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La fiera del Perdono
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Giovanni Angelo Medici diventa Pio IV

Il perdono di Melegnano

Il commercio del Perdono e la demografia

La leggenda del ponte levatoio e della cognata

Le difficoltà sanitarie e religiose

L’ultima Fiera tradizionale

La trasformazione del Perdono

La Festa e la Fiera del Perdono oggi

Il parco divertimenti

Il Palio dei Rioni “Tiro alla fune”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Giovanni Angelo Medici diventa Pio IV
All’età di 62 anni il fratello del primo marchese di Melegnano, Giovanni Angelo Medici, la notte del Natale 1559 venne eletto papa e volle chiamarsi Pio IV°per indicare la mitezza che si proponeva di usare nel suo governo. Gli umili suoi genitori, Bernardino Medici e Cecilia Serbelloni, non gli avevano dato la celebrità. Fu invece il fratello Gian Giacomo, detto il Medeghino, con la sua brillante carriera militare e con le sue clamorose imprese, a dargli un nome ed una fama. La stessa moglie di Gian Giacomo, Marzia Orsini, era cognata di Pier Luigi Farnese, parente del papa Paolo III.  Lo stesso Paolo III favorì la carriera ecclesiastica di Giovanni Angelo Medici: commissario per la città di Roma; vescovo di Ragusa; commissario alla guerra smalcaldica; infine cardinale nel 1549.  Fu messo in disparte dal papa Paolo IV, ed allora venne qui, in Italia settentrionale a condurre vita privata per tre anni, dal 1556 al 1559, con soggiorni nel nostro castello.  Appena eletto papa volle chiamare attorno a sè i suoi parenti, tra i quali vi fu anche il nipote Carlo Borromeo creato cardinale a 22 anni. Il suo pontificato fu assai intenso e laborioso: tra i fatti principali bisogna ricordare che fu Pio IV a chiudere il famoso Concilio di Trento il 4 dicembre 1563, con il quale erigeva il Cattolicesimo contro il Protestantesimo, riportandolo con nuovo vigore ed energie fresche alle pure fonti evangeliche. La novità delle riforme non piacque a molti della città di Roma, e per questo si ordì una congiura per uccidere Pio IV°che scampò al pericolo.  Il papa rimase impressionato per la congiura; si ammalò e non potè più riacquistare la salute. Quando si aggravò accorsero ad assisterlo sul letto di morte Carlo Borromeo e Filippo Neri, e nelle braccia di questi due futuri santi spirò tranquillamente la notte del 9 dicembre 1565.
Il perdono di Melegnano
Pio IV°concesse alla Comunità di Melegnano la Bolla con l’indulgenza del Perdono. Questa Bolla dice che i fedeli, visitando la chiesa di San Giovanni, dal pomeriggio del giovedì santo fino alla sera del venerdì, ed anche nella festa della Natività di San Giovanni il 24 giugno, otterranno l’indulgenza plenaria e la remissione di tutti i peccati propri, potendo applicare l’indulgenza ad altre persone viventi o morte. La Bolla porta la data del 20 gennaio 1563.  Da parecchi anni, in occasione del giovedì santo, nell’ambito delle celebrazioni e delle iniziative che si svolgono con grande affluenza di popolo, il prevosto presenta, commemora e suggerisce il modo concreto ed efficace per guadagnare questa indulgenza.  Le motivazioni per la concessione della Bolla a Melegnano sono diverse. Il papa, come scrive nella Bolla, desidera che “la chiesa di San Giovanni Battista della terra di Melegnano, cui sta a capo con grande cura il diletto nostro figlio prevosto, sia venerata e ritenuta nella insigne considerazione”, questa è la prima motivazione.  Vi è poi un’altra ragione: il rilancio delle indulgenze come mezzo di preghiera e di ripresa della vita cristiana. Naturalmente il nostro papa sapeva che una indulgenza, solenne e universale, avrebbe attirato tanta folla, e conseguentemente avrebbe portato a Melegnano benessere economico.  La religiosa Festa del Perdono creò la Fiera del Perdono: la dimensione ascetica procurò quella economica e festaiola. Il Perdono fu subito sentito e divulgato. Soltanto 50 anni dopo, nel 1616 si legge in un documento “accorre immensa folla”. E nei secoli aumentò anche la sua durata: prima un giorno e mezzo, poi tre giorni, poi una settimana ed anche due, poi si prolungò per un mese. Oggi vi è la Primavera Melegnanese che ha la durata di circa tre mesi.  I settori interessati erano per tradizione quelli agricoli. Vi era un famoso mercato di cavalli e di bovini. I nostri commercianti locali acquistavano all’estero (Olanda, Danimarca, Svizzera, Svezia, e più recentemente dall’America) i capi di bestiame che presentavano nei giorni della Fiera. Soprattutto i cavalli.
