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La nuova Democrazia
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dal libro Storia di Melegnano
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Le elezioni e l’ideologia politica
Il giorno dopo la liberazione, il 26 aprile 1945, nel clima ancora arroventato e clamoroso per le ottenute libertà politiche, dal Comitato di Liberazione Nazionale di Melegnano fu insediata la Consulta comunale per le prime pratiche amministrative, in attesa di più ampie norme da parte del governo centrale. I suoi componenti furono: Gaetano Meda sindaco, Giuseppe Servida vicesindaco, e i cinque consultori Antonio Bersani, Ferdinando Biggiogero, Michele Parazzoli, Angelo Soffientini, Giovanni Tessera.  Un mese dopo, su ordine del comandante inglese di occupazione della zona di Lodi e dintorni, maggiore U. J. Breese, in una riunione presieduta a Melegnano, si dovette sostituire la Consulta comunale con una vera amministrazione, composta dal sindaco, 4 assessori effettivi e 2 supplenti, prendendo la legge elettorale del 1915 che era precedente al periodo fascista. Questa prima amministrazione costituita per ordine del comandante alleato di occupazione, ebbe l’approvazione del prefetto di Milano, e rimase in carica undici mesi, fino al marzo 1946. Fu una vera amministrazione, anche se non ci furono ancora le elezioni. Il sindaco fu ancora Gaetano Meda; vicesindaco Gaetano Regali; assessori Ferdinando Biggiogero, Cesare Codeleoncini, Michele Parazzoli, Giuseppe Servida, Angelo Soffientini.  I problemi affrontati da questa prima provvisoria amministrazione, come emanazione diretta del Comitato di Liberazione Nazionale di Melegnano, furono di diverso genere, che risentivano naturalmente del carattere provvisorio e particolare del momento storico fuori dal normale: miglioramenti economici al personale dipendente dal Comune; costituzione di una commissione per studiare una scuola serale maschile e femminile a carattere commerciale e industriale con lingua francese e inglese; riorganizzazione degli uffici comunali, varie previdenze. Certamente non poteva essere una amministrazione versatile e di ampio respiro con i piani quinquennali, dal momento che occorreva anche ristrutturare il bilancio.  Intanto in sede nazionale si stavano operando cambiamenti politici nel corso dei quali il Comitato di Liberazione Nazionale era gradatamente sostituito dalle organizzazioni politiche che ormai si dicevano pronte per il trapasso dei poteri.  Era evidentemente una giunta con una investitura provvisoria e l’attività amministrativa doveva essere mantenuta nei limiti della ordinaria amministrazione con riferimento al difficile periodo di emergenza che tutta l’Italia attraversava. Tuttavia, accanto ai problemi che sono stati accennati, particolare cura fu data al servizio annonario: furono organizzate le provviste di sale, zucchero, grassi, generi per minestra e formaggi, messi in vendita a prezzi di listino, e rompendo definitivamente la borsa nera. Non inferiore era il problema dei disoccupati, in parte risolto con l’assunzione in servizio al Comune e nelle principali industrie melegnanesi.  Più delicata era la questione della epurazione dei cittadini melegnanesi che risultavano compromessi con il fascismo. Sono stati licenziati tre dipendenti comunali, mentre un quarto era stato ucciso nei giorni della insurrezione, ed altre due impiegate pure licenziate, mentre per un’altra impiegata che era orfana di guerra 1915-1918 e cognata di un partigiano ucciso nei campi di concentramento tedeschi la pratica rimase in sospeso e non fu licenziata.  Contemporaneamente entravano in servizio al Comune come impiegati quattro reduci che ancora rimasero dipendenti comunali in organico, mentre era sostituito anche il segretario Breda, più tardi tuttavia riassunto per le sue capacità professionali. E nella fase di defascistizzazione si tolsero alcuni nomi delle vie cittadine per dedicarle a ricordi della Resistenza. Da questi pochi accenni ben si può notare quanto doveva essere faticosa moralmente e non solo politicamente la vicenda di questa prima amministrazione con uomini del Consiglio e della giunta che, oltre al resto, tenevano relazioni di conoscenza, di amicizia e talora di parentela con tutta la variopinta cittadinanza melegnanese, appena uscita da una guerra disastrosa, bisognosa di tutto, che tutto pretendeva bene e subito, in clima politico acceso e assai seguito da tutti i melegnanesi che nella maggioranza più o meno, erano stati aderenti volontari o forzati al regime fascista.  Fu così che anche a Melegnano il 31 marzo 1946 avvennero le prime elezioni democratiche amministrative, con una legge che i Comuni inferiori a 30.000 abitanti avessero una giunta maggioritaria, con tre quarti di consiglieri appartenenti alla medesima coalizione: Melegnano, avendo circa 10.000 abitanti, entrava nell’applicazione di questa legge, con un Consiglio comunale formato da 20 consiglieri.  Furono queste le prime elezioni alle quali era chiamato finalmente il popolo di ogni Comune per esprimere la sua volontà, perchè il fascismo aveva annullato i Consigli democratici e la relativa elezione del sindaco, mettendo al loro posto il podestà gerarchico nominato dall’alto, senza interpellare per nulla neppure un cittadino.  Inoltre, per la prima volta dopo vent’anni i partiti liberamente si rivolgevano a tutto il popolo per ottenere un voto: ed era questo un motivo per misurare la reale consistenza e la vera obiettiva forza di ogni singolo partito, perchè se è vero che la politica ha bisogno di uomini preparati e adatti a tale scopo, è anche più vero che la politica è fatta di numero come forza di vittoria sugli altri.  A Melegnano andarono alle urne 7135 elettori per eleggere i venti consiglieri che furono questi: Carlo Attanasio, Mario Bastoni, Antonio Bersani, Ferdinando Biggiogero, Giulio Corbellini, Antonio Cremonesi, Luciano Dallabora, Eugenio Ferrari, Ernesto Formaggia, Giuseppe Gandini, Vincenzo La Pietra, Galileo Lazzari, Elia Lombardi, Domenico Massironi, Gaetano Meda, Santo Meda, Francesco Sartorio, Angelo Spinelli, Giuseppe Stoppini, Cornelio Strada.  La percentuale di queste prime elezioni popolari fu per la DC 36,41%; per il PCI 33,55%; per il PSI 25,45%; per il PLI 2,30%.  Nella seduta del Consiglio comunale del 7 aprile 1946 fu eletto sindaco Vincenzo La Pietra a capo di una giunta formata da comunisti e socialisti, e gli assessori furono Antonio Bersani, Ferdinando Biggiogero, Elia Lombardi, Domenico Massironi, Santo Meda, Angelo Spinelli.  Iniziò anche a Melegnano l’amministrazione democratica con una maggioranza ed una minoranza, una vita amministrativa che era anche politica e che interessava non più soltanto pochi privilegiati dall’alto, ma coinvolgeva tutti direttamente o indirettamente.
