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Il 1900 e la prima guerra mondiale
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La nuova amministrazione
All’inizio del nostro secolo le elezioni amministrative supplettive del 1902 diedero come risultato una amministrazione civica di buona volontà: Francesco Dezza, sindaco; Giuseppe Sangregorio Galli, Innocente Rossi, Francesco Cordoni, Pellegrino Origoni, erano gli assessori.  L’erezione del monumento ai Caduti della battaglia dell’8 giugno 1859 rappresentò il primo collaudo della collaborazione dell’opinione pubblica melegnanese alla nuova amministrazione comunale, mediante la costituzione di un comitato più politico che tecnico perché di proposito si scelsero concittadini definiti non « faziosi » e non « rivoluzionari ». Praticamente iniziò qui, attorno alla forma di un monumento, la discriminazione e la distinzione sul terreno politico e religioso, con una premeditazione ideologica, senza tener conto delle capacità obiettive e professionali di ciascun melegnanese. La presenza nell’amministrazione di Pellegrino Origoni, il più qualificato portavoce del settore ecclesiastico melegnanese, rappresentò indubbiamente una vittoria dei clericali, alcuni dei quali, tra i più intemperanti, premevano per una Melegnano Cattolica a sé stante, respingendo ai margini un settore definito pericolosamente fazioso e rivoluzionario: era comunque il settore del lavoro manuale che stava organizzandosi, era la parte del proletariato contadino e soprattutto manovale che, al di là di ben specifiche e scientifiche giustificazioni, chiedeva salari più alti ed ore di lavoro non oltre le 14 ed anche le 16 giornaliere.  Era il settore melegnanese che non aveva assicurazioni e previdenze sociali, non godeva di pensioni e per lo più viveva in case di superaffollamento periferiche ed umide, prive di servizi igienici personali.  Tale politica di separatismo fazioso risulterà assai pericolosa e sarà reversibile quando, con le leggi Giolitti del 1912 sul suffragio universale, il proletariato melegnanese quasi in massa opterà per le posizioni socialiste, vincerà le elezioni amministrative melegnanesi e rifiuterà ogni contatto politico, per circa 40 anni, con le posizioni cattoliche a Melegnano, e formerà isole rionali o cortili popolari o intere vie tutte rosse e tutte socialisteggianti di forte tinta anticlericale.  I compiti della nuova amministrazione all’inizio del nuovo secolo erano gravi. La prima preoccupazione fu l’unificazione dei debiti pubblici comunali, che assommavano a lire 25.000 compresi i prestiti che imponevano un interesse del 5,50%. Per sanare questi debiti e per non creare una stasi nelle opere pubbliche, si ottenne dalla Cassa di Risparmio un prestito di favore di lire 40.000 con interesse del 3%, da estinguersi in 30 anni. Tale prestito avviò alla soluzione i più urgenti problemi pubblici melegnanesi.  Nel 1889 esistevano a Melegnano otto aule scolastiche con 614 alunni, con una presenza media di 70-80 alunni per ogni aula: fu costruito, quindi, un nuovo fabbricato scolastico. Si tentò anche la trivellazione del terreno per erogare l’acqua potabile ed eliminare quella dei pozzi domestici e privati, ma non si poté risolvere il problema di impedire che l’acqua corrente si mescolasse a quella piùpura dell’acquedotto comunale. Si volle studiare la convenienza di aprire un macello pubblico; ma esso veniva a creare un forte aumento del prezzo delle carni, compensato solamente dalla migliore e più facile sorveglianza igienica; ed il progetto decadde. Un altro grosso progetto fu quello di deviare il percorso del tram Melegnano S. Angelo per liberare tre piazze e diverse vie centrali ostruite ed ostacolate per il passaggio di carrozze tranviarie di merci e di passeggeri; la proposta fu studiata a lungo e fu oggetto di discussioni animate tra cittadini e fu portata in prefettura. Ma la mancanza di fondi finanziari e la troppa calma dei funzionari della prefettura fecero naufragare tutto.  La nuova amministrazione si trovò di fronte ad un problema vecchio come il mondo: la pulizia delle strade e la raccolta delle spazzature, specialmente nei giorni del mercato quando le piazze e le strade erano insozzate da concime animale. L’appalto era di lire 500 annue, ma l’amministrazione promise che la cifra poteva essere ridotta; ma alla fine, in sede esecutiva, la spazzatura delle strade melegnanesi venne a costare il doppio. Fu in questa occasione che i nemici del sindaco Dezza passarono apertamente all’ostruzionismo ed alla critica più accesa, accusando l’amministrazione di incapacità e di immobilismo.  Tutti i grandi progetti furono accantonati; i programmi di opere pubbliche nuove furono ridotti; si rientrò nell’ordinaria amministrazione. Il 4 maggio 1903 moriva improvvisamente il sindaco Francesco Dezza. La sua amministrazione, ispirata dalla buona volontà e serietà, fu tuttavia scarsa nei risultati effettivi. Ebbe comunque il merito di chiarire e di puntualizzare alcuni grossi problemi di pubblico interesse.  Fino al 21 agosto 1904, per un periodo di oltre un anno, non fu possibile un nuovo sindaco per le liti, dissensi, per i malintesi, e per la mancanza di fiducia reciproca: avvennero dimissioni a catena degli amministratori e dei politicanti che però deludevano sul terreno concreto.  In questo frattempo grande impressione suscitò il crollo di una parte del vecchio fabbricato dello stabilimento Trombini (attuale Broggi-Izar). Per un puro caso si evitarono centinaia di vittime. Ma il lavoro fu sospeso per diversi mesi, ed oltre 60 famiglie melegnanesi si trovarono nella miseria più nera, non essendoci nessuna Cassa di integrazione, e per di più non operando nessuna amministrazione melegnanese perché in continua crisi.