Il commercio del Perdono e la demografia
A capire lo svolgimento del Perdono ci aiuta un quadro del 1600 di autore ignoto, ma che la critica attribuirebbe al Sebastianone.  Il quadro è di proprietà dei conti Federico e Vittorio Borromeo.  La scena descritta dal quadro è assai ricca e vivace: un pesante cocchio tirato da sei cavalli entra in Melegnano passando sotto un arco in cotto rovinato, forse un avanzo medioevale di difesa. Sotto gli alberi fronzuti si intreccia una danza, mentre diversa gente si avvia verso l’entrata della chiesa di San Giovanni, ancora nel suo stato architettonico del 1500.  Verso il primo piano a destra e a sinistra due osterie innalzano le loro insegne: una con l’aquila, l’altra con il gallo. Gruppi festosi di bambini giocano al guancialino d’oro, all’altalena, a mosca cieca, alle capovolte. Dietro di essi una folla variopinta di pellegrini: dei curiosi, dei patrizi, dei popolani.  Le merci in vendita sono pale, mestoli, utensili di legno, piatti, zuppiere di terraglia. Una vecchietta sta contrattando un paio di occhiali.  Vi sono venditori di tridenti, forche, falci e vanghe; il merciaio di nastri, il mercante di calze, di cordami, di generi commestibili, ed in vista la bottega del cappellaio.  Nel quadro, dunque, a circa 100 anni dall’istituzione del Perdono, notiamo queste emergenze socioeconomiche: movimento religioso, affollamento nelle osterie, divertimento, articoli casalinghi, articoli per l’agricoltura, articoli per l’abbigliamento.  Passano alcune generazioni. Ci ritroviamo alla fine del 1700, ed il carattere agricolo del Perdono, che è il prevalente, è provato anche dalla situazione demografica di Melegnano e delle cascine: nel 1749 l’86% del territorio del Comune di Melegnano era adibito ad agricoltura ed all’orticoltura. Nel 1755 Melegnano era al centro di una riforma catastale ed agricola. Nell’anno della Rivoluzione francese, il 1789, Melegnano aveva 598 famiglie con 1755 abitanti; Vizzolo e sue cascine famiglie 98 con 607 abitanti, Pedriano famiglie 51 con abitanti 238, Mezzano famiglie 34 con abitanti 185, Santa Brera-Rocca-Rampina famiglie 31 con abitanti 185, Colturano famiglie 70 con abitanti 413, Riozzo famiglie 89 con abitanti 475.  Per tutto il 1800 il Perdono è sempre in prevalenza agricolo, sempre attivissimo ed accanto al settore agricolo si nota un benessere per altre categorie affini. Ne sono testimonianza un giudizio di Ferdinando Saresani, storico melegnanese del secolo scorso ed una lettera al papa Leone XIII. Il Saresani nel 1886 scrive che “... la fiera e una fonte di guadagno estesa ad ogni ramificazione del commercio e tanto meravigliosa in quei giorni, particolarmente per venditori di commestibili, che non e raro procuri loro in poche ore quanto guadagno ebbero in molti mesi; ed e loro necessario ai comodi della vita per l’intera annata”.  Da una lettera del parroco di Melegnano al papa Leone XIII si apprende come già dal 1884 il pontefice avesse concesso nel giorno del giovedì santo “la commutazione dei cibi strettamente quadragesimali in quelli di grasso” in considerazione della grande affluenza di popolo per cui sarebbe stato impossibile servire a tutti i visitatori cibi all’olio.
