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Associazioni 
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La Resistenza
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Il valore morale e civile
La resistenza non comprende solo il movimento dei partigiani, ma anche tutta l’opposizione antifascista anteriore all’8 settembre 1943, e l’azione antitedesca svolta dall’esercito regolare italiano, affiancato alle truppe alleate, dopo l’armistizio, essendo tutti e tre i movimenti accomunati dalla volontà di resistere alla dittatura fascista, neofascista e nazista, e di restituire all’Italia la libertà e l’indipendenza.  La resistenza quindi comincia con il delitto Matteotti del 10 giugno 1924, quando i partiti antifascisti col ritiro sull’Aventino denunziano alla nazione l’impossibilità di riconoscere un governo che si serviva di delitti per soffocare la voce accusatrice dell’opposizione; e finisce nel 1945 con l’annientamento dei nazifascisti.  Fu la resistenza morale e culturale operata da scrittori e uomini di cultura coraggiosi che tennero viva la libertà di pensiero.  Fu resistenza anche quella dei fuoriusciti i quali con conferenze, giornali e libri all’estero tennero aperto il problema italiano e all’interno agirono come fermento di ribellioni alla dittatura.  Particolare carattere di vera resistenza armata ebbe l’intervento dei fuoriusciti italiani nella guerra civile di Spagna contro la dittatura di Franco, nella quale si voleva cogliere una grande occasione per organizzare un grande fronte europeo antifascista.  Resistenza è pure l’opera svolta da coloro che tentarono di impedire che l’Italia entrasse in guerra accanto ad Hitler, e gli appelli rivolti ai governanti per scongiurare il flagello mondiale.  Allo scoppio della guerra, il conflitto assunse un carattere di lotta non tanto tra due gruppi di stati, ma fra due moralità, e gli uomini della resistenza aumentarono vertiginosamente, si inserirono nella parte di chi combatteva contro la tirannide con la coscienza di contribuire alla salvezza ed alla ricostruzione della patria.
Il fascio melegnanese
Qui occorre ricordare che la situazione politica melegnanese che per anni sembrava priva totalmente di contrasti tra cittadinanza e fascismo ebbe momenti di conflitti anche se non clamorosi. Nei primi anni non si aveva scrupolo per togliere le difficoltà con l’olio di ricino e per imporre la tessera del partito fascista a chi voleva trovare un posto di lavoro. Nell’iniziativa di manganellare gli avversari o i disturbatori dell’ordine pubblico trovarono la morte Biagio Miracoli e Angelo Fugazza.  Nei vari settori della vita melegnanese si operava continuamente per avere alleati e simpatizzanti e poter aumentare gli iscritti ed i militanti del fascio melegnanese. Nel 1931 si creò una certa tensione perché venne perquisita la sede dell’oratorio maschile e dell’azione cattolica, nel sospetto che si facesse opera di antifascismo.  In occasione della venuta del duce a Melegnano nel 1935 si compilò un elenco di melegnanesi pericolosi che dovevano rimanere in casa nel giorno del passaggio di Mussolini.
La sera del 18 settembre 1939 alcuni musicanti della banda dell’oratorio furono chiamati nella sede del fascio ed intimati ad uscire dal corpo musicale di cui facevano parte per la costituzione della banda cittadina fascista, come difatti avvenne, creando nella cittadinanza e nel settore cattolico di Melegnano l’esecrazione che ormai si era arrivati al ricatto anche con la minaccia di perdere il posto di lavoro.  Continuarono le vessazioni contro il settore cattolico ed il suo circolo giovanile fino a negare il permesso ai cattolici di partecipare al corteo del 4 novembre commemorativo della guerra 1915-1918. Ed ogni volta che il responsabile del cattolicesimo melegnanese, il parroco Arturo Giovenzana, manifestava le sue proteste, gli si rispondeva da parte del segretario politico James Bertoli che «per quanto riguardava l’azione svolta dai suoi collaboratori dietro sue direttive, sia nell’ambito del partito nazionale fascista, sia nella gioventù italiana del littorio, ne rispondeva lui personalmente solo davanti ai suoi superiori gerarchi».  Negli ultimi anni il fascio melegnanese si credeva fortissimo, ed una dose di infallibilità investiva gli autori delle sue attività: le lettere ed i documenti che essi scrivevano, riportavano alla fine, al posto del saluto, frasi come «Credere, Ubbidire, Combattere! », «Vincere e vinceremo! », « Per la vittoria ed oltre! », «Viva il duce! », « Per la patria oggi e sempre! ».