Il socialismo
Finalmente il 26 agosto 1904, alla conclusione delle elezioni amministrative generali, la lista di apparentamento tra Popolari e Moderati poté nominare la nuova giunta comunale ed il nuovo sindaco, avvocato Domenico Codeleoncini; la minoranza era formata dai Socialisti.  Traendo esperienza dal passato, il lavoro amministrativo fu organizzato con più chiarezza di idee. Anzitutto la buona volontà: il romantico sentimento cessò di essere una specie di dogma e di entusiasmo emotivo, ma divenne visione pratica e razionale dei problemi. Sembrò quindi una nuova ondata di rinnovate energie. Con queste premesse l’amministrazione Codeleoncini ebbe risultati positivi e fu riconfermata nelle elezioni di quattro anni dopo, nel luglio del 1908. incominciava un piccolo dramma nel settore socialista melegnanese: la collaborazione come minoranza e come opposizione istituzionale, oppure lasciarsi trascinare dalle spinte più eversive interne al partito.  Il socialismo melegnanese stava diventando l’interprete dei bisogni della classe lavoratrice, in un paese dove il 70% lavorava come manovalanza e dove l’86% del terreno era adibito ad agricoltura; quindi un socialismo melegnanese che da solo doveva portare il peso di rivendicazioni sociali e tenere il posto anche dei compiti sindacali; un socialismo melegnanese che si vedeva nelle sue file anche elementi che agitavano il sovversivismo, accanto a quelli che interpretavano il socialismo come organizzazione politica strettamente legata ad interessi economici verso conquiste indilazionabili ed urgenti per gli operai ed i lavoratori. Queste erano le forze interne al Socialismo melegnanese: i favorevoli alla partecipazione nel consiglio comunale; i massimalisti più spinti; i volenterosi di vere concrete riforme sociali per una umanità più giusta, erano motivo di instabilità e di indecisione sul terreno concreto melegnanese amministrativo, di fronte ad una maggioranza compatta formata da clericali ed antisocialisti, tratti dalle file delle famiglie più celebri melegnanesi e dalle forze della borghesia locale attiva nell’industria e nel commercio o nella professione libera. E quando si costituì il Consiglio comunale dopo le elezioni del 1908, i Socialisti diedero le dimissioni dalla minoranza, e l’amministrazione rimase senza minoranza e senza oppositori. I 20 membri del Consiglio comunale furono quindi tutti scelti dalla lista dei Popolari e dei Moderati: avvocato Domenico Codeleoncini, sindaco; ingegner Carlo Chionetti; Pellegrino Origoni; Isacco Bergomi; Donato Rusconi; Edoardo Broggini; Luigi Bellomi; Pietro Caminada; Felice Barbieri; Giacomo Del Corno; Giuseppe Rossi; Oreste Rossari; don Giovanni Sala; Luigi Marchesi; Carlo Berra; Ausano Lorenzetti; Cesare marchese Brivio; Alessandro Menicatti; Francesco Cordoni; dottor Cesare Sangregorio Galli.
L’amministrazione Codeleoncini
Impossibile stabilire un quadro completo delle realizzazioni dell’amministrazione Codeleoncini. Le scuole ebbero il completamento: fu abbattuto il vecchio antico palazzo denominato « il quartiere», sull’angolo dell’attuale via De Amicis via Cavour. Su progetto dell’architetto Giachi di Milano, dal 1904 al 1908 fu eretta la nuova scuola elementare, oggi sede della scuola media e serale. I consiglieri vollero ispirarsi a principi pedagogici nuovi per quel tempo: capacità spaziale con aule di metri 6 per 9; separazione dei sessi; servizi igienici più funzionali; estetica e buon gusto; nel Disegno dell’architetto vi era anche un’aula destinata al Museo. La popolazione scolastica era di questi termini: classe prima elementare alunni 289, seconda, 228; terza, 193; quarta, 63; quinta, 38. Quindi soltanto il 12% degli alunni dalla prima classe raggiungeva la quinta come termine degli studi in loco. Le aule furono 16, fu aggiunta la casa per il bidello, un ampio cortile per la ricreazione, il nuovo arredamento per i banchi, le cattedre e gli armadi. Questa scuola nuova, rimasta nelle sue strutture ancora dopo 80 anni, fu un vanto dell’amministrazione Codeleoncini.  Una massa di lavoro amministrativo fu compiuto in quegli anni; ed alcune opere che richiedevano decisa soluzione: la municipalizzazione dei servizi pubblici, del posteggio e del plateatico; inizio della sistemazione razionale delle fognature; il nuovo servizio per il trasporto degli ammalati e di pronto soccorso; rinnovo dei marciapiedi e la collocazione delle trottatoie di granito nel centro delle strade; la collocazione in ogni via ed in ogni casa dei numeri civici di indirizzo; il collegamento telefonico intercomunale di Melegnano con tutti i Comuni della Lombardia (su 303 Comuni della provincia di Milano solo 31 avevano posti telefonici pubblici); la costruzione della sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso; la legge che aboliva il lavoro notturno degli operai dei panifici; gli impiegati comunali immessi nei ruoli fissi dell’organico con aumenti di stipendio, gratifiche ed abolizione della tassa sulla ricchezza mobile; il contributo alle famiglie che avevano i militari su fronti della Libia e di Rodi nella guerra italo-turca del 1911; il passaggio alla provincia delle strade esterne Cerca, Pandina, Carpiano; il felice esito per un prestito dal governo centrale di lire 125.000 per la costruzione dell’acquedotto in piazza del mercato degli animali con inaugurazione potabile nel marzo 1913.  