La leggenda del ponte levatoio e della cognata
Proprio nel 1800 si sviluppa tra il nostro popolo una leggenda, nata forse nel 1700, sulla concessione della Bolla del Perdono.  Giovanni Angelo Medici, essendo ancora solo cardinale, un giorno visitò Melegnano di cui era feudatario per recarsi poi a Bologna dove teneva il posto di prolegato apostolico.  Gli abitanti melegnanesi tripudiavano di gioia al modesto contegno ed alle amorevoli parole del porporato loro signore; ma non così la vedova sua cognata cui mordeva rancore che a lui fosse passata per diritto l’autorità del defunto marito Gian Giacomo.  Sopraffatta dall’insana passione non seppe dissimulare gli stimoli; ed all’eminente cognato che già si appressava al castello non solo sdegnò mostrarsi incontro, ma al colmo di dispetto, ordinò che si alzasse il ponte lavatoio e gli fosse chiuso il passo.  Il cardinale trovò ospitalità cordiale presso il parroco di San Giovanni. Questa ospitalità fruttò, più tardi, il dono della Bolla come riconoscenza.
Le difficoltà sanitarie e religiose
Nella lunga storia del Perdono (ricordiamo che la Bolla di Pio IV°porta la data del 20 gennaio 1563) vi furono circostanze in cui si dovette sospendere la celebrazione. Ciò fu in occasione di malattie contagiose, di gravi disgrazie pubbliche, come il colera ed il tifo: le autorità sanitarie credettero opportuno sospendere ogni raduno allo scopo di non dare diffusione al male.  Il Perdono corse anche il pericolo di essere sospeso per volontà del prevosto Arturo Giovenzana, il quale oscillava tra l’annullamento e lo spostamento della data, allo scopo di assicurare una migliore e più raccolta celebrazione delle cerimonie della Settimana santa e della Pasqua.  In data 5 aprile 1942 il prevosto Giovenzana inviava al Commissario prefettizio ed al maresciallo dei Carabinieri di Melegnano una lettera nella quale pregava “cortesemente ed instantemente di disporre una vigilanza rigorosa perchè i divertimenti della Fiera (giostra, altalena, circo e baracconi) siano intonati alla gravità dell’ora (eravamo in guerra) ed alla santità del tempo liturgico corrente (era la Settimana santa). Sua Eminenza il card. Schuster desidera ogni anno essere informato in proposito. Gli inconvenienti di carattere morale verificatisi alcune volte nel passato devono essere evitati, perchè non avvenga che il Perdono ci venga tolto, e con esso venga pure compromessa la tradizionale Fiera del Perdono”.  E’ un documento che sembra dire poco, ma è molto indicativo per chi, come l’autore di questo libro, è stato testimone diretto delle polemiche e dei propositi, talvolta con tono assai vivace, per togliere o per spostare o per mantenere alla sua data il Perdono, mentre il paese si divideva in opposte fazioni per sostenere la tesi del prevosto Giovenzana o per ignorare, contro di lui, le sue ragioni ed aspramente combatterlo.  Poi, l’anno dopo, cadde il Fascismo. La guerra andò male. La svolta politica e sociale, economica e psicologica, darà alla Festa e Fiera del Perdono nuove prospettive del tutto imprevedibili ed impensabili.
L’ultima Fiera tradizionale
L’ultima Fiera del Perdono, prima di radicali cambiamenti, avvenuta nel 1941, in piena guerra mondiale e dopo la caduta del fascismo, è ancora impostata sul settore agricolo. Si temeva di non poterla organizzare per le vicende belliche e per le difficoltà sociali, politiche ed economiche.  L’Amministrazione comunale, presieduta da un commissario prefettizio, scrisse una lettera al Capo della Provincia, al Consiglio Provinciale per l’Economia, all’Ente Economico della Zootecnia, per chiedere l’autorizzazione a celebrare la fiera.  Nella lettera, spedita in data 23 marzo 1944, XXII anno dell’era fascista, si afferma che “si organizzavano mostre di macchine agricole, di arte casearia, di animali da cortile, mostre della piccola industria. Ma la vera ragione di essere di questa Fiera che richiama decine di migliaia di persone da tutta l’Alta Italia sono sempre state le esposizioni di cavalli, di bovini da allevamento e di torelli”.
L’Amministrazione, pur riconoscendo l’inopportunità, per ragioni gravi, di organizzare talune di queste attività, chiedeva di “essere autorizzata alla organizzazione dell’esposizione degli equini e dei bovini di allevamento”.
