Ricostruzioni


La Trireme romana

     La trireme era già stata usata con successo dai Greci di Temistocle contro i Persiani. Le triremi tradizionali erano munite di uno sperone e di attrezzature dalle quali lanciare dardi o proiettili incendiari. I Romani dovettero organizzare la prima e vera flotta in occasione delle guerre puniche. I Cartaginesi erano molto esperti della guerra navale, e non temevano certo un popolo alle prese per la prima volta con l'allestimento di una flotta. Ma i Romani catturarono una nave e, copiandone la struttura, allestirono un'ingente flotta. Mentre i soldati si allenavano a remare sulla spiaggia, gli ingegneri applicavano alla semplice nave attrezzature come il corvo. Gli ingegneri infatti sapevano che i soldati romani erano straordinari per terra ma inesperti per mare, così applicarono il corvo, un pontile mobile che presentava nella parte inferiore una zanna d'elefante. Grazie al corvo le navi romane poterono "agganciare" quelle cartaginesi e così i soldati romani poterono facilmente battere quelli cartaginesi battendosi corpo a corpo. In seguito i Romani svilupparono una vera e propria arte nautica, anche nel campo della guerra: il corvo fu abbandonato poiché le navi romane erano già in grado di combattere con l'uso di manovre di speronamento (grazie al rostro) e di balliste fissate appositamente sulla trireme.
     I Romani non usavano solo le triremi, usavano anche le quadriremi e le quinquiremi, mentre per quanto riguarda quelle più piccole, i Romani utilizzavano le deceris, le liburnae e le biremi. Una nave tipicamente romana si riconosceva dalla vela quadrata, e dalle due forze di propulsione: il vento e i remi.

L'Onager

     L'onager (o asino selvaggio) era l'arma più temuta dai nemici di Roma. Questa enorme catapulta era in grado di scagliare massi e proiettili (anche incendiari) fino ad una distanza di 400 metri. Versioni più piccole dell'onager venivano chiamate catapulte e scorpioni. I Romani conobbero per la prima volta gli scorpioni durante l'assedio di Siracusa; il primo a farne uso era stato Archimede.

La Ballista

     A differenza dell'onager, che veniva usato quasi esclusivamente negli assedi, le balliste venivano usate in veri e propri scontri. Esse erano in grado di scagliare frecce di 2,50 metri, che potevano perforare scudo e corazza non di un solo uomo, ma addirittura di due. Queste inoltre venivano spesso allestite sulle mura di una città o sopra un terrapieno o una palizzata di un accampamento per difendersi dagli assalitori.
     Oltre ad utilizzare la forza di torsione, i Romani usavano macchine basate sul principio della compressibilità dei metalli. La forza di propulsione delle matasse era accresciuta, e forse sostituita, dall'elasticità di un arco in ferro, l'arcoballista. Quando essa diveniva mobile ed era montata su di un carro, veniva chiamato carroballista.
     Un altro strumento da lancio era una specie di balestra, ossia un arco in ferro al quale la propulsione veniva assicurata dall'elasticità del metallo. Era un'arma individuale e somigliava in modo impressionante alle balestre medioevali. Il sistema era simile esteriormente alle macchine da lancio di piccole dimensioni, ma per caricare occorreva mettere a terra l'arma ed appoggiarsi col ventre contro un incavo semicircolare. Simile ma più grande in dimensioni è lo scorpio, spesso montato anche sulle navi da guerra.