A tutto questo deve essere aggiunto il lavoro delle pratiche, trattative, progetti, studi ed esami, petizioni e sussidi ed assistenze. Il lavoro amministrativo era coronato dalla elezione dell’avvocato Valvassori-Peroni, abitante a Carpiano, al Parlamento Italiano come rappresentante del nostro collegio elettorale e molto familiare a Melegnano, mentre per il Senato era eletto l’avvocato Giovanni Facheris.  Una questione locale che si trascinò per le lunghe fu quella relativa al riposo festivo. La provincia di Milano emanava, in data 7 luglio 1907, una legge sul riposo festivo, dove si specificavano le categorie interessate; ma in Melegnano sorse una vivace discussione, perché la giunta comunale nella seduta del 10 febbraio 1908 decise di non applicare la legge sul riposo festivo per questi motivi espressi nella relazione del sindaco: « La giunta, attesa la richiesta di numerosi esercenti locali, i quali fanno presente che i loro interessi verrebbero fortemente lesi qualora la legge del riposo festivo fosse qui applicata senza alcuno dei temperamenti dalla medesima contemplati, considerando che i Comuni circonvicini hanno la popolazione esclusivamente rurale e che abitualmente si viene in questo capoluogo a fare gli acquisti; considerato che la chiusura dei negozi di Melegnano alla domenica tornerebbe di evidente e grave danno ai rispettivi proprietari ed alla classe contadina; attesa l’urgenza di provvedere affinché non si interrompano neppure momentaneamente le vigenti consuetudini locali, all’unanimità determina di chiedere alla prefettura che tutti i negozi di vendita ed i commercianti locali siano autorizzati a restare aperti alla domenica sino alle ore 14, fermo restando il divieto di lavoro dei salariati a termini di legge ».  E la legge per il riposo festivo a Melegnano non passò: i motivi addotti furono validi anche per il prefetto. Unica applicazione: il riposo al lunedì per i barbieri.
Servizi sociali
Intanto in questi anni, nascevano associazioni di servizio sociale e tali da offrire una certa difesa della vita. Nel 1909 sorgeva la Società badilanti braccianti e affini di Melegnano, come Cassa di soccorso. Gli scopi erano: sussidi per malattie; intervento di mutualità; elevazione economica e intellettuale dei soci; sussidio giornaliero in caso di malattia, per cinque mesi. I soci versavano una quota al momento dell’iscrizione e secondo l’età; ed inoltre pagavano una tassa settimanale. Era una associazione democratica, perché composta di sette membri del consiglio e nominati da tutta l’assemblea dei soci.  Il comitato dei sindaci discuteva il bilancio e controllava le uscite e le entrate; e il comitato di sorveglianza visitava i soci ammalati. E, nel settore cattolico, come alternativa e controparte alla Società badilanti, fu organizzata l’Unione di Mutuo Soccorso fra le associazioni religiose di Melegnano: aveva un carattere esclusivamente economico e non si doveva occupare di politica e di questioni religiose e sociali.  Era diretta da un assistente religioso con diritto di voto, e con un’assemblea dei soci che eleggeva un consiglio, il quale fissava tutte le altre cariche. Gli scopi erano gli aiuti materiali, le mutualità ed alcune previdenze, come il sussidio giornaliero ai bisognosi o ai disoccupati. E tale associazione inizio la sua vita nel 1912.  A queste due associazioni, in netto antagonismo tra loro, si affiancò la Società contro l’accattonaggio per la soppressione del fenomeno triste e umiliante degli accattoni. Il programma prevedeva aiuti immediati; il soccorso ai poveri; il servizio sociale per le pratiche ospedaliere; sopprimere la speculazione che si faceva sui bambini e sui deformi per cercare soldi al pubblico; il rimpatrio al loro paese di origine degli accattoni che gironzolavano per Melegnano.   A carattere di puro Sodalizio affettivo storico era la Società 8 Giugno 1859 che raccoglieva i reduci dalle patrie battaglie e tutti i militari in congedo. Due giovani melegnanesi, spinti dall’orgoglio che Melegnano era stata presente nelle battaglie per il Risorgimento, animati dal desiderio di tenere vivi i valori ottocenteschi, diedero vita a questa Società, Rinaldo Massironi ed un certo Mazzoleni.  La Società aveva una sua bandiera ed un suo statuto. Tra i soci più benemeriti vi fu Giuseppe Mazzoletti, del 56° reggimento di fanteria, partecipe della guerra 1860-61, e decorato con medaglia commemorativa per decreto del Re. Fu questa Società che mantenne vivo il ricordo delle vittime innocenti del sanguinoso 23 marzo 1848 a Melegnano. Ecco un esempio di manifesto murale, in occasione della commemorazione fatta il 23 marzo 1899: « Nel 51° anniversario del giorno che la giustizia dei popoli, auspice Milano, colle sue cinque famose giornate schiudeva alle genti italiche la nuova era di libertà, la Società 8 Giugno 1859 fra reduci delle patrie battaglie e militari in congedo, disposa con orgoglio alla mente de’ melegnanesi la ricordanza di loro che, vittime innocenti, il piombo austriaco a morte donava il 23 marzo 1848, perchè le energie maschili ed egregie confortino i deboli alla battaglia del bene che oggi piangente Italia attende ».