I partiti
Il comunismo si rifaceva all’insegnamento marxista, rappresentato in campo italiano da Palmiro Togliatti, laureato in giurisprudenza, figura molto popolare nel movimento operaio, fondatore con Antonio Gramsci del Partito Comunista Italiano nel gennaio del 1921 al congresso di Livorno, un politico di concretezza e di realismo che esponeva con parola affascinante e con rigorosa dialettica l’impostazione del comunismo italiano anticapitalista mediante la via italiana al socialismo, pur dichiarando il suo disgusto per il fatto di essere italiano, la sua avversione per la democrazia occidentale e lo spassionato amore per il totalitarismo staliniano.  Il socialismo aveva la strada aperta da due apostoli del movimento operaio: Filippo Turati e Giacomo Matteotti. Il comasco Filippo Turati, laureato in legge, fondatore nel 1892 del primo partito socialista, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, considerava l’opera per il socialismo come una alta missione, che egli pagò con il carcere e con l’esilio, e riteneva che il caposaldo della lotta operaia doveva essere l’unione dell’economia con la politica e la graduale conquista del potere governativo senza sanguinose rivoluzioni; per questo riteneva possibile un esperimento di alleanza con il partito popolare di don Sturzo (la democrazia cristiana di allora), e ciò avrebbe forse anticipato di 50 anni un tipo di centrosinistra in Italia; Giacomo Matteotti, veneto, a 14 anni era già iscritto al partito socialista, attirato dall’interesse sui problemi umanitari e dalla speranza di rinnovamento della sua società contadina del Polesine (Matteotti era nato a Fratta Polesine nel 1895); fu animatore di camere del lavoro, di circoli socialisti, ed era considerato, dopo la prima guerra mondiale, un esperto di problemi amministrativi; fu relatore documentato ed equilibrato nei molteplici interventi; aderiva alla corrente di Turati; nel 1923 stese la relazione che pronunciò in parlamento contro i pieni poteri di Mussolini; dopo le elezioni del 1924, con la coraggiosa denuncia delle violenze fasciste in tempo di campagna elettorale, fu ucciso nell’agro romano, fu trovato dopo alcune settimane seviziato, commuovendo l’intera opinione pubblica italiana e lo sdegno di Mussolini per quanto era accaduto. In molte case melegnanesi era appeso il quadro del suo ritratto. Ed il socialismo a Melegnano da allora riscuoteva consensi non solo tra operai, ma in altre classi sociali. A Melegnano vi sono famiglie socialiste per tradizione, molti cortili e parecchie vie, specie in periferia, dove il socialismo era un costume anche di accesa lotta, ma dove le condizioni di vita si trovavano in stato di povertà e di lavoro per oltre dieci ore al giorno, negli anni 1919-1920-1921, quando il lavoratore si sentiva sfruttato e poco considerato, senza una reale garanzia di norme assicurative sufficienti, senza protezione presso i datori di lavoro, con fasi di lavoro incontrollate sul logorio delle condizioni di salute: era chiaro che tale proletariato a Melegnano, povero, privo di alcuna proprietà, vicino l’uno all’altro, si affidasse in maniera cordiale al socialismo che era l’erede della rivoluzione russa di ottobre, capeggiata da Lenin. E in Italia l’esponente guida era Pietro Nenni, negli anni dopo la liberazione.  La democrazia cristiana, capeggiata da Alcide De Gasperi, poneva le sue basi nella tradizione cattolica e nei documenti sociali dei papi, e si presentava come garante di un regime democratico contro ogni tentazione del materialismo marxista; le sue prime forze, infatti, anche a Melegnano derivavano dagli ambienti cattolici organizzati nell’azione cattolica e dagli oratori.  L’unione di questi partiti avvenne temporaneamente durante il periodo clandestino, quando il nemico da battere era un fascismo che si lanciava nella violenza, appoggiato dai tedeschi, nel mezzo di una guerra che si stava perdendo. Nel 1920-21 non era possibile una base di intesa tra socialismo e cattolicesimo, che nel modo di parlare melegnanese era detta « rossi » e «paolotti », come in altre parti. Anzi, parecchie volte c’erano alcuni che picchiavano e che schiaffeggiavano.  Ora invece, nel 1945, a contatto per la resistenza e nel pericolo affrontato insieme contro la dittatura, considerando la famiglia ed il lavoro o il campo di deportazione in Germania, l’acre veleno si era attutito, le posizioni si erano chiarite ed in parte ravvicinate almeno in campo di pratica per lo scopo immediato: liquidare la presenza fascista e tedesca.  Fu prioritario il tema politico ed amministrativo più che la guerra aperta o programmatica per il motivo religioso. Nel 1920-21 si potevano capire le farse dei funerali al partito popolare lanciando nel Lambro una cassa da morto, o lo strappo dello stemma vescovile sulla casa parrocchiale in piazza S. Giovanni, o l’assalto contro un corpo musicale di Rogoredo che veniva per il servizio del Corpus Domini. Ora potevano apparire un anacronismo. Vi furono anche nel 1945-1946 frequenti casi di reciproca intemperanza e di dispetti e di sorda avversione e di polemiche al limite della rissa; ma si capiva ormai che i problemi melegnanesi non erano più la ricerca delle meschine e personali soddisfazioni dei « rossi » o dei « paolotti », ma l’amministrazione di un Comune in senso più moderno, più dinamico, più tecnico.  Però, con queste elezioni del 1946, terminava la unione e la parità politica che si era stabilita nel periodo di preparazione della liberazione e nei giorni della resistenza al fascismo ed al nazismo.  I partiti melegnanesi, come in campo nazionale, riprendevano la loro vita autonoma secondo le scelte fondamentali di base ideologica attraverso i loro congressi, e la distanza più netta doveva farsi sentire proprio tra i due partiti maggiori, la DC ed il PCI; cioè ogni partito prendeva coscienza della propria natura e dei propri fini politici, distanziandosi, anche se in campo nazionale nel luglio 1946 si formò un governo di coalizione con Alcide De Gasperi, che per breve tempo era formato da democristiani, socialisti, comunisti e repubblicani.