Arieti e Torri

     Le torri venivano usate solo per assediare una roccaforte nemica. C'erano diversi tipi di torre: da alcune torri (chiamate "tartaruga"), nella parte inferiore, sporgevano degli arieti oppure delle piccole travi di ferro che dovevano sconnettere le pietre delle muraglie; altre torri consentivano il superamento di valli e di mura nemiche lanciando un ponte. Tutte queste torri erano rivestite di scudi o di pelle e erano spesso muniti di ruote per agevolarne i movimenti.
     Quando l'ariete era sospeso ad una incastellatura in legno - aries pensilis - si legava la parte posteriore della trave con funi, tirando e lasciando le quali si procurava la percussione contro l'obiettivo.
     Il sistema più complesso ma anche più sicuro per i serventi era la testudo arietata. I soldati che operavano erano protetti da una tettoia mobile di legno, rivestita da materiali resistenti al fuoco. Per esemplificare ed evidenziare le sue dimensioni, ricordiamo che Procopio narra di un ariete, usato nella guerra gotica, mosso da cinquanta serventi e Vitruvio di un altro a cui erano addetti cento soldati. L'opera demolitrice degli arieti trovava valida collaborazione nella terebra, specie di grosso trapano con il quale venivano praticati dei fori nel muro che doveva poi essere battuto dall'ariete e nella falx muraria, costituita da una lunga asta al cui estremo era posto un ferro piegato ad uncino con il quale si svellevano le pietre smosse dall'ariete.
     Per difendersi dall'azione degli arieti, veniva, tra l'altro, usato uno strumento simile ad una grossa tenaglia o uncino - lupus - con cui si tentava di intrappolare la testa dell'ariete e di tenerla sollevata, impedendone in pratica l'uso.
     L'azione di sfondamento operata dall'ariete non poteva avere successo né essere opportunamente sfruttata se non era adeguatamente protetta. Ecco quindi, fin dall'antichità, nascere le torri mobili o turres ambulatoriae.           Esse erano costruite in legno, a più piani, di altezza superiore all'obiettivo che doveva essere investito ed erano ricoperte con materiale quanto più possibile refrattario al fuoco ed idoneo a smorzare l'effetto dell'urto dei proiettili. Al loro interno si passava da un piano all'altro mediante l'uso di scale mentre numerose feritoie erano posizionate in modo da controbattere i tiri dei difensori. Le torri erano naturalmente montate su ruote ed erano spinte o a braccia o con l'ausilio della trazione animale o con argani e manovelle. Si hanno anche notizie di torri mobili rivestite in ferro sia per aumentarne la protezione che per migliorarne la stabilità. Le torri di dimensioni maggiormente ragguardevoli avevano incorporato un ariete, così da poter impegnare i difensori con una duplice azione: dal basso con l'ariete ed in alto con l'intervento di gruppi armati a ridosso delle mura. E' comprensibile come costruzioni così pesanti potessero muovere solo su terreno già riconosciuto e, all'occorrenza, spianato e reso regolare. Un attacco condotto con l'uso di torri mobili non poteva giovarsi, quindi, del fattore sorpresa: il difensore poneva riparo all'insidia cercando di scavare fosse o buche mascherate sul percorso della macchina, in modo che vi sprofondasse con il suo peso e rimanesse immobilizzata.
     L'assalto all'opera difensiva avveniva anche con l'uso di scale in legno, corda o cuoio, di altezza variabile all'obiettivo da raggiungere.Vegezio cita anche le scalae speculatoriae, specie di carrello con un tavolato fissato alla sommità, sul quale era posto un soldato con compiti di osservazione. Un altro strumento particolare usato per raggiungere le mura era il tolleno, formato da una trave verticale al terreno alla cui estremità superiore era inserita un'altra trave, orizzontale. Ad un capo di quest'ultima era posto un grosso cesto idoneo a sostenere gli armati.           Facendo forza sull'altro estremo dell'asta orizzontale a mezzo di funi, si provocava la salita del cesto all'altezza desiderata.
     Per avvicinarsi alle linee fortificate avversarie con minor pericolo possibile, si costruiva tutta una serie di ripari. La vinea e la porticus, idonei a fornire riparo a circa 20 armati, erano costruzioni formate da una tettoia in legno e una graticciata sui fianchi, coperte con pelli fresche e stracci umidi.
Vediamo infine un'arma che, pur con le dovute variazioni strutturali, è in uso ancora ai giorni nostri: il tribulus.
     Esso era costituito da quattro braccia in legno o in ferro, con le punte aguzze, legate insieme in modo che, quando veniva gettato a terra ed in qualsiasi posizione potesse ricadere, poggiava sempre su tre punte mentre la quarta rimaneva rivolta verso l'alto, pronta ad offendere. I triboli sparpagliati a terra erano usati sia per difendere passaggi obbligati che per contrastare cariche di cavalleria. Se i triboli venivano sparpagliati sulla superficie del terreno, gli stimuli invece nascosti in trabocchetti o fosse. Costituiti da pioli acuminati infissi all'interno delle fosse con la punta rivolta verso l'alto servivano anch'essi come difesa passiva contro azioni di cavalleria o erano posti sul davanti di fortificazioni.

Il Legionario

     Il legionario romano aveva un armamento completo: possedeva infatti due pilum, uno scudo che difendeva quasi tutto il corpo, una corazza di maglia o una lorica segmentata (corazza fatta di piastre metalliche unite da strisce di cuoio), un pugnale sul lato sinistro, un gladio su quello destro, un elmo anatomico di bronzo o di ferro molto levigato (per far scivolare via i colpi del nemico) che proteggeva anche il collo e che era rinforzato sopra la cupola e infine una cintura borchiata che proteggeva dai colpi lo stomaco e l'inguine. Gli ufficiali avevano una corazza "musculata" In aggiunta poteva essere equipaggiato di schinieri.
     Per non spellarsi il collo con l'armatura i legionari avvolgevano intorno al collo delle sciarpe; inoltre indossavano sandali chiodati. Ogni legionario stanziato in un posto freddo disponeva di un mantello col quale coprirsi. Il centurione e altri ufficiali avevano un'armatura migliore di quella del legionario, e, sempre nei trionfi e qualche volta nelle battaglie, avevano delle piume attaccate all'elmo per farsi riconoscere come tra i soldati semplici e per sembrare più alti.