Asilo Sociale
La domenica 18 giugno 1911 ebbe luogo la solenne posa della prima pietra dell’Asilo infantile. Sul luogo del fabbricato, addobbato con pennoni e bandiere, erano i due Corpi musicali melegnanesi, le Società ed Associazioni, le autorità civili, religiose e patriottiche.  Era naturalmente presente l’avvocato Valvassori Peroni, nostro deputato al Parlamento, il sindaco avvocato Domenico Codeleoncini, i consiglieri e gli assessori comunali. Fecero da padrino e da madrina l’ingegner Clateo Castellini e la signora Rosa Codeleoncini, moglie del sindaco. Nei discorsi di inaugurazione si mise in evidenza che Melegnano, senza badare ad interessi di partito, era sempre unito quando si trattava di celebrare feste civili e patriottiche.  Questo asilo si aggiunge a quello già funzionante, l’asilo Trombini. 
La guerra
Mentre per legge scadeva l’amministrazione Codeleoncini il 10 luglio 1914, l’orizzonte europeo si oscurava verso una terribile catastrofe: il 28 giugno, a Seraievo nella Serbia, venne assassinato l’arciduca ereditario d’Austria, Francesco Ferdinando, e la sua moglie.  Nell’eccidio l’Austria vide la complicità del governo serbo. E la nota di protesta presentata il 23 luglio alla Serbia era redatta in termini tali da essere inaccettabile da parte di uno stato sovrano, e perciò aveva il preciso intento di scatenare la guerra. Dopo 48 ore scadeva l’ultimatum, e l’Austria il 28 luglio dichiarò guerra alla Serbia, forse illudendosi che il conflitto potesse limitarsi ad una semplice resa dei conti tra lei e la piccola Serbia.  Le cancellerie europee, ed in particolare quella inglese, si adoperarono per scongiurare l’urto frontale tra le due nazioni; ma tutto fu impossibile. La Russia, alleata della Serbia, ordinò la mobilitazione generale il 30 luglio; ma la Germania, per prevenire ogni azione russa, dichiarò la guerra alla Russia. La Francia, che era alleata della Russia, scese in campo e si trovò contro la Germania. Poiché la Germania invase il Belgio ed il Lussemburgo nonostante la loro neutralità, l’Inghilterra entrò nella lotta il 4 agosto per non tollerare che la Germania si insediasse di fronte alla sua isola. L’Italia e la Romania, restarono neutrali, almeno per un po’ di tempo.  Così l’Europa, nel giro di poco più che una settimana, fu trascinata nel turbine di una guerra con tutte le sue tragiche conseguenze morali, culturali, economiche e politiche.  A Melegnano nel 1914 i motivi pro o contro la guerra incominciavano ad essere gli argomenti quotidiani in ogni strato della popolazione, anche se la guerra appariva ancora lontana e solo come argomento di discussioni in famiglia o tra la piccola società.  Però anche Melegnano, nel 1914, risentiva del clima politico generale che regnava nelle grandi città e nel Parlamento.  L’Italia nel 1914 era diversa da quella di un decennio prima: con la legge elettorale del 1912, Giovanni Giolitti concedeva il suffragio universale maschile, aumentando così di circa cinque milioni il numero degli elettori. Questa massa d’urto che veniva offerta ai partiti politici risvegliò di colpo le energie dei partiti di estrema destra e di estrema sinistra, e tutto il clima politico italiano si fece più complesso, influenzando anche fortemente le elezioni amministrative dei singoli Comuni.  Uno degli argomenti che dividevano i partiti era la questione sociale, cioè la posizione degli operai nella società italiana con la discussione dei problemi del lavoro e della classe lavoratrice.  Le forze politiche a Melegnano, negli anni della vigilia, e fino al 1914 si possono considerare raccolte attorno al movimento dei Moderati; al settore cattolico che già da oltre dieci anni si era organizzato nel Circolo Popolare; e al movimento Socialista, il quale tuttavia non aveva fatto sentire la sua presenza nelle elezioni perché non esisteva il suffragio universale maschile, prima del 1912. Ma un altro problema discusso alla vigilia della guerra era la questione dell’intervento e della neutralità, una questione alimentata sia nei discorsi quotidiani a livello privato, sia con conferenze pubbliche, organizzate dai laici e dai cattolici. Basti pensare che dal luglio 1914 al maggio 1915 i melegnanesi poterono ascoltare dodici conferenze in favore o contro la guerra; ed a queste conferenze vi era una buona partecipazione di massa. Una di queste conferenze fu ascoltata da oltre 500 persone, ed avvenne il 18 aprile 1915, tenuta dal professore avvocato Francesco Rivelli sul tema « Gli interessi d’Italia nella questione balcanica e ripercussioni della guerra ».  La maggioranza dei melegnanesi era orientata verso la neutralità, e le conferenze sulla neutralità e la pace erano quelle maggiormente attese ed ascoltate.  Le due correnti più forti del neutralismo melegnanese, tra loro politicamente avverse, cioè socialisti e cattolici popolari, si trovavano sullo stesso piano unitario riguardo alla guerra pur con motivazioni differenti: i cattolici per seguire l’insegnamento evangelico della fratellanza fra i popoli, i socialisti perché erano convinti che in ogni guerra il peso di sangue e di sacrifici sarebbe stato richiesto in maniera pesante solo alla classe operaia.