Il cammino
L’amministrazione La Pietra affrontò con energia risolutiva, per una rapida definizione, i problemi tipici di una amministrazione comunale novella: stesura del bilancio; interesse per la pubblica istruzione; ampliamento dell’assistenza; colonie marine e montane; analisi dei servizi ospedalieri; piano per case popolari; sistemazione stradale; e tutte le altre forme di amministrazione relativa alla vita quotidiana della comunità in faticosa ripresa che precedentemente erano curate direttamente dal regime.  Fu proposta la costituzione di una commissione tecnica per studiare e portare alla soluzione il classico problema che da decenni assillava Melegnano come importante centro agricolo ed industriale della Bassa Milanese, cioè il problema della insufficienza territoriale del Comune nostro, una insufficienza che toglieva chiaramente il respiro e le possibilità necessarie per un adeguato sviluppo cittadino nel settore edilizio, economico e culturale. Attorno a Melegnano infatti facevano corona alcuni piccoli Comuni rurali i quali però, se avevano una popolazione da 500 a 1000 abitanti, godevano tuttavia di una estensione territoriale di gran lunga superiore a quella di Melegnano, e ciò creava un evidente squilibrio che si ripercuoteva tanto su Melegnano quanto sugli stessi Comuni limitrofi, alcuni dei quali (Colturano, Vizzolo, Cerro al Lambro, S. Giuliano Milanese) avevano i propri confini quasi nello stesso abitato di Melegnano e a poche centinaia di metri.  L’aggravio maggiore, in questo caso, ricadeva sulle popolazioni delle frazioni di detti Comuni, le quali si vedevano costrette a gravitare attorno ad un centro da cui dipendevano amministrativamente, ma non commercialmente, culturalmente e nell’assistenza. Era questo il caso delle frazioni di Mezzano, Pedriano, Rocca Brivio, Santa Brera, Riozzo, i cui abitanti si dovevano sobbarcare non pochi chilometri di strada per raggiungere il primo medico o la prima ostetrica che il loro rispettivo Comune metteva a disposizione per l’assistenza sanitaria. Si doveva aggiungere l’aggravio per le spese di degenza nel locale ospedale per coloro che, costretti a fruire dell’assistenza dell’unico ospedale del circondario, non erano agevolati dal Comune di Melegnano perchè non erano suoi cittadini. Anche nel campo dei servizi di utilità pubblica il problema non mancava di avere ripercussioni. Con una eventuale aggregazione dei Comuni di Vizzolo, Colturano, Cerro, e di parte del territorio di S. Giuliano, il paese di Melegnano avrebbe potuto avere a disposizione il terreno necessario per un ulteriore sviluppo dei suoi servizi pubblici, quali la costruzione di un civico macello, la deviazione o la copertura dei canali inquinati che, dopo avere percorso parte del territorio dei suddetti Comuni, venivano a sfociare nell’abitato di Melegnano, la costruzione di una centrale per la produzione di gas illuminante; e queste opere non erano mai state effettuate per mancanza di territorio comunale.  Una tale annessione avrebbe creato un centro demografico più sviluppato, e ciò sarebbe stato un elemento base per la reintegrazione in Melegnano di quell’Ufficio pretorile e di quell’Ufficio del Registro già esistenti in passato e poi aboliti, di una istituzione di scuole medie, che erano essenziali forme collaterali allo sviluppo economico cui andava incontro questo centro melegnanese della Bassa.  Da una aggregazione a Melegnano dei Comuni e delle terre limitrofe sarebbe derivato un altro e non trascurabile vantaggio, e cioè una immediata diminuzione di spese di carattere generale di cui, con una maggiore ripartizione, avrebbe beneficiato l’intera classe dei contribuenti.  L’unione dei Comuni a Melegnano non comportava maggiorazione di indole tributaria per i Comuni da aggregare, in quanto i tributi erariali, provinciali e comunali erano di uguale intensità; anzi a maggior numero di contribuenti poteva corrispondere un onere minore.  Ma non si fece nulla di concreto, perché, sia i campanilismi comunali, sia difficoltà di ordine burocratico e politico, impedirono ogni progresso in questo senso.  Il 14 luglio 1946 il Comune di Melegnano si fece promotore di un Raduno di tutti i sindaci della zona per discutere problemi interdipendenti e cointeressanti molte comunità tra loro vicine o confinanti: Melegnano, S. Zenone, Dresano, Mediglia, Locate Triulzi, Mulazzano, Carpiano, Casalmaiocco, Sordio, Paullo, Colturano, San Giuliano, Vizzolo, Merlino, S. Donato, Villavesco. Ma le dimissioni del sindaco La Pietra frenarono, per un istante, la carica dinamica della nuova prima amministrazione eletta dai melegnanesi, dopo circa due anni dal suo insediamento.  Venne chiamato a reggere il Comune come Sindaco Santo Meda, eletto il 5 ottobre 1948, e con lui furono assessori: Mario Bastoni, Antonio Bersani, Ferdinando Biggiogero, Elia Lombardi, Domenico Massironi, che rimasero in carica normalmente fino alle elezioni amministrative del marzo 1950.  L’amministrazione Meda riprese la realizzazione dei punti programmatici della piattaforma precedente: costruzione di case per dipendenti comunali e non dipendenti comunali, per le quali si impegnò la quota più alta del bilancio che fu di 30 milioni; la trivellazione di un nuovo pozzo artesiano; la sistemazione delle strade ed ampliamento della capacità cimiteriale; interventi per la scuola media; contributi assidui per la beneficenza e l’assistenza; stipulazione del contratto con la Samur che forniva il gas metano alla cittadinanza; organizzazione delle colonie estive.  E al termine dell’amministrazione per la scadenza regolare di legge elettorale, l’amministrazione Meda lasciava il bilancio comunale in sane condizioni, ed aveva avviato alcune opere che saranno riprese e maggiormente sviluppate dall’amministrazione futura, che sarà quella del sindaco Ermenegildo De Rossi, eletto dopo la consultazione elettorale del 27 maggio 1951.  Da alcuni anni, dunque, Melegnano si reggeva su amministrazioni democratiche con un maggioranza ed una minoranza. Non e possibile dire tuttavia fino a che punto uomini della maggioranza e della minoranza fossero lodevoli o criticabili; ma è certo che il corso delle amministrazioni democratiche melegnanesi ebbe - ed ha tuttora - un grande significato.
Il pluralismo
Il valore delle amministrazioni democratiche a Melegnano, attraverso i partiti, si allarga su alcune considerazioni che, a nostro avviso, sono nettamente positive in confronto al ventennio di amministrazione dei podestà, anche se nel ventennio fascista vi furono podestà, come Luigi Moro, che amministrarono con rettitudine. Il sistema polipartitico assicurava la libertà in assoluto di poter discutere a fondo ogni problema, non soltanto in seno al Consiglio comunale quando il sindaco lo avesse convocato, ma anche in altre sedi, private o di pubblici esercizi, per esempio nei bar e nei caffé cittadini.  E la discussione sull’operato del Consiglio e delle varie giunte comunali è sempre nuova e sempre più ampia, perché Melegnano dal 1946 al 1984 è passata da una popolazione di circa 10.000 abitanti ad un agglomerato cittadino di circa 20.000, con evidenti problemi amministrativi e politici che si sono fatti sempre più complessi e urgenti.  Il sistema di più partiti democratici ha offerto ai melegnanesi la realtà di un contatto diretto e quotidiano con amministratori, consiglieri e politici di ogni partito, sia a livello di conoscenza normale, sia mediante assemblee, raduni, congressi, comizi e conferenze politiche-amministrative; e non è raro il caso del contatto capillare tra politici e melegnanesi attraverso diretti incontri nei rioni o nei punti di convergenza più popolati, come ha fatto ed ancora fa il simpatizzante più sensibile; ed è questo un valore umano molto importante e non solo politico, agli effetti della cittadinanza che si sente considerata e che è maggiormente stimolata ad inserirsi nella dialettica politica ed amministrativa con informazioni dirette, in un paese dove si vive e dove si opera e verso il quale ognuno ha i suoi diritti e i suoi doveri.  In un determinato partito politico inoltre ogni melegnanese ha potuto trovare l’espressione della sua vocazione politica, dove poter sfruttare doti personali e offrire il suo tempo e le sue energie per una causa da lui ritenuta giusta più delle altre; si ha, in tal modo, la continuità di una fede e di una convinzione tale da non restare una semplice ricchezza spirituale privata o nascosta e infeconda, ma produttiva di idee e di servizio alla comunità.  