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Le
organizzazioni politiche e la ripresa civica
Nell’agosto del 1917, in piena guerra, mentre erano al fronte anche parecchi membri del Consiglio comunale, compreso il sindaco, per l’impossibilità obiettiva del funzionamento regolare amministrativo, Antonio Soffientini dava le dimissioni e veniva sostituito da un commissario regio prefettizio, Eugenio Gola, che amministrò il Comune fino al 2 maggio 1919, a guerra terminata. E in attesa di una normalizzazione politica ed amministrativa in campo nazionale e provinciale, si continuò con un altro commissario, Giovanni Cairo, che durò nella carica fino al novembre del 1920, perchè in tale data si radunò il primo Consiglio comunale del dopoguerra in seguito a regolari elezioni amministrative. Nell’immediato dopoguerra, dal punto di vista politico, iniziò un febbrile attivismo su tre settori locali che sensibilmente andavano differenziandosi tra loro sempre più in fatto di scelte e di programmi: socialisti, cattolici, laici moderati. Anche a Melegnano si organizzò ben presto il movimento socialista, come partito, con propri iscritti e tesserati, con raduni, con propaganda e comizi. La forza di penetrazione socialista a Melegnano era notevole perchè favorita dalla presenza massiccia di lavoratori salariati, giornalieri, manovali, proletari, parecchi dei quali lavoravano con contratti a scadenza stagionale. Tanto più che, per la legge di Giolitti del 1912, si estendeva il diritto di voto a tutti i maschi, compresi gli analfabeti, ed in tal modo anche a Melegnano il corpo elettorale si ingrandiva a beneficio di coloro che fino allora ne erano esclusi perchè privi di censo e di beni, che erano in definitiva i titoli necessari e sufficienti per avere diritto a votare. In Italia si passò da tre milioni di elettori a otto milioni. Tuttavia l’opinione pubblica, senza tante distinzioni, confondeva troppo spesso il movimento socialista ed i suoi obiettivi con le frange di teppismo, di radicalismo e di sovversivismo, e si metteva tutto insieme: socialismo, massoneria ed anticlericalismo, perché a molti temi di politica estera ed interna si mescolavano atteggiamenti pettegoli locali che diventavano pretesti per polemiche e baruffe tra gruppi antagonisti. Il movimento socialista, quindi, vedeva se stesso confuso ed interpretato con definizioni che nella mente dei suoi uomini migliori, chiamati dai melegnanesi socialisti giusti, non erano condivise. Non si dava troppa importanza quando i socialisti denunciavano le ingiustizie sociali di una società ancora feudale in alcuni settori, specie nelle cascine e nei campi; non si avvertiva il messaggio urgente e pratico sui salari e sulle ore di lavoro giornaliero, sulla situazione delle abitazioni, sul lavoro dei fanciulli, in alta percentuale anche a Melegnano. Non si riusciva a capire che proprio il socialismo a Melegnano si batteva, pur tra difficoltà di un proletariato semianalfabeta, vivace ed anche polemicamente rozzo; era il portavoce più aperto di nuove esigenze e di nuovi cammini economici, ed in ultima analisi era produttore di nuove impostazioni morali, dal momento che si faceva interprete di quelle classi lavoratrici che per lunghi secoli a Melegnano erano state ritenute di poca considerazione. Non fa meraviglia quindi che le masse lavoratrici si sentissero per la prima volta considerate dalla politica e si unissero al movimento socialista che proponeva esperienze dirompenti rivoluzionarie di tipo russo leninista. Non fu dunque un caso strano ed imprevedibile che anche a Melegnano il socialismo fosse largamente accettato. E non fu un controsenso storico se nelle prime elezioni amministrative locali, avvenute dopo la guerra, quelle del 1920, la lista socialista ebbe il trionfo, sia nella maggioranza consiliare sia con un suo sindaco, nella persona di Pietro Lombardi. Avversario al movimento socialista, il secondo settore politico era quello di stretta diramazione cattolica e che faceva capo al clero melegnanese ed aveva i punti forti nelle associazioni cattoliche e specialmente nella dottrina cristiana della domenica pomeriggio. Inoltre vi erano parecchie famiglie di lunga tradizione cattolica, mentre buona opinione riscuoteva il parroco Fortunato Casero venuto a Melegnano il 27 luglio 1908. I cattolici a Melegnano si trovavano abbastanza nella possibilità di organizzarsi, perché trasferirono nella politica lo spirito organizzativo che avevano da secoli nelle Scuole della dottrina cristiana e nelle Congregazioni di vario tipo. Soprattutto erano convinti della bontà assoluta del loro accettato e