Difficoltà amministrative
Mentre persistevano queste posizioni di fondo sul terreno politico e sulla guerra europea, il giorno 1 luglio 1914 scadeva l’amministrazione Codeleoncini per legge di tempo amministrativo normale.  Il 14 luglio avvennero le elezioni amministrative ed il giorno 17 agosto vi fu l’insediamento del nuovo Consiglio comunale. Ma a questo punto incominciarono le baruffe consiliari e politiche. I fatti, complicatissimi, si svolsero così: il 17 agosto si insediò il Consiglio comunale per la prima volta; ma nella stessa seduta del Consiglio, otto consiglieri diedero le dimissioni, ed il Consiglio rimase subito con solo dodici membri; tuttavia il 28 agosto venne ugualmente nominata la giunta, formata da quattro assessori effettivi e due supplenti; però il 9 settembre dello stesso 1914 un decreto prefettizio annullava la nomina della recente giunta municipale, ed in seno al Consiglio sorse una discussione animatissima con il risultato che altri due consiglieri diedero le dimissioni, ed in tal modo il Consiglio comunale rimase con soli dieci consiglieri, esattamente la metà dei membri eletti dalle elezioni del luglio; e la seduta venne tolta in un clima arroventato. Il 19 settembre si radunò ancora il Consiglio comunale formato, come abbiamo detto, da dieci membri, e venne nominata una giunta comunale, secondo l’ordinanza prefettizia; questa giunta comunale aveva l’incarico di indire nuove elezioni suppletive per completare i dieci consiglieri dimissionari e reintegrare il Consiglio comunale nel suo completo numero di venti. Il 29 ottobre si tennero difatti le elezioni amministrative con una percentuale altissima di astenuti, circa il 40%. Le elezioni però furono ritenute valide; ed il 10 novembre avvenne l’insediamento del nuovo Consiglio comunale nella sua integrità numerica. I consiglieri eletti furono Edoardo Bertolazzi, Giovanni Betté, Giovanni Biggioggero, Luigi Brianzoli, Salvatore Crotti, Biagio Danova, Eligio De Rossi, Emilio De Rossi, Luigi Fazzini, Giuseppe Lazzari, Pietro Lombardi, Lucillo Maggi, Antonio Margutti, Gaetano Meda, Luigi Oldani, Angelo Piacentini, Gaetano Pisati, Giovanni Pozzi, Luigi Prinelli, Antonio Soffientini.  Venne eletto sindaco Luigi Prinelli con 15 voti su 20, ma alla fine di novembre dello stesso anno 1914, dopo solo un mese circa di amministrazione, il sindaco diede le dimissioni, e con lui due assessori. Le dimissioni avvennero perché in sede di raduni privati furono prese decisioni che poi non vennero rispettate in sede di Consiglio comunale. Il ballo di valzer del Consiglio comunale continua ancora, ed il 16 dicembre fu eletto il nuovo sindaco nella persona di Pietro Lombardi, soprannominato « el lumbardin », con voti 14 su 20. Pochi mesi dopo, però, anche il sindaco Lombardi partì per il fronte, e nel novembre del 1915, il Consiglio comunale era così ridotto: dei 20 consiglieri, 4 si erano dimessi, uno non sapeva leggere e quindi non poteva esercitare la sua funzione di consigliere; 8 erano richiamati sotto le armi: ed in tal modo il Consiglio comunale di Melegnano nel 1915, già in piena guerra, era formato da 7 membri su 20. E la guerra sconvolse anche la funzionalità del nostro Consiglio comunale.  Ma quali furono i motivi di tanta confusione ed incapacità di una politica amministrativa stabile? La popolazione melegnanese al 31 dicembre 1914 era di 7107 abitanti, e con la legge elettorale del governo Giolitti, applicata per la prima volta nelle elezioni politiche nazionali del 26 ottobre 1913, con la quale si dava il suffragio universale maschile, anche gli elettori melegàanesi salirono di numero.  Prima della legge Giolitti votava soltanto il 10% della popolazione, cioè gli elettori melegnanesi erano soltanto coloro che avevano beni, pagavano tasse, possedevano un certa cultura, erano liberi professionisti, cioè non appartenenti alla classe proletaria; difatti nell’amministrazione Codeleoncini durata fino al 1914 figuravano un marchese, un avvocato, un ingegnere, un sacerdote, un dottore, diversi esercenti, alcuni industriali, artigiani, commercianti; tutti erano possidenti di terreni e di case.  Ma con la legge elettorale di Giolitti, l’elettorato melegnanese cambiò la sua fisionomia vecchia di cinquant’anni. Salì la percentuale dei votanti dal 10% al 25% e la differenza era data dalle classi sociali che prima erano state escluse, praticamente dalle classi povere del proletariato operaio e manovale di Melegnano; e tale proletariato viveva nelle zone povere di Melegnano, e quindi era formato in prevalenza da aderenti al socialismo. Tuttavia questo allargamento della base elettorale melegnanese, in se assai positivo perchè toglieva dal ghetto politico i settori meno considerati e più sfruttati, non riuscì ad essere razionale e tecnicamente preparato ai nuovi compiti amministrativi: cessava la politica teorica per iniziare la prassi amministrativa tecnica, e su questo punto il socialismo melegnanese non fu all’altezza del suo grave compito. Questo fu il primo motivo del fallimento amministrativo dopo le elezioni del 1914 quando la maggioranza andò alla lista socialista.  