La lettera continua dicendo che “trattasi di una manifestazione che influenza al massimo grado l’andamento commerciale ed agricolo di una vastissima zona del lodigiano e del milanese e che porta un forte incremento al miglioramento del patrimonio zootecnico delle aziende agrarie di questa zona”.  Questa lettera non fa altro che riconfermare la vera natura della Fiera del Perdono: il settore zootecnico, come preferenza nel campo economico. Ma questo sta ancora a dirci che Melegnano, fino alla seconda guerra mondiale, era un centro agricolo, anche se le industrie stavano ulteriormente sviluppandosi.  Era dunque importante salvare, anche nelle difficoltà, la sostanza della Fiera: i cavalli.  Evidentemente la pressione veniva dai commercianti che non volevano rinunciare a mettere sul famoso mercato fieristico i cavalli per tutti gli usi.  Erano bestie da tiro, da lavoro industriale, da trasporto, da riproduzione, per il lavoro dei campi, per le carrozze, per i commercianti ed ambulanti, per il passeggio, o anche addirittura per l’ambizione di avere superbi e meravigliosi cavalli.  La fama del Perdono di Melegnano arrivava al Milanese, al Pavese, al Lodigiano, al Cremonese, alla Bergamasca, al Piacentino.  La sua celebrità è attestata da un proverbio assai noto nell’Italia settentrionale: “El perdòn a l’è a Meregnàn”, per intendere che a Melegnano c’è il perdono dei peccati e non quello dei debiti o di qualche danno ricevuto.
La trasformazione del Perdono
Per secoli il motivo religioso del Perdono era unito alle manifestazioni economiche di mercato dei cavalli, dei bovini, degli attrezzi per l’agricoltura e la zootecnia. Ancora nei primi anni del 1900 si scriveva: “La Fiera del Perdono a Melegnano è sempre attesa con ansia, ed è da augurarsi che in avvenire abbia a prendere sempre maggior sviluppo ed intensità di concorso, che riesce vantaggioso al commercio interno e forese”.  Per esempio la Festa e la Fiera del Perdono del 1935, secondo la relazione del podestà Luigi Moro, fu “una vera rivelazione della bontà dei prodotti dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato locale, ponendo questa Comunità, come nel passato, all’avanguardia in fatto di concretazioni di indole economica e commerciale”.  Nei miei anni giovanili (1930-1940) vedevo una vasta esposizione di cavalli, muli, asini, buoi, tori, mucche, vitelli, capretti, agnelli, pecore.  Si premiavano circa 70 espositori.  Il grande avvenimento evolutivo avvenne dopo la seconda guerra mondiale, precisamente al Perdono del 1946. Era cambiato il clima politico, mutata profondamente la società melegnanese perché diventata più direttamente attiva e vivacemente presente nelle discussioni politiche, democratiche, sindacali, organizzative; vi era grande voglia di partecipazione a tutto. Fu per questo che gli schemi tradizionali secolari della Fiera del Perdono andarono in frantumi.  Avvenne un netto distacco tra autorità religiosa e quella politica. Il prevosto don Arturo Giovenzana non entrò più nei Comitati organizzativi o di onore, se non per esprimere un suo innato comportamento di autonomia e di distacco dagli organismi politici: si faceva rappresentare da un suo sostituto che per molti anni fu proprio l’autore di questo scritto, il quale sostituto, tuttavia, non eseguiva una presenza passiva, ma si inserì attivamente nel direttivo e talvolta anche nell’esecutivo della Fiera del Perdono.  Gli organizzatori della Fiera del Perdono non tennero troppo conto dell’importanza della Bolla e della loro presenza diretta al momento dell’esposizione in chiesa, ma si preoccuparono di rendere popolare ed universale la Fiera nelle sue attività. Ed ecco comparire, accanto alle mostre tradizionali di animali, mostre fotografiche, mostre di pittura, partite di pallone, gare sportive, omaggi ai monumenti dei Caduti, corse nei sacchi, inni nazionali francesi, russi, svizzeri, italiani, del Piave, con la finale fantasiosa dei fuochi d’artificio, giochi e baracconi.  Nello stesso tempo furono allargati i Comitati per la Fiera del Perdono, che lavoravano diversi mesi per l’organizzazione. Ma già si avvertiva - e preoccupava - il punto debole della Fiera del Perdono: si sentiva, cioè, che non vi era più una manifestazione unitaria e prioritaria (i cavalli); tutti comprendevano che stava per diventare impossibile trovare una iniziativa tipica riducibile ed una sola categoria commerciale e che da sola potesse ancora ridare alla Fiera del Perdono la fisionomia che aveva nei secoli scorsi.  Rimaneva saldo il settore dei baracconi, delle giostre, dei giochi di ogni genere per adulti e per bambini, delle bancarelle di dolci e di ogni ghiottoneria: piazze centrali o periferiche erano invase per alcune settimane da esuberanza festaiola partecipata da ogni genere di persone di Melegnano e di fuori; duri a resistere e tenaci a partecipare i famosi santangiolini con fironi delle castagne secche come rustico trofeo hawaiano da portare a casa dopo la ressa del tripudio melegnanese.