La vita attiva nei partiti, e per riflesso anche fuori dai partiti, costringe alla esigenza di una continua azione di aggiornamento sui grandi eventi storici internazionali ed italiani, sui nuovi orientamenti della grande politica degli stati nazionali e sulla operosità degli stessi partiti affini di tutte le nazioni; è un aggiornamento che non è accettato solo come istruzione politica teoretica o come semplice approfondimento storico, ma è fatto per salvaguardare o per consolidare l’ideologia di base, perché è ovvio che in un regime democratico l’amministrazione comunale non agisce soltanto tecnicamente - e moralmente non lo può fare -, ma le sue iniziative ed il suo programma e le sue realizzazioni rappresentano dirette emanazioni che hanno alla base precise scelte politiche ed ideologiche ben più profonde: cioè l’amministrazione civica si fonda sull’ideologia politica e da questa riceve la diretta ispirazione. E’ quindi totalmente errato voler separare, come parecchi melegnanesi sostengono, ideologia politica da amministrazione comunale, è come separare la vita quotidiana dalle proprie convinzioni personali: ciò che risulta è un assurdo psicologico. Ne viene dunque che la critica fondamentale che i melegnanesi fanno ai Consigli comunali talora consiste nell’accusare i consiglieri, di qualche settore politico, di perdere tempo inutile e di sprecare sedute e nottate in discussioni di politica internazionale o italiana trattata al parlamento; e talvolta la critica diventa dissenso e condanna ingiustificata: non è possibile amministrare senza ispirazione politica, anche se non si deve tralasciare l’interesse per le cose e le persone da amministrare, subordinandolo a esercizi dialettici fini a se stessi.  E’ anche vero che ogni amministrazione ebbe ed ha i suoi meriti e le sue pecche. Ma per Melegnano bisogna osservare che i sindaci e gli assessori e talvolta gli stessi consiglieri che si sono succeduti alla responsabilità amministrativa, non avevano soltanto un fronte di azione, quello dell’opinione pubblica e della opposizione consiliare, ma talora anche il fronte interno più delicato e più pericoloso del proprio partito, per gli inevitabili contrasti tra ideale e reale, cioè tra il programma steso per la campagna elettorale e la sua realizzazione in concreto dove, si voglia o no, si incontrano dati di fatto concreti e realistici che possono frenare o annullare certe premesse e talune impostazioni programmate dalla direzione del partito.
Le amministrazioni cambiano
Nelle elezioni del 27 maggio 1951 fu eletto sindaco Ermenegildo De Rossi della DC e con una giunta formata dalla DC, PSDI, Indipendenti, Lista del Castello, e nel settore della opposizione vi erano il PCI ed il PSI; Antonio Cremonesi vicesindaco, Giovanni Battista Marchesi assessore alle finanze e poi dal 14 ottobre 1951 Gianni Goglio, e come altri assessori Gian Luigi Sala, poi sostituito da Gianni Menicatti, Giuseppe Bedoni, Ferdinando Biggiogero, Silvio Cesaris.  Si mise in evidenza, da parte della DC, che dopo quasi 40 anni di amministrazione senza le forze cattoliche, era data una maggioranza in Comune non socialcomunista, con alcuni dipendenti ed alleati della DC. Ma con queste elezioni scattava il sistema proporzionale, invece di quello maggioritario in seno al Consiglio comunale, e con 30 seggi invece dei passati 20 delle altre amministrazioni.  Melegnano faceva 11.174 abitanti.  Il Consiglio comunale quindi era più rappresentativo degli orientamenti politici di Melegnano, e questa sarebbe stata la prima prova del nuovo sistema elettorale e di un nuovo modo democratico sia per il Consiglio sia per la giunta.  Ogni schieramento politico si sforzò di presentare in Consiglio persone di attiva dedizione al Partito, di buona preparazione o almeno di dimostrata capacità o volontà: rinacque una carica ideologicamente forte, ma vi era il desiderio di far compiere un balzo avanti a Melegnano, nella visione concreta ed effettuale della realtà cittadina.  Gli uomini del primo Consiglio comunale con sistema proporzionale furono Luisa Barbieri, Cesare Bedoni, Francesco Borsa, Irene Piera Caminada, Primo Colombi, Antonio Cremonesi, Agostino Del Corno, Ermenegildo De Rossi, Virgilio Gandini, Francesco Giudici, Giovanni Goglio, Enrico Maghini, Leone Maraschi, Giov.  Battista Marchesi, Giovanni Menicatti, Giuseppe Origoni, Oreste Pavesi, Gian Luigi Sala, Ferdinando Biggiogero, Giuseppe Bedoni, Gaetano Curti, Marco Spada, Silvio Cesaris; questi erano gli uomini della maggioranza apparentata. Nel settore della minoranza erano Paolo Grossi, Santo Meda, Ettore Bagnoli, Giuseppe Stoppini, Natalina Pozzoli, Ettore Cappelletti, Luciano Dallabora, Angelo Meda, Galileo Lazzari, Achille Lambri, Aldo Salvadeo. Nel corso del periodo amministrativo avvennero, tra i membri della giunta e del Consiglio, alcune dimissioni con relative sostituzioni.  L’amministrazione De Rossi svolse una massa di lavoro come 548 delibere consigliari e 2307 delibere di Giunta. Furono affrontate le misure e le migliorie amministrative che riguardavano tutti i settori pubblici: servizi, finanze, assistenza e beneficenza, attività culturali, opere di pubblica utilità, centro sanitario, pubblica istruzione.  Ma accanto al lavoro di normale amministrazione anche nuovo e più moderno e razionale, già erano all’orizzonte o si erano ormai posti altri grossi problemi: la sistemazione della nuova casa della comunità melegnanese, cioè il restauro e l’uso più funzionale del broletto che sta in piazza S. Giovanni; il controllo del bilancio comunale sia per evitare salite vertiginose del disavanzo sia anche per assicurare la possibilità di interventi e di realizzazioni pubbliche; il problema del ricovero dei vecchi; e soprattutto nuove costruzioni per la popolazione nell’ambito del piano regolatore.  E al margine di questa dinamica amministrativa stava un sottofondo politico particolare. Avvenivano le prime rotture politiche, si approfondivano dissensi tra l’operato concreto e la ragione politica teorica. La stessa presenza di una lista denominata del Castello poneva una situazione complessa nel campo politico melegnanese: accanto ai grossi partiti usciti dalla Liberazione si affacciarono liste elettorali minori che furono polemicamente denominate liste di disturbo o liste di legione straniera, ma che non volevano avere una programmatica di rabbia eversiva, o velleità di togliere tutte le iniziative; esse ebbero un significato di richiamo e di presenza contro alcuni punti programmatici, ma anche contro il comportamento di alcune persone politiche che sembravano esorbitare dallo stretto ambito obiettivo di presentazione politica ed amministrativa, assumendo atteggiamenti che potevano apparire irritanti: l’opinione pubblica veniva avvertita che, vero o no, la politica era una cosa sporca, e che era strumentalizzata per interessi personali.  L’amministrazione De Rossi, quando scadeva il 27 maggio del 1956, dopo il legale periodo amministrativo, per le nuove consultazioni elettorali, ricordava alla cittadinanza di avere al suo attivo la dotazione agli uffici comunali di attrezzature più moderne per un valore di sette milioni; di aver impostato il progetto per la nuova casa comunale o broletto; di aver sistemato in ruolo gli impiegati comunali; di aver migliorato l’illuminazione pubblica, la distribuzione del metano, l’acqua potabile, la nettezza urbana, le attrezzature igieniche; di rendere consapevole il cittadino che quanto il Comune incassa, pur con sacrifici dei contribuenti, torna a vantaggio della collettività attraverso quei pubblici servizi che aumentano i vantaggi, e danno decoro e vanto alla borgata; di aver svolto una vasta opera in favore dell’infanzia con contributi, colonie, schermografie; di aver incoraggiato le attività culturali e lo sport; di aver impostato la progettazione della nuova rete di fognatura urbana; di aver costruito case per oltre 320 milioni; di aver pavimentato tutte le strade; di aver costruito una nuova ala delle scuole in via Cavour per un valore di 27 milioni; più, altri interventi nei diversi settori della vita pubblica melegnanese. E la cittadinanza veniva edotta di tutto il lavoro dell’amministrazione con una relazione esposta dallo stesso sindaco De Rossi il 12 maggio 1956 alla vigilia elettorale per la formazione di un nuovo Consiglio comunale che doveva dare a Melegnano la nuova amministrazione democratica.