pacifico attaccamento al movimento cattolico politico, perché la propaganda antisocialista suonava a tamburo battente gli errori, le violenze, le intemperanze della rivoluzione russa, facendo perno sul delicato e sensibile settore della lotta religiosa. Il bollettino « La Campana » uscito con il primo numero nel febbraio 1908, a tiratura molto elevata, rappresentava e divulgava con i suoi scritti questo secondo settore sociale melegnanese. Del resto bisogna osservare che il popolo melegnanese era sostanzialmente cristiano, inserito nelle associazioni e gravitante attorno alle chiese dei rioni ognuno dei quali rappresentava una mini-città entro il perimetro comunale, e che fin dal 1500 ogni domenica aveva le spiegazioni religiose della dottrina e periodicamente frequentava le novene, i riti solenni e le feste rionali, e che fin dalla fanciullezza era indirizzato alla formazione mediante la famiglia e gli oratori maschili e femminili. Ed anche qui, dunque, non era un contegno antistorico che, apertasi la lotta politica, il settore cattolico si ponesse in cammino, sfruttando ogni energia di persone e di prestigio per organizzarsi e concretare con una presenza attiva le sue posizioni ideologiche in seno all’amministrazione comunale, con l’adesione e la costituzione anche a Melegnano del Partito Popolare Italiano, nel 1919. Un terzo settore era invece rappresentato da coloro che non accettavano le teorie socialiste e neppure le proposte cattoliche, sia per una innata antipatia alla politica, sia per quieto vivere, sia per poca fiducia negli uomini più rappresentativi dei due grossi schieramenti, e sia anche per i propri interessi personali. Costoro appartenevano al settore dei laici moderati, rispettosi del clero senza frequentarlo, sospettosi del socialismo senza direttamente esporsi. Non formavano un partito organizzato come i primi due, ma erano tenuti insieme da contatti amichevoli, da bianche cospirazioni utilitaristiche e da una certa ostentata superiorità ma fu anche da questo settore che uscirono uomini di schietta serietà amministrativa e di indiscussa onestà e disinteresse. Questi orientamenti segnavano quindi la ripresa politica ed amministrativa di Melegnano nell’immediato dopoguerra. Ma nello stesso tempo si muoveva qualche altro settore, nel clima della ripresa civica e sociale, ne diamo alcuni esempi: nello stesso anno 1919 Vincenzo Bettoni riscuoteva applausi in ogni parte del mondo per la lirica operistica; Vincenzo Benini si laureava dottore in medicina a Padova; Innocentina Caminada si laureava in Lettere a Roma; Antonio Marovelli era segnalato per le future gare olimpiche internazionali; e venivano riconosciuti degni di onorificenze militari Giuseppe Giavarini, Luigi Polli, Francesco Confalonieri ed il sacerdote Francesco della Vedova, che più tardi lascerà la veste. Il 29 ottobre 1920 terminava la gestione amministrativa il commissario prefettizio Giovanni Cairo, perché veniva insediato il primo Consiglio comunale del dopoguerra, in seguito alle elezioni amministrative. I consiglieri eletti furono, in ordine alfabetico, Belloni Natale, Beretta Leone, Biggioggero Giovanni, Caminada Ludovico, Castelfranchi Giovanni, Cavioni Carlo, Ceremeletti Giuseppe, Clerici Ambrogio, Costa Giov. Battista, Crotti Salvatore, Dezza Edoardo, Fazzini Luigi, Gardino Giovanni, Lombardi Pietro, Maestri Antonio, Meda Gaetano, Pozzi Giovanni, Rossi Mario, Spinelli Menotti, Vassura Enrico. E la giunta comunale fu composta da socialisti con sindaco Lombardi Pietro. Il discorso programmatico del sindaco, che è giunto fino a noi, ricordava che essi erano lì in nome del socialismo in difesa della classe lavoratrice; e si scagliava polemicamente contro gli « omenoni » che avevano, a suo dire, ridotto il bilancio fino all’osso. L’amministrazione socialista Queste elezioni dell’ottobre del 1920, che portarono al Comune i socialisti, furono forse uno scacco alla lista cattolica melegnanese, che tuttavia non si era presentata compatta come si potrebbe credere: sulla Campana di questi tempi si parla chiaramente di discordie interne e di esterni malcontenti, di posizioni ambigue e di sotterfugi dannosi per essere eletti. Comunque, una nuova forza si affacciava alla ribalta amministrativa melegnanese: i socialisti, che anche sul piano nazionale economico, oltre che politico, erano imbevuti dalla speranza immediata di una rivoluzione come quella russa del 1917. Ed anche i socialisti melegnanesi pensavano che la rivoluzione fosse una cosa semplice, nonostante che l’insegnamento vivo di Lenin più volte avvertisse che ogni rivoluzione richiedeva uomini di