La Festa e la Fiera del Perdono oggi
Attualmente la Festa e la Fiera del Perdono hanno assunto dimensioni gigantesche. L’Ente preposto alla stesura del calendario delle manifestazioni, ad ogni tipo di organizzazione, allo studio delle iniziative, al coordinamento per il retto funzionamento delle attività, allo stimolo ed all’incoraggiamento presso associazioni e club, al suggerimento ed al consiglio per una migliore riuscita da parte dei partecipanti, è la Pro Melegnano che organizza la ormai famosa Primavera Melegnanese che coinvolge la partecipazione totale ed operosa di tutte le organizzazioni ed associazioni cittadine.  La Primavera Melegnanese si svolge dalla fine di marzo ai primi di giugno e comprende mostre personali di pittori, campionati sociali ed agonistici di ginnastica, gare ciclistiche, concerti di pianoforte ed organo, mostra filatelica, mostra numismatica, convegno di informazione zootecnica-veterinaria, spettacolo teatrale, mostra artigianato, mostra di oggetti d’arte, gara regionale di bocce, rassegna vecchie canzoni, dimostrazioni di karate e di judo, torneo di scacchi, incontri di calcio e di pallavolo, sfilata di attacchi di cavalli e carrozze, esposizioni nazionali di cani da caccia e di levrieri, incontri di pallacanestro, gara tra i modellisti, mostra fotografica, concerti di banda, esibizioni di ragazzi con cavalli pony, gara di pesca alla trota con distribuzione del pesce, ed altre varie attività che ogni anno si introducono o si correggono.  Il giorno del Perdono, giovedì santo, alle ore 9 avviene l’apertura delle mostre; inizia il mercato delle macchine agricole e degli autoveicoli in genere che sono esposti in Piazza Matteotti, Garibaldi, Risorgimento, IV Novembre, 25 Aprile, vi è inizio delle contrattazioni alla mostra bovina, equina e di altri animali nell’interno del parco del castello, intanto si svolge il concorso delle vetrine.  Le autorità politiche, religiose, amministrative locali e dei Comuni circonvicini e quelle di Milano iniziano la visita a tutte le mostre: se la giornata è bella è una fatica passare tra la folla che riempie le vie principali ed è come una fiumana variopinta ed allegra. Alle ore 12 tutte le autorità entrano in chiesa San Giovanni dove avviene con grande solennità e partecipazione l’Esposizione della Bolla del Perdono: qui il prevosto don Alfredo Francescutto rievoca i motivi religiosi, penitenziali, umani e civici del valore del Perdono, anche alla luce della Parola divina, con brani della Bibbia, e con riferimenti alle situazioni sociali attuali. E’ un momento di alta commozione religiosa e di ricupero del vero significato del Perdono. La chiesa è piena zeppa (700 persone circa) e le autorità ai primi banchi in piedi assistono alla realtà che è il fondamento di tutto quanto avviene fuori: è il giorno in cui Melegnano, attraverso i suoi uomini di responsabilità, si ritrova unita e concorde nel ricupero dei più preziosi valori religiosi, politici, amministrativi, sociali, economici, artistici, sportivi e culturali.  Uscendo dalla chiesa ecco il raduno entro la Sala del Consiglio comunale. Qui il sindaco espone la situazione di Melegnano, cioè le possibilità e le condizioni in cui si trova Melegnano: è un discorso programmatico, ricco di analisi e di elementi che inquadrano la situazione della nostra città in ogni settore. Inoltre le autorità milanesi, provinciali e regionali danno il loro saluto, puntualizzando su problemi di portata più vasta. Infine si premiano quelle ditte o quelle associazioni o quei cittadini che si sono resi benemeriti della comunità.