Un ulteriore motivo consisteva nella assoluta incompatibilità tra i due settori melegnanesi più agguerriti: cattolici e socialisti. Alla vigilia elettorale del 1914, nei mesi di febbraio, marzo e aprile, i cattolici definirono tale periodo con  nome di Quaresima Rossa, e parole roventi astiose furono scritte contro i compagni socialisti che vennero a Melegnano a tenere comizi, in preparazione della campagna elettorale dell’estate, Filippo Corridoni l’eloquente sindacalista ascoltato in particolar modo dai contadini e dagli operai, Paolino Valera, Bellotti e Crosti. Da parte socialista si metteva l’accento sulle rivendicazioni salariali e politiche, ma non si risparmiavano i colpi bassi contro i cattolici, quando si arrivo’ a definire, come disse il Valera, « Melegnano un porcaio religioso». Cioè i temi politici erano tenuti in agitazione con i temi del clericalismo più acceso e dell'anticlericalismo più vivo. Ed in tale atmosfera era del tutto impossibile ogni accordo di minima collaborazione tra socialisti e cattolici in sede di Consiglio comunale a Melegnano.  Un ultimo motivo fu la mancanza di compattezza dei nuovi consiglieri socialisti: le divisioni interne al partito, le mire ambiziose, le pressioni familiari, le politichette dei gruppuscoli sfociavano apertamente in disaccordo consigliare di gruppo, che invece avrebbe dovuto agire unitariamente. Il socialismo, accettato dai melegnanesi quasi come un mito di futura società più giusta o di unica ideologia insostituibile per l’elevazione e la redenzione della classe operaia, non era poi così efficace nella pratica a stringere in una unica tecnica decisionale i socialisti melegnanesi, quando per la prima volta nella storia del nostro paese arrivarono con il metodo delle elezioni ai banchi della maggioranza nella amministrazione comunale. Le dimissioni a catena di parecchi consiglieri, tre giunte diverse, e tre sindaci, due volte le elezioni amministrative, nel periodo di un anno e mezzo, dall’agosto 1914 al dicembre 1915, rappresentarono il fallimento non più soltanto politico, ma civico ed umano, alla vigilia della guerra 1915-1918.  Comunque, al di là del quadro fallimentare, un elemento politico era ormai dato come realistico: la presenza della classe operaia nella vita amministrativa di Melegnano; cioè, l’uscita dai cortili e dalle vie rionali per un contatto diretto con altri centri melegnanesi.  Non più una visione verticale e rigida della propria vita quotidiana; ma si affacciava la necessità di considerare anche quella Melegnano operaia e vivente del salario settimanale come una forza con la qua-e, presto o tardi, bisognava fare i conti. Il proletariato melegnanese aveva iniziato la propria strada: e fu questo un dato di fatto socialmente positivo.  Gli eventi della guerra mondiale ridussero l’attività dell’amministrazione comunale, ed il Consiglio era decimato negli uomini, perché erano partiti per il fronte; Antonio Soffientini, fino all’agosto 1917 esercitò le funzioni di sindaco, poi arrivò il commissario prefettizio Eugenio Gola fino al termine della guerra. Nel novembre 1920 comincio a funzionare il nuovo Consiglio comunale con maggioranza socialista.  Un problema che si poneva da alcuni anni con una certa urgenza era il rilancio della Fiera del Perdono, per una maggiore importanza ed uno sviluppo più vasto con propaganda più efficace. Il 12 novembre 1914 si tenne un incontro tra melegnanesi, esercenti, commercianti, artigiani e politici per iniziativa di Federico Grazzani, Carlo Berra, Ludovico Caminada, Giacomo Del Corno, Angelo Bernini, Teofilo Pavesi, che diressero la discussione e prepararono un rapporto da presentare all'amministrazione comunale con queste parole: « E' noto il desiderio della cittadinanza ed il voto consigliare di ridare alla nostra Fiera del Perdono, andata ormai in decadenza, l'antico splendore. All'uopo è d'avviso sia da nominarsi una commissione di cinque membri, composta da persone pratiche, competenti e volonterose, che ponga le direttive in base alle quali abbia a svolgersi la Fiera, ne prospetti lo sviluppo, ne concreti le modalità ed esponga tutto quanto crederà opportuno affinché la Fiera acquisti l'auspicato incremento ». E la commissione fu realmente eletta, ma anche qui la guerra ridusse ogni sforzo di rinascita fieristica.  Chiuso questo argomento di sfondo mministrativo comunale, ritorniamo alle vicende belliche.