Le difficoltà
I due anni dal 1956 al 1958 furono tra i più difficili della vita politica e amministrativa. Il 27 maggio 1956 furono assegnati 12 seggi alla democrazia cristiana, 9 ai comunisti, 6 ai socialisti, 2 agli indipendenti, 1 ai socialdemocratici. Il blocco socialcomunista realizzò 15 seggi, ma altrettanto gli altri partiti collegati.  La democrazia cristiana forse avvertiva il logorio per la precedente attività amministrativa, pur mantenendo le posizioni; e cercava sul terreno pratico di studiare possibili intese che avrebbero potuto garantire la funzionalità amministrativa con una maggioranza stabile, e si diceva disposta ad esaminare ogni possibilità che tenesse conto del rapporto di forze, escludendo però il partito comunista.  Dopo vane trattative, si radunò il 13 agosto 1956 il Consiglio comunale: i democristiani presentarono come candidato il dottor Aristide Cavalli, mentre i comunisti presentarono Santo Meda, ed i socialisti Galileo Lazzari. Cadeva in prima votazione la candidatura Lazzari, e rimanevano in ballottaggio Cavalli e Meda. Il gruppo socialcomunista riusciva a raccogliere 16 voti per l’elezione a sindaco di Santo Meda.  Ma il 2 agosto due elettori melegnanesi presentarono ricorso contro la eleggibilità di Meda come consigliere comunale e quindi come sindaco, perché ricopriva la carica di consigliere dell’Eca e dell’Asilo sociale. In seguito a questo, tutte le deliberazioni precedenti riguardanti la nomina del sindaco e della giunta divennero nulle; e fu eletto sindaco il dottor Aristide Cavalli, farmacista. Ma nella giunta veniva eletto anche un socialista, Galileo Lazzari, invitato dal suo partito a scegliere tra l’espulsione e le dimissioni: avvennero le dimissioni il 27 novembre 1957, e subentrò il democristiano Pasquale Quartiani.  Incominciarono le sedute del Consiglio, che ad ogni votazione importante votava con 15 sì e 15 no: la stabilità della maggioranza era fragilissima, e questo stato portò al commissario prefettizio Petrella il 18 febbraio 1958. Intanto avvennero le consultazioni elettorali politiche nazionali, ed il rapporto di forze a Melegnano fu leggermente spostato rispetto alle amministrative del 1956: la democrazia cristiana manteneva le sue posizioni; il partito comunista passava dal 30,13% al 32,51%, il partito socialista perdeva leggermente dal 20,43% al 18,70% ed una grave perdita era registrata dal partito liberale che scendeva dal 7,70% al 2,90%. In pratica l’unico partito che aveva fatto un sensibile balzo in avanti fu il partito comunista e per questo motivo esso riteneva che il Consiglio comunale dovesse cambiarsi. La seduta del Consiglio comunale del 29 settembre 1958 era attesa con molto interesse perché il consiglio non si radunava più dal mese di febbraio. La giunta - dissero i socialisti per mezzo del capogruppo Lambri - non è più efficiente e non è più rappresentativa, e doveva essere rifatta; ed il gruppo socialista abbandonò l’aula consigliare. Il consigliere del partito comunista, Ettore Bagnoli, accennando alle ultime elezioni politiche, diede l’ultimatum alla giunta entro tre giorni, durante i quali procedere alla formazione di una nuova giunta comprendente anche i comunisti; ed anche il gruppo comunista abbandonò l’aula.  Una ordinanza del prefetto dichiarava lo scioglimento del Consiglio comunale ed ordinava che doveva essere rinnovato, ma la giunta ed il sindaco Cavalli dovevano rimanere in carica fino alle elezioni, che avvennero il 29 novembre 1959 con questi risultati: la democrazia cristiana seggi 13, partito comunista seggi 10, partito socialista 6 seggi, partito liberale 1 seggio.  La situazione era chiaramente favorevole al gruppo delle sinistre che, se si fossero alleate, avrebbero avuto 16 seggi, e quindi avrebbero formato una maggioranza stabile. La democrazia cristiana, pur avendo migliorato le posizioni, Si trovava tuttavia tagliata fuori dal punto di vista numerico.  Il Consiglio comunale si radunò poco dopo per eleggere il sindaco, e fu una importante seduta. Il capogruppo della democrazia cristiana, Sala, dichiarò, a nome del gruppo, che il partito democristiano da solo aveva totalizzato tredici seggi, uscendo dalle elezioni notevolmente rafforzato in suffragi, in cifre assolute ed in percentuale, e riteneva suo dovere aprire la discussione per la formazione di una maggioranza stabile e democratica, presentando alcuni punti: porre la candidatura di un democristiano come sindaco; favorire la convergenza di altre forze attorno ad un programma di largo appello al partito socialista perché portasse il proprio autonomo contributo alla vita amministrativa locale, con la precisa condizione di staccarsi dal partito comunista.  Alle dichiarazioni di Sala rispose il socialista Lambri, il quale affermò che il suo gruppo aveva deciso di dare tutto l’appoggio al partito comunista, per la costituzione di un’amministrazione di sinistra; prese pure la parola il comunista Bagnoli, per ripetere l’invito di costituire una giunta che comprendesse tutti i partiti melegnanesi, cioè una giunta di coalizione. Il gruppo democristiano si dichiarò anche favorevole per un monocolore socialista appoggiato dall’esterno, ma tutto fu inutile. Lo spoglio delle schede confermò l’amministrazione socialcomunista. Furono eletti: Bagnoli sindaco; Lambri vicesindaco; Lazzari, Bianchi e Stoppini come assessori effettivi; Trisolini e Cavioni come assessori supplenti.  Incominciò così la nuova amministrazione Bagnoli che doveva durare fino al 1967.