vasta sensibilità politica e non solo animati da romantica volontà o addirittura da velleità. Parecchi socialisti melegnanesi erano dotati di una buona volontà, animati da indiscusso zelo per la classe operaia; ma non erano preparati da nessuna base fondamentale, per distinguere tra ideologia di base e tecnica dell’applicazione politica all’amministrazione. Purtroppo anche il socialismo era come un seme, e, come tutte le grandi idee, aveva bisogno di maturare nel vaglio purificatore e severo del tempo, perchè i frutti non possono essere immediati, quando si tratta di una grande causa. Nacque una ostile intransigenza fondamentale tra socialisti e cattolici negli anni 1920, 1921 e 1922, talvolta con scontro non soltanto verbale. Dall’ottobre 1920 all’agosto 1922, nonostante che fosse un periodo relativamente breve, la prima amministrazione socialista portò a compimento riforme e leggi sociali alcune delle quali rimasero feconde anche per l’avvenire: la revisione dell’elenco dei poveri, con l’ampliamento della loro assistenza sanitaria; il controllo dei prezzi sul latte e sulla carne; lo studio per il progetto di un secondo pozzo in Largo Crocetta e per una eventuale serie di bagni pubblici, docce e lavatoi; disposizioni ed approfondimento sul grave problema della disoccupazione; indennità al caro viveri per i dipendenti comunali che erano 18 (segretario - due applicati - uno scrivano – un messo comunale - una guardia - tre spazzini - due medici - una levatrice - un veterinario - un seppellitore - un bidello - un fontaniere - due custodi carcerari maschile e femminile); contributo al Consorzio provinciale per l’assistenza clinica e balneare alla fanciullezza; ambulatorio giornaliero all’Ospedale Predabissi; alloggio ai senza-tetto; costituzione del Comitato provvisorio per la costruzione di case popolari; apertura di una scuola serale e festiva di disegno e di meccanica; voto positivo di riconferma ai fabbriceri parrocchiali (Caminada Vincenzo, Origoni Pellegrino, Cremascoli Alberto); comitato « Pro Scuola » per i problemi dell’assistenza scolastica; incoraggiamento per la funzionalità di nuove risaie nel territorio agricolo del nostro Comune. Qualche cosa, dunque, incoraggiava a muoversi nel settore tipicamente sociale e in favore delle classi meno abbienti. E non sempre l’opposizione cattolica valutò la sostanza di queste iniziative, ma piuttosto continuava a vedere la base anticlericale e demagogica di questa piattaforma programmatica. Mentre si stava impostando l’esecuzione di tutto questo lavoro, che indubbiamente avrebbe portato un avanzamento qualitativo della classe operaia ed una indubbia conquista sociale, avvenne il fatto clamoroso: il Primo Maggio 1922 fu esposta la bandiera rossa al balcone della Casa Comunale, in piazza; ed era forse un gesto più di intemperanza e di irriflessione che una sfida provocatoria. Pero bastò questo gesto perchè dalle opposte sponde antisocialiste scattassero le reazioni e le conclusioni prese dall’alto: con decreto prefettizio il sindaco Pietro Lombardi fu deposto, con la nomina del commissario Marco Gentili il 6 maggio 1922. Ed il decreto reale del 25 giugno 1922 scioglieva tutto il Consiglio comunale ed affidava la reggenza commissariale ad un altro commissario, Giuseppe Castelli. La svolta Fu un avvenimento doloroso non tanto per i riflessi immediati, quanto per le conseguenze future. Dal giugno 1922 al febbraio 1923 nessun rappresentante politico poté amministrare e continuare il programma ricco di promesse sociali e necessarie. Il collaudo della prima amministrazione socialista era finito miseramente tra polemiche, accuse e controaccuse. Non si poté maturare la dialettica tra maggioranza e minoranza, tra governo ed opposizione, che è il presupposto primo di ogni sana democrazia popolare. Ma soprattutto approfondì il solco che divideva ormai inequivocabilmente due settori e due orientamenti politici. L’opinione pubblica rimase scossa: l’esperimento del Consiglio comunale del dopoguerra, che doveva essere l’espressione della rinnovata capacità legislativa melegnanese dopo gli anni della guerra dava ragione a coloro che vedevano la politica come una cosa sporca. Ma la conseguenza più grave fu un’altra: quando si costituì il nuovo Consiglio comunale il 20 febbraio 1923 era già avvenuta la Marcia su Roma operata dal fascismo; ed i venti consiglieri melegnanesi furono quasi tutti di fede antisocialista, alcuni già iscritti al fascio, altri simpatizzanti, altri del partito popolare, altri animati da zelo amministrativo per una specie di restaurazione dopo quello che chiamavano « l’avventura socialista »: Caminada Ludovico, Bernini Angelo, Berra Carlo, Grazzani Federico, Fasana Giuseppe, Cozzi Achille, Bianchi Eugenio, Pavesi Teofilo, Giudici Vittorio, Danova Giuseppe, Servida Giuseppe, De Giorgi Antonio, Anni Giuseppe, Maiocchi Edoardo, Del Corno Giacomo, Lorini Luigi, Broggini Edoardo, Piacentini Angelo, Castelli Giuseppe, Rossi Ermenegildo: personalità di indiscusso valore civico, di doti personali, e se vogliamo anche di rettitudine amministrativa, dal momento che quasi tutti erano impegnati in settori pubblici ed economici. Ma la forza di Roma era ben chiara e precisa nel condizionare ogni futuro programma. Difatti riuscì come sindaco l’uomo tra i più preparati sia culturalmente sia politicamente come richiedevano le recenti esigenze centrali: Federico Grazzani. Altri paesi e cittadine furono costretti a cambiare il corso Della loro storia mentre erano nel fiore e nella sana operosità feconda amministrativa; invece a Melegnano socialisti e cattolici perdevano in modo squallido ed indecoroso la difficile battaglia per la democrazia. Però non tutto fu vano: gli uomini del socialismo melegnanese e quelli del partito popolare cattolico, ridotti al silenzio ed ad un possibile esame di coscienza politico, conserveranno viva la loro convinzione e con difficoltà si piegheranno al nuovo corso. Ma alcuni di essi saranno pronti ad uscire nel periodo della resistenza dopo la fine della seconda guerra per riprendere un cammino democratico dopo vent’anni. Parve che per alcun tempo la calma fosse tornata, che regnasse finalmente l’ordine e che il paese respirasse un atmosfera più pacata; gli episodi passati furono interpretati come deformazioni dell’assetto civile melegnanese. Si ripresero i temi più urgenti: bilancio, risanamento delle casse pubbliche, iniziative assistenziali, accordi per i lavori pubblici, rilancio del commercio locale; e risale al 28 aprile 1923 la costituzione del primo comitato per la Fiera del Perdono, per allargare a tre giorni il tempo della stessa fiera. Il fascismo Intanto anche a Melegnano era sorta la sezione del fascio; si affissero manifesti murali e vi furono incontri a livello privato e pubblico per chiarire la posizione del nuovo governo. Ma era chiaro che tutti i partiti erano tendenzialmente antifascisti, e solo una frangia della piccola borghesia melegnanese era favorevole. Anche a Melegnano vi furono scontri tra gruppi opposti che erano alimentati dalle loro propagande. Ma la marcia su Roma non era avvenuta invano. Dal 1922 al 1928 Mussolini ed il fascismo elaborarono una serie di leggi che soppressero il regime costituzionale e liberale e che instaurarono in Italia il regime totalitario; aboliti i partiti politici; controllata la stampa; istituita la censura sulla radiodiffusione e sulle pubblicazioni; ristretta e regolata la possibilità di riunione e di associazione; puniti come reato lo sciopero e la serrata; istituito il tribunale speciale contro i reati politici; stabilita la condanna al confino per gli antifascisti militanti. Ed anche Melegnano, senza gravi scosse, si adattò al nuovo regime, il quale ogni giorno raccoglieva sempre più numerosi aderenti. Una questione che si affacciava viva e discussa fu, nel 1924, la unificazione dei Comuni circondari: si volevano, cioè, unire al Comune di Melegnano i territori di Vizzolo, Colturano, Riozzo, Pedriano, Santa Brera, Rocca Brivio e Rampina. I motivi che giustificavano tale progetto erano di ordine sociale, culturale, assistenziale, e religioso: Melegnano serviva i paesi circonvicini con il suo mercato, servizio postale, servizio telefonico e telegrafico, con la ferrovia, con il servizio di autonoleggio, automobilistico pubblico, di banche, di servizio funebre; a Melegnano esisteva l’unica scuola secondaria di avviamento al lavoro della zona, tutti gli uffici sindacali e corporativi istituiti dal regime fascista, gli uffici di assistenza legale; Melegnano costituiva la sede della parrocchia dalla quale le suddette popolazioni limitrofe dipendeva da oltre cinque secoli. Ma i motivi più forti erano quelli politici: i Comuni della zona facevano parte della segreteria politica melegnanese ed avrebbero potuto potenziare con maggiore efficacia le istituzioni fasciste che dovevano permeare la vita della popolazione: Opera nazionale Balilla, che avrebbe avuto una sua sede; gli interventi associativi e formativi alla fanciullezza melegnanese e dei dintorni; l’Opera della Maternità ed Infanzia che provvedeva al permanente nido d’infanzia, un dispensario per la visita e la cura dei bambini, ed un refettorio materno; la costituzione di un centro demografico