpiti. E’ curioso constatare che,
pur lontani dai tempi attuali in cui il progresso delle conoscenze e delle
scienze ha portato ad una valutazione realistica delle cause da cui possono
derivare le grandi calamità, vi sono ancora nella prima metà
del secolo scorso delle infatuazioni anacronistiche che ci richiamano all’oscurantismo
dei secoli precedenti. Anche in questa occasione la caccia agli untori,
seminatori del morbo, trova il suo riscontro anche da noi nel pensiero
di qualche ecclesiastico: ecco una lunga pastorale che il vescovo di Pavia
monsignor Luigi Tosi diramò il 14 luglio a tutte le parrocchie della
sua diocesi, quindi anche a Cerro dal cui archivio l’abbiamo tolta: «Già
da alcuni anni appaion segni manifesti della collera del Signore provocata
dai nostri peccati. Dopo avere afflitte varie parti dell’Europa con un
terribile flagello chiamato dalle più remote parti del mondo, ha
fatto da un anno sentire anche nella nostra Italia il suo sdegno, percuotendo
collo stesso flagello varie Province e portando dappertutto dove più
dove meno desolazione gravissima. Anche a questa Diocesi s’accosta ora
il Signore e fa sentire la sua voce severa, benché sempre paterna,
affinché nello Spirito di Penitenza facciamo ritorno a Lui, e domandiamo
nella sincerità d’un cuore umiliato e contrito la remissione dè
peccati che hanno irritata la sua collera... ». La pastorale
procede invero con savi incitamenti alla carità cristiana e preziosi
consigli igienici che i Parroci sono invitati ad inculcare dal pulpito;
ma l'immagine del Padre Eterno che va a fornirsi di un flagello sulle rive
del Gange e duramente sdegnato ne percuote varie parti d'Europa prima ed
ora l'Italia, deve aver lasciati molto perplessi anche quei poveri contemporanei.
Il Commissario Distrettuale di Melegnano il 17 luglio, aveva diramato ai
Comuni del Circondano la seguente lettera: « Giacché il cholera
è penetrato in alcuni paesi di questa Provincia, la eccelsa Delegazione
Provinciale con rispettata sua del 3 andante trova di avvertire che di
mano che questa malattia si manifesta in un Comune e ne è accertata
l’indole dai rispettivi Medici, dovrà invitarsi la Commissione di
Beneficenza ad attivarsi a norma delle demandate attribuzioni. Si attenderà
che la Deputazione faccia conoscere il risultato di questa superiore disposizione
e non si dubita che la zelante Commissione, oltre l'esazione delle offerte
già ottenute saprà procurarsene delle altre, mentre si ha
lusinga che molti benefattori i quali si sono astenuti dall'offrire a pericolo
lontano, saranno solleciti al momento della disgrazia di accorrere in sollievo
dell'umanità. Melegnano il 7 luglio 1836. F.to Bascapè. ».
In questi stessi giorni, il medico condotto Felice Senna, animato da alto
senso di civismo e di carità, si dava a fare opera di propaganda
igienica in Melegnano e Comuni dipendenti con sue lettere ed istruzioni
diramate alle rispettive Deputazioni ed ai Parroci. Trascriviamo
integralmente quelle ritrovate a Cerro, che riteniamo in tutto simili per
le varie località. « Alla Deputazione Comunale di Cerro
». Melegnano 9 luglio 1836. « Quando codesta Autorità
locale nella sua prudenza credesse conveniente (nello imminente pericolo
di vedersi invasi da vagante malore minaccioso) suggerì al pensiero
dello esponente di proporle la propalazione con pochi cenni dall’Altare
(comechè gli avvisi anche corporali che partono dal labbro dei Signori
Parroci sono più sentiti e meglio impressi, poiché possono
essere conditi di quella onzione religiosa che meglio colpisce lo spirito)
di quegli Igienici avvisi, i quali nella loro semplicità e ragionevolezza,
atti sono a mettere in guardia, anzi direi quasi assolutamente garantire
la pubblica e privata salute ». « Se si inchinasse per l’affermativa
si amerebbe, anzi sarebbe necessario che ad literam ed a chiara voce e
nitida, a piena chiesa, si leggesse il qui appresso esposto».