Il mutamento
La nuova amministrazione rimasta in carica per sette anni e stata molto discussa ed è ancora oggi discutibile nell’opinione pubblica. Vi era un’opposizione democristiana forte ed agguerrita, con interventi focosi e con polemiche aspre, con abbandoni di aula consigliare e tra forti contrasti nell’interno stesso dei partiti, alcuni dei quali videro le dimissioni di alcuni dei loro uomini più validi e maggiormente stimati. Tuttavia non bisogna escludere che anche nell’amministrazione Bagnoli parecchi agivano con indubbia buona fede e con onestà indiscussa, per servire una causa a cui credevano intimamente.  E qualora vi fossero stati anche errori di incompetenza o sbagli per leggerezza amministrativa, la compattezza del comunismo melegnanese non ne soffrì minimamente e non si indebolì per nessuna crisi di partito. Probabilmente i temi realistici delle rivendicazioni sindacali ed economiche e la convinzione che il partito comunista fosse il più efficace interprete dei bisogni della classe lavoratrice e la fede schietta e senza complicazioni dei comunisti attorno al loro partito, furono più forti e più convincenti delle eventuali incapacità della amministrazione di Bagnoli continuamente proclamate all’opinione pubblica dalla democrazia cristiana, la quale era all’opposizione con uomini preparati e con soda dialettica contenutistica: gli interventi di Gianluigi Sala, di Gianni Goglio, di Pasquale Quartiani, di Ermenegildo De Rossi, a cui rispondevano tra gli altri del partito comunista Ernesto Rizzi, Luciano Dallabora, e tra i socialisti Galileo Lazzari, Achille Lambri, Renato Bianchi, non sempre erano sereni e narrativi, ma animosamente tenaci ed insistenti, fino alla controversia più aspra. Naturalmente le discussioni in seno al consiglio comunale vertevano non soltanto su problemi o su fatti contingenti anche a livello di imprevisto, ma soprattutto erano in argomento sul programma che l’amministrazione Bagnoli aveva promesso di attuare: creare nel territorio melegnanese le condizioni urbanistiche adatte a nuovi impianti industriali; un piano intercomunale di coordinamento ed un consorzio tra Comuni e Provincia per attuarlo; un piano regolatore per Melegnano; rilanciare la Fiera del Perdono, anche progettando una sua stabile sistemazione edilizia; chiedere al Governo centrale trasporti migliori, incominciando a costruire una terza rotaia; una pensilina alla stazione, ed una stazione di attesa dell’Azienda tramviaria milanese; un nuovo ospedale, una moderna rete di fognatura, nuovi quartieri di abitazione; un sottopasso al passaggio a livello in via Zuavi; un allargamento del ponte sul Lambro; aprire un Ufficio del Registro, predisporre una nuova sede della Pretura, ampliare il cimitero; portare un distaccamento dei Vigili del fuoco; introdurre acqua e gas metano in tutte le case; bagni pubblici; una nuova farmacia comunale; battersi contro il Consorzio produttori latte per la revisione del prezzo del latte; una sede per Melegnano Cultura, una biblioteca ed un centro sociale; una più forte imposta di famiglia per i grossi patrimoni e meno imposte sui consumi; il futuro Consiglio comunale che dovrà battersi per una maggiore autonomia ai Comuni d’Italia, per l’Ente Regione e per un piano urbanistico ed economico della Lombardia. E con la discussione e la parziale esecuzione di questi punti programmatici si arrivò alle elezioni normali del 27 novembre 1964.
I dissensi
Con le elezioni rinacque la giunta socialcomunista con un accordo tripartito fra partito comunista, partito socialista e partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup), sulla base di maggioranza pci-psi ed appoggio esterno del psiup, e nel febbraio del 1965 la nuova giunta incominciò un periodo di grave crisi, ed i primi sintomi si ebbero in occasione della presentazione del bilancio 1965, quando i1 psiup minacciò la propria astensione, non essendo stato preventivamente chiamato a prender visione del testo del bilancio ed a concordarne l’impostazione. E da luglio 1965 al maggio 1966 il consiglio comunale non venne più convocato dalla giunta se non due volte, specialmente per l’esame di tre importanti problemi, il palazzo comunale, la scuola, la torre come serbatoio dell’acquedotto. E la crisi si accentuò perché sul problema del palazzo comunale sorsero contrasti anche all’interno degli stessi partiti Anche nell’interno del partito comunista si manifestarono dissensi. Si arrivò, tra polemichette e discussioni senza fine, all’11 di agosto, quando il vice-sindaco socialista Bruzzi annunciò al Consiglio le dimissioni del partito socialista dalla giunta. Il Consiglio si aggiornò al 15 settembre: anche il sindaco e gli assessori comunisti rassegnarono le dimissioni nella speranza di favorire il ripristino della coalizione dei partiti interessati.  Era manifesta, dunque, l’incapacità di alcuni uomini di partito sulla collaborazione con altre forze politiche. Anche i democristiani ed il liberale diedero le dimissioni, per arrivare alla gestione commissariale, anche se il commissario non poteva rappresentare la migliore soluzione. Comunque era l’unico mezzo per mettere fine ad una lunga crisi paralizzante. E si arrivò alle elezioni amministrative dell’11 giugno 1967.  Fu questo un periodo di smarrimento politico anche per l’opinione pubblica melegnanese, sia per la chiara visione di una impotenza politica dei propri eletti, sia per le troppe critiche e pettegolezzi che si mettevano in giro a screditare i politici, sia perché in campo nazionale già arrivavano i segni evidenti di possibili unioni tra democristiani e socialisti in maniera più facile. Bisognava dunque concludere che le elezioni del giugno 1967 sarebbero state molto importanti.  La giunta comunale che aveva retto il Comune del 1959 (Ettore Bagnoli, Achille Lambri, Galileo Lazzari, Giuseppe Stoppini, Renato Bianchi, Francesco Cavioni, Gildo Trisolini), e quella che amministrò dal 1964 al 1966 (Ettore Bagnoli, Aldo Bruzzi, Vincenzo Oranger, Giuseppe Stoppini, Maria Scarani, Angelo Meda, Giuseppe Barbé) si presentarono alla cittadinanza per affrontare ancora la prova elettorale.  I partiti che si presentarono alle elezioni del 1967 furono la democrazia cristiana che ottenne 12 seggi, il partito socialista unificato (psi-psdi) 3 seggi, partito comunista 12 seggi, partito socialista di unità proletaria 2 seggi, partito liberale 1 seggio, movimento sociale italiano nessun seggio, altre liste nessun seggio. Ma queste elezioni non arrecarono grossi cambiamenti o clamorosi capovolgimenti di posizioni, ma soltanto spostamenti assai modesti. Fu tuttavia l’inizio della prima effettiva esperienza ed il collaudo del centro sinistra a Melegnano, cioè fu un’amministrazione composta da democristiani e socialisti del psi: Gianluigi Prinelli sindaco; Aldo Bruzzi vicesindaco; Nereo Massignani, Gian Francesco Biggioggero, Luigi Danova, Agostino Podenzani, Gabriele Maraschi sostituito poi da Ruggero Bruna, come assessori; mentre gli altri consiglieri furono, per tutto il tempo o per poco tempo e poi sostituiti, Mario Armano, Francesco Balossi, Ferruccio Bonetti, Antonio Cagnazzi, Adriano Caldironi, Emanuele Cavalli, Gioacchino Collaro, Giovanni Colombo, Enrico Conca, Salvatore Di Bartolo, Giovanni Goglio, Achille Lambri, Ines Maraschi, Angelo Meda, Luigi Nervi, Giovanni Pavesi, Giacomo Peviani, Silvio Poletti, Ernesto Rizzi, Gaetano Sangalli, Mario Scaccini, Maria Scarani, Francesco Scotti, Gildo Trisolini, Claudio Viviani, Piera Zoncada.