per lo studio dei bisogni delle popolazioni. Ma grosse difficoltà locali e periferiche, oltre che motivi di campanilismo e di tradizioni per la perdita delle autonomie, rimandarono la questione al 1932, quando ancora si riprese con più intensità tutta la problematica con tentativo di definitiva soluzione. La consistenza fascista a Melegnano intanto si consolidava fino a che nella primavera del 1924, con una delibera dell’8 maggio, il Consiglio comunale decretava di dare la cittadinanza onoraria melegnanese a Benito Mussolini con questo testo: « A sua eccellenza Benito Mussolini, presidente del Consiglio dei ministri, soldato invitto, incomparabile condottiero, che con valore indomito, altissimo senso e sommo amore, salvò l’Italia dall’estrema caduta, ripristinando prestigio, l’antica terra di Marignano riconoscente, con orgoglio, con devozione e con inestinguibile fede, conferisce la cittadinanza »: l’ordine del giorno fu salutato da applausi lunghissimi e con ripetuti eia! eia! eia! alalà! da tutto il pubblico presente. Nello stesso anno 1924 altri fatti saldarono il paese al fascismo: le votazioni politiche con il risultato del 98% dei sì; l’inizio del corso per premilitari con la presenza di 75 giovani di Melegnano e dei dintorni; le manifestazioni oceaniche patriottiche, come quella per ricordare l’annessione di Fiume all’Italia, con una massiccia sfilata per le vie di Melegnano, tra le associazioni, scuole ed autorità e con una grandiosa illuminazione del centro storico in piazza castello e S. Giovanni: dopo due anni dalla marcia su Roma, Melegnano era del tutto fascistizzata perché il Comune, le scuole, le associazioni, le manifestazioni ed ogni settore della vita pubblica erano fondati strettamente ormai sul fascismo. Nella figura: Benito Mussolini, a Melegnano il 5 ottobre 1935, visita l'Industria Chimica. Alla sinistra il dottor Piero Saronio, ed attorno ed alle sue spalle vi sono i gerarchi melegnanesi. L’economia La situazione economica melegnanese in questo periodo fascista conobbe ancora una forte occupazione agricola, anche se alcune industrie incominciavano ad assorbire numerosa manodopera. Le quindici cascine del Comune erano fiorenti ed avevano queste cifre di estensione in ettari: Palassia 20, Medica 29, Cattanea 40, Martina 4, Silva 49, Bernardina 7, Bertarella 12, Giardino 67, Adelina 11, Cappuccina 25, Pallavicina 35, Montorfano 10, Carmine 7, Casarino 2, cascina alla strada per Carpiano 60. Il terreno agricolo melegnanese era coltivato a frumento, granoturco, avena e riso, ed occupava il 38% della superficie agricola; il 47% era coltivato a prati avvicendati; il 70% per orti familiari. Le cifre mettono in evidenza che, quanto minore era la superficie riservata ai cereali, tanto maggiore era quella occupata dai prati. E nelle relazioni ufficiali della statistica fascista in fatto di agricoltura, i commenti furono presentati come testi di esaltazione e di progressi agricoli. Nei commenti elogiativi si arrivò a dire che in un anno vi fu anche una grande raccolta dell’uva, in contrasto con altre testimonianze che accertavano una scarsissima raccolta; quando poi non era necessario comprarne molti quintali nella zona del piacentino per celebrare la Festa dell’uva. Una occasione pubblica di manifestazione della vitalità agricola era data dalla Fiera del Perdono. Rimase famosa quella del 1934, tenutasi il 2 aprile, e denominata Prima grande rassegna agricola del Melegnanese, che fu un misto di festa agricola, folcloristica e chiassosa, ma che servì come prova di collaudo politico e come verifica di manovra delle masse contadine. Il programma prevedeva il passaggio per Melegnano dei migliori traini agricoli, la rassegna di quelle che venivano chiamate « le balde centurie » dei lavoratori dei campi, la Festa del Lavoro con la premiazione dei più vecchi contadini: era, insomma, una manifestazione lanciata dalla storia politica e dal programma che andava sotto il nome di « battaglia del grano ». Per quanto riguarda il patrimonio zootecnico, per il 1932 si hanno questi dati: 158 cavalli, 16 asini, 5 muli, 432 bovini, 136 suini. Abbiamo riportato queste statistiche sia per chiarire la vivacità rurale delle nostre campagne nel tempo del fascismo, sia perché da questo tempo l’area destinata all’agricoltura comincia ad essere ridotta per far luogo alla zone residenziali ed alle costruzioni. La grande industria melegnanese cominciava i suoi passi o conosceva i suoi regressi: nel 1930 fu chiuso lo stabilimento del Linificio e Canapificio Nazionale in conseguenza della crisi generale che aveva colpito anche l’Italia. Dopo alcune