Sono col maggiore ossequio Felice Senna medico condotto « D.I. Si
raccomanda la ventilazione della chiesa appena sgombrata dal popolo ».
Chi ricorda i letti di una volta? cavalletti di ferro o di legno che sostenevano
delle tavole; il "paglione", come dice la parola, era un saccone riempito
di paglia. Ma questa si schiacciava troppo presto e si triturava; più
consigliabile riempire il "paglione" col fogliame di granoturco, l'autunno
quando si spannocchiava, e si teneva da un anno all'altro... «La
polizia della casa, scopandola ogni giorno; dare aria alla stessa nelle
ore del mattino - togliere i pollai dalle stanze, i porcili, ecc.».
Portare i polli in casa nelle cascine, di notte, lo abbiamo visto anche
noi; i maiali, veramente... «La polizia delle corti e contrade ciascheduno
davanti al proprio abitato, procurando che non s'arrestino alla lunga immondezza
d'ogni sorta ». Cose che succedono ancor oggi in qualche paese ed
in qualche città (!). «Non mangiar cose di grasso che di magro,
che mandino odore cattivo, come carni, pesci, salami, formaggio, stracchino,
lardo, putrefatti e guasti. Della frutta mangiarne poca matura, rigettandone
i noccioli - mangiare poca insalata condita con poco aglio, non cocomeri,
non remolacci ». E' molto antica la credenza sulle virtù disinfettanti
dell'aglio, e, come ognuno sa, parecchio dura a morire. « Polenta,
pasta, pane od altro non prendere che non sia ben cotto ed in non molta
quantità specialmente la sera - Fagioli, erbioni, e fave ben cotte
e ben masticati e non raffreddati in caldai non istagnati. (Gli "erbioni"
per chi non lo sapesse sono i piselli); acqua berne non moltissima, se
è possibile corretta con qualche goccia di aceto ». La gente
di campagna sa benissimo che si usa ancor oggi l'aceto per acidulare l'acqua
nel secchio che si porta nei campi durante i lavori, per renderla dissetante,
digeribile. Anche negli ospedali una volta si somministravano le "limonee"
citrica o cloridica, ossia acqua acidulata; all'azione disinfettante di
tali acidi non ci crede più nessuno. « Vino o buono e poco
o non berne del tutto - Lasciare i liquori spiritosi (mistrà, acquavite,
amarati) a stomaco digiuno; od al più instilarne in poca quantità
nell'acqua pura ». «Si crede inutile raccomandare ai signori
Fittaiuoli di tenere stagnati i caldai, di condire le minestre con lardo
sano e non con brodi di salami rancidi e guasti; peggio poi dar questo
da mangiare ai giornalieri. I legumi di mistura siano sani e ben cotti
- ben cotto il pane; e se mai io accordo portasse a dar vino ai giornalieri,
che questo sia sano e piuttosto scarso e misto con acqua, che puro e guasto».