Verso la rivolta
Ma da tempo nelle stesse file dei capifascisti e dei simpatizzanti che cercavano di mettere in evidenza la certezza della vittoria finale, serpeggiavano scoraggiamenti, malumori, scissioni, gelosie: i morti sotto i bombardamenti; le lunghe file davanti ai negozi per l’acquisto di scarsi generi di prima necessità; i freddi rigori dell’inverno senza riscaldamento; le persecuzioni morali; il clima di ostilità da parte di ogni categoria che prima era favorevole; le notizie vere o incontrollate che a Milano funzionavano camere di tortura politica; il ricordo dell’opera violenta di alcuni fascisti di vecchia data già ai primi anni del regime; ed infine la stanchezza morale e spirituale ed il desiderio di cambiare tutto; questi furono tra i principali motivi dell’alimento della rivolta e dell’odio. E l’ironia più beffarda era manifestata dall’apparizione, in ogni lettera, della parola d’ordine « vincere! », quando invece tutta l’Africa italiana era perduta, l’armata russa aveva dissolto il corpo di spedizione italiano ed era ormai ai confini della Polonia, il Giappone subiva i primi grossi attacchi disastrosi, il sud Italia nelle mani degli alleati angloamericani che erano accolti con acclamazioni plebiscitarie dagli italiani, la proporzione dei carri armati di uno tedesco a venti alleati, Hitler pazzo d’ira sostituiva un grande numero di generali dichiarati inetti e incapaci, Mussolini ridotto ad una larva.  Il 23 luglio 1943, in seguito ad una tempestosa riunione del gran consiglio del fascismo a Roma, Benito Mussolini venne deposto, avendo ricevuto il voto di sfiducia dagli stessi suoi collaboratori e responsabili dei disastri politici, economici e militari. Il fascismo crollò, prendendo alla sprovvista anche i fascisti melegnanesi, mentre per tutta Italia dilagò la rivolta e l’entusiasmo pubblici. In piazza S. Giovanni fu saccheggiata la sede del fascio e distrutta l’opera fascista nel giro di poche ore.  Ma, dopo il periodo del governo Badoglio, dal luglio al settembre 1943, si ricostituì appoggiato dall’invasione tedesca, il partito repubblicano fascista anche a Melegnano.  E’ di questo periodo la costituzione di una sezione locale delle « brigate nere », con il compito di respingere azioni dei partigiani antifascisti, di individuare gli uomini contrari al regime 
fascista, di ricercare i giovani renitenti al servizio militare. Talvolta la loro opera scendeva alle aberrazioni, con presuntuosa sicurezza e superiorità sprezzante anche ai richiami scritti ed orali da parte dei membri del direttorio fascista.