Il centrosinistra
Le elezioni amministrative del giugno 1967 diedero dunque a Melegnano una giunta di centro sinistra. Ma verso la fine del 1969 si delinearono i sintomi della crisi: i partiti all’opposizione, PCI, PSIUP, rivendicavano sempre più necessaria la loro presenza e partecipazione al governo della città. Anche il partito liberale, rappresentato da Francesco Balossi, dichiarava esplicitamente di non poter più essere tollerante nei confronti dell’amministrazione in carica.  Intanto si accentuava la pressione verso il PSI, che nel frattempo era impegnato a portare un cambiamento di responsabili nell’interno del partito e del gruppo consigliare, dal momento che il vice-sindaco socialista Aldo Bruzzi si era dichiarato indipendente dal 29 settembre 1969.  La cittadinanza manifestava smarrimento per episodi di votazioni a sorpresa, fino al fatto della sostituzione per votazione segreta dell’assessore democristiano Gabriele Maraschi, assunto ad altro ufficio pubblico, con il comunista Ruggero Bruna: il consiglio era paralizzato.  Intanto arrivavano a maturazione alcuni problemi che rivestivano notevole importanza per l’assetto della città, e da parecchi si sentiva la preoccupazione di trovare una soluzione per uscire dalla situazione di immobilità.  La prefettura, considerando la paralisi del Consiglio comunale melegnanese, inviò un funzionario per l’esame del bilancio preventivo del 1969. La democrazia cristiana, intanto, avanzò la proposta di comporre una giunta comunale formata da rappresentanti di tutti i partiti; ma il PSI voleva l’esclusione dei liberali, e propose alla DC un accordo con il PCI e PSIUP per un eventuale appoggio esterno alla giunta di centro sinistra, che non venne accettato. Pochi giorni dopo il PSI ruppe la coalizione  di centro sinistra, iniziando trattative in proprio con il PCI e con il PSIUP per la formazione di una maggioranza stabile.
L’accordo tra le sinistre
Difatti il 20 settembre 1969 era stato stretto un accordo politico programmatico per la costituzione di una giunta di sinistra fra i partiti PCI, PSI, PSIUP, i quali si erano riuniti nella sede del PCI, rispettivamente con le proprie delegazioni.  Nei patti la maggioranza di sinistra si impegnava, in ogni occasione, a dare il suo contributo per la soluzione dei problemi generali che da anni venivano dibattuti e non mai portati a soluzione, nell’interesse dei lavoratori; in modo particolare si poneva l’accento sui problemi che investivano direttamente le amministrazioni locali, come l’Ente Regione, le autonomie locali, la riforma della legge sulla finanza melegnanese.  Allo scopo di coordinare lo sviluppo socio-economico della zona la nuova amministrazione si sarebbe impegnata ad allacciare rapporti permanenti con le amministrazioni comunali limitrofe, per creare strumenti adatti ad uno sviluppo urbanistico del comprensorio melegnanese atto a favorire la soluzione dei molteplici problemi sociali ed economici della zona. In tale quadro operativo uno dei massimi impegni sarebbe stato quello di dare alla città un piano regolatore generale in collaborazione con il Piano intercomunale milanese, ed adottare un piano per l’edilizia popolare in una visione consortile.  Sarebbero state istituite scuole materne comunali; un complesso di scuole medie, elementari e speciali; il potenziamento della scuola serale; l’impegno a realizzare scuole superiori; l’interessamento attivo per la scuola integrata.  Sarebbe stata curata la costruzione di un centro sportivo comunale; della biblioteca comunale; del centro culturale; e la sistemazione a parco dell’area perimetrale, del castello mediceo.  Per l’industria e il commercio sarebbero stati approvati una tabella merceologica e l’incoraggiamento alla costruzione di cooperative.  Erano assai necessari il completamento del sottopasso e del cavalcavia ferroviario; la costruzione del sottopasso in via Emilia per il cimitero; lo studio immediato per il collegamento Melegnano - Ospedale Predabissi; intervento immediato per la sistemazione di tutte le strade private; la semaforizzazione e la regolamentazione viabilistica.  Nel campo dei servizi occorreva la sistemazione generale della rete idrica della città, la sistemazione ed il completamento della fognatura cittadina; l’impegno a rimuovere le carenze dei servizi in alcuni quartieri della città; l’ampliamento del cimitero; il potenziamento dei trasporti urbani per gli alunni e fra la città e l’Ospedale; l’impegno a municipalizzare alcuni servizi di interesse sociale; in particolare si poneva l’accento sulla realizzazione di una farmacia comunale.  Nei tributi e nelle finanze si voleva la creazione dell’anagrafe tributaria per una democratica applicazione dei tributi.  Per tutti questi problemi sarebbero state costituite commissioni di studio dei tre partiti (PCI, PSI, PSIUP), per dare un contributo di elaborazione alla loro soluzione, con presenza di parità dei rappresentanti dei tre partiti. La giunta di sinistra avrebbe avuto la seguente struttura: PCI, vicesindaco, con delega per le competenze alla pubblica istruzione, allo sport, alla vigilanza, alla annona, con assessore effettivo alla finanza e al bilancio ed assessore supplente per l’igiene e la sanità; PSI, sindaco, con assessore effettivo alla assistenza ed alla beneficenza, ed assessore supplente per l’industria ed il commercio; PSIUP, assessore effettivo ai lavori pubblici e all’urbanistica.  Le delegazioni che avevano concordato questo programma e queste strutture erano guidate da Adriano Caldironi per il PCI, Michele Bellomo per il PSI, Alessandro Gritti per il PSIUP.  Dopo che le segreterie dei tre partiti avevano ratificato questo programma, venne chiesta la convocazione del Consiglio Comunale per la nomina della nuova giunta, ed una nuova situazione di confusione annebbiò l’operato del Consiglio, anche perché i due assessori Bruzzi e Podenzani ritirarono le dimissioni già date per la giunta, si dichiararono staccati dal PSI; in tal modo il programma dei tre partiti elaborato dal PCI, PSI e PSIUP non poteva essere presentato perché essi non avrebbero più avuto la maggioranza richiesta, disponendo dell’appoggio di 15 consiglieri su 30.  La DC propose nuove elezioni anticipate, ma nessun gruppo si sentì di assumersi la responsabilità dell’arrivo di un commissario prefettizio con lo scioglimento del Consiglio comunale. Affiorava anche la possibilità di una giunta rappresentativa di tutti i gruppi e con esclusivi compiti di ordinaria amministrazione e di preparazione delle elezioni, ma le sinistre volevano la sostituzione del sindaco.