settimane di incertezze, il 3 agosto veniva chiuso per sempre, lasciando nella disoccupazione circa mille lavoratori. Per far fronte a questa grave disgrazia cittadina l’amministrazione comunale decise l’esecuzione di una serie di lavori pubblici: sistemazione di strade e di piazze; costruzioni di locali ad uso scolastico; sistemazione della sede della caserma dei carabinieri; costruzione di un primo lotto di case popolari; riordino di parecchi tratti della vecchia fognatura. Si cerco anche da parte dell’Ufficio di collocamento di far assumere operai presso altri Comuni, compreso Landriano. Nel settore delle previdenze si versò agli operai anziani quelli che non avevano ancora raggiunto il 64° anno di età - un sussidio, mentre era messo a disposizione il Fondo di previdenza malattie; inoltre nel 1930, in seguito a questa crisi, parecchi melegnanesi emigrarono, in numero di 428. Il potere fascista Ma la sostanza del fascio ogni giorno prendeva la sua più vasta consistenza anche a Melegnano. Ogni manifestazione pubblica era soggetta a controllo quasi sempre preventivo e in stretta aderenza agli ordini che arrivavano dal governo centrale o dal prefetto. La libertà di critica non poteva esistere nella logica di un governo che aveva eliminato tutti i partiti e aveva ridotto al silenzio ogni opposizione democratica, giusta o sbagliata che fosse: era, cioè, una dittatura con tutti i crismi e tutte le caratteristiche della dittatura. La giustificazione stava nei motivi di ordine pubblico, di risanamento dell’economia, di prestigio nazionale di forza nazionale, di priorità del corporativismo e della lotta al bolscevismo. Ed accanto a Questa logica dittatoriale agiva anche la repressione contro coloro che vivacemente non si volevano piegare, verso i quali si usavano mezzi pacifici e anche il bicchiere dell’olio di ricino. E bisogna dire, per onestà storica, che nella grande maggioranza i melegnanesi accettarono comunque il nuovo regime; pochi furono i contrari: nelle elezioni politiche del 1924 il settore cattolico fu invitato a dare il suo appoggio, e parecchi socialisti anche militanti fecero buon viso all’evidenza politica. E quando le intemperanze fasciste diventarono audaci contro istituzioni cattoliche e socialiste, non c’era più nulla da fare, anche perché vi era il pane quotidiano ed il posto di lavoro da salvare. Un chiaro esempio fu quello del luglio-ottobre 1938 quando venti elementi del Corpo Musicale dell’oratorio dovettero aderire con pressione morale alla costituzione del Corpo Musicale cittadino sotto la guida del Fascio. Se ora volessimo registrare in analisi le realizzazioni del fascismo, troveremmo questi fatti: la nuova sede municipale trasferita nel febbraio del 1930 dal palazzo del Comune ai locali ampi del Castello; la riorganizzazione dei pubblici servizi, (ricupero delle tasse, disciplina per il ricovero ospedaliero, riorganizzazione dell’azienda del civico acquedotto, servizi municipalizzati delle pubbliche affissioni, riscossione del plateatico più organico e revisione delle imposte di consumo); l’assistenza all’opera della Maternità ed Infanzia; l’istituzione nel 1933 del consultorio pediatrico ed ostetrico; l’apertura nel 1931 del nido d’infanzia per i bambini delle mondariso; attuazione delle colonie elioterapiche e marine, con preferenza del lido adriatico e infine in luogo presso il terreno dell’ex Linificio e Canapificio nazionale; la provvigione per l’assistenza sanitaria gratuita con la compilazione dell’elenco dei poveri comprendente 596 famiglie; l’istituzione della mutua sanitaria comunale; ampliamento e risanamento del cimitero comunale con la costruzione della cappella municipale ed il settore per il seppellimento dei non cattolici; costruzione di case popolari con settanta nuovi locali; due lavatoi pubblici; consorzio con altri ventidue Comuni limitrofi per il servizio dell’Ufficiale sanitario. Il fascismo rivalorizzava le feste nazionali e le ricorrenze patrie: le date commemorative della storia unitaria italiana del 4 Novembre, dell’8 Giugno, del 24 Maggio; gli anniversari della rivoluzione fascista del 23 Marzo e del 28 Ottobre; la data del Natale di Roma, 21 aprile; ed altre manifestazioni varie: la Festa degli alberi; la Giornata del fiore e della doppia croce; la Giornata della Croce Rossa; la Giornata dell’uva; la Giornata della madre e del fanciullo; la Giornata del Risparmio. Una cura particolare era dedicata alla gioventù scolastica: inquadrati in reparti di balilla e di piccole italiane e di figli della lupa, con divise, ragazzi e ragazze partecipavano alle manifestazioni publiche indette