Le vicende belliche
L'Italia fin dal 20 maggio 1882 era legata in alleanza con la Germania e con l'Austria. La sostanza dell'accordo, che era di carattere esclusivamente difensivo, consisteva in una promessa reciproca di assistenza e di aiuti militari nel caso di un attacco francese alla Germania o all'Italia, o nel caso di un attacco dei Russi. Invece, nell'eventualità di una guerra con altre potenze, l'impegno era di una benevola neutralità. L'Italia però aggiungeva una ulteriore dichiarazione con la quale assicurava che mai in nessun caso sarebbe entrata in guerra contro gli Inglesi, perché la nostra potenza navale era del tutto inferiore a quella inglese.   Quando scoppiò la guerra nel 1914 il governo italiano era alle prese con le preoccupazioni del bilancio e con le agitazioni socialiste.  Ma essendo la guerra contro la Serbia manifestamente aggressiva, non c'era per l'Italia, secondo i patti del maggio 1882, nessun obbligo di intervento. E difatti la dichiarazione di neutralità italiana del 2 agosto 1914 chiarì la posizione internazionale dell'Italia.  Capo del governo italiano era Antonio Salandra che incaricò il ministro degli esteri Sidney Sonnino per avviare negoziati con i gruppi di nazioni belligeranti.  Il 26 aprile 1915 veniva firmato a Londra un patto con l'Inghilterra: se entro un mese l'Italia fosse intervenuta in guerra, accanto all'Inghilterra ed alla Francia contro l'Austria e contro la Germania, alla fine del conflitto l'Italia avrebbe avuto la Venezia Tridentina fino al Brennero, l'intera Venezia Giulia, eccetto Fiume, parte della Dalmazia, sovranità sul Dodecanneso, il protettorato sullo stato albanese e forti compensi in Africa.  A questo punto i neutralisti cercarono di fermare il corso degli eventi con una dimostrazione della maggioranza parlamentare. Ma sulle piazze e nei giornali, Bissolati, Mussolini, Corridoni, Cesare Battisti e soprattutto D’Annunzio incitavano alla guerra. La corrente neutrale di Giolitti fu messa in minoranza. L’entusiasmo della guerra aveva guadagnato quasi tutta la nazione: a Roma, a Milano, a Napoli, a Firenze immense folle di popolo invocavano la guerra, riscaldando le focose giornate di maggio; e il re, seguendo la volontà della nazione, riconfermava il governo Salandra. Il 24 maggio era dichiarata guerra all’Austria: si apriva il fronte italiano di guerra.
L’aiuto melegnanese
Mentre i soldati partivano per il fronte, in tutta Italia sorgeva il Comitato di preparazione civile, chiamato poi Comitato di mobilitazione civile. Gli scopi di tale comitato erano di provvedere all’assistenza delle famiglie dei militari, preparare gli ospedali per i feriti, prevenire la diffusione delle malattie infettive, tenere alto il morale della nazione e predisporre tutto il fabbisogno che le circostanze avrebbero richiesto.  In Melegnano vennero formate commissioni per queste finalità: raccolta di fondi; distribuzione di sussidi; assistenza ai bambini; ospedale della croce rossa, ufficio informazioni e corrispondenza con i militari. I membri delle commissioni distribuiti in gruppetti furono Pietro Lombardi, don Fortunato Casero, Ferruccio Dezza, Ernesto Clerici, Amilcare Cattaneo, Angelo Grazzani, Donato Rusconi, Antonio Margutti, Luigi Goglio, le Suore domenicane, il pretore avvocato Tola. Medici, maestri, preti, esercenti, operai, artigiani, tutti uniti al di sopra delle divisioni ideologiche, moderati con socialisti, clericali con indipendenti, laureati ed ignoranti. In un documento pubblico il Comitato così si rivolgeva ai melegnanesi: « Purtroppo questa guerra cruenta ed immane in cui milioni e milioni di uomini vi sono impegnati, continua col maggior inasprimento, con la maggior tenacia, ed ancora nessun indizio ci dà a sperare in una prossima pace. Non importa essere stati od essere tuttora dei neutralisti o degli interventisti. Si tratta di lenire tanti dolori, di soccorrere tante miserie; e tutti quanti hanno cuore generoso, devono concorrere in quest’opera buona ed umanitaria ».  Sorsero pure altri organismi: Sottocomitato femminile di preparazione civile; opera nazionale dello scaldarancio con sede all’oratorio maschile; serate di beneficenza pro Croce Rossa Melegnanese, pro feriti, pro assistenza ed asilo dei figli dei militari; commissione provinciale per la confezione degli indumenti militari presieduta da Pellegrino Origoni; pacco del soldato; comitato per le onoranze e per gli erigendi ricordi marmorei per i caduti.  La raccolta dei fondi, operata dal Comitato di preparazione civile, diede un risultato di lire 22.837,41. Particolare cura era per i profughi, per i quali era sorto anche a Melegnano il Patronato Profughi.  