Le elezioni 1970
Il 9 gennaio 1970 il Consiglio comunale, accettando le dimissioni di 15 consiglieri comunisti e socialisti precedute da una dichiarazione di dimissioni anche dei consiglieri democristiani con esclusione di quelli impegnati nella giunta, decretò il suo scioglimento. Il 7 giugno 1970 i melegnanesi andarono alle urne, con il problema essenziale di dare alla città una maggioranza stabile. Le liste in competizione erano il PCI che ottenne 13 seggi; PSI 2 seggi; PSIUP 1 seggio; DC 12 seggi; PSU 1 seggio; PLI 1 seggio; PRI nessun seg-gio. La maggioranza ora esisteva nell’apparentamento tra PCI, PSI e PSIUP con 16 seggi.  Nella stessa giornata del 7 giugno 1970 avvennero anche le elezioni provinciali e le prime elezioni per la Regione, per la quale erano in lista, a Melegnano, questi partiti: Partito Comunista Italiano; Partito Socialista Italiano; Partito Socialista di Unità Proletaria; Partito Socialista Unificato; Democrazia Cristiana; Partito Liberale Italiano Partito Repubblicano Italiano.  Partito Comunista Italiano 38,54%; Partito Socialista di Unità Proletaria 5,50%; Partito Socialista Italiano 7,99%; Partito Socialista Unificato 4,51%; Partito Repubblicano Italiano 1,49%; Democrazia Cristiana 35,79%; Partito Liberale Italiano 4,15%; Partito Democratico Italiano Unità Monarchica 0,30%; Movimento Sociale Italiano 1,82%; Libera Padania 0,00%. I melegnanesi votanti erano 12.735.  La prima seduta dei nuovi consiglieri avvenne il 13 luglio 1970 alla presenza di un folto pubblico. L’assessore anziano Mario Scaccini guidava i lavori che videro gli interventi di parecchi per augurare buon lavoro al nuovo Consiglio; per conoscere le trattative intercorse ed i loro risultati fra i tre partiti PCI, PSI, PSIUP; per ringraziare gli elettori; per evitare inutili polemiche e demagogismi; per affermare le proprie posizioni ideologiche; per l’opposizione ad ogni inasprimento fiscale; per dire che la DC non sarebbe mai stata disfattista, ma costruttiva.  Venne eletto sindaco l’architetto Luigi Danova; vicesindaco Mario Scaccini; assessori effettivi Ivo Paris, Adriano Caldironi, Natale Pellini; assessori supplenti Michele Bellomo e Francesco Bianchi, l’olimpionico per l’atletica leggera.  Il sindaco uscente, Gianluigi Prinelli, rivolse al neoeletto parole di compiacimento, augurando di trovare collaborazione e lealtà. Furono parole che stesero una nuova atmosfera di compromesso, dopo lungo faticoso complicato cammino politico applicato all’amministrazione melegnanese. Stava davanti ai nuovi amministratori una massa di lavoro e di impegno tali da non dover perdere alcun tempo.
Le elezioni amministrative del 1975
Il 15 giugno 1975 si tennero le elezioni amministrative ed i seggi ottenuti furono 15 per il Partito Comunista Italiano, 10 per la Democrazia Cristiana, 4 per il Partito Socialista Italiano, 1 per il Partito Socialista Democratico Italiano.  Il Consiglio comunale, radunato il 1° agosto, formò la Giunta così composta: sindaco Luigi Danova, assessore anziano Mario Scaccini, assessori effettivi Achille Lambri, Michele Bellomo, Adriano Caldironi, assessori supplenti Albertina Paris Malfatti, Gaetano Tosi.  Il sindaco Danova ringraziò quanti gli avevano dato la fiducia, sottolineando che il voto era indirizzato, al di là della sua persona, verso una linea politica sviluppata nel quinquennio 1970-75 e rafforzata dal risultato del 15 giugno.  Nel 1977, in occasione della Fiera del Perdono, il sindaco Danova tracciava un profilo dello stato della città di Melegnano, in questi termini: la situazione finanziaria del Comune è critica, e la mancanza di soldi potrebbe compromettere lo stipendio degli impiegati; non si è fatta la finanza allegra, ma i Comuni hanno dovuto sopperire a spese loro. Continua l’esodo dai campi, ancora perdura il fenomeno migratorio, è sempre d’attualità la speculazione edilizia, alcune delle poche industrie o chiudono o stanno chiudendo. E’ rimasto solo il commercio come attrattiva e rifugio di lavoro e di guadagno: ma l’apertura di supermercati nella zona ha creato la crisi in alcuni settori del commercio cittadino.  Nel rapporto del sindaco si dice anche che il problema della casa è grave perché l’edilizia è ferma, i cantieri sono statici, le case malsane a Melegnano sono molte, i giovani sposi non trovano locali. Il Comune (continua la relazione) non può fare nulla ed intanto l’edilizia langue. La buona volontà degli amministratori non serve molto, perché deve venire una legislazione statale, mentre i Comuni hanno visto ridursi la possibilità d’intervento ai minimi termini.
Le elezioni amministrative del 1980
Scadeva l’amministrazione Danova e si votava la nuova amministrazione il giorno 8 giugno 1980. Si presentavano a votare 14.308 melegnanesi (6.582 maschi, 7.726 femmine). In realtà votarono in 13.451 e vi furono questi risultati: voti validi 12.663, Partito Comunista Italiano voti 5.004 (39,51%), Partito Socialista Italiano voti 1.773 (14%), Democrazia Cristiana voti 4.480 (35,37%), Partito Socialista Democratico Italiano 415 (3,27%), Partito Liberale Italiano 302 (2,38%), Partito Repubblicano Italiano 385 (3,04%), Partito Democratico Unità Proletaria 304 (2,40%).  Le elezioni comunali distribuirono i 30 seggi così: 13 al P.C.I., 11 alla D.C., 4 al P.S.I., 1 al P.S.D.I., 1 al P.R.I. Il Consiglio Comunale elesse la nuova Giunta che era formata da Michele Bellomo, sindaco (P.S.I.), Gaetano Tosi (P.C.I.) alle Finanze ed al Bilancio; Cesare Gatelli (P.C.I.) alla Pubblica Istruzione; Giovanni Caputo (P.S.I.) ai Lavori Pubblici ed Ecologia; Antonio Terzini (P.C.I.) all'Urbanistica; Franco Panigada (P.C.I.) al Commercio, Industria ed Artigianato; Claudio Robbiati (P.C.I.) ai Servizi socio-sanitari, Sport e Tempo libero. Vicesindaco fu eletto Gaetano Tosi.  Il nuovo sindaco, Michele Bellomo, aveva 47 anni, era capostazione titolare di Melegnano, dal 1970 era consigliere comunale; era stato assessore all'Igiene e sanità nella prima amministrazione Danova. Era membro del Consiglio di Amministrazione dell'Ospedale Predabissi, era Segretario di Sezione del Partito Socialista Italiano. Al suo posto, come segretario di partito, è subentrato Antonio Sabella, impegnato nelle attività sociali e politiche di Melegnano; fa parte del Consorzio Sanitario di Zona e della commissione amministratrice della farmacia comunale; da 25 anni svolge la sua attività lavorativa presso l'Inam, sezione di Melegnano, con dedizione e perizia.  In queste elezioni le preferenze più numerose andarono al dottor Giancarlo Corti (D.C.) per un numero di 1.314 voti: il preferito deve questa sua vittoria all'esperienza amministrativa già svolta come sindaco di Bascapè ed alla sua indole cordiale, sempre disponibile e saggia per ogni consiglio negli Enti e nelle Associazioni della città.
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