Abbiamo impressa nella mente l'immagine televisiva dell'esodo tragico della popolazione del Kosovo, povera umiliata, usata. Abbiamo anche impressa l'immagine fotografica di numerosi uomini e donne di Belgrado, trasformati , in bersaglio umano a difesa di un ponte della loro città. Volti intrisi di dolore, il dolore generato dallo smarrimento, dalla delusione: probabilmente questi uomini e queste donne non sono nazionalisti.
Sono due immagini della stessa guerra, riferite a due vittime diverse, apparentemente lontane, divise, ma tragicamente accomunate da un'unica logica: la violenza.
L'Occidente non ha impedito il diffondersi del veleno nazionalista nei Balcani, non ha aiutato concretamente le iniziative delle opposizioni democratiche ai vari regimi nazionalisti che ovunque, in Serbia come in Croazia,
nel Kosovo e in tutta la regione si sono rafforzati negli ultimi dieci anni.
L'Europa in particolare è stata assente, non ha trasmesso un meessaggio diverso, non ha predisposto piani di aiuto economico, non ha stimolato la nascita di democrazie. Si è semplicemente lasciato che il seme della
violenza crescesse per poi "indignarsi" ed intervenire con la stessa logica violenta: la guerra.
Ancora una volta alla forza della ragione si è sostituita la ragione della forza, il dominio della violenza. Ma sappiamo quanto questa strada intrapresa con irresponsabile cinismo sia incompatibile con la democrazia, tanto incompatibile che i nostri saggi Costituenti pensarono bene di inserire nella Costituzione repubblicana il principio del "RIPUDIO DELLA GUERRA COME STRUMENTO DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI ".
Certo in questi giorni di guerra, molti illustri giuristi, nonché autorevoli Organi Istituzionali, hanno spiegato che i principi sono cosa diversa dalle norme imperative: bene se queste interpretazioni "da farmacista" hanno voluto giustificare la riduzione dell'art.11 della nostra Costituzione a carta straccia per i nostri governanti, noi crediamo che il principio stabilisca comunque un valore inderogabile e di suprema rilevanza morale e che il principio della non-violenza sia ancora sentito e vivo nelle coscienze democratiche di questo Paese.
La difesa di questo principio vitale per ogni democrazia é all'origine della costituzione ad Enna dei COMITATO PERMANENTE CONTRO LA GUERRA: le Acli, l'Agesci, Amnesty International, l'Associazione Euno, l'Arci, l'Associazione di volontariato L. Lama, Enna che vogliamo, Legambiente,
Rifondazione comunista, la redazione di Scrusciu, la Gilda degli insegnanti, il Partito Umanista, la Cgil, la Uil, la Cisl, nonché numerose personalità indipendenti si sono ritrovate insieme, accomunate dal principio del Ripudio della guerra.
Tra le iniziative del Comitato la manifestazione di venerdì 23 aprile ha dato vita ad una forte testimonianza di DISSENSO nei confronti di tutte le guerre.
La piazza S.Francesco è stata listata a lutto con un grande striscione nero, sotto il quale è stata "visualizzata" la ferita prodotta dalla guerra: ferita fisica per tutti i popoli che ne subiscono la violenza e ferita culturale e politica per l'Europa della pace. Le note del requiem di Mozart, la lettura di poesie e di brani contro la violenza, gli interventi politici spontanei hanno evidenziato l'assurdità di ogni guerra e l'ipocrisia di chi ancora né difende le ragioni.
E' necessario intensificare la mobilitazione popolare per fermare questa barbarie.
COMITATO PERMANENTE CONTRO LA GUERRA ENNA