La resistenza attiva
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 la resistenza melegnanese divenne più attiva, ma anche consapevole del pericolo immediato di ritorsioni, perché in paese ed in periferia vi erano i tedeschi, ed agiva anche la brigata nera. Vennero raccolte le armi, iniziarono i sabotaggi, si distribuivano manifestini di propaganda antifascista ed antinazista, anche all’interno degli stabilimenti, in modo particolare alla Monti e Martini.  Intanto la radio clandestina milanese continuava ad insistere perché in ogni Comune vi fosse una sezione del Comitato di Liberazione Nazionale.  Ed anche a Melegnano, per mezzo del collegamento segreto tra i partiti politici, venne costituito tale organismo; i partiti che aderirono furono la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista Italiano, il Partito Liberale Italiano.  Intanto vita difficile avevano i vecchi esponenti del primo tradizionale Partito Comunista e Partito Socialista: perquisizioni, minacce, paure.  Nella lotta cospirativa si distinsero i melegnanesi Giovanni Meda, Galileo Lazzari, socialisti; Maraschi Leone e Carlo Reati, democristiani; Angelo Meda e Battista Casella, comunisti; Silvio Cesaris, liberale. Particolari compiti ebbero Ernesto Formaggia, Aldo Salvadeo, Armando Bonvini, Ermenegildo De Rossi, Giuseppe Gandini, Carlo Strada, Gaetano Regali; ma l’elenco si infittisce se volessimo segnalare tutti coloro che sono stati attivi nella Resistenza melegnanese.  Quando scoppiarono le giornate insurrezionali, la Resistenza melegnanese fu costellata da episodi di particolare gravità, nei quali alcuni persero la vita: il 25 aprile 1945 fu, anche per Melegnano, una data di dolore e di liberazione.
Il doloroso tributo di sangue
Anche Melegnano pagò un doloroso contributo di sangue. Ed ecco le statistiche:
morti totali per cause di guerra 55, di cui in Russia 28, in Germania 5, in Africa Settentrionale 8, in mare 4, in Iugoslavia 1, in altri luoghi 9; dispersi militari 25, dispersi civili 2; internati in Germania 70.  Ed ecco l’elenco dei caduti in guerra nel territorio del Comune di Melegnano: militari 4, partigiani 7, repubblichini 1, civili vittime dei bombardamenti 3, civili uccisi in seguito ad azioni di rappresaglia da parte dei tedeschi e dei repubblichini 6, civili deceduti In seguito a scoppio di ordigni guerreschi 3, soldati morti per causa di malattia durante la guerra ricoverati nell’ospedale di Melegnano 2.   Ecco alcuni esempi più specifici: Guadagni Pietro, partigiano della brigata « Camozzi » del Corpo Volontari della Libertà, caduto a Gromo il 27 novembre 1944.  Marziali Carlo, partigiano di Moscatelli, caduto a Serravalle Scrivia il 3 febbraio 1945. Ravizza Attilio, partigiano, caduto a Melegnano il 24 aprile 1945. Corsi Ermenegildo, partigiano, caduto a Melegnano il 25 aprile 1945. Omini Luigi, partigiano, caduto a Melegnano il 26 aprile 1945.  Bertoletti Luigi, deportato civile, morto a Mauthausen il 10 marzo 1945. Civaschi Luigi, deportato civile, morto a Mauthausen il 25 aprile 1945. Gaboardi Ferdinando, militare, caduto a Cefalonia contro i tedeschi il 22 settembre 1943. Grossi Giuseppe, militare, prigioniero dei tedeschi, morto nelle acque di Creta il 18 ottobre 1943. Bassi Pasquale, militare, prigioniero dei tedeschi, caduto in Germania per bombardamento aereo il 19 novembre 1944.  Pagani Vincenzo, militare, disperso in Iugoslavia il 23 marzo 1945.  Segalini Giuseppe, militare, prigioniero dei tedeschi, disperso in Germania il 1° febbraio 1945. Spini Bruno, militare, prigioniero dei tedeschi, disperso in Germania il 15 gennaio 1945. Zaino Angelino, militare, prigioniero dei tedeschi, morto in Germania il 23 maggio 1944. Vidali Carlo, civile, morto per fatti di guerra a Melegnano il 17 aprile 1945. Bolognesi Giuseppe, civile, morto a Melegnano per fatti di guerra il 27 aprile 1945. Bellomi Luciano, civile, morto a Melegnano per ferite subite per fatti di guerra nei giorni della Liberazione il 27 aprile 1945. La popolazione melegnanese, con intimo rancore, subiva tutto: fame, paura, rastrellamenti, insulti, violenze. Tale tipo di fascismo, ultimo della sua età ed il più degradato, lasciò grossi segni in paese.  