Questa del vitto che i fittabili davano ai braccianti giornalieri, o ai
famigli cosiddetti "da giovane" (non accasati) era un'antica piaga delle
nostre cascine nei bei tempi andati. Nelle case dei fittabili si teneva
il "basolone" o cuoco da strapazzo, principalmente reputato a cucinare
per il personale. Il "calderone" riceveva tutto: dal brodo di salame, ai
grassi rancidi, a certe frattaglie innominabili; grossi mestoli di pomodoro
e manciate di pepe davano colore e sapore a certe brodaglie adatte ai maiali;
(colluvies porcorum; dalla bassa latinità il nome è passato
direttamente al nostro dialetto: la corubia di animai!). In quanto al vino
poi, buono o cattivo che fosse, la mansione quotidiana di annacquarlo spettava
alla fittavola, che non la cedeva a nessuno... « Si interessano
poi i venditori di commestibili sia di grasso che di magro, nonchè
i venditori di vino, di non ismerciare niente che non sia perfettamente
salubre; così pure quelle caritatevoli persone solite a soccorrere
la indigenza non somministreranno vivande che non siano perfettamente sane
e non patite». «Non dormire alla aperta o scoperto, od a finestre
aperte, perchè l'aria di notte così sentita è sempre
nocevole alla salute tanto più ora. Osservato scrupolosamente quanto
vien detto si puole essere sicuri di conservare la tanto preziosa salute,
la quale perduta non si è certi di ricuperare ». «Quando
mai la disgrazia portasse di essere presi da dolori, vomito, convulsioni,
il primo rimedio sia di far bere al malato caffè caldo leggiero,
acqua di camomilla, o simile, e se nel tempo istesso il malato fosse sorpreso
da freddo, si procuri dl riscaldarlo allo stomaco, alla testa, alle braccia,
alle gambe con panni o stracci caldi replicati, fincbè chiamato
il medico prescriverà ciò che crederà del caso ».
« Si fa memoria infine ai benestanti, per la moderazione in tutto,
e a tutti trovandosi in sudore di schivare il fresco». Povero il
nostro medico condotto! Che cosa avrà pensato dentro di sé
dei suoi saggi avvertimenti allorché il colera colpì violentemente
gli abitanti del borgo e dei paesi vicini? Come già si disse, i
morti furono più di duecentocinquanta. Accanto all'opera altamente
umanitaria dei medici di città e di campagna, si segnalò
assai importante quella dei parroci che gareggiarono in pietà e
carità, specialmente nei nostri paesi dove gli strati sociali erano
più poveri, e l'organizzazione sanitaria più primitiva. I
Vescovi furono assai solerti ad affiancare il potere civile nelle misure
di propaganda e nel raccogliere i mezzi finanziari per fronteggiare in
qualche modo la terribile calamità. Si rinviene nell'archivio
di Cerro una pastorale dell'agosto del vescovo di Pavia; Egli è
disceso sul terreno della triste realtà e non parla più di
peccatacci e di flagello di Dio. I poveri sacerdoti dovevano vincere la
paura ed avvicinare i colerosi per portare i conforti della religione.
« Omesso ogni suono di campana, il Sacerdote, vestito con la sola
Cotta, Stola e Continenza porterà la sacra Pisside, assumendo due
sue persone coi lumi accesi nelle Lanterne difese dall'aria, ed un altra
che porti l'ombrello apposito, lasciati nella pubblica strada què
divoti che per avventura avessero accompagnato il Santissimo; entrerà
nella camera dell'infermo solo il Sacerdote, rimanendo presso la porta
al di fuori uno dei compagni che risponda alle preghiere prescritte. Amministrato
il Viatico, purificata la Pisside, bevuta o gittata nel fuoco l'acqua della
purificazione, deporrà le insegne sacerdotali, e fatti estinguere
i lumi degli accompagnanti, tornerà senza accompagnamento alla propria
casa». C'era qualcosa di lugubre che caratterizzava queste funzioni
religiose, altrimenti svolte con solennità e maggior decoro. Sul
finire di agosto, a Milano ed in tutta la Lombardia il colera accennò
a diminuire; una grande esposizione di Belle Arti prevista per l'agosto
già dall'anno prima venne rimandata sine die. In ottobre non se
ne segnalò più alcun caso, proprio quando il morbo incominciò
a dilagare nel Napoletano; la strage era sempre in crescendo: perfino trecento
casi nuovi ogni giorno, nonostante che le gazzette pubblicassero un comunicato
di questo genere: « D'ordine del Ministro per l'Interno, nell'ospedale
di Santa Maria di Loreto adibito ai colerosi, esperimentasi su 37 di questi
del vino con polveri di frutto di platani; 28 guariscono, 8 muoiono ed
uno continua a rimanere ammalato... Proseguono le esperienze nel Reale
Albergo dei Poveri a sui privati infermi in città ». |