dal fascio. Grandiosi festeggiamenti si organizzarono per il passaggio del Duce a Melegnano: la torre dell’acqua divenne la torre littoria, e completamente ricoperta di pannocchie; in piazza 4 Novembre erano schierati tutti gli operai; una trebbiatrice attendeva Mussolini per il collaudo; in evidenza era il settore delle famiglie numerose. Quando tra schiere di popolo osannante passò il Capo del Governo, Benito Mussolini, la commozione pubblica arrivò al massimo; a due metri di distanza, mescolato tra le famiglie numerose l’autore di queste righe vide il volto sicuro di Benito Mussolini. Era l’autunno del 1934. Il censimento effettuato il 21 aprile 1931 diede i seguenti risultati: 2294 famiglie residenti in Melegnano; popolazione composta di 8684 abitanti. Nel precedente censimento del 1921 la popolazione di Melegnano ammontava a 7502 abitanti. La conquista dell’impero Nel 1935, mentre in tutto il mondo il colonialismo era in piena crisi, Mussolini pensò di dare grandezza imperiale all’Italia riprendendo il vecchio progetto di conquista dell’Etiopia dei tempi di Francesco Crispi: un progetto che aveva dato tanti dolori e tante delusione agli Italiani. Due armate comandate dai generali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani partirono il 3 ottobre 1935 rispettivamente dall’Eritrea e dalla Somalia puntando su Addis Abeba, riuscendo a raggiungere la meta dopo sette mesi di guerra (5 maggio 1936); il re d’Italia divenne imperatore d’Etiopia, ma per pochi anni, cioè fino alla perdita che avvenne nel 1941. Da Melegnano partirono 57 melegnanesi per il fronte africano, mentre un opuscolo illustrativo della mostra coloniale riportava con enfasi che « essi partirono portando nell’opera di civiltà la giovinezza balda, pronti ad immolarsi mentre l’anima di Melegnano tutta, rinata e rifatta dallo spirito fascista si protendeva con essi verso il destino...». Intanto la Società delle Nazioni decretò le sanzioni economiche contro l’Italia il 18 novembre 1935. E nelle mani del fascismo le sanzioni divennero un formidabile strumento di propaganda. Nel clima vivace di esaltazione politica fu istituita la « Giornata della fede »: il 18 dicembre, mentre la regina Elena, a Roma sull’Altare della Patria, consegnava il proprio anello matrimoniale, milioni di spose ripeterono il gesto in tutta Italia. A Melegnano furono raccolti chilogrammi 12,546 di oro e chilogrammi 1378,460 di argento: era l’offerta dei Melegnanesi alla Patria. A Melegnano, inoltre, fu fondata da un gruppo di studenti universitari la sottosezione dell’Istituto Fascista dell’Africa Italiana, per la conoscenza dei problemi e degli aspetti delle terre italiane d’oltremare. Dal 6 al 10 aprile 1939 si tenne in Melegnano la Mostra coloniale dove erano esposti cimeli bellici, oggetti degli usi e dei costumi dell’Africa, gli esemplari della flora e della fauna, oggetti di arte e di religione, più un salotto arabo tutto arredato. Al termine della campagna militare d’Africa, come in tutti i Comuni, anche a Melegnano si tennero adunate oceaniche nelle sere del 5 e del 9 maggio 1936 per « salutare la Vittoria e l’Impero e per rispondere e giurare il sì al comando del Duce », così era scritto nell’invito alla cittadinanza. L’esplosione di entusiasmo e di patriottismo avvenne la domenica 10 maggio. Attorno alle autorità e alle istituzioni del partito fascista, si sono raccolte le associazioni combattentistiche, le associazioni cattoliche, i gruppi aziendali del Dopolavoro, ed in corteo si recarono in chiesa San Giovanni per il solenne Te Deum di ringraziamento. Intanto, il 21 aprile 1936, avvenne il censimento, che diede questo risultato: popolazione presente nel Comune 9169 abitanti, di cui 4464 maschi e 4705 femmine; famiglie censite 2502; vi fu un passo in avanti dal 1931, quando Melegnano contava 8684 abitanti. Ed ugualmente la situazione sanitaria era migliorata dai decenni passati. Difatti nella leva della classe 1916 si ebbero 49 idonei, 15 rivedibili e 4 riformati: nelle scuole era insegnata l’igiene, la pulizia, la sana alimentazione, l’uso del sole durante tutto l’anno, la vita all’aperto, la cura con l’olio di fegato di merluzzo che il regime fascista distribuiva ai Balilla ed alle Piccole italiane durante l’anno scolastico e nel periodo estivo durante le colonie elioterapiche. E’ questo il primo periodo che potremmo definire «primo Periodo fascista melegnanese », cioè il periodo della accettazione di un sistema politico nelle sue linee generali; e non poteva essere diversamente, perchè non era concesso parlare di politica o criticare pubblicamente l’operato dei gerarchi. E’ vero che al nostro Comune vi furono fascisti boriosi, trionfalisti e capaci di ogni mezzo machiavellico per la ragione di stato; è anche vero tuttavia che nel fascio melegnanese entrarono tanti concittadini in buona fede, animati solo dal desiderio di rendersi utili al loro paese; e nel momento del crollo, tutti vi furono coinvolti. Abbiamo visto sopra, del resto, quale era il rovescio della medaglia, e quale prezzo si doveva pagare per la parte positiva e costruttiva del fascio. Il secondo periodo fascista a Melegnano si apre attorno agli anni 1939-1940, quando la seconda guerra mondiale travolgeva tutte le nazioni. Le vicende belliche e la presenza in Melegnano di elementi fascisti intolleranti e violenti distaccarono ogni giorno più il fascio dal nostro popolo. Melegnano conobbe privazioni, fame, miseria, paura e minacce. Nonostante il continuo alternarsi alla segreteria politica di persone che a livello personale erano ineccepibili, tuttavia il divorzio tra strati popolari e gruppi fascisti diventava più profondo. Dalla decadenza politica e morale si arrivò alla intollerabilità: nulla più rimaneva del primo partito nazionale fascista, dove almeno qualche punto programmatico poteva essere positivo. I melegnanesi avevano paura, tanta paura, e sospettavano lo spionaggio anche tra le pareti domestiche: per la prima volta i rapporti tra popolo e dirigenti comunali, nella lunga storia secolare, non erano polemici e dialettici o contestatari, ma si concretavano solo nell’odio più cordiale. Sì crearono allora tutti i presupposti per la lotta della liberazione con la Resistenza. Melegnanesi illustri Anche in questi anni si distinsero parecchi concittadini, alcuni dei quali sono degni di esplicita menzione. Castelli Giuseppe (1878-1945). Laureato in giurisprudenza ed in chimica farmaceutica. Commissario prefettizio a Melegnano nel 1921-1922. Sistemò l’amministrazione scossa da lotte politiche, risanò le finanze, meritandosi il riconoscimento del Ministero degli Interni. Per 25 anni giudice conciliatore di Melegnano. Fu presidente di molte commissioni amministrative. Divenne, con Alessandro Maggi l’animatore per le celebrazioni delle commemorazioni della battaglia dell’8 Giugno 1859. Ricercatore di storia locale; scrittore fecondo ed oratore illustre. Castellini Clateo (1858-1935). Ingegnere e gerente della ditta Trombini e C. divenuta poi Broggi-Izar. Sebbene fosse nato a Milano amava Melegnano come sua seconda patria. Fu insignito di medaglia d’oro dal Ministero per l’Istruzione Pubblica e di una onorificenza di Vittorio Emanuele III per i suoi aiuti agli Enti locali melegnanesi. Fu presidente del Ricovero dei Vecchi nel 1894 e donò la località detta « Il Castellazzo » al Ricovero dei Vecchi perché tale istituzione benefica potesse essere eretta in Ente morale, come difatti avvenne il 25 maggio 1911, lasciando anche una forte somma in banca per i bisogni più immediati del Ricovero. Fugazza Battista (1903-1927), giovane appartenente al Corpo Musicale San Giuseppe e all’Unione Giovani Cattolici. Morì per i maltrattamenti operati da alcuni “fascisti”. Maestri Giovanni, musicista diplomato al Conservatorio di Milano. Si trasferì prima a Malmo in Svezia; poi, nel 1915 ad Helsinki in Finlandia. In data 16 giugno 1919 l’orchestra di Stato finlandese si chiamava ufficialmente « Orchestra di Stato Giovanni Maestri ». Marovelli Antonio, ginnasta olimpionico nel 1920 ad Anversa. Primo assoluto nel 1924 ai Campionati di Firenze di ginnastica artistica. Fondatore dell’Unione Sportiva Melegnanese nel 1926. Membro della « Virtus et Labor » di Melegnano portò entusiasmo e nuova tecnica. Morì sotto il bombardamento anglo-americano di Milano il 13 agosto 1943. Marziali Gaetano (1875-1942) compositore musicale, studiò al Conservatorio di Milano e conobbe Giuseppe Verdi. Ebbe un grande successo a Bologna il 26 ottobre 1930, quando si rappresentò la prima della sua opera « I Saturnali ». Meda Gaetano, consigliere comunale, assessore nel 1914 e poi negli anni 1919-21. Sindaco della Consulta comunale appena dopo la liberazione il 26 aprile 1945 per la lista del Socialismo. Eletto sindaco nella immediata successiva amministrazione. Morì il 16 settembre 1947. Origoni Pellegrino, un personaggio presente come consigliere e animatore nel settore politico, religioso, assistenziale, sociale. Fu consigliere comunale. Modesto, di vita esemplare, spese le sue energie al bene della cittadinanza dove il suo tempo e le sue capacità lo desideravano. I suoi funerali (morì il 20 gennaio 1934) furono un trionfo civico. |
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