E se i responsabili del primo fascismo melegnanese fino al 1939 potrebbero eventualmente vantare opere pubbliche, assistenziali, economiche, culturali, scolastiche; qui, invece, l’ultimo fascismo non può presentare nulla che possa rivalutarlo davanti alla secolare storia di Melegnano: l’esecrazione e lo sdegno popolare aveva talora punte tragiche, come in occasione dell’uccisione di Stefano Pizzini per rappresaglia dell’uccisione del tenente melegnanese Gaetano Clerici.  Tale periodo fu caratterizzato da episodi scioccanti e pericolosi, come era il caso di una colonna tedesca proveniente da Landriano volendo transitare per le vie di Melegnano. Essa fu fatta deviare in periferia quando si offrì in ostaggio e come accompagnatore il socialista Galileo Lazzari, che risparmiò al paese una probabile sanguinosa pagina storica. Un altro evento fu una agitata riunione in casa parrocchiale di alcuni membri del comitato di liberazione melegnanese che richiedevano, per calmare il popolo, una vittima espiatoria e di vendetta: ma non ci fu nessuna uccisione pubblica per la fermezza del parroco Giovenzana e per il prudente consiglio di un sacerdote di alti valori spirituali don Mario Ferreri. La lotta per la liberazione provoca, da parte della storia, un giudizio sul movimento partigiano melegnanese, che potrebbe essere considerato su un duplice aspetto critico: il gruppo dei Partigiani che erano rifugiati nel bosco di Villa Pompeiana e che appartenevano al movimento di punta, ed il gruppo dei partigiani usciti nei giorni della liberazione come appoggio aperto e di sostegno all’azione di rivolta contro il fascismo e i tedeschi.  Il direttivo dell’azione partigiana era costituito dai membri del comitato di liberazione, un comitato che non offriva chiari confini tra la funzionalità antifascista e l’impegno schiettamente politico.  Comunque i membri del comitato furono cittadini melegnanesi che correvano il rischio della vita e della persecuzione contro familiari più stretti. Essi si trovarono uniti, avendo come comune denominatore la liquidazione di un regime diventato criminale ed in netta opposizione ai principi umani: ma il significato più sostanzioso era fornito dall’esigenza di ricostruire la democrazia intesa come un ricupero fondamentale e necessario di tutte le forze popolari per coinvolgerle e responsabilizzarle nella direzione dello Stato e delle amministrazioni comunali. Dire che la resistenza melegnanese sia stata rossa o bianca o settoriale è fare dell’antistoria: la resistenza melegnanese fu una, globale, unita, concorrente in una sola direzione: la vittoria sul fascismo e la restaurazione della fiducia e dell’opera democratica.  Le divergenze politiche manifestatesi dopo la liberazione, le polemiche tra i partiti e gli uomini responsabili, le divisioni ideologiche che scavarono scissioni e profondi spacchi nel tessuto sociale melegnanese, e le lotte sui giornali, sulle piazze, nei consigli comunali e nei vari posti di lavoro melegnanesi, nulla possono togliere al valore della resistenza e nulla possono scalfire all’impegno di vita o di morte di questi uomini politici comunisti, socialisti, democristiani, liberali, che si univano combattenti su un fronte tanto insidioso quanto minato di delazioni e di spionaggi contro gli ultimi rantoli di tedeschi e di fascisti che pure avevano capito che si trattava della partita decisiva.  Dopo la liberazione i partiti politici assunsero il ruolo prioritario della direzione politica melegnanese, e l’atmosfera della liberazione incominciava a sfuocarsi. Certo, la resistenza melegnanese non fu tutta luce: vi furono risvolti negativi e condannabili sul piano morale. Bande di ladri operavano giorno e notte sul bottino di guerra che affluiva nelle caserme o in altri luoghi; alcune cascine furono prese di mira con le armi; ed il senso del rispetto della persona umana era sceso a livelli bassi, mentre non tutti i partigiani erano in buona fede; come pure erano segnati a dito dall’opinione pubblica alcuni melegnanesi che nel caos del momento seppero impadronirsi di materiale che aveva valore.  Ma la chiara svolta storica avvenne con la funzionalità dei partiti politici, dando inizio alla vita democratica melegnanese.
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