Il parco divertimenti
A fiancheggiare il movimento fieristico ecco il settore dei divertimenti: giostre di ogni genere, attrazioni per i giovani, auto-centro, tiri di ogni tipo, baracconi del mistero, trenini con viaggi nell’impossibile, bizzarrie fantascientifiche, con luci e suoni e fracassi e voci per ogni gusto, come grossi alveari umani attorno a cui ronzano continuamente ragazzi e giovani, nonni e papà, fanciulle e signorinette, mamme e vecchiette per ammirare e provare l’esperienza del circo o della giostra o per commentare quanto diverso sia il tempo presente dai tempi passati.
Il Palio dei Rioni “Tiro alla fune”
Nella Primavera Melegnanese del 1980 si è organizzato - a cura dell’Associazione Italiana Donatori Organi e con il patrocinio della Pro Melegnano - il Palio dei Rioni “Tiro alla fune”. Alla squadra vincitrice del tiro alla fune è assegnato un magnifico trofeo (una coppa) che diventa suo per sempre se risulta vincitrice per tre anni.  Le squadre che si contendono il trofeo al tiro alla fune hanno un nome caratteristico che ricorda i tradizionali rioni o località della vecchia Melegnano:
I Lecapiàtt (leccapiatti), quelli del centro storico, detti così perchè erano i nobili e gli aristocratici e quindi condivano i loro cibi con condimenti assai gustosi da leccare perfino i piatti;
La Maiocca, quelli che si raggruppano attorno alla Maiocca ed al Bar Maiocca, un’antica frazione agricola per secoli ai margini di Melegnano;
El Burg di ratt che raduna quelli della via Lodi e della via Emilia, i quali si raggruppano attorno al bar Romana sulla Via Emilia: il nome ratt indicava lo strapiombo verso il Lambro, ma la nostra gente intendeva anche i topi;
El Punt de Milan, detto anche rione di baloss del cav (i furbi della cava, perchè andavano anticamente al lavoro nella cava della sabbia), ma detti anche soprattutto spassapulè‚ (spazza pollai) perchè avevano la fama di rubare le galline, e si radunano attorno al bar Sao Caffè‚ in via Vittorio Veneto;
El Riòn de San Peder, che sono quelli che si raccolgono attorno al bar Pesa di via Mazzini;
El Giardin, formato da coloro che si radunano attorno al bar Stefanini detto Severino in via Frassi;
La Piassa di nimài, che è la piazza IV Novembre, detta di nimài perchè nel 1879 l’Amministrazione comunale acquistò il terreno per istituirvi il mercato delle bestie, in modo speciale dei maiali; il gruppo degli atleti si raduna attorno all’albergo Vapore in Via Zuavi;
El Burg, cioè il borgo (la zona di via Dezza, San Martino e adiacenze) che è formato da coloro che si radunano presso il bar San Giorgio in Via San Martino; la zona era anticamente detta borgo Lambro.
Ogni squadra è composta da nove tiratori della fune: sono necessariamente giovani robusti, erculei, poderosi, massicci, qualcuno è monumentale nella statura e nella forza fisica; ogni squadra ha un suo vessillo con il nome ed il simbolo disegnato sopra. Le squadre, inoltre, partecipano al corteo, ed in chiesa si dispongono sull’altare al momento dell’esposizione della Bolla.  La grande manifestazione del tiro alla fune come trofeo avviene all’ultima domenica fissata per il termine di tutte le manifestazioni della Primavera Melegnanese, verso la metà del mese di giugno, presso il Centro Giovanile. Vi concorre una folla enorme, gioiosa di assistere e di applaudire agli atleti, alle bande musicali, alle graziose majorettes che si esibiscono nei loro artistici esercizi, e a tutti i vincitori o partecipanti alle varie numerose attività della Primavera Melegnanese.
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