Tutta quest’opera è riassunta in una relazione che fu inviata al Prefetto di Milano, firmata dal Commissario Prefettizio, avvocato Eugenio Gola e dal Segretario Comunale Giuseppe Brighenti, in data 26 giugno 1918. Dice infatti la relazione: « Il 4 novembre 1917 Melegnano ospitò la prima famiglia composta di dieci profughi, provenienti dalle terre invase.  Alloggio, viveri, letti, biancheria, masserie e quanto abbisognò loro direttamente necessario fu provveduto con ogni sollecitudine.  Poco dopo altre famiglie sopraggiunsero, ed a ciascuna di esse si usò il trattamento fatto alla prima.  Ad iniziativa del locale Comitato di Assistenza Civile, e col concorso del Benemerito Corpo Insegnante, di volenterosi signori e signore del paese, fu indetta una passeggiata di beneficenza ed aperta una sottoscrizione a favore dei profughi, le quali fruttarono qualche migliaio di lire ed indumenti. Ad opera del Comitato i profughi furono riforniti in più riprese di altri indumenti e biancheria che l’Onorevole Comitato di Milano per la raccolta dei fondi, la benemerita Commissione delle Signore della Società Dante Alighieri e l’illustrissimo signor Emilio Quadrio misero a disposizione.  Anche un discreto numero di calzature venne loro distribuito gratis. E di tutto, i profughi si sono mostrati soddisfatti e grati.  Non meno premurosa e cordiale fu l’assistenza morale che autorità e cittadini ebbero loro a prestare.  Le entrate a favore dei profughi ammontano sino ad oggi a lire 15.166,15 ivi comprese lire 12.235,80 spedite da codesta Prefettura.  Il numero dei profughi costantemente qui residenti è di 50, a ciascuno dei quali si corrisponde in media il soccorso giornaliero di lire 1,50.  Pur sempre assai desiderosi di far ritorno alle rispettive case, i profughi si mostrano lieti del soggiorno di Melegnano, tanto che alcuni si sono adoperati perché famiglie profughe parenti ed amiche residenti altrove, fossero trasferite a Melegnano, come infatti avvenne. Colla massima osservanza: Gola-Brighenti ».
La fine della guerra
E finalmente venne la fine della guerra anche per l’Italia. A Melegnano come in tutti gli altri paesi, la gioia fu incontenibile.  Togliamo da una pubblicazione melegnanese la seguente cronaca, che è più eloquente di ogni altra esposizione: «Lo spettacolo di domenica 10 novembre sarà indimenticabile.  La parola del tenente Borzacchi elettrizzò l’uditorio, rievocando tutta l’epopea della tenzone che condusse alla vittoria, e commemorando i prodi che si immolarono o si distinsero per la più grande patria. Sulla piazza della chiesa di san Giovanni era un formicolio ben raramente visto. L’uscita dal tempio delle autorità con a capo l’onorevole nostro deputato avvocato Valvassori-Peroni, che tanto ha partecipato alle opere di assistenza e di sostegno delle doloranti vittime, è applaudito dalla folla, che si rivolge tutta unanime verso una meta, l’Ossario dei Caduti dell’8 Giugno 1859. Colà lo spettacolo è grandioso: dalla gradinata al campo fiorito, dalla cancellata al viale, allo stradone provinciale è un agitarsi di persone che rendono omaggio ai caduti di un giorno, unendoli ai generosi che anche ora hanno sacrificato la loro vita per la Patria. Poi l’immensa fiumana sfolla lentamente, e nei cuori di tutti rimane vivo il ricordo e l’affetto ai nostri cari perduti ».  Melegnano rispose pure al Servizio del Volontario Civile, dipendente dal Ministero per l’Industria, il Commercio ed il Lavoro.  Lo scopo del Volontariato Civile era quello di utilizzare tutte le energie nazionali, perchè la produzione agricola ed industriale non mancasse di personale.  In data 25 maggio 1918 gli aderenti erano 16 melegnanesi, 12 per lavori riguardanti il razionamento dei generi alimentari, 1 (ingegnere) per lavori edilizi, stradali ed idraulici, 1 per lavori di ufficio, 1 per direzione di azienda agricola, 1 per spedizione prodotti agricoli.  Le statistiche riguardanti il conflitto stanno in questi termini: morti sotto le armi 89 di cui 45 sposati e 44 non sposati.  Orfani di guerra 24. Soldati disertori o che non si sono presentati alla chiamata o che fuggirono dal loro comando militare 40 dei quali 2 furono condannati all’ergastolo; 4 dai dieci ai trenta anni di carcere; 34 con pene varianti da un anno a dieci anni di carcere. Ai morti sotto le armi bisogna aggiungere un altro gruppo (circa 20) di morti in paese, in seguito a ferite gravi o a malattia contratta al fronte.
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